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Autore: IoNarrante    08/12/2011    2 recensioni
Terza classificata al contest 'Un canto di Natale'
A Natale si è tutti più buoni, o quasi. Alastor Moody non smette mai di indossare quella maschera di durezza che ha faticato tanti anni a costruirsi, dopo le dure battaglie che ha dovuto combattere. Per lui il Natale è un giorno come un altro.
Albus Silente non è dello stesso avviso e proprio la sera della Vigilia ha deciso di chiedergli un favore un po' particolare.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alastor Moody, Albus Silente, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
- Questa storia fa parte della serie 'A crazy little magic'
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Titolo: La prima neve
Personaggi/paring: bonus roulette russa (Alastor Malocchio Moody)
Genere: Commedia, Sentimentale
Rating: Verde
Avvertimenti: nessuno
Prompt utilizzati: vin-brûlé, bambino, neve
Eventuale canzone scelta: nessuna



La prima neve
Questa OS partecipa al contest Un canto di Natale
indetto da jakefan e Kagome_86

L’aroma speziato del vino si era diffuso nella stanza, impregnando la vecchia carta da parati di quell’odore acre della scorza d’agrumi. Il calderone bolliva e lo zucchero si era quasi completamente sciolto. Una mano nodosa come il tronco di un vecchio platano picchiatore afferrò il manico della bacchetta e la avvicinò alla bevanda gorgogliante.
«Incendio.» Grugnì il proprietario, e dalla punta scaturirono piccole scintille che infiammarono la superficie alcolica del vino.
Il vecchio mago attese che il fuoco si estinguesse da solo, poi il liquido rosso-ambrato fu raccolto con un mestolo e fatto colare in una fiaschetta di metallo. Il vin-brûlé era molto caldo, quasi ustionante, ma era l’unica bevanda capace di stemperare un cuore freddo e burbero come quello dell’uomo che abitava al numero diciotto di Craven Terrace. 
Era la vigilia di Natale e dalle strade di Kensigton non ancora innevate si udivano i cori di quartiere cantare le carole, ma non c’era spensieratezza nel cuore di Alastor Moody… non dopo l’avvenimento di qualche mese prima.
Voldemort scomparso, quella povera famiglia distrutta e il piccolo, il Bambino Sopravvissuto, era stato affidato alle cure dei suoi parenti babbani. La storia sembrava giunta a un melenso epilogo, così come la sua onorata carriera di Auror. Al Ministero gli avevano caldamente suggerito, dopo il recente periodo di pace, di poter fare a meno dei suoi servigi e Alastor avrebbe presto fatto i conti con una prematura vita da pensionato.
Un sonoro crack distrasse il mago dai suoi pensieri. Nemmeno si premurò di distogliere l’attenzione dal calderone, perché l’occhio blu elettrico era già saettato sul nuovo arrivato. Soltanto una persona veniva regolarmente a fargli visita.
«Il caminetto, un calderone e del buon vino. Natale è bello soprattutto quando si onorano le tradizioni, vero, Alastor?»
Due occhi azzurrissimi lo scrutarono attraverso degli occhiali a mezzaluna e la figura alta e slanciata del Preside di Hogwarts gli rivolse un caloroso sorriso.
Moody ricambiò quel gesto con una scrollata di spalle. «Più che tradizione, è un vizio,» ringhiò. afferrando un boccale e versandoci un po’ di vin-brûlé, porgendolo poi all’altro mago.
Albus Silente accettò di buon grado, accomodandosi sulla poltrona più vicina e scostando la veste bordeaux che soleva sfoggiare durante le festività. Alastor lo imitò, ma preferì scolarsi il vino direttamente dalla fiaschetta.
I due maghi si scrutarono a lungo, sorseggiando la bevanda senza proferire parola. Le visite di Albus non erano mai puramente di cortesia, ormai Alastor credeva di conoscerlo, ma nonostante i numerosi anni trascorsi insieme, Moody stentava ancora a comprendere la maggioranza dei suoi comportamenti.
«Veniamo al dunque, Albus,» tagliò corto l’Auror. «Cosa ti serve?»
