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Autore: Acardia17    06/12/2011    4 recensioni
Per la prima volta dopo mesi si tratta di una deduzione logica, l'asterisco vergato a tratto fine in un angolo di pergamena della ricetta di una pozione.
Il mondo sta per finire. Morirai.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da VI libro alternativo
Capitoli:
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Titolo: Le righe tra le piastrelle
Autrice: Acardia17
Beta: Nefene, che amo e amerò sempre, nei secoli dei secoli ♥.
Pairing:Draco/Hermione
Rating: 16+/Arancione
Genere:Guerra, Angst, Introspettivo, Sentimentale
Contoparole: 18.472 (tutti e tre i capitoli)

Note tecniche: (1) La storia è ambientata in un ipotetico futuro (Draco ha ventun anni) in cui la guerra è ancora in corso. Naturalmente questo significa che troverete tanto elementi tratti dal Canon quanto inventati di sana pianta: a me piace fare un po' di pout-pourri ;)
(2) "Le righe tra le piastrelle" nasce in occasione dell'invito a partecipare al "Calendario dell'Avvento" indetto da Fanworld.
(3) La fantastica Stitch-84 ha realizzato una splendida fanart per questa fanfiction: la trovate QUI. Naturalmente, come potete notare, Juniper Fox ne ha tratto alcuni bellissimi banner



Lo so, avevo detto che avrei aggiornato tra mercoledì e giovedì, ma non ho saputo resistere. Ringrazio davvero tutti coloro che hanno reso la pubblicazione di questa storia una piacevole distrazione da una matassa piuttosto intricata di impegni, comprese le persone che non hanno commentato ma mi hanno accordato una tacita fiducia inserendo "Le righe tra le piastrelle" tra le fanfictions seguite (davvero tante! Grazie!).
Vi lascio alla lettura di questo secondo capitolo, decisamente diverso dal primo ;)
Un bacione!







Capitolo secondo





 

Nel corso dei propri studi sulla difficoltosa arte del viaggio nel tempo, Draco ha assimilato due fondamentali nozioni: mai cambiare il corso degli eventi e mai farsi vedere. Si è documentato accuratamente a riguardo. Quando vivere alla giornata significa sforzarsi di tenere gli occhi aperti nel guardare altre persone morire, attraversare un tunnel spazio-temporale può diventare un’alternativa piuttosto allettante.
Qualsiasi cosa accada, non può permettersi di influire sulle circostanze che di lì a poco trasfigureranno l’infermeria da campo nella sua ombra crepata e distrutta. Soprattutto, deve evitare a ogni costo che qualcuno lo veda. Questo non tanto perché se un qualsivoglia paziente venisse a conoscenza della presenza contemporanea di due distinti Draco Malfoy il paradosso temporale potrebbe inceppare il meccanismo che l’ha condotto nel passato e Spaccarlo tra una dimensione e l’altra, come invece accadrebbe se fosse lui stesso a scorgere il se stesso del futuro, quanto perché non pensa che vi sia una sola tra le persone che occupano quei letti a non conoscere il suo viso, la linea di pensiero della sua famiglia, ma specialmente la sua uniforme.
E se anche riuscisse a liberarsi della corazza di Mangiamorte, se anche riuscisse a tenere coperto il Marchio e il suo viso non fosse poi davvero così noto, la Mezzosangue potrebbe testimoniare di averlo visto partecipare a diverse battaglie. Sempre che difendersi tramite Incantesimi con una Traccia magica il più possibile blanda possa essere definito “partecipare”.
Non perde tempo a chiedersi che cosa ci faccia la Granger relegata in un’infermeria da campo, lontano dalle proprie sempiterne controparti maschili. Occhieggiando il lumino appeso sopra al proprio capo, Draco si chiede quanto a lungo ancora rimarrà acceso e quale sia stato il meccanismo ad azionarlo. Di sicuro non un allarme: neppure quello di un gruppetto di campeggiatori improvvisati sarebbe così scarso. Non lo meraviglia che nessuno ne sia disturbato: emana un chiarore così flebile da sembrare uno sciame di minuscoli puntini bianchi sospesi a mezz’aria; non sarebbe in grado di svegliare neppure un reduce di guerra che dorme con un occhio solo - come con ogni probabilità ve n’è molti in quella stanza.
Draco non è sicuro di aver recuperato del tutto il controllo delle proprie gambe – una parte di sé gli sibila malignamente all’orecchio di come oramai si sia abituato a rimanere in ginocchio, dopo anni trascorsi a baciare i bordi di una veste sfrangiata – ma deve assolutamente recuperare la Giratempo da dove gli è caduta, prima che quella piccola fonte di luce si estingua. Riprende a gattonare lungo il corridoio, sentendosi stupido, ridicolo, e imprecando sottovoce per il rumore che le placche di cuoio sulle sue ginocchia producono a contatto con il pavimento.
Trova la Giratempo impigliata a un nugolo di polvere abbastanza soffice da possedere plausibilmente vita propria, sotto uno degli ultimi letti in fondo alla stanza. Rimuove la sporcizia con un soffio, lucidando la clessidra con la punta dei polpastrelli ancora scottati. Nel maneggiarla, scopre che meccanismo che muove il circolo di anelli del ciondolo, compreso quello contenente l’ampolla di sabbia, è bloccato; il che spiega come sia stato possibile viaggiare nel tempo semplicemente infilandosi la catenella al collo. La qual cosa sta anche a significare che la prossima volta che Draco indosserà la Giratempo non è detto che questa lo ricondurrà al suo presente.

Due giorni.
Draco non sa se sentirsi minacciato o miracolato da quella concessione.
Nulla di ciò che costituiva i suoi piani per il futuro può essere realizzato in due giorni: non una brillante carriera, non una vita di agi, non uno stupido matrimonio. E se anche il matrimonio non è esattamente in cima alla lista dei suoi progetti, sua madre conserva da anni un orribile anello di fidanzamento che lui nel tempo ha imparato a apprezzare e che al momento desidera con tutto se stesso. Vuole quell’anello, e vuole riabbracciare sua madre prima di essere inghiottito da una vampata di fuoco appiccata dall’incantesimo tramite il quale Carrow farà collassare la barriera quando lo troverà, nel presente.
Vuole dirle…
cose. Cose stupide, confessioni d’affetto mielose, del genere che suo padre gli consente di dire solo a lei e solo nell’intimità di casa loro. Vuole chiedere scusa a suo padre per la propria diserzione, nella speranza che non gli importi perché lui è suo figlio, Draco Malfoy, e se vuole fuggire da un campo di battaglia per salvarsi la vita è solo per tornarvi dopo aver recuperato le forze e la tempra di spirito. Anche se non è vero.
Vuole maledire Potter, perché gli va, e perché la presenza della Granger a pochi metri di distanza da lui lo disorienta.

