Scritta
per il Characters
&
Places, Songs & Prompts... Impossible Contest!
e ambientata
durante il settimo anno, immaginando che anche Ron e Harry siano
tornati a scuola.Una persona normale
avrebbe tirato fuori una sdolcinata
Ron/Hermione con gli elementi che ho scelto, ma che io non sia una
persona normale l'avrete già capito da un pezzo...
San
Francisco: Ron Weasley
Gemelli:
Attrazione
Celeste
Polvere: Hogsmeade
232:
"Can't Take My Eyes Off
You"
Can't
Take My Hands
Off You – Lettere pericolose
Per
la
decima volta in quel pomeriggio, Ron Weasley si
ritrovò a passare
davanti alla vetrina di Scrivenshaft
e rallentare il passo. Rischiò seriamente di essere
investito da Harry per
quella manovra, ma non udì le sue imprecazioni né
i mugugni di Ginny, impegnato
com’era a cercare qualcos’altro.
«Che
c’è, Ron?» si interessò
Hermione, affiancandolo.
«Nulla»
borbottò Ron. I suoi occhi, però, corsero subito
all’angolo più nascosto dello scaffale, che a
giudicare dalla quantità di
insetti morti non veniva pulito da anni; lì, tra una
boccetta di inchiostro e
un vaso pieno di penne di fagiano, faceva bella mostra di sé
l’oggetto che aveva
colpito la sua fantasia e che, nonostante i suoi sforzi, non riusciva a
togliersi
dalla testa. Era un calamaio nero, decorato da quello che sembrava un
minuscolo
ritratto ovale in diverse sfumature di grigio e accompagnato da una
penna
anch’essa nera, ad eccezione di una striscia più
chiara. L’estremità sembrava
soffice come un batuffolo di cotone, e Ron non poté evitare
di chiedersi come
sarebbe stato piacevole toccarla.
«Qualunque sia la cosa che
ti piace tanto... ti prego,
comprala!» sbuffò Ginny esasperata.
«È la centesima volta che passiamo di
qui!»
«Sì, come se me
lo potessi permettere!» ribatté Ron. «Se
è
antico come sembra, costerà almeno...»
«Tredici zellini»
disse Hermione, sbirciando oltre la sua
spalla.
«Come?»
«Tredici zellini.
C’è scritto sul cartellino».
«Quale cart...»
ma gli bastò una seconda occhiata per
individuare un rettangolino di pergamena candida (troppo
candida, in verità, in confronto ai foglietti ingialliti che
contrassegnavano gli altri oggetti) con un 13
Z. annotato con cura.
«Non è molto per
un calamaio così particolare» valutò
Harry.
«Forse è rotto, o ha qualcosa che non
va...»
«O forse è
maledetto» ipotizzò Ginny. Si era avvicinata a
sua volta al vetro e stava esaminando l’oggetto con occhio
critico. «Carino,
però. Un po’da nonna, magari, ma se a te
piace...»
«A me sembra molto...
ehm... fine» intervenne
in fretta Hermione, troncando la risposta acida
che stava per uscire dalle labbra di Ron. Si passò le mani
tra i capelli e
all’improvviso s’illuminò:
«Oh, forse quest’anno non dovrò
impazzire per
cercarti un regalo di Natale! Non puoi dimenticarti di averlo visto,
Ron?»
Ron fece per dirle che sì,
certo che poteva, ma si rese
conto di punto in bianco di provare un inspiegabile fastidio
all’idea che
qualcun altro toccasse il suo
calamaio. «Beh, ormai mi hai rovinato la sorpresa»
replicò allegramente. «E poi
non vorrai levarmi la soddisfazione di stupire la mamma con il mio
ottimo senso
degli affari?»
Prima che Hermione gli regalasse una
risposta, il ragazzo
aveva già una mano sulla porta del negozio e
l’altra pronta ad attirare
l’attenzione della commessa, una strega sui
vent’anni che sfogliava una rivista
e intanto si mordicchiava con impegno le unghie rosa confetto.
«Mi scusi…»
esordì lui. «Scusi, quel calamaio in
vetrina...»
La commessa si avvicinò
senza fretta, masticando una gomma,
e si chinò a prendere l’oggetto che Ron le
indicava. «Buffo, non sapevo nemmeno
che ce l’avessimo in negozio!» commentò,
rigirandoselo tra le mani in un modo
che fece venire a Ron i sudori freddi. «Chissà da
quanto tempo è qui... ottima
scelta, comunque, la tua mamma ne sarà
felicissima».
«Che c’entra mia
mamma?»
«È un calamaio
da signora... guarda, c’è anche un
ritratto»
spiegò la giovane strega, e sollevò la boccetta
per farglielo vedere. «O forse
era di un uomo che ci ha fatto mettere il ritratto
dell’innamorata, chissà... beh,
te lo incarto?»
Stordito dalle ciance della commessa,
Ron annuì
distrattamente e la seguì verso il bancone, con il denaro
già pronto in tasca.
