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Autore: SoloDolo    08/12/2011    1 recensioni
Albacia Padulo è un libro di 127 pagine, 24 capitoli, 3 storie, 8 capitoli per ognuna.
Albacia Padulo è il libro che, ne sono completamente sicuro, vi cambierebbe la vita, se solo lo leggeste. Dopotutto, ha cambiato anche la mia.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Albacia Padulo è un libro di 127 pagine, 24 capitoli, 3 storie, 8 capitoli per ognuna.
La copertina è di colore rosso rame, costellata di sottili nervature purpuree. Presso altre case editrici meno note, la copertina è a righe azzurro mare e blu.
Albacia Padulo (con l’accento sulla prima “a” in “Albacia”, per carità!) è un libro molto rilassante, che ti distende i nervi. Anche solo ripeterne il nome ti rilassa: Albacia Padulo, Albacia Padulo. Non siete già molto più rilassati?
L’autore si chiama Dick Morrison, ed abita a Washington. E’ il suo primo e ultimo capolavoro.
Albacia Padulo è il libro che, ne sono completamente sicuro, vi cambierebbe la vita, se solo lo leggeste. Dopotutto, ha cambiato anche la mia.
E’ opportuno presentarmi: Laurent Peters, piacere. Nacqui il 19 dicembre 1972 in Olanda, poco fuori da Amsterdam, in una di quelle campagne dove i girasoli sono raggruppati, come nei film, a sembrare piccole macchie solari. Ho divorziato da ormai tre anni: la mia ex-moglie si chiama Laurie, ed è francese.
Prima del mio attuale impiego, lavoravo come ragioniere in una ditta edile. Ciò che poteva sembrare per molti una vita noiosissima, era per me la sicurezza quotidiana di uno stipendio e niente più: le considerazioni non mi sfioravano minimamente; spesso mi capitava anche di parlarne con amici, e a tutti rispondevo lo stesso: -Sì, forse è noioso. Trovamene uno più bello e allora lo lascerò.-
Con la mia ex-moglie facevo molti viaggi all’estero. In Turchia, in Kenya, in Australia, in America.
Fu in America, quasi per un caso, che conobbi la singolare figura di Dick Morrison, innamorandomene perdutamente. Mi imbattei in lui su un aereo diretto a New York: era mio vicino di posto.
Parlammo tranquillamente per due ore (mia moglie era seduta dietro di me, e chiacchierava con una grassa signora dai colori vivaci), finché il dialogo, come solitamente avviene, ricadde sulla mia occupazione. Tuttora penso che Dick avesse inquadrato in un solo secondo la mia silenziosa disperazione, talmente muta da risultare allora invisibile perfino a me, ma non ad un santone come lui.
-Sì, forse è noioso. Trovamene uno più bello e allora lo lascerò.- gli dissi. Lui tirò fuori un libro, me lo appoggiò sulle ginocchia. –Eccolo- mi rispose.
E questo fu il primo momento in cui il sacro, oserei dire, Albacia Padulo si trovò tra le mie mani.
-Siete uno scrittore?- gli chiesi –Questo è vostro?-
Lui annuì, abbozzando un sorrisetto.
Lo aprii svogliatamente, frusciando tra le mie dita le prime pagine.
All’atterraggio, quando tutti i passeggeri scesero, io ero nell’aereo, seduto a leggerlo. Mia moglie impiegò cinque minuti buoni per farmi alzare e scendere dall’aereo, atto che però eseguii senza staccare lo sguardo fisso dalle pagine dell’Albacia Padulo.