Due giorni.
Non può andarsene dall’infermeria: in qualsiasi altro luogo rischia di essere riconosciuto da drappelli di Mangiamorte in avanscoperta, che impiegherebbero meno di un minuto ad appurare la dubbia presenza di ben due Draco Malfoy nell’arco di poco più di un miglio e a torturare e uccidere uno dei due o entrambi, a seconda dei loro sospetti.
Draco si porta i dorsi delle mani sugli occhi, sussultando per il dolore quando per sbaglio urta la radice del proprio naso tumefatto.

Due giorni.
Vuole soltanto vivere.





“Voglio una dannata Pozione Rimpolpasangue, per Merlino!”
Draco si riscuote all’improvviso, una tempia appoggiata contro la superficie fredda e metallica dell’armadio. Vi si è nascosto poco prima di crollare addormentato sotto il peso della giornata: uno schedario d’acciaio alto più o meno quanto lui, vuoto a eccezione di quattro cassetti disposti nella parte più alta del mobile, apparentemente semi-inutilizzato.
“È finita ieri, signor Jenkins, lo sa.”
“Tranquillo Jenkins, abbiamo inviato una squadra corazzata di Auror a recuperarne una cassa dall’altra parte del campo di battaglia
solo per lei.
Lo sportello destro è ammaccato, e il metallo è roso in una fessura delle stesse dimensioni di un dito in corrispondenza dei cardini come se vi si fosse abbattuta una Fattura Fendente, ma, almeno a giudicare dalla polvere e dalla sporcizia che Draco ha rimosso prima di entrarvi, sembra sicuro.
“Davvero?”
“Oh sì,
certo. Ma non arriveranno prima di domani, facciamo verso mezzogiorno, quindi che ne dice di fare il bravo e lasciare fare alla signorina Granger il suo dovere?”
“L’ha detto anche ieri. Sempre a mezzogiorno.”
“Si sbaglia signor Jankins, ieri ho detto alle due.”
Draco origlia il dialogo nello stordimento del sonno, distendendosi le palpebre con le dita. Udire voci che non siano il proprio flusso mentale di coscienza gli pare un’esperienza tanto surreale che per poco non apre lo sportello per assicurarsi che effettivamente ci sia qualcuno nella stanza e che non si tratti solo della sua immaginazione.
“Lei è un bugiardo.”
“Sì, ma sono un bugiardo con una siringa in mano. Ora mi porga il braccio e stringa forte il pugno, signor Jenkins.”
Sbattute le palpebre un altro paio di volte, Draco comincia finalmente a mettere a fuoco la minuscola sezione di infermeria che riesce a intravedere attraverso il foro nello sportello. Un uomo e una donna sono in piedi accanto al letto più vicino a dove si trova lui, e del cui ospite, il signor Jenkins, sono visibili solo le gambe coperte da un panno ripiegato e la porzione di braccio che l’uomo –
ragazzo, si costringe a ritrattare Draco dopo averne osservato il profilo - tiene stretto all’altezza del gomito.
La donna è la Granger. Pur non vedendola in viso, Draco ne riconosce il concio gonfio e disordinato di ricci.
“Hermione, sei sicura di sentirti bene?” le chiede il tizio armato di “siringa” – un aggeggio tubulare sormontato da un ago minaccioso - con tono improvvisamente teso. “Non puoi andare avanti così. Sono disponibile a darti il cambio, te l’ho detto.”
La Mezzosangue si lascia cadere seduta su una sedia accanto al letto, inclinando la testa verso l’alto e sgranchendosi il collo. Il suo volto è grigio quanto una pagina di un’enciclopedia: è pallida da fare schifo.
“Jack,” sospira. Gli rivolge un mezzo sorrisetto saccente, occhieggiando in direzione del signor Jenkins con un certo compiacimento. “Sei carino, ma sono l’unica qui di cui conosciamo il gruppo sanguigno. Questo perché il Sistema Sanitario Magico…”
“… fa più acqua di un colabrodo, lo so.” Il tizio pare piuttosto sconsolato.
Un uomo di mezza età avvolto in un camice verde li supera con un paio di falcate, raggiungendo la cassettiera su rotelle a fianco della sedia su cui siede la Granger.
“E chi lo immaginava che un giorno avremmo dovuto curare i nostri pazienti alla Babbana,” interviene con un sospiro amareggiato. Parla velocemente, con un tono di voce secco e scuro. “Dove diavolo sono le garze sottili?” prorompe dopo aver aperto uno scomparto vuoto.
“Quello sotto,” suggerisce il giovane.
L’uomo lo ringrazia con un cenno del capo. “Hermione, fammi un piacere, se ce la fai vai dalla signora Fisher. Se l’è dimenticata di nuovo e sta dando di matto.”
“Ce la faccio.”
Sotto lo sguardo inquieto di Jack, la Granger si alza in piedi lentamente e si dirige verso la parte opposta della stanza. Ha una manica arrotolata sopra il gomito e si sta premendo una pezzuola contro l’incavo del gomito.
Draco osserva attraverso la stretta fessura dello sportello la sua gonna, spessa e lunga fino ai polpacci, ondeggiare di fronte all’armadio. Pare uscita da un guardaroba del precedente dopoguerra: il tessuto è grezzo, sfibrato, la fantasia ricorda vagamente la federa di un vecchio cuscino da salotto borghese.
“Cara, scusa!” esclama una voce femminile roca e incartapecorita. Il letto della Fisher è troppo spostato a sinistra perché Draco possa vederne qualcosa della metà. “Devo proprio chiederti scusa, vero? Non mi funzionano le gambe, ma la lingua anche troppo bene!”
La Granger si appoggia alla ringhiera ai piedi del materasso con entrambe le mani. Incrocia le cosce, pestandosi un piede con l’altro.
“Mi dica, Ivette!” esclama, come se conoscesse la vecchia da una vita. “Che cosa ci siamo dimenticate oggi?”
Ivette non perde tempo. “Mio figlio, dov’è?” pigola, allarmata. “Lo avete avvisato? Doveva arrivare stamattina a casa mia con una Passaporta, ma io non sono a casa! Lo deve sapere che sono qui, che mi sono fatta male…”
“Ivette…” la interrompe la Granger. Pronuncia quel nome con la cadenza affranta e affaticata di chi deve annunciare una notizia funesta a qualcuno che è certo non sarà in grado di comprenderla. A Draco ricorda il tono di voce sottile e vellutato di sua madre quando ha discusso con sua zia Bellatrix dei possibili vantaggi di mantenere vuote le segrete. Non ha mai compreso la sua abilità di riuscire a tendere i fili delle parole giuste senza far crollare l’intero teatrino, né la totale assenza di paura con la quale è capace di fissare sua zia negli occhi. È sicuro di non avere ereditato nessuna delle due.