Silente s’inumidì le labbra con il vino, assaporando quieto la dolcezza di quel nettare invernale.
«È davvero buono,» commentò, evitando la domanda. «Hai aggiunto della cannella?»
«No. Cosa vuoi da me?» insistette.
«Sai, ho tentato molte volte di farlo così buono, ma finisco sempre con lo sbagliare dosaggio e mi ritrovo la punta della barba caramellata.» Continuò a parlare, ignorando l’Auror.
«Per tutti i Dissennatori, Albus!» abbaiò Moody.
Silente interruppe il suo monologo, ma non fu sorpreso dalla reazione di Moody. L’intensità dello sguardo non era mutata dal suo arrivo e fissava l’altro oltre gli occhiali a mezzaluna.
«Ti ho mai raccontato dell’orfanotrofio, dove incontrai Tom?»
Alastor ammutolì e l’unico rumore udibile fu il ronzio costante dell’occhio. Sì, gli aveva accennato di Riddle, la storia di un ragazzino strano agli occhi babbani, ma un mago straordinario per Silente. L’Auror si chiese il perché Albus volesse rivangare quella faccenda proprio in quel momento, a così poco tempo dalla sua scomparsa.
«Arriviamo al punto,» grugnì impaziente.
Silente sorrise e incrociò le dita affusolate davanti agli occhi. «Io e Minerva siamo soliti fare visita agli orfanotrofi di Londra la notte di Natale, portando in dono qualche giocattolo o dolce babbano. È una specie di tradizione per noi, come questo tuo vin-brûlé.» Mormorò, mentre con la mano faceva ondeggiare il boccale.
«E io cosa c’entro in tutto questo?» Ringhiò Alastor, frustrato da quei giri di parole.
«Quest’anno, ahimè, con quello che è accaduto a Tom, ho un’infinità di compiti da sbrigare al Ministero. Scartoffie, interrogatori e il Ministro della Magia non si fida a muovere un passo senza avermi consultato,» spiegò, con quella sua solita calma innaturale. «Dunque, mi chiedevo se un mago fidato come te, uno degli Auror più brillanti, potesse sostituirmi e portare a quei bimbi un po’ di gioia, soprattutto in questa notte così importante.»
«Io?» Moody era sconcertato.
Silente non si scompose. «Non mi fiderei di nessun altro per questo compito.»
Si stava facendo beffe di lui, forse? Era un Auror, per Merlino! E anche se avesse raggiunto la pensione tra qualche mese, non si sarebbe abbassato a fare da babysitter a un branco di marmocchi.
«E la McGranitt?» chiese scocciato. «Non può occuparsene lei?»
Silente sorseggiò il vin-brûlé e si prese del tempo per assaporare il liquido caldo che scendeva lungo l’esofago. Questi silenzi erano voluti e Alastor lo sapeva. Faceva tutto parte del grande piano di Albus Silente, ed era sicuro che alla fine di quella discussione avrebbe accettato senza nemmeno accorgersene.
«Minerva si occuperà di far visita agli altri orfanotrofi, ma serve la tua presenza alla Regent Park Boys Home
[1],» rispose calmo.
«Ho altro cui badare,» latrò infine l’Auror, alzandosi dalla poltrona e zoppicando fino al camino, ravvivando il fuoco. «Non posso star dietro a dei marmocchi piagnoni. Ho documenti da rivedere, interrogatori da portare a termine e…» Ma si bloccò al pensiero di cosa non avrebbe fatto una volta andato in pensione.
Moody non si era reso conto che Silente lo aveva raggiunto in un unico fruscio di vesti. Gli posò una mano sulla spalla e lo strinse in una carezza amichevole. «Se avessi altri cui chiederlo, non sarei qui Alastor.»
L’occhio blu elettrico era fisso nello sguardo dell’altro mago, segno che Albus non lo stava affatturando, perciò attribuì quel senso di collaborazione alle sue parole e a tutto il vino che si era scolato quella sera.
«Tu e la tua maledetta morale!» borbottò infastidito. «Che diamine dovrei fare?»