Proseguimmo nelle stesse condizioni fino all’uscita dell’aeroporto, e così sul taxi, e nell’hotel. Continuai a leggere Albacia Padulo durante la notte, dormendo il minimo indispensabile e riafferrandolo alla mattina. Viaggiavo con il libro, visitavo i monumenti sempre con quello. Mia moglie sembrava piuttosto seccata dal mio comportamento, tanto che, tornati nella mia casa in Olanda, avemmo un litigio e lei uscì sbattendo la porta. Non rimasi affatto turbato, tanto ero assorto nella lettura dell’Albacia Padulo da non essermi neanche sforzato a trattenerla. Mi arrivò la lettera di divorzio dopo cinque giorni, che lessi nei dieci secondi concessomi di pausa dalla lettura. Piansi per due secondi, poi mi soffiai il naso con la lettera e la buttai nel cestino, mancandolo perché ormai i miei occhi erano già proiettati verso l’Albacia Padulo.
Non vorrei avervi confuso: avevo già finito il libro. La prima volta l’avevo finito sull’aereo. Semplicemente, lo trovai estasiante. Tanto che volli riaprirlo e riaprirlo e riaprirlo fino a leggerlo migliaia di volte.
I giorni che seguirono il mio ritorno furono terribili: il lavoro, che prima non mi creava alcun problema, era ora molto fastidioso: infatti non potevo, mentre calcolavo le buste paga, leggere l’Albacia Padulo. L’incompatibilità tra i due era evidente, così decisi di licenziarmi per ritirarmi in casa a leggere.
Due mesi dopo, mi accorsi che le ultime due pagine del libro erano incollate. Con estrema attenzione, mi accinsi a separarle con una lametta da barba. All’interno non era scritto come speravo, però c’era il biglietto da visita di Dick. Mi asciugai gli occhi –chissà da quanto non li sbattevo- e seppi subito dove dovevo dirigermi. Comprai un biglietto aereo con gli ultimi risparmi che mi erano rimasti e mi diressi a Washington, preparai la valigia infilandoci due camicie, due giacche, due magliette, un maglione, qualche paio di indumenti intimi e un giubbotto. Poi la riaprii, per non avere il fastidio di portarmi l’Albacia Padulo in mano mentre guidavo.
Mi sono reso conto troppo tardi di avere un incredibile senso di orientamento. Appena messo piede nell’aeroporto, seppi come arrivare a casa di Dick, sebbene avessi visitato Washington una sola volta in vita mia. Noleggiai un auto, mi ci recai davanti –il libro in mano- e suonai il campanello.
Dick Morrison uscì in accappatoio e infradito. Non mi guardò negli occhi finché non mi fu a un metro solo di distanza. Poi mi disse:
-Ci hai messo un bel po’, Laurence.-
Senza aspettare risposta, mi fece entrare in casa e accomodare sul divano. Poi mi prese il libro dalle mani e lo sfogliò, lasciandosi sfuggire un versetto di apprezzamento. Poi mi fissò solenne negli occhi.
-Vuoi diventare il mio agente? Ho parlato con una casa editoriale per il lancio del libro, sono entusiasti.-
In quel momento, tutto mi ritornò.
-Certo Dick. Quando si inizia?- dissi –Ora: mi vesto e si va a presentare il libro.-
Dopo venti minuti mi ritrovai incredulo davanti ad una folla di persone per presentare il libro alla critica. Dick mi aveva scelto per parlarne al posto suo, mentre lui intratteneva un importante discorso al cellulare. Così mi sedetti sul banco e iniziai a parlare.
Iniziai parlando delle generalità del libro, poi passai al dettaglio, dilungandomi sulla fluidità e sullo stile dell’autore. Raccontai la mia esperienza personale di vita, e come il libro mi aveva cambiato. Terminai dicendo –Albacia Padulo-, un po’ come dire “Amen” dopo una preghierina. Dopotutto, la reazione della folla fu identica a quella che potrebbero avere avuto i partecipanti ad una messa, con tanto di inchini e baciamano.
Quando Dick tornò, lo sollevarono in una decina gridando -Albacia Padulo!-; lui mi guardò con aria interrogativa. Fui molto soddisfatto del mio operato, e in seguito scoprii che anche Dick lo era. Così mi assegnò un mestiere fisso.