Bellatrix, tesoro...
“Signora Fisher, ricorda come si è ferita alle gambe?”
… siediti, raccontami.
“Mi sono bruciata,” le risponde Ivette, disorientata.
“Si trovava all’angolo di Blueberry Street quando è all’improvviso è scoppiato un incendio e una vampata le ha avvolto le gambe. Se lo ricorda, vero?”

Lo so, è tedioso. Ma prova a seguire il mio ragionamento.
“S-sì, sì.”
La Granger aggira il letto e si siede sul materasso, accanto ai piedi della donna. “Si ricorda perché è scoppiato l’incendio?”
“Ma… mio figlio l’avete avvisato?” È una preghiera.
“Tutte le Passaporte sono state disattivate, Ivette,” risponde lei, raccogliendosi le mani in grembo. Due grossi ricci sfuggono alla crocchia e le crollano sulla schiena come funi lungo una china. “È troppo pericoloso usare la magia di questi tempi.”
Le gambe della signora Fisher sussultano sotto le lenzuola. Il signor Jenkins strepita per il dolore e la voce scherzosa del ragazzo lo sfida a comportarsi da uomo. Da qualche parte dell’infermeria qualcuno intima a un certo Professor Callagher di rimanere fermo, o i punti si riapriranno.
“Ma la magia… come si fa senza la magia?”
La Granger si china in avanti con le mani tese di fronte a sé. Il suo capo scompare dalla visuale di Draco.
“L’aria è satura di Tracce di incantesimi, Ivette. A ogni fattura si carica sempre di più, fino a quando l’energia non forma una nube e non si libera in scariche elettriche.”

I lampi.
“Quando le Tracce sono particolarmente concentrate possono dar vita a piccole scintille davvero molto pericolose, come quella che le ha ferito le gambe.”
Gli incendi.
“Abbiamo fatto troppo affidamento sulla magia. Abbiamo combattuto troppo e pensato troppo poco. Le leggi naturali si piegano solo fino a un certo punto. Abbiamo eretto delle barriere, come quella attorno a noi adesso, ma non possiamo più usare altri incantesimi. È troppo pericoloso.”
“Loro li usano ancora, vero cara?” strascica Ivette, con lo stesso tono con il quale si potrebbe domandare retoricamente a un gattino se ha fame. “I seguaci di Tu-sai-chi?”
L’uomo in camice verde dal cipiglio autoritario si volta nella loro direzione. “Loro sono dei bastardi con meno sale in zucca di quanto ce ne fosse nella minestra di ieri sera, signora Fisher.”
La Granger torna a sedersi diritta. Non commenta, affossando le spalle in silenzio. “Suo figlio è più al sicuro a casa sua, ora,” conclude infine, con fare falsamente rassicurante. In Draco sorge il dubbio che il figlio della vecchia in realtà sia morto, magari proprio schiacciato all’interno di un canale di Smaterializzazione come un gufo in un comignolo. “Non credo che sia riuscito a prendere una Passaporta.”
Ivette si liscia le coperte sulle cosce. Ha mani grosse e dita contorte come sacchetti di carta stropicciata arrotolati su se stessi. “Va bene, cara, grazie,” risponde grata. “Ma voi lo avviserete, vero?”
La Granger sospira talmente forte che perfino Draco riesce a sentirla.
“Certo signora Fisher, lo avviseremo.”

Non ti preoccupare, Bellatrix. Le segrete rimarranno piene.





All’interno dell’infermeria sono ospitate sedici persone, includendo gli inservienti. Draco le ha contate quando ha iniziato ad avvertire la smania di cambiare posizione alle gambe, senza poi averne il coraggio per il timore di fare rumore e attirare l’attenzione di qualcuno.
Un paio di volte il ragazzo, Jack, si è avvicinato abbastanza all’armadio da fargli trattenere il fiato, con una mano schiacciata sulla bocca e una spalla premuta sul foro dello sportello per celare la sua presenza con il nero cupo della sua divisa, ma ciascuna delle due volte si è limitato ad aprire uno dei cassettoni sopra il suo capo, forse alla ricerca di qualche fascicolo.
Draco si è maledetto per non aver spostato le gambe quando ne aveva la possibilità, mentre lo schedario scivolava sferragliando sui cardini, ma il sollievo è stato tanto che perfino l’intorpidimento ai polpacci è passato in secondo piano rispetto alla rinnovata sensazione di essere al sicuro.
Gli inservienti sono quattro: la Granger, Jack, il tizio in camice verde e la copia sputata di Goyle in versione femminile, altrimenti detta Joe. Draco ha il presentimento che il suo vero nome sia Joanne e che il soprannome non ne sia che l’abbreviazione, “Jo”, ma trova che “Joe” le si addica meglio.
Tra i vari pazienti, nessuno dei quali in reale punto di morte, ci sono Ivette l’ustionata, Jenkins l’accoltellato, Callagher il Sectumsemprato-di-striscio, Charlton l’Ardemoniato Bugiardo – il camice verde è convinto che in realtà si sia semplicemente imbattuto in un comune incendio e stia facendo scena - , Kingariss l’Elettroizzato, Theresa la Disossata… Draco cessa di dare loro nomignoli quando Theresa comincia a supplicare in lacrime la Granger di farle ricrescere magicamente i denti. Lo assale un moto di nausea talmente forte che per poco non si accascia di colpo contro la parete dell’armadio, facendolo traballare.
La Granger invece le accarezza una guancia. Theresa le afferra la mano e se la preme contro le labbra, senza smettere di piangere. Rimangono in quella posizione qualche istante soltanto, prima che il vecchio che Draco ricorda di aver visto dormire del tutto scoperto e rannicchiato su se stesso inizi a blaterare una litania tetra sulla fine del mondo e la Granger si diriga a lunghe falcate anche da lui, per poi essere scacciata in malo modo con un gesto stizzito di una mano.
La mattinata scorre più velocemente di quanto Draco non avrebbe pensato. A ora di pranzo Joe estrae da una credenza in legno un grosso pentolone e un aggeggio dal supporto quadrato sormontato da una corona tonda e dentellata, connesso alla parete tramite una specie di cordone di plastica. È la Mezzosangue a utilizzarlo, illuminando dal nulla la corona di fiammelle, quindi Draco suppone che si tratti di un marchingegno Babbano.
Mentre il profumo non troppo intenso di una minestra annacquata si spande nello stanzone, Ivette istruisce da lontano la Granger su quanto salare la zuppa e renderla più gustosa anche senza aromatizzarla, forse nella speranza che il sale in zucca dei Mangiamorte aumenti in conseguenza a un pranzo leggermente più saporito.
Theresa ricomincia a piangere, stavolta per la scomparsa della sorella. Draco si schiaccia le mani sulle orecchie e appoggia la fronte sulle ginocchia, sperando di riuscire ad addormentarsi di nuovo. Se non altro per sfuggire al tormento di vedere una ventina di persone sorseggiare minestra mentre i crampi della fame gli attanagliano lo stomaco.





