~Panta
Rei
-Eraclito-
Ed è un bisbiglio della memoria, un’egida
cromatica, quella dietro cui si
richiude ogni volta in cui la nostalgia è troppo grande o
quel senso di
solitudine eccessivamente radicato. Quando quell’ufficio
è immenso e i tavoli
vuoti, un foglio di carta caduto per terra in balia della corrente.
Il
primo ricordo di Roy Mustang è l’azzurro.
Azzurro
perché è il colore acerbo dell’infanzia
e
della prima giovinezza, dell’orgoglio non ancora sbocciato e
quello della sfera
celeste quando alzavi lo sguardo e, sì, davanti ti si parava
davvero
l’infinito.
Azzurro sarebbe stato il suo futuro, se glielo avessero chiesto, con la
coscienza di allora.
Il
primo ricordo è il proprio ego e la grandezza di
quegli anni –quando era alto il cielo, quando lo era per
davvero.
Il secondo è il colore dell’oro e dello zafferano,
e parla del grano e delle sue
crine.
Oro
è la fierezza del capo di Riza già da allora e il
fischio del vento nei campi lungo la strada che Roy respirava come
eroismo. È
il sole forte del mezzogiorno –il primo giorno- sulla pelle,
che ricalcava le
ombre e inscriveva nel terreno un attimo di lei. Il primo di loro.
Oro, poi, è la proiezione dei sogni che ti fai quando il
mondo non ti è ancora
rovinato addosso.
Oro sarebbero state le sabbie di Ishbar, ma quella è
un’altra storia –un
ossimoro del dopo.
Il
primo azzurro, il secondo è dorato.
Il terzo rosso scarlatto.
Rosso
scarlatto che sarebbe stato presagio –rosso
sull’oro del domani. Rosso che è il colore della
vita, denso come il sangue e
mobile come fiamme –Rossa sarebbe stata la pietra filosofale.
Rosso che è fuoco ed erano i suoi occhi dopo nottate passate
sui libri.
Rossa scarlatta –un sorriso-, aveva una maglietta rossa il
primo giorno in cui
la vide, a coprire il suo ancora non essere donna, a darle un nome
quando
ancora non lo aveva.
Quella con la maglia rossa.
Perché quello è un colore che ti rimane
nell’iride, e Riza con lui.
L’anima
è azzurra, l’utopia è oro,
l’attimo è rosso. La
fedeltà è argento.
Aveva
sempre odiato quel colore, era il grigiore negli
occhi dei più grandi che non sapeva spiegarsi. Era il filo
di barba incolto sul
mento del suo maestro.
Argento sarebbe stato il colore del metallo delle sue calibro nove
e
l’acciaio di una promessa.
Argento che parla del rigore ed è un caposaldo, sempre.
Argento che è Riza
dopotutto.
Azzurro sa d’infinito, rosso profuma d’eroismo,
argento gronda di valore.
E oro è l’inizio, quello vero.
Che
sei un pazzo sognatore, Roy Mustang.
E l’oro –l’oro dell’utopie e
dei suoi capelli, ancora non te lo sei tolto di
dosso. Mai te lo toglierai.
Storia
rimasta decisamente tanto a prendere polvere. Poca fiducia in essa,
suppongo.
Credo
ci sia ben poco da dire. Essenzialmente ho scelto come colore
“principe” l’oro.
L’oro che non ho messo come primo colore o ultimo
–per farlo balzare agli
occhi-, perché così è la vita. Le cose
belle non sono messe necessariamente in
un posto d’onore.
Il
finale non mi piace. Riprendevi i due minuti della vostra vita spesi a
leggere
questo coso assassinandomi brutalmente.