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Autore: Naco    27/03/2004    3 recensioni
Quando sembra che tutto debba finire... che l'odio e le incomprensioni debbano rovinare per sempre un'amicizia... all'improvviso, un angelo appare per mostrare un nuovo cammino...
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scrissi questa storia ormai nel lontano 2003 come regalo di Natale per i miei amici; successivamente, è stata presentata ad un concorso regionale.
Alcuni luoghi citati sono reali, altri invece sono fittizi. I personaggi, invece, sono tutti frutto della mia mente malata. Qualsiasi riferimento a persona o avvenimento reale, è del tutto casuale.


I

L’orologio segnava le 18.15, quando il commissario Andrea Stellacci uscì dal suo ufficio, l’ultimo di quel corridoio, per andare dalla parte opposta del commissariato, in quello del suo migliore amico, Stefano Biasi. Camminava a grandi passi, già pregustando la cena che gli sarebbe stata offerta per aver vinto quella scommessa.
Andrea aveva solo 26 anni, quando divenne commissario della polizia di Bari. Se le sue grandi doti investigative lo avevano portato a quel risultato, doveva ringraziare solo Stefano, che lo aveva spinto ad entrare in polizia.
Stefano aveva circa 29 anni, occhi e capelli castani, un sorriso allegro e cordiale. Lo aveva conosciuto una sera, nella discoteca della zona e avevano deciso di tenersi in contatto. Una volta Andrea lo aveva aiutato ad arrestare un pericoloso latitante e fu proprio in quell’occasione che Stefano gli aveva fatto la proposta di entrare nell’arma.
L’ufficio di Stefano non era molto distante dal suo: grande, ben illuminato, con una splendida vista sul mare. Entrando, osservò, come se non l’avesse mai notata, la scrivania di mogano al centro della stanza, la pianta di gerani che gli aveva regalato poche settimane prima per il suo compleanno e i fogli, come al solito sparsi qua e là, senza un ordine ben preciso.
“Novità?” chiese, ma era una domanda retorica: appena entrato, si era immediatamente accorto che qualcosa preoccupava il suo amico.
“Un suicidio, giusto due minuti fa. Devo andare a dare un’occhiata. Vuoi venire con me?”
“Non sarà il massimo dell’allegria, ma soffrirò in silenzio, pregustando già la bella cenetta che mi offrirai. Allora dove si va?”
Stefano sbuffò: “A Bitonto. Il presunto suicida si chiama Roberto Desantis, 28 anni, studente di medicina qui a Bari, prossimo alla laurea.”
Andrea impallidì, ma non disse nulla. Possibile che….?
“Allora, Andrea, andiamo?”

C’era uno strano silenzio in automobile quel pomeriggio e Stefano se ne accorse immediatamente; Andrea era un ragazzo loquace e durante i loro incontri era sempre lui che parlava. Stefano lo guardò per un attimo pensieroso. Possibile che non avesse nulla da dire? Non solo stavano tornando al suo paese natio, – anche se certamente non per una passeggiata in centro - ma aveva anche vinto una scommessa e presto avrebbe ricevuto il suo premio. Possibile che Andrea fosse sconvolto per la morte di quel ragazzo? Era dunque un suo amico? Andrea non gli raccontava mai episodi della sua adolescenza e ogni volta che la conversazione cadeva su questo punto, cambiava improvvisamente argomento.
“Stai pensando a casa tua, vero?” chiese per rompere il ghiaccio “Tu sei di Bitonto, se non mi sbaglio.”
Andrea annuì impercettibilmente, perso com’era nei suoi pensieri. La sua mente era già arrivata e stava ripercorrendo quelle viuzze del centro storico che lo avevano visto diventare un giovanotto e lentamente si stava avvicinando alla scalinata in pietra che conduceva a quel liceo che aveva frequentato per cinque lunghi anni. Con la fantasia salì i gradoni delle due rampe, attraversò la soglia dell’edificio e si ritrovò nella sua atmosfera carica di misticismo di ex monastero, adibito a liceo da oltre un secolo.
Incuriosito entrò nelle varie aule, sempre troppo grandi per quelle scolaresche che ogni anno diminuivano inesorabilmente; salì le scale che portavano al piano superiore e si affacciò alle grandi finestre che davano sul chiostro interno, mentre il vento gli accarezzava dolcemente i capelli, quasi a volerlo ringraziare di essere tornato, di non averlo dimenticato, dopo tanto tempo….
Ed ecco che improvvisamente le sue orecchie udirono, chiare e distinte, le voci allegre dei ragazzi durante l’intervallo, la campanella che annunciava la ripresa delle lezioni, i loro passi frettolosi, le voci dei professori che richiamavano all’ordine…. Fu in mezzo a quel via vai di studenti che finalmente la vide….
Vide lei, Paola, i suoi grandi occhi color del mare, i capelli scuri, la sua risata argentina….