Quel pomeriggio scopre il motivo per il quale Jenkins reclamava con tanto ardore una Pozione Rimpolpasangue.
Dopo che all’incirca la metà dei pazienti si sono addormentati, storditi dalla sazietà, Camice Verde dice alla Granger che
la bambina ha bisogno di una “trasfusione”.
“Ha perso troppo sangue, abbiamo rimandato più che potevamo,” le bisbiglia vicino al letto di Jenkins e dunque in prossimità dell’armadio di Draco. “Ma se lo facciamo, se te la senti, sai cosa significa.”
“Me la sento,” risponde lei, con la stessa urgenza di un insetto intrappolato. “Ma il mio sangue interagirà con la malattia.” La crocchia della Mezzosangue ormai è più simile a un nido di vespe che a un’acconciatura, anche se il suo viso ricorda la consistenza molle e biancastra di una ragnatela.
Camice Verde annuisce. “Tre ore di sonno e tre ore di veglia,” commenta funereo. “È l’unico modo attraverso il quale possiamo essere sicuri che il tuo sangue non la infetti. Non un minuto di più.”
“Nessuna idea ancora di che cosa potrebbe trattarsi?”
“Onestamente? Nessuna. Le malattie magiche sono difficili da diagnosticare senza magia, signorina Granger.”
“Ho consultato la libreria, ma non dice nulla a riguardo. I sintomi non combaciano: le macchie sulla pelle, la febbre alta, il cuoio capelluto dolorante, la ferita che non si rimargina… non sono così rari separatamente, ma insieme…”
“È un cazzo di quiz a risposta multipla.” Camice Verde estrae da uno degli scomparti della cassettiera un laccio emostatico, lo stesso che nel presente tiene l’orologio appeso al lampadario.
È uno dei pochi aggeggi Babbani che Draco conosce per esperienza diretta. Una volta ha fatto irruzione con un gruppo di Mangiamorte nello studiolo di Dodger, il Droghiere: lo hanno trovato con uno di quei cosi annodato attorno al braccio e una zanna di Basilisco in mano. Non appena li ha visti sfondare la porta si è conficcato la zanna in una vena.
È morto pochi istanti dopo, senza concedere loro il tempo di torturarlo.
“E per ora le risposte mi sembrano tutte false,” commenta la Granger con un sospiro. Affonda il mento nel collo ridicolamente alto del suo maglione. Camice verde le arrotola una manica, poi le stringe l’avambraccio nella morsa del tubicino. Draco scorge un livido nell’incavo del suo gomito.
“Stasera cucinati la bistecca di manzo più grossa che riesci a trovare,” mugugna l’uomo. Con un piede aggancia uno dei sostegni di un tavolino a rotelle di cui Draco riesce a intravedere solo l’angolo e lo trae a sé. Sul pannello di plastica è appoggiato uno degli apparati di un distillatore di pozioni: un’ampolla di vetro rovesciata connessa a un minuscolo condotto reticolato.
“Credo che siano finite,” ridacchia la Granger, complice.
Camice Verde si estrae dalla tasca la siringa di Jack. Ne scoperchia l’ago. “Sono sicuro che Joe sarà felice di immolare un po’ di interno coscia per la causa. Vero, Joe?” urla in direzione del donnone.
Joe ride sguaiatamente e si colpisce un fianco con una forte pacca, come ad esaltarne la possenza. “Mi stai forse dando della vacca, Wessex?”
La Granger ride di rimando per la battuta. Wessex sfrutta il momento di ilarità per infilarle l’ago nel braccio. Draco sussulta.
Il sangue comincia a fluire lentamente nel cilindro della siringa, tingendone le pareti di un rosso cupo e denso.
“E che vadano a ‘fanculo quegli stronzi dei Mangiamorte,” impreca l’uomo. Quando il liquido carminio ha ormai riempito l’intero cilindro, estrae quella specie di lungo aculeo dalla pelle della Granger. “Il tuo
sangue sporco salva vite.”
Lei sorride appena. Draco rabbrividisce, allontanando appena il viso dalla fessura.
Wessex svuota la siringa nell’ampolla. “E uno,” commenta acre.
La Granger chiude gli occhi e si srotola la manica dell’altro braccio. “Pronti per il due,” esclama, allontanandosi un grosso ciuffo spettinato dalla fronte con il dorso di una mano.
Camice Verde annuisce e le raccoglie il gomito nel palmo come in una carezza. “Pronti per il due.”






La bambina si chiama Amy.
Draco riesce solo a intravederla oltre le spalle del signor Jenkins, addormentato su un fianco, ma la sua voce è abbastanza acuta da rendere superfluo qualsiasi contatto visivo.
“Che cos’è?” la sente strillare mentre si rizza a sedere sul materasso. Dalle spalle di Jenkins emerge solo la sua testolina di capelli biondi e scompigliati. Ha gli occhi grandi come cucchiai, o forse lo sembrano solo a Draco per il modo pazzesco in cui li sta sgranando in quel momento.
“Una medicina, Amy,” le risponde Wessex, con il tono più calmo che Draco gli abbia sentito sfoderare quel giorno. Ha trascinato con sé il tavolino del distillatore, e il sangue ondeggia ancora nell’ampolla. “L’ha fatta Hermione, non vorrai fare i capricci davanti a lei.”
Amy, un cactus di capelli ritti come sterpaglie, scuote la testa ed emette un lungo gemito stridulo. “No, no, no, no! Non la voglio, non la voglio!”
La Granger le si siede accanto. Draco ha idea che lo faccia perché non riesce a reggersi in piedi.
“Se fai la brava mentre il Dottore ti dà la medicina ti leggo una favola intera,” la incoraggia, forse stringendole una mano - Draco non riesce a vedere bene.

Il sangue di una Mezzosangue. Una cura. Paradossale. Si aspettano forse che la bambina lo beva?
Amy si porta entrambe le manine sulla nuca per la stizza, nel tentativo di grattarsi. Wessex le blocca i polsi. “Ehi. No, non si fa,” la rimprovera, severo ma non troppo.