Quando rovesciò il suo tesoro davanti alla giovane, quella
lo fissò come se non
avesse mai visto nulla del genere e lui temette di sentirsi dire che
no, quelle
monetine non bastavano, stava forse scherzando? Tredici zellini per un
calamaio… troppo bello per essere vero.
E invece la commessa contò
sulle dita con espressione
concentrata e tolse una moneta dal mucchio, stabilendo che ce
n’era una di
troppo. Cinque minuti dopo l’incredulo cliente era fuori, con
il borsellino più
leggero e un involto malfatto tra le mani: da uno strappo nella carta
sbucava
la penna, impeccabile e solenne come una bandiera dei pirati.
«Beh... eccolo
qui!» annunciò con un sorriso incerto agli amici
che lo aspettavano.
«Era ora... fa vedere,
Ron!» esclamò Ginny; tese la mano per
prenderlo, ma strillò di dolore e sorpresa quando Ron si
ritrasse, sottraendole
il pacchetto. «Ahi! Ron Weasley, accidenti a te!»
«E io che ho
fatto?» sbottò il ragazzo offeso.
La sorella gli sventolò
sotto il naso il pollice decorato da
una striscia rossa. «Guarda! Il tuo stupido coso mi ha morsa!»
Harry ebbe il buon gusto di non
ridere, ma era evidente che
si stava trattenendo a fatica. «Ti sarai tagliata con la
carta, sembra bella
dura» disse in tono conciliante. «Ecco, prendi il
mio fazzoletto».
Mentre Ginny tamponava con cura il
dito ferito, scoccando
occhiate malevole al fratello, Ron liberò con la medesima
attenzione il suo
tesoro e lo mostrò a Hermione, badando a tenerlo a distanza
di sicurezza. Visto
da vicino era ancora più bello: dall’elegante
forma ovale, con una fascetta
d’argento decorata a foglioline d’edera sotto
l’imboccatura, sembrava più una
boccetta di profumo che un calamaio.
«Che strano, non
c’è il tappo» gli fece notare Hermione.
«Qui c’è una catenella, forse era
attaccato qui ed è andato perso… Dovrai
chiuderlo con qualcos’altro, o l’inchiostro si
seccherà».
Ron riteneva che l’idea di
incastrare un tappo di sughero, o
peggio di stoffa, sul suo bel calamaio nuovo fosse a dir poco un
sacrilegio, ma
non gli andava proprio di discutere in un pomeriggio che fino a quel
momento
era andato tanto bene. In verità non gli andava di fare un
bel niente, a parte
studiare il delicato medaglione fino a memorizzare ogni singolo
dettaglio,
ogni… tratto? Pennellata? Incisione? Che tecnica era mai
quella?
«È un peccato
che sia in bianco e nero» commentò Harry,
finalmente libero dai suoi compiti di infermiere. «Il
ritratto, intendo. Strano
che sia voltata… insomma, così».
«Si dice tre
quarti,
Harry» sospirò Hermione. «Molto bello,
davvero. Riesco quasi a vedere cosa c’è
sul cammeo che porta al collo… a quanto pare sei un vero
intenditore, Ron».
Sorridendo compiaciuto, lui avvolse
di nuovo la boccetta
nella carta e trasferì il tutto nella tasca più
profonda del mantello, facendo
attenzione a non rovinare la piuma. Non protestò quando
Hermione dichiarò che
avrebbero fatto meglio a rientrare, quindi niente puntata a Mielandia:
anzi, la
prospettiva di mettere al sicuro il prezioso oggetto gli sembrava molto
più
golosa della solita scorta di Cioccorane. Si sentiva leggero e di
ottimo umore,
come se quell’acquisto d’impulso avesse alimentato
la sua fiducia in sé stesso.
«…d’accordo,
Ron?»
Il ragazzo si riscosse al suono della
voce dell’amico. «Ehm…
dicevi, Harry?»
«Che è strano
non vedere Malfoy in giro» ripeté il giovane
Potter. «Quasi quasi mi aspetto ancora di vederlo
comparire».
A differenza di loro quattro, Malfoy
non era tornato a
Hogwarts per recuperare i mesi di studio persi; del resto quasi nessuno
dei
suoi compagni di Casa l’aveva fatto, preferendo completare la
propria
istruzione a casa o presso un’altra scuola di magia.
All’inizio dell’anno
scolastico i Serpeverde presenti erano solo dieci, quasi tutti del
primo e
secondo anno; altri si erano aggiunti in seguito, superato il timore di
insulti
e discriminazioni, ma il tavolo verde e argento aveva ancora parecchi
posti
liberi.
Solitamente Ron non mancava di notare
l’assenza dei loro
nemici giurati, sottolineandola con qualche battuta, ma quel pomeriggio
la sua
attenzione era calamitata da ben altro: rispose all’amico con
un mugugno
generico e affondò la mano in tasca, sorridendo al contatto
rassicurante con la
piuma. Sì, era morbida come si aspettava; non vedeva
l’ora di tenerla in mano.