Andrea e Paola si erano conosciuti che erano due bambini, incapaci di leggere e scrivere. Lui e Roberto, il fratello di Paola avevano la stessa età e quando erano piccoli, si divertivano un mondo a far arrabbiare la bimba. Avevano trascorso insieme tutta la loro infanzia e al momento di scegliere la scuola superiore da frequentare, Roberto e Andrea avevano optato per il liceo classico; tre anni dopo, anche Paola avrebbe scelto quella strada. Erano praticamente inseparabili e tutti, loro per primi, avevano sempre creduto che la loro amicizia sarebbe durata per sempre.
Tutto accadde il giorno in cui Andrea presentò a Paola e a Roberto, Sara, la sua ragazza. I due fratelli non avevano avuto problemi ad accettare la nuova arrivata, ma Paola aveva immediatamente compreso che qualcosa da quel giorno era cambiato per sempre e aveva avuto ragione: ormai lui e Sara si vedevano sempre più di rado in giro, preferendo la solitudine di una coppia alla loro compagnia.
Paola aveva avvertito più di Roberto quell’allontanamento, ma sapeva di non aver alcun diritto di esserne triste, così aveva taciuto e si era tenuta dentro tutte le paure e le preoccupazioni.
Finché un giorno il vaso traboccò e nel modo più inaspettato, facendo sì che il suo affetto si trasformasse in un odio profondo e travolgente.
Quel giorno era il suo diciottesimo compleanno: una data importante, per la quale Roberto aveva organizzato una festa a sorpresa con la complicità di tutti i suoi amici. Tutti i suoi cari, tutte le persone che lei amava più di se stessa erano lì a festeggiarla. Tutti tranne lui.
La mattina seguente Paola era furibonda, come poche volte lo era stata. Andrea la vide scendere la scalinata del liceo e gli bastarono pochi secondi per comprendere lo stato d’animo della ragazza. Si avvicinò molto lentamente, non sapendo come intavolare una conversazione.
“Ehm… Paola?”
Ma Paola gli passò accanto senza degnarlo di uno sguardo.
“Paola?” la chiamò ancora, ma lei continuò a camminare come se non lo avesse sentito.
“Paola aspetta!” urlò fermandola per un braccio.
Paola si voltò e lo guardò glaciale: “Che giorno era ieri?” chiese.
“Senti Paola, hai pienamente ragione ad essere arrabbiata, ma….”
“Che giorno era ieri?” ripeté lei.
“Paola, hai pienamente ragione, io volevo venire, però…”
“Però cosa? C’erano tutti i miei amici, mio fratello….! Le persone a cui volevo più bene erano tutte lì, tranne tu! Il mio diciottesimo compleanno! Una data importante che avrei voluto trascorrere con i miei amici! E tu non ti sei neanche degnato di farmi gli auguri!”
“Senti, hai pienamente ragione, ma Sara…”
“Sara, Sara, sempre e solo Sara! Sarà anche la tua ragazza, ma io ti conosco da molto più tempo di lei! Potevi almeno fare un salto!”
“Dì un po’…. Non è che sei gelosa?” chiese lui per punzecchiarla.
Si, lo era, ma avrebbe preferito morire piuttosto che dirglielo. “Piuttosto che essere gelosa di uno stupido come te, preferirei morire! Non voglio più vederti, non meriti neanche che stia ancora qui a parlare con te! ESCI DALLA MIA VITA E NON RIENTRARCI MAI PIU’!” urlò con tutta la forza che aveva e se ne andò, non prima di avergli mollato un ceffone.
Da quel giorno erano trascorsi otto anni. Non si erano più rivolti la parola, neanche quando lei si era diplomata a pieni voti e lui era entrato in polizia. Tutto ciò che avevano costruito in quegli anni, sembrava essere andato completamente distrutto. L’unica cosa che li aveva tenuti uniti fino a quel momento era il profondo affetto che ambedue avevano provato per il povero Roberto.