Albus Silente sorrise con gli occhi. «Conosci Babbo Natale, Alastor?»

***

Da Craven Terrace a Regent Street la strada era lunga, e con il freddo intenso di quella notte dicembrina, Alastor fu costretto a prendere quel dannato treno babbano sotterraneo. Odiava la metropolitana, ma Silente era stato irremovibile sullo smaterializzarsi in un luogo pubblico la notte di Natale: troppi babbani in giro a fare compere. Imbacuccato nel cappotto a doppio petto, con la bombetta calata sull’occhio e la mano infilata nella piega della stoffa a stringere la bacchetta, Alastor Moody imboccò la fermata di Lancaster Gate.
Quando riemerse sotto il cielo notturno di Dicembre, una folata di vento gli intorpidì le membra.
È strano che non abbia nevicato.
Si ritrovò a riflettere che, a differenza degli anni precedenti, non era caduto nemmeno un fiocco e nel Mondo Magico questo lieto evento era stato attribuito alla scomparsa di Voldemort.
Zoppicando fino all’indirizzo che Silente si era premurato di ripetergli quindici volte, l’Auror oltrepassò un cancello di ferro ed entrò in un cortile spoglio, davanti a un edificio di mattoni. All’apparenza sembrava tetro, ma gli addobbi e le ghirlande contribuivano a renderlo meno fatiscente.
Salì una gradinata aiutandosi con il corrimano e rimase immobile davanti alla porta. Si guardò attorno evitando sguardi indiscreti, poi estrasse la bacchetta e un biglietto d’auguri babbano che ritraeva un vecchietto panciuto dalle guance rosse e dal viso rubicondo.
E questo sarebbe il famoso Babbo Natale?, pensò contrariato.
Nella sua carriera di Auror aveva affrontato creature più impressionanti di quel vecchietto sovrappeso, la cui unica specialità era viaggiare a bordo di una slitta trainata da renne volanti.
Come se i Thestral non fossero creature più affascinanti.
Fissò intensamente il disegno del bigliettino e lo aprì per curiosità, ma quasi lo Schiantò quando si mise a cantare Jingle Bells da solo.
«Che diavoleria è mai questa?» ringhiò contrariato. Chiuse il foglio e si risistemò la bombetta sull’occhio. Quel rumore improvviso aveva fatto voltare alcuni babbani che lo fissavano insospettiti, ma Moody li ignorò fino a quando si allontanarono per le vie del centro.
Non appena la via fu nuovamente libera, agì.
«Dissimulo
[2],» mormorò, puntando la bacchetta verso se stesso. Dalla punta uscì un filo di luce rossastra che gli tinse il cappotto, sgonfiò i bottoni color oro e li sostituì con quelli neri della giubba del vecchietto. Anche i calzoni cominciarono a colorarsi di rosso, così come gli stivali che divennero neri e lucidi. Un cinturone si strinse attorno alla giubba e sulle mani apparvero dei morbidi guanti. La bombetta divenne un cappello rosso e bianco, terminante con un pon-pon. Se lo calcò meglio sulla testa, curandosi di nascondere l’occhio blu elettrico, poi riflesse la sua immagine sul vetro di una finestra e per poco non cadde all’indietro sui gradini coperti di ghiaccio.
Un molliccio in piena crisi d’identità sarebbe apparso molto più serio di lui. Se l’avessero visto quelli del Dipartimento Auror, la sua pensione sarebbe arrivata con un mese d’anticipo, ed era certo che non avrebbero esitato a mandargli perfino due Guaritori del San Mungo a casa.
«Finite dissimulo
[3]!» latrò indignato e tornò nei suoi vecchi abiti.
Alastor era sicuro che Silente avesse previsto tutto quando gli aveva chiesto di travestirsi da quel vecchiaccio e recarsi all’orfanotrofio. Aveva accettato unicamente perché rispettava lo rispettava e… perché quel dannato Mago sapeva il fatto suo.