Quando gli studenti rientrarono al
castello, la cena era già
in tavola. Ron si servì in fretta, rischiando di strozzarsi
un paio di volte, e
poi si fiondò in sala comune per inaugurare la penna,
seguito dai commenti
ironici e perplessi degli amici. Occupò il tavolino
più vicino al fuoco,
disponendovi pergamena, libri e boccetta d’inchiostro, e si
preparò a sostenere
una lotta all’ultimo sangue con il tema di Trasfigurazione
che la McGranitt
aveva assegnato il giorno prima.
Tolse la piuma dal calamaio per
riempirlo e stappò la
boccetta con un colpo del pollice, ma quando fece per versare
l’inchiostro si
rese conto che sulla pergamena pulita che aveva preparato si stava
allargando
una grossa macchia scura. Si grattò il naso, perplesso, poi
notò che la punta
della penna che aveva appoggiato sul foglio era nera e umida.
Strano. Il
calamaio è
sicuramente vuoto.
Infilò il dito nel
contenitore, tanto per esserne sicuro: lo
ritirò pulito. Scarabocchiò qualcosa su un pezzo
di pergamena rovinata: la
penna lasciò una scia scura.
«Autoinchiostrante»
commentò ad alta voce. «Ma allora, che
bisogno c’era di un calamaio?»
Concluse che la penna fosse stata
aggiunta in seguito,
magari da un commesso che per sbaglio aveva scelto quella invece di una
normale; tuttavia decise di sfruttare ugualmente il calamaio, come
gesto
simbolico di benvenuto, e ci versò dentro una dose generosa
d’inchiostro… che
traboccò tutta, fino all’ultima goccia, sulle sue
mani. «Ma che cavolo…»
imprecò, affrettandosi a pulire con qualche colpo di
bacchetta. Eppure il
contenitore era vuoto, ne era sicuro: che razza di oggetto era mai
quello?
Confuso, Ron riprese la penna e
cominciò a scrivere
l’intestazione del compito. Era solo a metà quando
la penna cominciò a grattare
senza lasciare segni: dunque non era autoinchiostrante come aveva
creduto.
Sempre
più strano.
Se la rigirò tra le mani,
sul punto di ripescare la sua
vecchia piuma e cominciare finalmente quel benedetto compito, ma
un’improvvisa
ispirazione lo spinse a intingerla nuovamente e tracciare qualche altra
lettera. Funzionò: sulla pergamena apparve una linea scura
creata
dall’inchiostro fantasma.
Soddisfatto, scrisse
un’altra parola, e poi un’altra, e
un’altra ancora, senza pensare, senza chiedersi se quei segni
avessero un senso
(ma sapeva che ce
l’avevano, lo
sentiva da qualche parte sotto la sua pelle) e quando si
fermò per soffiarsi il
naso scoprì con soddisfazione che aveva tirato fuori ben
quindici righe senza
alcuno sforzo: un vero record per lui.
«Calamaio nuovo,
Ron?» chiese Demelza Robins, e Ron sobbalzò
perché non l’aveva vista sedersi al tavolo di
fronte a lui. «E che bella penna!
Chissà di che uccello è, dev’essere
magnifico vederlo volare con tutti quei
colori addosso».
«Co... lori?» Ron
sollevò perplesso il nuovo acquisto e notò
che Demelza aveva ragione: sotto la luce della lampada la penna
acquistava
mille sfumature diverse, come una bolla di sapone. Ancora
meglio! pensò soddisfatto. Ho
proprio fatto bene a comprare questa meraviglia!
Intinse di nuovo la punta nel
calamaio e continuò a
scrivere, godendosi la sensazione delle parole che si riversavano con
facilità
sul foglio, invece di annodarsi nel suo pugno come facevano di solito.
Gli
sembrava che fosse la penna a guidargli la mano, e non viceversa; non
avvertiva
la minima fatica mentre ricamava una riga dopo l’altra, con
l’andirivieni dei
compagni a fare da sottofondo e la luce del fuoco che faceva danzare
l’ombra della
pila di libri sul piano del tavolo. Non notò il progressivo
svuotamento della
stanza, e nemmeno il silenzio che la avvolse poco dopo; si riscosse
solo quando
una voce conosciuta lo richiamò alla realtà:
«Ron, sei già in piedi?»
Il ragazzo alzò lo sguardo
dalla pergamena e lo fissò negli
occhi di Ginny, che gli stava davanti con i capelli umidi e il viso
gonfio di
sonno. «Già?
Che… che ora è?»
«Le sette e
mezza» rispose la sorella dopo un’occhiata
all’orologio.
«Di… di
sera?» mormorò lui confuso. Si rese conto
vagamente
di avere ancora la penna stretta nel pugno.
«Spiritoso!»
replicò lei acida. «Ti stai portando avanti con
i compiti? Ottimo, avrai più tempo per allenarti... io
mangio e poi vado a fare
qualche giro di campo, ti aspetto giù».
«Giù?»
Ginny alzò gli occhi al
cielo. «Al campo» spiegò.
«Sveglia,
ci sei? Il campo. Il Quidditch.