II

L’automobile di Stefano si fermò proprio davanti al portone della famiglia Desantis, mentre i loro colleghi bitontini erano già al lavoro, come si poteva notare dalle auto della polizia parcheggiate nelle vicinanze. Andrea alzò lo sguardo e sorrise melanconico. Tutto era rimasto come sei anni prima, periodo in cui decise di trasferirsi a Bari, deciso a dimenticare Paola e tutto ciò che quella ragazza gli ricordava. Solo con Roberto aveva mantenuto deboli contatti, ma quando si erano incontrati, avevano preferito parlare del futuro, piuttosto che rivangare il passato.
Salirono le scale e bussarono alla porta con la targhetta dorata su cui era inciso quel cognome che avrebbe tanto voluto dimenticare.
Era ancora immerso nei suoi melanconici pensieri, quando la porta venne aperta.
Andrea sentì il cuore battergli freneticamente, quasi volesse scappargli dal petto e istintivamente indietreggiò. “Paola...” Bisbigliò.
“Andrea… sei proprio tu?” chiese la ragazza non riuscendo a capire se si trattasse di un sogno o della realtà. Possibile che quel ragazzo davanti a lei fosse veramente Andrea, il ragazzo con cui era cresciuta? Quei capelli castani perennemente scompigliati, ora erano cresciuti e alcuni ciuffi gli scendevano sulla fronte, mentre le spalle erano molto più larghe di come le ricordasse. Solo i suoi occhi erano rimasti gli stessi, dolci, sorridenti, innocenti… Ma anche capaci di far del male, di tradire un’amicizia, di far soffrire… E pensare che lei lo aveva sempre amato… e non l’aveva mai dimenticato… neanche dopo quel giorno…
Paola era rimasta talmente choccata nell’osservare quel ragazzo così misteriosamente apparso nella sua vita, da non accorgersi che anche lui la stava fissando incantato.
Paola… la sua cara Paola, compagna di giochi, di studi… dov’era finita quella ragazzina con le treccine e le lentiggini, che tante volte lui e Roberto si erano divertiti a prendere in giro? Era davvero la sua Paola quella ragazza con i capelli lunghi fin sulle spalle, la gonna sul ginocchio, il dolcevita nero, le scarpe alte? Possibile che fosse diventata così alta, matura… così bella?
Tutto era durato solo un attimo, anche se per loro era sembrato un tempo infinito.
La voce di Stefano che chiedeva informazioni più dettagliate ai colleghi di Bitonto, sembrò quasi risvegliarli da un sogno. Il primo a riprendersi fu Andrea:
“Così… è proprio vero?” fu tutto quello che riuscì a chiederle.
“Si… povero fratellino mio… non riesco ancora a crederci… lui non era tipo da fare una cosa del genere! Lui aveva sempre considerato la vita come un dono prezioso… possibile che abbia veramente….?”
Andrea le accarezzò una guancia. “Vedrai che se c’è qualcosa sotto la scopriremo…”
Stefano si schiarì la voce, visibilmente in imbarazzo: “Scusatemi signorina Desantis… potrebbe mostrarmi la camera in cui….”
Paola annuì e lo precedette nello studio del fratello, quello che una volta era appartenuto a suo padre. Il corpo di Roberto giaceva riverso sulla scrivania, in mano ancora un bicchiere vuoto.
“Penso che sia cianuro.” Informò laconicamente un agente della scientifica, “Non mi sorprende… frequentava la facoltà di medicina, avrebbe potuto procurarselo facilmente…”
Stefano lo gelò con lo sguardo. “Grazie per le delucidazioni. Può andare, grazie.” Poi si rivolse a Paola. “Signorina Desantis, so che per lei sarà molto doloroso, tuttavia… potrebbe raccontarmi come si è svolta la vicenda?”
“Non so cosa dirle… Mio fratello era stranamente pallido stamattina, ma credevo che si trattasse di una semplice influenza. Poi verso le 3.00 del pomeriggio, mi ha detto che si sarebbe chiuso nel suo studio per studiare per un esame. Verso le sei sono venuta a portargli una tazza di caffè, come ogni pomeriggio e ho visto….”
Paola non riuscì a proseguire tanto le lacrime la scuotevano. Era un incubo, continuava a ripetersi, solo un incubo! E quando si sarebbe svegliata, avrebbe scoperto che si era trattato di uno scherzo della sua fantasia, avrebbe rivisto suo fratello sorriderle come sempre e insieme avrebbero riso del suo sogno; poi, quando gli avrebbe raccontato che di aver sognato Andrea commissario alla omicidi di Bari, avrebbero rivangato insieme i bei tempi in cui erano inseparabili, poi avrebbero ricordato Sara, la sua gelosia….
E invece no, non era un sogno, ma la realtà, una cruda, reale realtà.
Paola singhiozzava ancora, quando delle calde braccia la cinsero dolcemente. Inizialmente si irrigidì; poi, spossata dalla triste realtà che le era toccata, si lasciò andare a un pianto irrefrenabile. Solo quando era con Andrea riusciva a sentirsi veramente protetta ed era molto tempo che ciò non accadeva.