Cuoio capelluto dolorante, ricorda Draco.
Il cactus guarda Camice Verde come se fosse un Troll di Montagna, poi riabbassa gli occhi sulla Granger.
“La Fonte della Buona Sorte?” pigola con il cipiglio di un Mercante che patteggia il prezzo della sua merce più preziosa. Ha la voce macchiata di pianto.
“Che Fonte della Buona Sorte sia,” accetta lei con un sorriso.
“Due volte!” strepita Amy non appena scorge l’ago innestato sul tubicino collegato all’ampolla.
“Due volte.”
“Tre!”
“Ah, quant’è bella quella favola!” esclama d’un tratto Ivette dall’altra parte della stanza.
“Tre,” concede infine la Granger.
Nonostante non si intraveda che la testolina di Amy oltre le spalle di Wessex, chino su un suo braccio, Draco non può fare a meno di strizzare le palpebre nel vedere Camice Verde calare l’ago verso il basso.
Nonostante tutto, Amy fa molte meno storie del signor Jenkins.






In un giardino incantato chiuso da alte mura e protetto da potenti magie, in cima a un colle scorreva la Fonte della Buona Sorte. Una volta all'anno, tra l'alba e il tramonto del giorno più lungo…”
Draco conosce quella favola, eppure non l’ha mai letta. Sa che appartiene alla raccolta di Fiabe di Beda il Bardo, ma quelle pagine sono sempre state Oscurate nel libro contenuto nella biblioteca del Maniero. Quando Draco ne ha chiesto la motivazione a suo padre, si è sentito rispondere che non era un racconto degno di essere letto, e che qualsiasi mente dotata di un minimo di senno avrebbe dovuto non solo ignorarlo, ma eliminarne ogni traccia.
“Qual è il giorno più lungo?”
“Il solstizio d’estate.”
“Cos’è un soltizio?”
“Solstizio. È il momento in cui il sole raggiunge il punto di de… è quando c’è più sole in assoluto o meno sole in assoluto, Amy.”
“Deriva da ‘Tizio solo’?”
“No, è una parola usata da chi studia le stelle. Deriva dal latino.”
“Come le magie!”
“Esatto, ‘Solstitium’. Significa ‘sole fermo’.”
“Ma il sole non è mai fermo.”
“Amy, lascia continuare Hermione!” La voce di Jack giunge da molto vicino al nascondiglio di Draco.
Amy si zittisce e la Granger, intenerita, prosegue la lettura.

“… un solo infelice aveva il privilegio di intraprendere il viaggio alla Fonte, bagnarvisi e ricevere Buona Sorte per il resto della vita. In quel giorno, centinaia di persone giungevano da ogni parte del regno per essere davanti alle mura del giardino prima dell'alba. Maschi e femmine, ricchi e poveri, giovani e vecchi, con poteri magici e senza, si ammassavano nella notte, ognuno con la speranza di essere l'eletto a entrare nel giardino.”
Da quel che sa, la diatriba tra suo padre e quell’allocco di Silente è cominciata proprio a causa di quella favola. Il vecchio aveva intenzione di metterne in scena la rappresentazione teatrale a Hogwarts. Una scuola di Magia di alto livello che mette in scena una fiaba.
Una in cui una massa di falliti mezzi Babbani partono alla ricerca della
fortuna, oltretutto. Che idiozia.
“Perché anche i ricchi?”
“Non sempre i ricchi sono felici, Amy.”
“Perché non hanno l’amore?”
La Granger sorride come se la piccola le avesse appena porto in dono un mazzo di fiori. Draco trattiene a stento uno sbuffo.
“Esatto.”
“Vai avanti.”

“Tre streghe, ognuna col proprio fardello di pene, s'incontrarono ai margini della folla e aspettando l'alba si raccontarono a vicenda le proprie disgrazie.
La prima, di nome Asha, era malata di un morbo che nessun Guaritore sapeva curare. Sperava che la Fonte la risanasse e le garantisse una vita lunga e felice.”
“Ma poi Asha guarisce.”
“Sì, certo che sì.”
“Menomale.”
La seconda, di nome Altheda, era stata derubata da un mago malvagio della casa, dell'oro e della bacchetta. Sperava che la Fonte la liberasse dall'impotenza e dalla povertà.”
“Anche a un mio amico hanno rubato la casa.”
“È una cosa triste, rimanere senza casa.”
“Io ce l’ho, c’è anche la mia mamma a casa.”
“Lo so, ti aspetta. Le manchi tanto.”
Amy annuisce, pensierosa. “Vai avanti, vai avanti.”
La terza, di nome Amata, era stata abbandonata da un uomo che amava caramente e pensava che il suo cuore non ne sarebbe mai guarito. Sperava che la Fonte la sollevasse dal dolore e dalla nostalgia.”
Amy percorre con lo sguardo il lungo tubicino insanguinato che corre dal suo braccio all’ampolla. “Anche a me manca la mia mamma,” mugugna, prima di cominciare a piangere.
Mentre la abbraccia, la Granger pare più stanca che mai.






Man mano che passano le ore, gli occhi di Draco si fanno sempre più affaticati e il desiderio di sgranchirsi le gambe e la schiena sempre più impellente.
Trascorre la maggior parte del pomeriggio accasciato contro l’anta del casellario, un pugno stretto attorno alla Giratempo come se da un momento all’altro potesse trasformarsi in una Passaporta. Dopo averla narrata la prima volta, la Granger comincia a recitare “La Fonte della Buona Sorte” in piedi, correndo da una parte all’altra dell’infermeria e soccorrendo un paziente dopo l’altro, cosa che a Draco pare del tutto priva di senso ma che allieta parecchio la piccola Amy.
In Draco monta pian piano la convinzione che le due condividano lo stesso sangue sporco: dai commenti della bambina traspaiono dettagli l’uno più Babbanofilo dell’altro. Forse è per quel motivo che la “trasfusione” ha effetto.
Quando Jack supplica la Granger di piantarla di giocare alla cantastorie – il suo corpo a malapena riesce a sostenere lo sforzo fisico, senza il bisogno di aggiungervi quello mentale di essere costretta a pensare contemporaneamente a decine di cose diverse - lei gli risponde che quella favola è la sola in grado di mantenere la bambina sveglia per tre ore di seguito.
“Tre ore di veglia, tre ore di sonno. Se si addormentasse prima delle tre ore morirebbe, Jack,” bisbiglia al suo orecchio giusto di fianco allo schedario. “Non sappiamo da quale malattia sia affetta, ma quel che è certo è che accelera durante il sonno. Ha perso troppo sangue e aveva bisogno di una trasfusione, ma ora il mio sangue ha dato nuovo impulso al morbo. Tre ore è il massimo di sonno che le possiamo concedere. Ogni tre ore deve svegliarsi di nuovo, e rimanere sveglia.
Deve, Jack, o morirà.”
“Non puoi andare avanti così all’infinito, lo sai vero?”
“Non all’infinito, solo fino a quando non arriveranno i soccorsi.”
“Non arriveranno. Perché credi che stiano aprendo un canale di Smaterializzazione protetto da qui a Londra? Per farci fuggire. L’atmosfera si sta surriscaldando: quest’area è una bomba a orologeria. Il più delle volte non riesco nemmeno più a vedere le righe tra le piastrelle: stanno perdendo consistenza. Gli incantesimi si stanno indebolendo, la barriera non reggerà a lungo, e dovremo fuggire. Non arriverà nessun soccorso.”
“Allora porteremo Amy e gli altri all’ospedale di Londra.”
“Amy non reggerà il viaggio, lo sai.”
Draco è decisamente stufo di sentire persone piangere.