L’allenamento».
«Ah… ah,
già» balbettò lui. «Il campo.
Sì. D’accordo».
La ragazza si congedò con
una significativa occhiata di
commiserazione, lasciandolo solo con i suoi fogli. Il fatto che
l’allenamento
di quella mattina gli fosse del tutto uscito di mente era grave, ma
l’aspetto
più irritante era un altro: a quanto pareva, aveva trascorso
la notte a quel
tavolo senza nemmeno rendersene conto e si era addormentato sul tema.
Probabilmente aveva le parole stampate sulla fronte, se il sonno
l’aveva colto
quando l’inchiostro era fresco.
Soffocando uno sbadiglio,
aprì la borsa e cominciò a radunare
le sue cose per portarle in dormitorio; piegato con cura il tema
incompleto, spostò
il manuale di Trasfigurazione che giaceva aperto sul tavolo e si
ritrovò fra le
mani altri due rotoli coperti da cima a fondo con la sua calligrafia.
Li fissò inebetito, senza
riuscire a credere a quello che
vedeva: la scrittura era inconfondibile e il nome Ronald
Weasley spiccava nell’angolo in alto a destra, ma
quel
trattato non poteva certo essere opera sua! «Harry e gli
altri mi hanno fatto
uno scherzo» mormorò. «Sì,
dev’essere così… mi hanno visto dormire
e mi hanno
messo questi fogli sul tavolo…»
Quella spiegazione non lo convinse
del tutto, ma si sentiva
troppo confuso per prendere in considerazione altre ipotesi,
così stipò tutto
il materiale nella borsa e salì in dormitorio per prendere
la scopa. Scoprì che
i compagni stavano ancora dormendo, ad eccezione di Harry, che era in
bagno;
muovendosi con cautela, ripose la sua roba nel baule,
recuperò Tornado e divisa
e fece per uscire, ma quando giunse alla porta un’idea
improvvisa lo spinse a
tornare indietro: ripescò il calamaio nuovo e lo
poggiò in bella mostra sul
comodino, in modo che il ritratto guardasse verso il campo di Quidditch.
Quando scese in Sala Grande per la
colazione, il mistero dei
fogli in più era già stato dimenticato.
L’allenamento fu un vero
successo per la squadra: Harry ebbe
ben poche critiche da fare ai compagni, e per l’amico
Portiere trovò solo
parole di elogio. «Sei stato perfetto, Ron!»
esclamò, accompagnando il
complimento con una pacca sulla spalla. «Non ti ho mai visto
giocare così
bene».
«Peccato che Malfoy non sia
qui a rodersi il fegato!» gli
fece eco Ginny.
L’unico a non essere
soddisfatto fu proprio il diretto
interessato. Le numerose parate inanellate durante
l’allenamento non erano
bastate a sopprimere lo strano prurito alle mani che l’aveva
tormentato fin da
quando aveva messo piede in campo; sentiva di aver bisogno di qualcosa,
senza
sapere di cosa si trattasse. Inquieto, tornò alla torre di
Grifondoro senza
prestare attenzione a Harry, che proponeva un brindisi in sala comune
per
festeggiare, e proseguì meccanicamente fino al dormitorio;
fu accolto da un cra di Oscar, il
rospo di Neville,
proveniente da dietro le tende del letto del padrone.
«’Giorno,
Ron» mormorò Seamus facendo capolino dal bagno.
«In piedi presto stamattina? Non ti ho sentito
uscire».
«Mi porto avanti con
Trasfigurazione» rispose lui in tono allegro.
«Sai com’è, noi salvatori del mondo
magico dobbiamo mantenere un certo
livello».
«Già»
commentò il compagno con una smorfia. «Ansia da
M.A.G.O, eh? Sai, non avrei mai creduto di dirlo, ma ogni tanto mi
manca
giocare a nascondino con i Carrow».
«A te,
forse»
mugugnò Neville, ancora nascosto dalle tende. «Io
ci ho rimesso abbastanza
pezzi di pelle, grazie».
«E io no?» lo
rimbeccò Dean, entrato in quel momento. «Sapete
che vi dico? Dovrebbero darci tutte E sulla fiducia!»
«In Cura delle Creature
Magiche la E non te la darei,
Neville» scherzò Seamus.
Ron accolse con un sorriso quelle
punzecchiature – capiva
perfettamente il bisogno dei compagni di scherzare su quello che
avevano
passato – e in quel momento il suo sguardo si posò
su uno dei comodini e sull’oggetto
che ci stava sopra: schivando Neville, che brandiva
un’invisibile spada
fingendo di massacrare Seamus, lo raggiunse e lo prese in mano e si
stupì nel
sentire quella strana irrequietezza spegnersi all’istante.
«Non è ancora
finito» intervenne Dean notando la sua mossa.
«Pensavo di lavorarci prima di pranzo, te lo passo oggi
pomeriggio se vuoi».
«Uh… no, grazie,
io l’ho fatto» rispose lui posando in
fretta il rotolo. «Devo solo ricontrollarlo e poi
farò Incantesimi».