III

Gli uomini della scientifica se ne andarono mezz’ora dopo, seguiti a breve dagli agenti. Stefano guardò Andrea interrogativo.
“Allora, te ne vieni?”
Andrea si guardò intorno, poi posò il suo sguardo su Paola, seduta al divano, lo sguardo lontano, le mani in grembo tremanti. Le si stava avvicinando, desideroso di poterla aiutare, ma qualcosa lo fermò.
“ESCI DALLA MIA VITA E NON RIENTRARCI MAI PIU’!” gli aveva urlato otto anni prima e lui l’aveva accontentata. Ma ora…
“Si, arrivo!” decise infine e si diresse verso l’amico.
Paola alzò lo sguardo e vide le spalle del ragazzo allontanarsi da lei.
“Aspetta!” gli chiese quasi implorante, con un filo di voce.
Andrea si girò, sicuro di non aver capito. “Cosa?”
Paola si alzò e lo raggiunse; poi gli prese la manica della giacca, come faceva quando era piccola per chiedergli un favore. I suoi occhi color del mare erano velati di lacrime. “Per favore… non lasciarmi sola!”
Andrea la guardò e sorrise. Il suo cuore era un tumulto di emozioni. “Certo.” Rispose, poi si rivolse all’amico “Non ti dispiace, vero?”
Stefano sorrise, “Tranquillo!” e se ne andò.
Il ragazzo chiuse la porta e i due rimasero soli.
Ci fu uno strano silenzio carico di tensione, ma al contempo di affetto. Non c’era bisogno di parlarsi, bastava essere lì, insieme, per capire che forse non era tutto perduto, che qualcosa nel loro rapporto non era completamente morto, ma poteva ancora tornare a vivere.
Fu Paola a rompere il silenzio. “Commissario di polizia… non l’avrei mai immaginato!”
Andrea le sorrise: “Neanche io! Stavo frequentando l’università quando ho conosciuto Stefano… stava indagando su un caso. Era arrivato a un punto morto e mi chiese un consiglio. Non so neanche io come, ma ho risolto il caso… così mi convinse a partecipare a un concorso per entrare in polizia e lo vinsi…. Ed ora eccomi qui! E tu invece?"
Paola arrossì: “Io? Io ho scelto beni culturali. Lo sai che adoro l’arte!”
“Non sei cambiata affatto!” disse semplicemente..
Paola arrossì ancora di più: “Tu invece sì… sei cresciuto…”
Andrea sorrise amaramente: “Ho imparato soffrendo…”
La ragazza non rispose, ma “Vuoi una tazza di caffè? Te la preparo!” gli chiese.

Andrea si guardò intorno meditabondo: anche se erano passati otto lunghi anni, ricordava ancora perfettamente quella stanza in cui da piccolo aveva trascorso tanti pomeriggi con Roberto. Ricordava perfettamente l’ordine dei libri sugli scaffali, la posizioni di quegli assurdi soprammobili che il suo amico aveva la mania di collezionare, il paralume scheggiato, persino il contenuto dei cassetti di Roberto.
Andrea si avvicinò allo scrittoio del suo amico e dolcemente toccò la superficie di mogano del mobile, immerso nei ricordi.
“E dai! Dimmi che diavolo hai di tanto prezioso in quel cassetto che tieni sempre chiuso a chiave!” chiese lui supplichevole.
Roberto sorrise biecamente: “E’ il mio segreto! Non lo sa nessuno, neanche Paola!”
“Ma scusa, siamo amici! Dimmi cosa contiene!”
“Scordatelo! Se un giorno vorrò che tu lo scopra, allora lo capirai tu stesso!”