Dal giardino uscirono dei rampicanti, serpeggiarono tra la gente e si attorcigliarono alla prima strega, Asha, che afferrò il polso della seconda strega, Altheda, che si strinse alla veste della terza, Amata. E Amata s'impigliò nell'armatura di un cavaliere dall'aspetto lugubre, in groppa a un cavallo magro fino all'osso.”
“I cavalieri hanno l’armatura.”
“Sì, anche quelli sfortunati. Non ti grattare, Amy.”
“Vai al pezzo di Messer Senzafortuna.”
“Va bene. Eccolo qua.”

“Ora, Messer Senzafortuna, come il cavaliere era conosciuto nelle terre fuori dalle mura, si avvide che quelle erano streghe e, poiché egli non possedeva alcun potere magico, né particolare abilità a giostrare o a tirar di scherma, né alcunché che lo distinguesse, era certo di non aver speranza di battere le tre donne nella corsa alla Fontana. Dichiarò pertanto la propria intenzione di tornare fuori dalle mura.”
“’Non possedeva poteri magici’ vuol dire che è un Babbano, vero?”
“Sì. Un Babbano un po’ pauroso.”
“È normale avere paura.”
“Certo che è normale.”





“Lo vedi, Amy, quel barattolo là in fondo, sulla bacheca?”
“Mh-mh.”
“È incantato per accendersi quando qualcuno nella stanza si sveglia e si muove. È una magia piccolissima, non è pericolosa.”
“Mh-mh.”
“Quando vedi quella luce vuol dire che devi sforzarti tantissimo per rimanere sveglia. Tre ore. Quando lo vedi devi rimanere sveglia tre ore. Io rimango con te tutto il tempo.”
“Adesso posso dormire?”
“Sì, certo. Adesso sì.”
“Me lo togli questo?”
“No tesoro, l’ago rimane dentro.”
“Mi fanno schifo le tue medicine.”
“Non sono troppo piacevoli, hai ragione.”
“Scusa.”
“Non c’è niente di cui scusarsi, Amy. Dormi.”





Al calar della notte, a Draco non par vero di poter strisciare fuori dall’armadio. Non appena si alza in piedi sulle ginocchia tremanti, le braccia tese verso l’alto in un concerto di scricchiolii, la fiammella nel barattolo si illumina. Ecco spiegato il meccanismo di quel marchingegno.
Ha tre ore prima che la Granger si svegli e corra a svegliare anche la bambina, per poi intrattenerla altre tre ore intere. L’ha sentita discutere con Joe di turni e cambi, in virtù dei quali il giorno seguente dormirà qualche ora mentre il donnone cerca di tenere cosciente il Minicactus con una maratona di storielle divertenti sui Folletti di Brughiera e, in extremis, con la favola che nel corso della serata ha tediato la totalità dei pazienti dell’infermeria a eccezione di Ivette, che dopo averla sentita ne smarriva subito il ricordo e non si stancava mai di ascoltarne la seconda, la terza e la quarta versione.
La Giratempo è un peso bruciante sul petto. Gli ricorda ciò che accadrà nel giro di qualche ora, il mondo al quale sarà costretto a tornare. Il modo in cui probabilmente dovrà morire.
Il ragazzo ha parlato di un canale protetto di Smaterializzazione: dev’essere lo stratagemma attraverso il quale l’intera popolazione dell’infermeria sparirà senza lasciare traccia di sé. Potrebbe attenderne l’attivazione, infilarvisi senza farsi vedere. La via di fuga perfetta, a qualche ora di distanza.

Mai cambiare il corso degli eventi.
Finalmente libero di muoversi a proprio piacimento, Draco avanza qualche passo lungo il corridoio tra i letti.
La Mezzosangue è pallida e stanca perfino nel sonno.

Non puoi andare avanti così all’infinito, lo sai vero?
Il lenzuolo con il quale Draco si è lavato il viso e il busto, impregnandolo di acqua bollente, è proprio il suo. La cosa lo lascia stranito, vagamente infastidito, e instilla in lui un tedioso senso di debito, come se lei potesse vantare nei suoi confronti il credito di un lenzuolo.
Ne osserva il viso, affondato nel collo alto di quel ridicolo maglione di lana troppo largo e dalla grottesca fantasia natalizia. Quel giorno la Granger ha appeso sopra al letto di Amy una corona di agrifoglio medicinale – manca poco al Natale, così ha detto - salvo poi strapparne un paio di ciuffi per distillare una Pozione Febbrifuga e somministrargliela.
Draco non l’ha trovato troppo coerente con lo spirito Natalizio, ma Amy l’ha bevuta molto più volentieri, e la Granger ha sorriso come quando Theresa l'ha rassicurata che la minestra era deliziosa, anche se da qualche ora nell’aria si era spanta una fastidiosa puzza di bruciato.
Non la capisce. Draco davvero non la capisce.
Continua a ripetere che diversi pazienti hanno perso molto sangue e sono bisognosi di cure, ma è lei quella ad aver perso più sangue di tutti. Lo ha donato volontariamente, come fosse null’altro che il contenuto di un fondo fiduciario alla Gringott, come se non si trattasse che di un semplice e innocuo prelievo bancario.
Si è privata di una parte di sé per poi inserirla all’interno del corpo di un’altra persona.
Draco l’ha osservata barcollare tra un letto e l’altro con il viso di un cadavere e la stessa disinvoltura di movimento di un ferito di guerra, darsi pizzicotti sulle braccia nel tentativo di rimanere reattiva.
Non ha senso. Si sarebbe mai strappata un occhio per offrirlo a un cieco? Non vede perché per il sangue dovrebbe essere diverso.
Ci sono limiti oltre i quali l’altruismo diventa stupidità. Qualsiasi cosa accada di lì a qualche ora, qualsiasi disastro coglierà l’infermeria, la Granger non sarà pronta. Sarà al capezzale di Amy, intenta a narrarle una favola falsa e ipocrita sulla purezza di spirito e le facili speranze. Starà ascoltando i blateramenti biascicati in un orribile dialetto Scozzese del Pazzo Ardemoniato, cercando di distrarlo mentre gli cosparge il busto ustionato d’unguento nell’unico modo che conosce: dandogli l’occasione di sfogare su di lei tutto il suo insopportabile e melodrammatico autocompatimento.
Sarà troppo occupata a cercare di reggersi in piedi.
Draco muove appena qualche passo, avanti e indietro lungo il corridoio dell’infermeria, prima di tornare a rifugiarsi nell’angusta sicurezza dell’armadio.
Il pensiero del gocciolio del sangue della Granger all’interno del tubicino connesso al braccio di Amy tormenta i suoi ultimi minuti di veglia.