«Alastor Moody non si umilierà fino a questo punto, vecchio testone!» grugnì, rivolgendosi a un Silente immaginario. Poi fece apparire un lungo mantello rosso e se lo legò attorno alle spalle. Tinse la sua bombetta dello stesso colore e si disse che quello era il massimo che sarebbe riuscito a sopportare prima di esplodere e Schiantare tutti quanti.
Bussò alla porta ancora inferocito, quando una giovane ragazza gli aprì. Aveva i capelli raccolti e i suoi occhi nocciola scrutarono subito con diffidenza l’aspetto bizzarro di Moody.
«E… lei sarebbe?» Domandò scettica.
Alastor si schiarì la voce e puntò l’occhio buono sulla ragazza. «Sono qui per i marmoc-… per i bambini!» Mugugnò, beccandosi un’altra occhiataccia.
Gli occhi della giovane si spalancarono sorpresi. «Ah! La manda il signor Sipiente
[4], giusto? Ha chiamato poco fa avvertendomi,» spiegò, spostandosi di lato e invitando Alastor ad entrare. «Prego, prego, si accomodi. I bambini saranno entusiasti di vederla.»
L’aspetto del posto era piuttosto misero, nonostante l’avessero addobbato con festoni e luci colorate. La ragazza fece strada attraverso un corridoio a scacchi bianchi e neri
[5], fino a raggiungere una stanza da cui provenivano risate e grida gioiose. Si fermò poco prima di entrare e si rivolse a Moody con diffidenza.
«Il signor Sipiente trascorre ogni Vigilia di Natale con questi bambini da tanti anni. La sua visita li rende molto felici perché non hanno nessuno con cui condividere la gioia di questo giorno. Devo ammettere che i Babbo Natale degli anni passati erano estremamente simili a dei biglietti d’auguri, troppo finti per i miei gusti.» Fece una pausa. «Lei è il primo… ehm… particolare.»
Alastor grugnì qualcosa di simile a un Grazie, dopodiché zoppicò fin dentro alla stanza ritrovandosi dieci paia di sguardi puntati addosso. C’erano bambini di tutte le età, sesso e colore della pelle, ognuno con gli occhi sgranati e un’espressione indecifrabile.
Impauriti, fu la prima parola a cui pensò. Ognuno di quei bambini lo fissava come se avesse di fronte un Dissennatore e Alastor ne andò piuttosto fiero, a dirla tutta.
«Cosa aspettate? Il signor Natale non vi mangia.» Sorrise la ragazza.
I marmocchi lo fissavano ancora con diffidenza, soprattutto a causa delle numerose cicatrici che gli deturpavano il volto. Non era certo il candidato ideale per far sorridere quei lattanti, ma Silente lo aveva convinto con l’inganno e prima avrebbe affrontato il problema, più in fretta sarebbe tornato a casa.
«Ora il signor Natale darà un dono a ognuno di voi, quindi fate i bravi. Prego, si accomodi qui,» gli disse, mentre gli indicava una poltrona.
Moody non fece in tempo a sentirsi libero da quell’obbligo che una bambinetta gli si avvicinò e lo fissò con gli occhi spalancati.
«Signor Natale,» pigolò. «Quest’anno sono stata buona, non ho dato fastidio e ho fatto tutti i compiti che Miss Swan ci ha dato.»
Alastor suppose che si stesse riferendo alla tutrice, impegnata a fargli cenno di collaborare.
«Uhm. E… cosa vuoi dal signor Natale?» Si maledisse all’istante per quanto tutta quella storia fosse assurda.
Lui, Alastor Moody, uno degli Auror più temuti del mondo magico si era ridotto, alla soglia della pensione, a fare da balia a una decina di mocciosi.
La bambina strinse al petto una vecchia bambola di pezza. «V-Vorrei che aggiustassi Jasmine,» trillò, porgendogli il giocattolo cui mancava la testa e una bella porzione di gamba. Moody l’afferrò e fissò l’occhio buono su Miss Swan che gli sussurrò di attendere mentre spariva nell’altra sala. Che cosa avrebbe dovuto aspettare?