Andrea girò intorno alla scrivania e tremante si abbassò all’altezza del cassetto. Provò ad aprirlo, ma il cassetto era chiuso a chiave. Sconsolato Andrea chinò il capo. “Non hai voluto dirmelo… te ne sei andato e non me l’hai detto… Roberto, perché….?”
Andrea spalancò gli occhi e fissò i tre cassetti davanti a sé. C’era qualcosa che non andava, ma non riusciva a spiegarsi cosa. Lentamente scorse con la mano la superficie dei tre cassetti e si accorse che il terzo, quello che si trovava sotto il cassetto segreto, era sporgente rispetto agli altri.
“Aspetta un attimo….”
Sempre più tremante, Andrea estrasse il terzo cassetto e tastò la parte posteriore. Sotto le sue dita sentì un oggetto, attaccato alla superficie con lo scotch. Delicatamente lo staccò.; nelle sue mani si trovava un pezzo di carta. Lo dispiegò e lesse:


Nihil est dulcis quam amicitia


“Ma cosa…?” Andrea guardò il pezzo di carta. Ma cosa voleva dire quella frase? Era veramente diretta a lui o forse il suo era stato un grossolano errore? Si guardò intorno e il sguardo si soffermò sul paralume scheggiato.
“Sei uno stupido! E io che volevo anche regalartelo! E’ il primo dipinto a olio che faccio!”
“E quello lo chiami dipinto? A me sembra più che altro uno scarabocchio!”
“Smettila Andrea! L’ho intitolato ‘Amicitia’ perché l’ho fatto pensando a noi tre!”
“Io invece l’avrei intitolato ‘Schifezza’!”
“Stupido!” gli urlò Paola e gli lanciò contro un libro di suo fratello.
“Mancato!” esclamò lui saltellando da una parte all’altra.

“Ho capito!” esclamò e corse fuori dalla stanza.

Andrea aprì lentamente la porta della stanza di Paola, indeciso sul da farsi. Lei gli aveva sempre proibito di entrare nella sua stanza e si sentiva come se stesse violando la privacy della ragazza.
“Coraggio! In fondo lo faccio per Roberto!” cercò di convincersi ed entrò. La stanza era arredata semplicemente, ma con buon gusto: il letto e un armadio sul lato lungo, la scrivania su quello opposto e una finestra su quello corto, di fronte alla porta. Si guardò intorno, poi finalmente, sulla testata del letto lo vide.
Il quadro.
Rappresentava tre mani che s’incontrano illuminate da un raggio di luce dorata. Alla fine della loro discussione Paola, arrabbiata per il comportamento di Andrea e per il disastro che aveva combinato, così aveva deciso di tenerlo per sé e di appenderlo in camera sua. Era strano, notò Andrea, che Paola l’avesse lasciato lì, nonostante tutto.
Si tolse le scarpe e salì sul letto della ragazza. Staccò il quadro dalla parete e lo tastò: nella parte posteriore, attaccato con dello scotch, vi era una chiave.
“Eureka!” esclamò saltando giù dal letto e si precipitò nello studio di Roberto palpitante. Era talmente eccitato che non si accorse di Paola con le due tazze di caffè e per poco non le versò addosso il liquido bollente.
“Andrea! Ma dove diavolo eri finito?!”
Lui le sorrise e l’abbracciò. “Forse fra poco scopriremo perché Roberto si è ucciso!” e la precedette nello studio.
Si sedette alla scrivania, Paola in piedi dietro di lui e inserì la chiave nella serratura che scattò al primo giro.
Tremante Andrea aprì il cassetto. All’interno non c’era nulla, solo una lettera.