«Cuore pavido!» lo rimbeccò. «Sfodera la tua spada, Cavaliere, e aiutaci a raggiungere la meta!»
E così le tre streghe e il misero cavaliere si inoltrarono per il giardino in-cantato, dove erbe rare, frutta e fiori crescevano in abbondanza ai lati di sentieri assolati.”

Draco trattiene uno sbadiglio contro la parete metallica e fredda dello schedario. Si è destato al grido smorzato di «Solo uno può bagnarsi nella Fonte!» con la disorientante sensazione di essere piombato dal sogno alla realtà, ma che tra i due non fosse il sogno quello più pazzesco.
La Granger non ha più bisogno del libro, ormai. Recita la fiaba a memoria, interpretando le diverse voci e i differenti scenari con varie e grottesche versioni di un bisbiglio roco, preoccupata di disturbare il sonno altrui, e dissimulando sospiri di stanchezza in vocali allungate o goffe esclamazioni.
Il Minicactus d’altro canto è decisamente meno accorto.
“Vai alla parte del mostro! Vai al mostro!”
“Ci stavo arrivando. Piano, Amy, sveglierai gli altri.”
“Vai al mostro,” ripete allora la piccola, sussurrando in modo abbastanza ridicolo da strappare alla Granger una risata sommessa.
“Ma non ti fa paura così, al buio?”
“Mi fanno più paura le righe tra le piastrelle.”
“Perché mai dovrebbero farti paura le righe tra le piastrelle, Amy?”
“Perché stanno sparendo. E quando spariscono loro spariamo anche noi.”
“Questo chi te l’ha detto?”
Amy non risponde. Si gratta la nuca – prima di essere fermata con un “No” secco e uno schiaffetto sul dorso della mano – poi mette su il broncio.
“Voglio il mostro,” ripete, risentita.
Draco sbuffa all’interno dell’armadio.
Vai alla dannata parte sul mostro, avanti.
La Granger esita qualche istante, prima di annuire mestamente. Con un sospiro, riprende la narrazione.
“Lì, però, trovarono una mostruosa Serpe bianca, gonfia e cieca, attorcigliata alla base del colle. Al loro arrivo, essa voltò l'orrenda faccia su di loro e pronunciò le seguenti parole: «Datemi la prova del vostro dolore.»”





Dopo che la testolina irta di capelli ritti di Amy è ricaduta sul cuscino e il suo respiro profondo si è unito al coro di musicalità proveniente dal resto dei pazienti, la Granger non crolla immediatamente a letto, come Draco avrebbe pensato.
Invece, raccoglie dall’angolo della stanza uno sgabello, una pezzuola e si dirige verso il lavandino. Gira lentamente una manopola fino a quando dal rubinetto non fuoriesce che un rivolo sottile, e si affretta a disporre il drappo di stoffa – uno dei due, si accorge Draco in quel momento – sul fondo del bacile, per attutire il rumore pungente dell’urto dell’acqua sul metallo. Poi, nell’attesa forse che il getto si faccia caldo, si sfila lo spesso maglione dal busto.
Rimane in canottiera intima, uno strato sottile di stoffa talmente lisa che le spalline le ricadono subito lungo le braccia non appena le riabbassa per adagiare il pullover sulla brandina poco più in là, come le vele stracciate di una nave in banchina.
Per un attimo la Granger è talmente assorta che non si accorge né di loro né del modo in cui il tessuto pare essersi inerpicato in direzione delle sue spalle, impigliandosi poco al di sotto delle scapole. Si china sul lavandino, inumidisce la pezzuola e infine se la porta al petto, strizzandola tra le dita. La sua schiena si tende all’istante, forse in un brivido di freddo.
Draco deglutisce nel buio dell’armadio, incapace di distogliere lo sguardo mentre la mano di Hermione segue la linea della propria clavicola e prosegue lungo il braccio sinistro, percorrendone l’intera lunghezza fino al polso.
Si muove in modo lento, non studiato. Inconsapevole di essere osservata, si dedica a se stessa per la prima volta nel corso di quella lunga giornata e lo fa con delicatezza ma efficienza.
Si sofferma sull’incavo del gomito, esamina i lividi sulla pelle: li tasta, ne valuta la gravità, vi fa scorrere la pezzuola quasi a cancellarne il ricordo. Sfrega ovunque tranne che lì: devono farle male.
Nella luce fioca e malata del lume contenuto nel barattolo pare bianca come braci spente.
Draco si trova scioccamente a chiedersi che cosa accadrebbe se scoprisse che proprio lui la sta spiando mentre si lava nel bel mezzo della notte, coperta solo da una canotta arricciatasi così in alto sul suo busto da lasciare intravedere il gancetto del reggiseno e bagnata là dove l’acqua ha ruscellato attraverso il suo petto e le sue braccia.
Con sconcerto, si rende conto di non riuscire a pensare neppure un insulto, in quel momento.
Perfino la parola “Mezzosangue” non fa che rievocare il tubicino rosso carminio appeso sopra il letto della bambina, connesso a un distillatore da pozioni come se Amy non ne fosse che un ingrediente.
Quando la Granger si toglie le scarpe e si sfila da una gamba un calzettone di lana lungo fin sopra al ginocchio, arrotolando la gonna e puntando un piede sullo sgabello, Draco trattiene il fiato.
Mentre la pezzuola comincia a percorrere la lunghezza dalla caviglia alla coscia distoglie lo sguardo, ma qualche secondo troppo tardi.