Presi borsa e calamaio,
tornò nella sala comune, che si
stava lentamente riempiendo degli studenti più mattinieri, e
si insediò al
tavolo della sera prima per rileggere il tema di Trasfigurazione.
Scoprì che
era lungo due fogli e mezzo di frasi sensate scritte con la sua
calligrafia, decisamente
troppo raffinate per essere uno scherzo: per quanto fosse difficile da
credere,
erano evidentemente opera sua. Beh, tanto
meglio si disse con un’alzata di spalle. Posso
iniziare Incantesimi.
Si guardò intorno per
cercare ispirazione su cosa evocare
per il compito di Vitious e notò una borsa sulla poltrona
più vicina al suo
posto: dall’apertura spuntava con aria invitante un rotolo di
pergamena. Un
colpo di bacchetta e l’oggetto giunse nelle sue mani; Ron lo
spiegò e corrugò
la fronte nel notare le macchie e le imperfezioni che lo costellavano. Con
la mia penna speciale verrebbe molto
meglio si disse impugnandola e prendendo un foglio nuovo; in
fondo aveva
molto tempo a sua disposizione e l’ignoto compagno non si
sarebbe di certo
offeso per un piccolo aiuto.
Badando a imitare il più
possibile la forma delle lettere,
Ron cominciò a copiare il tema che, notò con
soddisfazione, era più corto del
suo; scrisse alacremente per mezz’ora ed era quasi giunto
alla fine della prima
facciata quando un’ombra minacciosa si delineò sul
piano di lavoro, animata da
un tremolio che non era dovuto solo alla luce del fuoco. «Ron
Weasley!» ringhiò
l’ombra. «Che accidenti stai facendo con il mio
compito?»
«Oh… ciao,
Hermione!» esclamò l’interessato
sfoderando un
enorme sorriso. «Lo stavo…»
«Copiando,
ho
visto!» lo interruppe la ragazza in tono glaciale.
«Quello che non capisco, Ron Weasley,
è perché diavolo hai
copiato anche il mio nome, oltre al mio sudato lavoro».
«Lo stavo
riscrivendo!» si difese lui. «Sul serio, la tua
penna
è terribile, guarda che graffi lascia… E poi non
ho bisogno di copiarlo, io ho
già finito».
«Tu hai
già…» ma il tema di Ron aveva appena
attirato la sua
attenzione: lo esaminò in silenzio, il viso sempre
più sbalordito man mano che
procedeva nella lettura, e giunta alla fine lo posò con
cautela come se temesse
che le scoppiasse in mano. «Hai scritto quaranta centimetri
più di me!» sbottò
in tono accusatorio. «Che libri hai usato?»
«Non lo so»
rispose lui candidamente. «Mi è venuto di
gett…»
ma Hermione era già corsa fuori, probabilmente per
scandagliare la biblioteca a
caccia d’informazioni.
Ridacchiando, Ron riprese il tema che
la ragazza aveva
abbandonato e si accinse a continuare il proprio lavoro di copiatura;
intingendo la piuma nel calamaio, però, si accorse che
qualcosa di indefinibile
era cambiato. Voltò la boccetta verso la luce e vide che
sì, c’era qualcosa di
diverso: le guance della donna erano tinte di un delicato rosa.
«E questo
tralcio di roselline sullo sfondo c’è sempre
stato?» si chiese sollevando il
calamaio per vedere meglio. «Mah, forse tenendolo in mano ho
tolto un po’di
sporcizia».
Rise di nuovo e proseguì
di buona lena nella scrittura;
quando terminò di cesellare l’ultima parola,
decorandola con uno svolazzo,
scoprì che era quasi ora di pranzo.
«Là! E oggi, pomeriggio libero per
Incantesimi!» dichiarò orgoglioso.
Solo che non fu affatto
così: quando rientrò dopo il pranzo,
decise che aveva tempo in abbondanza e quindi tanto valeva riempirlo
con una
lettera alla madre per raccontarle del nuovo acquisto. Aveva a malapena
concluso la firma quando si ricordò che da parecchio tempo
non parlava con
Charlie della salute di Norberta e che Bill era in Honduras per lavoro
ed
avrebbe sicuramente avuto parecchio da raccontargli; insomma, quando
venne la
sera il tavolo di Ron era ingombro di lettere per tutta la famiglia,
compresa
la prozia Muriel.
Quando Harry rientrò in
sala comune, trovò l’amico grafomane
intento a riempire di parole un foglio che cominciava con Caro
Viktor. «Ehi,
Ron!» lo salutò. «Ti senti bene? Ti vedo
un po’…
scolorito?»
«Mai stato
meglio» mugugnò lui, a metà di un
particolareggiato resoconto degli allenamenti di quella mattina.
«Hai fatto il
tema per la McGranitt?»
«Pensavo…
ehm… dopo cena…» balbettò il
ragazzo con aria colpevole.
«Sì,
sì, ho capito» tagliò corto Ron.
«Se vuoi dare
un’occhiata al mio, fai pure».