IV

Carissimi Paola e Andrea,
Quando leggerete queste mie righe, io non ci sarò più.
Sono sicuro che Andrea non ha impiegato molto tempo a trovare la soluzione giusta; del resto lui è un commissario alla omicidi. Sono infatti convito, Paola, che l’avrai avvisato della mia scomparsa. Del resto la nostra amicizia era troppo forte per non poter vincere ogni tipo di discordia.
Sicuramente vi starete chiedendo il perché del mio folle gesto, proprio io che consideravo la vita la cosa più importante che avessimo ricevuto e per proteggere la quale io avevo deciso di diventare medico. Ma non ce l’ho fatta. Certo è facile parlare in questo modo quando sei in perfetta salute, circondato dall’affetto dei tuoi cari, accanto ad amici sinceri…
Tutto è iniziato sei mesi fa. All’ospedale ho conosciuto un uomo malato di cancro e ho cercato in tutti i modi di aiutarlo. L’ho visto deperire, dimagrire a vista d’occhio, perdere i capelli… finché un giorno arrivai all’ospedale per ricevere una terribile notizia: quel paziente era morto.
L’avevo conosciuto solo per pochi mesi, tuttavia mi rimase un grande vuoto nel cuore. In quel periodo avrei dovuto iniziare a preparare la tesi e così decisi di approfondire gli studi su questa terribile malattia per la laurea, ma anche per lui…
Via via che procedevo nei miei studi e nelle mie ricerche però, mi accorgevo di quanto i sintomi di questo male fossero simili a quelli che stavo provando io. Inizialmente non diedi troppo peso alla cosa, pensando che mi stessi autoconvincendo di qualcosa che non c’era, ma poi la paura prese il sopravvento e decisi di farmi delle analisi: se fossero state negative, avrei riso sulla mia stupidità e avrei continuato il mio lavoro più sereno. E invece…
Cara Paola, ho cercato in tutti modi di dirti la verità, ma non ci sono mai riuscito. Quando ti vedevo così felice e piena di vita, così dolce e affettuosa nei miei confronti, mi sentivo un verme. Che diritto avevo io di tenerti legata a me, a soffrire mentre ti prendevi cura di qualcuno che sicuramente sarebbe morto? Avrei potuto io farti soffrire così, tu dolce e cara come sei? Potevo io costringerti a questo? No, certamente no. Così ho preferito porre io fine ai miei giorni. Forse mi direte che sono stato un codardo, che avrei dovuto lottare, ma credetemi: il medico mi ha fatto capire molto chiaramente che per me non c’erano speranze. Forse in fondo non è stato solo l’affetto che provo verso di te Paola, ma anche la paura di soffrire, di vedermi morire lentamente a convincermi a compiere il folle gesto. Può darsi.
Andrea, mia dolce Paola, perdonatemi, ma preferisco che mi ricordiate per quello che sono stato. Probabilmente è un ragionamento egoistico o forse è solo la disperazione di non trovare altre vie d’uscita a farmi scrivere certe cose.
Ma non voglio andarmene prima di avervi lasciato qualcosa di me, qualcosa che faccia si che la mia vita e la mia morte non siano state inutili.
Una volta sentii dire che tutti, buoni e malvagi, siamo venuti al mondo per un motivo, per un fine, qualunque esso sia: mi sono più volte chiesto quale potesse essere il motivo per cui sono nato e per un po’ mi sono convinto che fosse il salvare le vite altrui, ma mi sbagliavo. Il mio motivo siete voi, Paola e Andrea.
Andrea, mi dispiace tanto che tu non sia riuscito a trovare nulla di più di questo foglietto in quel cassetto che ti incuriosiva tanto, e ora sicuramente ti starai chiedendo che cosa ci avessi custodito tanto gelosamente. La verità è che l’ dentro non c’era mai stato nulla. In quel cassetto avrei voluto conservare una fotografia di noi tre insieme, sorridenti e felici, ma stranamente, pur conoscendoci da tanti anni, non ne abbiamo mai scattata una. Speravo che il giorno del diciottesimo compleanno di Paola, sarei riuscito a coronare il mio sogno, ma invece…
Non so cosa ti abbia tenuto lontano da quella festa, Andrea, né ho mai voluto chiedertelo, né tanto meno ho mai avuto l’impressione che tu volessi dirmelo. Eppure sapevo che non sarebbe finito tutto così. Ogni volta che guardavo quel quadro in camera di Paola, sentivo che un giorno vi sareste rincontrati. Dopotutto non ha mai avuto il coraggio di toglierlo dal suo posto…
Vi ho voluto, e vi voglio tanto bene.

Roberto


V

Andrea e Paola si guardarono, gli occhi di entrambi pieni di lacrime.
Paola scosse la testa incredula. “Non posso crederci! Roberto non può…”
Andrea la circondò con le sue forti braccia e Paola si lasciò andare a un pianto irrefrenabile. Il ragazzo le accarezzò i morbidi capelli, cercando di consolarla.
“Coraggio Paola… Roberto resterà per sempre nei nostri cuori e in ciò che di suo ci circonda. Ora dobbiamo continuare a vivere per noi e per lui.”
Paola si staccò da lui e si asciugò le lacrime che ancora rigavano il suo volto; poi incrociò lo sguardo del ragazzo di fronte a lei.
“Perché quella sera non venisti? Perché mi lasciasti sola?”