Il mattino seguente non si desta al grido di
«Solo uno può bagnarsi nella Fonte!». Si sveglia a causa delle urla di Amy.
Nell’udire la voce della bambina chiamare “mamma” come se l’avesse appena vista affogare nell’ampolla del distillatore, Draco sussulta e si schiaccia contro lo sportello con abbastanza veemenza da farlo ondeggiare.
Ma nessuno vi fa caso.
La testolina spettinata di Amy è sepolta sotto le figure di tutti e quattro gli inservienti dell’Infermeria, accalcati in circolo attorno al suo letto.
“Amy, Amy, ascoltami,” sta ripetendo la Granger, con tale urgenza che le parole paiono un unico filo dolorante di voce. “La febbre è salita,” tuona Camice Verde, mentre Joe corre dall’altra parte della stanza e apre con foga un mobiletto, frugando tra quelle che, a giudicare dal rumore, sembrano fiale.
“Un calmante, Joe. Un diavolo di calmante, ORA!” Wessex è cereo in volto.
Ma il pianto di Amy si fa sempre più acuto.
“Mamma, mamma, mamma,” continua a gridare in una litania isterica. “Mamma, mamma…”
“Amy,” strepita la Granger, china sul letto. “Parlaci. Dicci cosa senti. Dicci dove hai male!”
“Cosa succede?” strilla Ivette, disorientata. Sta tremando. “La bambina sta male? Sta male?”
Jenkins spinge il comodino contro la parete con un pugno. “Fatela tacere!”
“UN CALMANTE!” urla Wessex, sgolato.
La voce di Joe giunge tremula alle orecchie di Draco. “Non ce n’è,” balbetta, stravolta. “Sono finiti.”
Poi, l’ampolla del distillatore scoppia.

No, no, no, no…
La magia no.
Wessex e la Granger indietreggiano. Jack cade a terra, tenendosi una mano premuta sul collo. Una scheggia di vetro gli si è conficcata appena sotto il mento. Ha le dita striate di rosso.
Macchie di sangue – il sangue della Granger, quello che era contenuto nell’ampolla – sono sparse ovunque, persino sulle lenzuola di Jenkins.
Amy continua a gridare.
Draco vede il suo corpicino dibattersi sul materasso, i suoi pugni abbattersi sulle coperte, il tubicino attaccato al suo braccio schizzare lontano.
L’aria si sta saturando di scintille.

No, no, no, no…
“Amy, calmati!” grida la Granger, ancora più pallida del solito. “Guarda me. Concentrati su di me. Devi calmarti. Per favore Amy, devi calmarti!”
Ma la bambina è sorda ai suoi appelli. All’improvviso il comodino, le lenzuola e perfino il distillatore in frantumi cominciano a levitare, traballando verso l’alto e urtando le pareti. Il libro di favole di Beda il Bardo rotea a mezz’aria come il menù del tavolo che Draco ha rovesciato in fuga da Carrow.
La litania che ne segue, tuttavia, è del tutto diversa.
“Amy, Amy ti prego… ti leggerò la storia tutte le volte che vorrai.” La Granger è ormai in lacrime. “Faccia qualcosa!” grida a Wessex, intento ad aprire gli scomparti di una cassettiera a rotelle uno dopo l’altro, sbattendoli con forza.
“E’ lei il dannato Medimago!” aggiunge con un gemito, stringendo una mano di Amy nel tentativo inutile di tenerla ferma.
“Non posso usare la magia!” latra questo in risposta, paonazzo.
Joe intanto continua a passare in rassegna fiala dopo fiala. Alcune pozioni si sono rovesciate sul pavimento, avvolgendo le sue ginocchia in una pozza violacea.
É allora che Draco capisce esattamente qual è stato il disastro a ridurre l’infermeria a come l’ha vista nel futuro.
Le scintille diventano scoppiettii, gli scoppiettii esplodono in un lampo.
Sospinta dalle urla di Amy e da un flusso sempre più intenso di magia involontaria, una lunga crepa comincia ad aprirsi una via tra le piastrelle sul pavimento, svelando il terreno sottostante nel proprio passaggio.
Le pareti contro le quali i mobili hanno ormai iniziato a stridere cominciano a perdere consistenza.
Jenkins urla.
Wessex rovescia con un pugno la cassettiera.
La Granger si allontana dal capezzale di Amy solo per raggiungere una borsa adagiata accanto alla propria brandina. Comincia a rovistarvi con dita tremanti, mentre la crepa sul pavimento si ramifica spezzando le mattonelle.
Con un cigolio cupo, le lancette dell’orologio appeso al centro della stanza si piegano su se stesse.
Perfino lo schedario nel quale si trova Draco ha cominciato a vibrare: gli sportelli stridono sui cardini.
Mentre Amy grida, si contorce e si rannicchia in posizione fetale con le mani tra i capelli, la magia che l’avvolge diventa luminosa, elettrica. Si raggruma e poi si fraziona, trafiggendo l’aria come schegge.
Le urla che colmano l’infermeria ora provengono non solo dalla bambina, ma anche da tutti gli altri pazienti.
“Amy…” pigola la Granger, sbattendo lontano la borsa con un gemito frustrato.
Poi, all’improvviso, un grido emerge tra tutti gli altri.
Uno “Stupeficium!” riecheggia nel caos in cui è stata avvolta la stanza, limpido e familiare.
I mobili si quietano, ricadendo sul pavimento. La bambina si accascia sul materasso.
Ai piedi del letto di Amy, una mano tesa a reggere la bacchetta verso l’alto e l’altra premuta sul collo madido di sangue, c’è Jack.
“NO!”
Stavolta, l’urlo straziato proviene dalla Granger. Draco la vede alzarsi dal pavimento in lacrime, le labbra contratte in una smorfia di dolore. Si scaglia su Jack: sale a cavalcioni delle sue gambe, gli tempesta di pugni il petto. Non appena il ragazzo mormora un sottile “Hermione,” lei lo colpisce con uno schiaffo abbastanza forte da voltargli il capo. “No, no, no, no…” ripete in una litania lamentosa, le lacrime che le solcano il viso come crepe.
Sono Joe e Wessex ad afferrarla per le braccia, a tirarla indietro; lei scalcia, si dimena, grida e piange. Urla “bastardo!” in direzione di Jack, poi si accascia in ginocchio sulle piastrelle in frantumi, stretta in un abbraccio soffocante e arrabbiato di Joe.
“Ci avrebbe ammazzati tutti!” strepita il ragazzo, scosso dai tremiti. “Ho dovuto farlo!”
Solo Wessex ha il coraggio di avvicinarsi alla bambina. Ne accarezza la guancia, ne tasta il collo. Scuote la testa.
Nel vedere il corpicino riverso tra le lenzuola, Draco avverte un moto di nausea.

Tre ore è il massimo di sonno che le possiamo concedere. Ogni tre ore deve svegliarsi di nuovo, e rimanere sveglia. Deve, Jack, o morirà.
Amy non è riuscita a rimanere sveglia tre ore intere.
E mentre la Traccia dello Stupeficium apre nuove crepe tra le piastrelle e i gemiti della Granger si rincorrono sulla spalla di Joe, Draco non riesce a pensare ad altro se non che mentre Amy moriva lui è rimasto
immobile, al sicuro in un cazzo di armadio.
Senza neppure rendersene pienamente conto, si rinfila la Giratempo al collo.







 

Fine secondo capitolo.
Continua...

 

   
 
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