«Oh…
ehm… grazie» rispose Harry lasciandosi cadere su
una
sedia al suo fianco. «Come vanno le Evocazioni? Io sono
arrivato alla
forchetta, ma la matita proprio non mi riesce, troppi materiali
insieme».
«Io riesco a fare queste!»
intervenne Hermione trionfante, scagliando una manciata di foglie verdi
sul
tavolo. Dietro di lei, Calì Patil spazzolò
mestamente dalla sua divisa il
mucchio di cenere che vi era appena apparso come premio dei suoi
sforzi. «Se
solo il mio tema fosse altrettanto facile da evocare… non so
proprio da dove
accidenti hai preso quelle informazioni, Ron».
«Segreto
professionale!» rispose lui con un sogghigno. «Non
farci caso, è arrabbiata perché ho scritto
più di lei» spiegò poi
all’amico, quando
Hermione se ne fu andata dopo aver messo a soqquadro la sua postazione
per
recuperare il compito, e Harry si concesse una singola, incredula
alzata di
sopracciglio prima di prendere pergamena e manuale e mettersi a sua
volta al
lavoro, offrendosi di assistere Ron con gli esercizi di Vitious una
volta
arrivato a buon punto. Il ragazzo declinò cortesemente la
proposta affermando
che avrebbe fatto da solo, sfruttando l’ora di cena e lo
scarso affollamento
della sala; lo ripeté due ore dopo, a sera ormai inoltrata
(«Aspetto che i
primini vadano a dormire, così posso scatenarmi»)
e alle undici meno un quarto,
quando l’amico annunciò con uno sbadiglio che lui
aveva finito e andava a
dormire, quindi era meglio che si decidesse. Alle undici e mezza Ron
pescò
finalmente gli appunti di Incantesimi dalla borsa ed estrasse la
bacchetta,
pronto alla sfida, ma all’improvviso si accorse di come la
scrittura fosse poco
curata e si affrettò a rimediare con l’aiuto della
penna magica. Morale della
favola: svariate parole dopo il sole sorse sopra le torri di Hogwarts,
senza
che Ron Weasley avesse Evocato nemmeno una briciola.
L’espressione piacevolmente
stupita della McGranitt davanti
a un tema così corposo non riuscì a ripagare Ron
della peggiore lezione
d’Incantesimi della sua carriera scolastica: alla fine
dell’ora fu l’unico in
tutta la classe a restare con il banco vuoto. Perfino Neville gli
scoccò
un’occhiata di compatimento da sopra il cumulo di carta,
cocci di vetro e statuine
di ceramica deformi che aveva Evocato; in quanto a Hermione, fu
abbastanza
pietosa da cercare di nascondergli le viole del pensiero e le
coccinelle che
avevano trasformato il suo tavolo in un giardinetto.
«Ti serve solo
più esercizio, Weasley» lo consolò un
professor Vitious decisamente costernato. «Vedo che hai le
basi teoriche, ma su
quell’incantesimo dovrai proprio lavorare».
«Non ti abbattere,
dai» mormorò Harry seguendolo fuori.
«Con
la McGranitt è una E garantita... e poi posso darti una mano
oggi dopo pranzo».
Ron annuì lentamente,
sentendosi come Crosta quella volta
che Charlie l’aveva fatto cascare per errore in una ciotola
di succo di zucca
(aveva avuto i baffi flosci per una settimana, esattamente lo stato in
cui si
trovava la sua autostima), ma il contatto casuale con qualcosa che gli
appesantiva la tasca bastò a farlo sentire meglio. Andrà
bene, lo
rassicurò l’oggetto. Andrà
benissimo.
E andò effettivamente bene
a Pozioni, almeno finché si
trattò di prendere appunti sugli antiveleni; quando il resto
della classe passò
all’azione, Lumacorno dovette chiamarlo tre volte per fargli
riporre la penna e
prendere il calderone. «Basta con la teoria, ragazzo mio,
è il momento della
pratica!» lo esortò indicandogli la boccetta che
avrebbe dovuto studiare. Ron
obbedì a malincuore, ma si mantenne distratto per
l’intero procedimento, tanto
che Harry e Hermione dovettero fargli notare più di una
volta che stava
rovesciando il calamaio nell’antidoto invece del sangue di
Unicorno o del succo
di agave. «Non puoi metterlo via?»
sbottò Hermione incollerita dopo l’ennesimo
sbaglio. «Se lo infili nella bor... ehi, da quando questa
tizia ha i capelli
biondi?»
«Da sempre!»
ringhiò lui sgarbatamente strappandole
l’oggetto di mano. «Lascialo qui, non ti
dà fastidio».
«E la piuma!»
proseguì la ragazza, con una luce di
improvvisa comprensione a illuminarle gli occhi marroni. «Era
nera, Ron, e
adesso è colorata! Non
vedi che è
diversa?»
«Che t’importa
della piuma?»
«M’importa, Ron,
perché non ti sei scollato da lei in tutto il
pomeriggio» rispose lei abbassando la voce per non attirare
l’attenzione di
Lumacorno. «Non te ne accorgi? Da quando ce l’hai
non fai altro che scrivere...