Andrea era seduto al posto di guida e picchiettava nervoso sul volante. Ma cosa stava facendo Sara? Perché non scendeva? Se non si sbrigava avrebbero fatto tardi!
Finalmente il portone del palazzo si aprì e uscì una ragazza bionda, dagli splendidi occhi azzurri; una ragazza nel fiore della sua giovinezza, ma stranamente pallida e magra
Tuttavia Andrea non sembrò accorgersene, infatti: “Finalmente! Credevo che non saresti più scesa! Ma si può sapere perché sei vestita così? Dobbiamo andare alla festa di Paola!”
Sara lo guardò e i suoi occhi si riempirono di lacrime.
“Paola, Paola, sempre Paola! Non t’importa proprio niente di me? Non mi chiedi perché sto così male? A te importa solo di Paola! Tu vuoi più bene a lei che a me, non è così?”
Andrea non riuscì a credere alle proprie orecchie: “Sara, ma che cosa stai dicendo?”
Sara era in un mare di lacrime. “Sì, è così! Tu non mi ami! A te non importa che io stia male…. CHE IO ASPETTI UN FIGLIO DA TE!”
Andrea era sconvolto. “Un… figlio?”
“Sì” fu tutto quello che lei riuscì a bisbigliare fra le lacrime.
Andrea abbassò il capo, fino a toccare il volante. “Un figlio… mio Dio! Non posso crederci!”
“E invece devi chiederci! E tu invece che…”
Ma la ragazza non riuscì a terminare la frase perché cadde fra le braccia di Andrea svenuta.


Paola ascoltò il suo racconto, allibita: “Cosa… cosa le era accaduto?”
Andrea si sedette sul divano, la testa fra le mani. “L’accompagnai all’ospedale. Lì il medico mi disse che l’ansia e l’agitazione che aveva accumulato in quei giorni, le avevano fatto perdere il bambino… per colpa mia…. Così io non me la sono sentita di lasciarla sola e sono rimasto con lei. Adesso… adesso sai proprio tutto.”
Paola era ammutolita. “E poi?” chiese con un filo di voce.
Andrea non aveva il coraggio di guardarla negli occhi. “Ormai il nostro legame si era profondamente incrinato: quel figlio che avrebbe dovuto unirci, in realtà ci aveva diviso per sempre. Lo capimmo immediatamente e insieme decidemmo che era meglio non vederci più” terminò e un pesante silenzio cadde nella stanza.
Nessuno dei due sapeva cosa dire, come spiegarsi, cosa fare, perciò rimasero in silenzio a meditare su ciò che era accaduto poche ore prima e tanti anni fa, avvenimenti così lontani tra loro, ma legati da un sottile filo rosso, che finalmente era stato reciso, per disvelare una realtà troppo a lungo tenuta segreta nei meandri di un cuore solitario.
Era a questo che Paola stava pensando quando alzò lo sguardo e i suoi occhi videro il capo chino di Andrea, perso nei suoi ricordi e nelle sue paure. Sorrise e gli si avvicinò.
“Mi dispiace… mi dispiace tanto….” Esclamò lei fra le lacrime, inginocchiandosi di fronte e accarezzandogli dolcemente il capo.
Andrea alzò lo sguardo e lei gli sorrise. Fissò i suoi occhi color del mare, così colmi d dolcezza e affetto e sentì il suo cuore riempirsi di gioia. Sì, Sara aveva avuto perfettamente ragione e lui se ne stava accorgendo solo allora: lui aveva sempre pensato a Paola, le aveva sempre voluto bene… sempre… e per sempre….
Lentamente, come se fosse rimasto ipnotizzato dal suo sguardo, sfiorò la mano della ragazza e la prese nella sua. “Non lasciamoci più Paola.. restiamo insieme, sempre… come quando eravamo piccoli e c’era anche Roberto….”
Paola sorrise e annuì. “Amici… per sempre…” e mentre le loro mani ancora intrecciate sembravano voler suggellare la loro promessa, per un attimo, solo per un attimo, sembrò quasi che un’altra mano si posasse sulla loro… una mano calda, gentile, amica… la mano di una persona a loro tanto vicina, quanto lontana…tre mani che si univano per sancire un’amicizia che va oltre il tempo, oltre la morte…. Che dura per l’eternità.


FINE

   
 
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