Da allora, lavoro come relatore di sostituzione alle convention. Il protocollo è sempre lo stesso: Dick, entrato nella sala, utilizza vari espedienti per sostituirsi a me: non aveva la voce, non gli andava di parlarne, doveva scappare urgentemente. Se la situazione era dura, improvvisava uno svenimento o scoppiava in un pianto molto struggente. Il mio compito era tenermi pronto e salire a prendere il suo posto al momento giusto, scusarmi per il contrattempo, catalizzare l’attenzione e via, con il mio talento naturale.
Questo probabilmente fu il periodo più appagante della mia vita. Inoltre, era ben retribuito: il libro era ormai diventato un best-seller, e Dick mi concedeva il 5% del ricavo totale. Ma sapevo che, in caso avessi bisogno di soldi subito, mi avrebbe aiutato: ormai potevamo considerarci veri amici.
Poi, un giorno, come nei più scontati film drammatici, l’incanto si sciolse: mi svegliai una mattina, e Dick non era a letto. Non era neanche in sala o in cucina e, sebbene non ci abbia controllato, ho i miei dubbi che fosse dentro il cesso. Non era in casa. E non si degnò di lasciarmi un qualsiasi indizio per cercarlo.
Iniziai ad andare a corto di denaro. La critica giornalistica accusava una “fuga per debiti” sostenendo che fosse un evasore fiscale, ma durò poco, e in tre settimane la città si era scordata dell’autore dell’ormai celeberrimo Albacia Padulo. Caddi in un periodo di profonda depressione, e iniziai ad abbandonarmi all’alcol. La mia vita si trascinò faticosamente fino al domani per mesi interi, finché, navigando sul web, scoprii che molta gente si era risvegliata.
Gente che aveva letto il suo capolavoro, adoratori dell’Albacia Padulo adunati sulla rete per tenere acceso il ricordo del loro idolo. Mi presentai a loro, e decidemmo insieme di fondare un gruppo su internet per cercarlo.
Organizzavamo ronde notturne, armati di torce, e pomeridiane, armati di volantini. Eravamo inizialmente un centinaio, poi crescemmo fino a diventare duecento, cinquecento. Vere e proprie squadre di ricognizione.
Poi, una sera, cercando vicino al letto di un fiume, sotto ad un ponte, lo trovammo.
Accasciato, sanguinante. Nella mano reggeva un biglietto; c’era scritto che non riusciva a sopportare questo mondo, aveva bisogno di un altro piano dimensionale, pari all’intelletto dell’Albacia Padulo. Ci radunammo in cerchio intorno al cadavere, con le fiaccole, e leggemmo tutti insieme, un’ultima volta, il libro. Poi ognuno di noi depose la propria copia vicino al corpo, fino a creare un muro che lo coprisse.
Sono passati quattro anni. Sono quattro anni che, da solo, faccio il giro di tutte le convention possibili per ricordarvi il valore e l’intelletto di quell’uomo. Vorrei che nelle vostre menti teneste un posto per quel microscopico ricordo. Sono certo che a lui basterebbe. Comprate Albacia Padulo, fate resuscitare quel genio.
Gli applausi scrosciano dopo il mio discorso. Li accolgo con le lacrime agli occhi. Il mio pensiero è fisso su Dick. Mi fermo qualche minuto a parlare con gli editori. Sono commossi. Giurano che terranno acceso il ricordo del suo genio. Li abbraccio amichevolmente tutti, prima di uscire dallo stabilimento. Poi mi appoggio alle mura fredde e mi accendo una sigaretta.
Un uomo ricoperto completamente di veli mi si avvicina.
-Com’è andata?-
 -Bene- gli rispondo.
Lui mi batte una pacca sulla spalla, poi infila una mano nel giubbotto.
-Ci vediamo, allora… Bravo ragazzo.- mi dice.
-Sì- respiro il fumo –a domani Dick.-
Lui si allontana. Io espiro, poi getto la sigaretta e la spengo. Guardo un attimo le scintille sfuocare, poi scompaio. Nel buio.
  
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