Ginny ha ragione, è maledett...»
«Già, e tu sei
gelosa marcia!» la schernì Ron con
un’alzata
di spalle. «Dammi una mano, invece di lamentarti».
«Hermione ha
ragione» intervenne Harry all’improvviso. Stava
fissando il calamaio alla luce incerta del braciere acceso sotto il
calderone.
«Quelle labbra non erano rosse quando l’hai preso,
Ron. Qualcosa non va».
«Siete paranoici, voi
due» borbottò il ragazzo, e non poté
aggiungere altro perché Lumacorno li rimproverò
per la distrazione e li spedì a
lavorare su tre tavoli diversi.
«...e cinque punti in meno
a Grifondoro!» concluse Hermione
in tono funereo, mentre Ginny annuiva gravemente. «Tutto
perché Ron è un
maledetto testone!»
«Ti ho sentito!»
ribatté lui dall’altra parte del tavolo di
Grifondoro, senza interrompere la stesura della ricerca di Difesa
contro le
Arti Oscure che andava consegnata il mese successivo.
Ginny accennò un sorriso
di fronte all’ennesimo battibecco;
sorriso che svanì all’istante quando
guardò bene in faccia il fratello.
«Ron...» esclamò perplessa,
«che fine hanno fatto le tue lentiggini?»
«Sono dove sono sempre
state» rispose lui meravigliato. «Che
intendi dire, Ginny?»
«Mi sembra ovvio,
no?» lo rimbeccò Hermione. «Che quella
prende colore e tu lo perdi!
Guardala bene, Ron, accidenti a te!»
«La sto
guardando!» sbuffò lui, tentando di non lasciar
trasparire la sorpresa – di più:
l’orrore – quando vide che il tralcio di rose
sull’ovale era ormai tinto di rosso e verde e che un accenno
di papaveri
punteggiava il campo oltre la finestra alle spalle della dama. Si
ripeté che
era tutto a posto, che era parte della magia del calamaio diventare
sempre più
bello tra le mani di chi lo apprezzava, ma si rese conto che una parte
di lui –
una parte sempre più grande e insieme sempre più
piccola e soggiogata da
qualcos’altro – non era affatto d’accordo.
Ma quella parte grande e piccola
insieme gli gridava di
sbarazzarsi del calamaio, e quello non poteva proprio farlo.
«Vado in
biblioteca, ci vediamo!» dichiarò scattando in
piedi ed immergendo il gomito
nel piatto ancora pieno. Mentre si allontanava, sentendo gli occhi
degli amici
fissi sulla schiena, l’agitazione si placò
lentamente fino a svanire.
Va tutto
bene, va
tutto bene, va tutto bene.
Aveva pensato di restare in
biblioteca solo qualche minuto,
per attendervi la lezione di Erbologia, invece erano quasi le quattro
quando
Hermione comparve davanti alla sua postazione con le mani sui fianchi e
l’aria
battagliera. Dietro di lei Harry reggeva qualcosa di lungo avvolto in
un panno.
«Che vi prende?»
chiese lui irritato.
«Pensandoci bene, direi...
questo!» rispose Hermione
porgendogli uno specchio.
Senza capire, Ron ci
guardò dentro e lo shock fu tale da
costringerlo ad aggrapparsi al piano del tavolo: era lui, era la sua
faccia...
ma era completamente grigia. Niente
occhi azzurri, niente capelli rossi, nemmeno una punta di colore.
Si voltò verso il
calamaio, dove la bella dama bionda
vestita di blu spiccava rose vermiglie per adornarsene la chioma, e non
ebbe
bisogno che Hermione lo anticipasse: bastò un gesto brusco e
l’oggetto finì a
terra, rompendosi in mille pezzi con un tintinnio che sembrò
lo strillo di un
fantasma. Un attimo dopo la penna prese fuoco e svanì senza
lasciare un
granello di cenere.
«Uuh, per fortuna questa
non è servita!» esclamò Harry
sollevato, buttando l’involto sul tavolo.
«Congratulazioni, Ron».
L’amico lo
guardò confuso, con l’impressione che qualche
genere di nebbia nella sua testa si stesse diradando. «Che
cos’è?»
«Zanna di
Basilisco» rispose Hermione distrattamente,
spostando con il piede i frammenti di vetro e ripescando il medaglione.
«Guarda, Harry, c’è un anello in cima.
Proprio come ha detto la McGranitt».
«Ciondoli
maledetti» spiegò il ragazzo in risposta allo
sguardo interrogativo di Ron. «Tuo padre ne aveva sequestrati
parecchi in
Diagon Alley, ricordi?»
«Solo che stavolta i
Mangiamorte non c’entrano» proseguì
Hermione. «Questo è opera di una strega molto
dotata e pericolosa. Sei stato
fortunato, oggetti come questo possono uccidere in pochi
giorni».
Ron fissò inebetito
l’ovale che Hermione teneva in mano e
provò una sorta di disgusto all’idea di averlo
avuto in tasca. «Sai, Harry…»
disse con voce tremante, «non sarò mai
più felice di riavere le mie
lentiggini».
«Ringrazia il cielo di
essere vivo, Ron Weasley» sorrise
Hermione posandogli una mano sulla spalla.
«Non lo sarà per
molto se quella schifezza sul pavimento non
sparirà immediatamente»
dichiarò la
voce lapidaria di Madama Pince da dietro lo scaffale di
Trasfigurazione. «Non
potete salvarvi la vita da un’altra parte, per una volta? E
che diavolo vi è
venuto in mente, portare qui dentro una zanna di Basilisco?»
I due Grifondoro maschi si
volatilizzarono con tanta
rapidità da scuotere la certezza di Hermione
sull’impossibilità di
Smaterializzarsi a Hogwarts.
In un vicolo di Hogsmeade il
tintinnio di un campanello
annunciò l’arrivo di una cliente in un polveroso
negozietto di porcellane. La
commessa si avvicinò senza fretta allo scaffale delle tazze
e la cliente
corrugò la fronte vedendo una donna sulla trentina invece
dell’anziana dai
capelli bianchi che aveva notato la volta precedente. «Mi
scusi…» le disse,
«quella teiera in vetrina?»
«Ah, quella!»
sorrise la donna; tese una mano dalle unghie
rosa confetto e prese l'oggetto in questione, spolverando con una
manica il
medaglione ovale che la decorava. «Chissà da
quanto tempo ce l’abbiamo! Un
pezzo molto particolare, vero?»
«Ha ragione»
approvò la cliente. «È strano, il
tè non bevo
neppure, ma questa teiera è magnifica: l’ho vista
l’altro giorno e non riuscivo
a toglierle…»
«…gli occhi di
dosso» completò la commessa con un sogghigno.
Ultimamente
sto ricevendo i risultati di parecchi concorsi, e quindi sto
pubblicando una storia dopo l'altra. Questa è nata per il
concorso di Honey_Fra e mi ha dato l'opportunità di
riversare su Word la mia passione per gli horror (l'avevo
già fatto in "L'orrenda verità", sempre con Ron
come protagonista, ma quella era una reazione fisiologica a una ficcy
immonda): l'ispirazione è stata graziosamente fornita da
Stephen King e dal suo romanzo "Cose Preziose".
La canzone
era uno degli elementi da sfruttare: ciò spiega il titolo in
inglese, che mi ero ripromessa di non usare mai in una mia storia.
Oltre a riprendere in
parte il titolo, ho seminato qua e là citazioni dal testo, o
meglio dalla
strofa che riporto in inglese:
You're just too good to be true. (troppo bello per essere
vero)
Can't take my eyes off you. («e
non riuscivo a
toglierle…» «…gli occhi di
dosso»)
You'd be like Heaven to touch. (come sarebbe
stato
piacevole toccarla)
I wanna hold you so much. (non vedeva
l’ora di tenerla
in mano)
At long last love has arrived
And I thank God I'm alive. («Ringrazia il
cielo di essere vivo, Ron Weasley»)
Mi sono anche divertita un mondo a
inserire particolari sulla vita a Hogwarts dopo la guerra, in
particolare su qualche membro dell'ES e sui Serpeverde.
3
Classificata : Can't Take My Hands Off You - Lettere pericolose di
Lizzyluna
La grammatica era molto buona. Una cosa che ho notato è che
all’inizio hai fatto vari errori di distrazione, mentre dopo
le prime pagine il testo er praticamente perfetto.
Ci sono della parti in cui io avrei usato una virgola in
più, come per esempio: “si interessò
Hermione affiancandolo.”
Oppure: “Ad eccezione di Harry che era in bagno”,
o: “Commentò rigirandoselo tra le mani”.
Ci sono dei punti in cui hai dimenticato lo spazio o ne hai messo uno
di troppo, ma niente di grave.
Per quanto riguarda lo Stile hai quasi il massimo. Scrivi in modo molto
pulito ma non troppo semplice, il che è perfetto.
E’ stato molto piacevole leggere la tua storia :)
Anche l’Originalità è portata al
massimo. Una penna maledetta a Hogsmeade, i colori.. non se ne leggono
molte di fanfiction così. Per una volta non ho letto la
solita storiella d’amore!
Gli utilizzi: Il Personaggio, Ronald Weasley, è il
protagonista assoluto della vicenda ed èp decisamente IC. Il
Prompt “Attrazione” e il luogo vanno
anch’essi benissimo. La canzone l’hai interpretata
in modo molto originale!
La storia mi è piaciuta molto, complimenti! Sono stata
felice di trovare qualcosa di diverso, finalmente, e di ben scritto!
Complimenti per il terzo posto! :)
Grammatica e sintassi: 9/10
Stile e Lessico: 9.75/10
Originalità:10/10
Utilizzo Personaggio/Prompt/Luogo/Canzone/Rating: 10/11
Gradimento Personale: 8.5/10
Punteggio finale: 47.25/51