Gli occhi della bambina lo fissavano languidi e quando tentò di evadere quello sguardo, trovò dieci paia di occhi identici che lo scrutavano speranzosi. Sembravano cuccioli di puffola pigmea abbandonati al freddo.
Accidenti a tutto quel vin-brûlé, pensò arrabbiato. Poi nascose la bambola sotto il mantello e con un Pupa Reparo
[6] mormorato sotto voce riuscì a far tornare Jasmine come nuova.
«Grazie!» esclamò la bambina, e immediatamente gli altri coetanei fecero a gara per avvicinarsi per primi ad Alastor. Miss Swan era sparita a fare chissà cosa, così Moody fece apparire trenini, carrarmati, bambolotti e passeggini, accontentando i dieci marmocchi che finalmente lo lasciarono in pace.
Quando la tutrice tornò con i veri doni, sgranò gli occhi e lasciò cadere il sacco con un tonfo, cercando Moody per una spiegazione. Alastor si alzò intenzionato a lasciare quel posto il più in fretta possibile, quando l’occhio saettò verso la finestra sul cui davanzale era seduto un bambino che fissava intensamente il cielo con uno sguardo triste.
«Lui chi è?» grugnì, rivolgendosi alla ragazza.
Miss Swan lo fissava ancora come se avesse una pustola purulenta in faccia. «Si chiama Thomas. È  un bambino piuttosto solitario.»
«Perché non si è avvicinato come gli altri?» insistette, stranamente.
La tutrice sospirò. «Vuole una cosa che nessuno può dargli,» ammise sconfitta.
Alastor puntò l’occhio buono sulla ragazza, non riuscendo a capire. Lei gli sorrise e tornò a guardare Tom.
«Vuole la neve,» rispose semplicemente. «Quest’anno sembra ritardare e Tom desiderava passare un Bianco Natale come quello della canzone. Purtroppo non si può far nulla, se non aspettare.»
«Non è detto,» borbottò Alastor mentre raggiungeva la finestra.
Thomas era totalmente rapito dal cielo nero di quella notte e non si accorse dell’Auror fino a quando non gli sedette scompostamente al fianco. I suoi occhi verdi lo squadrarono da capo a piedi, poi tornarono a fissare il cortile.
«Si può sapere che razza di regalo è la neve?» grugnì in direzione del marmocchio.
Il bambino gli rivolse uno sguardo risentito, ma non frignò. Quello era un comportamento ammirevole agli occhi di un mago come Moody.
«Nell’unico ricordo che ho dei miei genitori c’è la neve, e quest’anno è il mio primo Natale da solo. Volevo averli con me, anche solo per un giorno.»
Fu la prima volta in cui Alastor Moody rimase senza parole. L’occhio blu elettrico era puntato su Tom, anche se lui non poteva vederlo. Aveva chiesto un ricordo per Natale, qualcosa d’impossibile da fabbricare per un babbano, e il sospetto che quel moccioso sapesse più di quanto lasciasse trasparire cominciò a insinuarsi sotto la pelle coriacea del mago.
D’altra parte, quegli occhi verdi parevano talmente sinceri da riuscire ad ammansire anche il suo brutto caratteraccio.
«Guarda quella nuvola,» disse rivolto a Tom. «È bianca e carica di fiocchi di neve. Basterebbe solo scuoterla un po’…»
Da sotto il mantello impugnò nuovamente la bacchetta, poi mormorò Niveae
[7], mentre Tom, posando un dito sul vetro della finestra, cercava di agitare la nuvola. Quella tremò appena e alcuni fiocchi bianchi cominciarono a cadere facendo mormorare gli altri bambini che si erano avvicinati estasiati. Afferrarono le giacchette e si fiondarono fuori in cortile urlando, mentre fiocchi di neve, grandi come popcorn, cadevano dal cielo. Thomas rimase indietro, sulla soglia, e fissava incredulo la neve che si scioglieva sulle mani.
«Cos’hai, ragazzo?» chiese Moody, fermando una carezza a mezz’aria.
Un vecchio mago solitario come lui non era avvezzo a quel genere di contatti.
«N-Non posso crederci,» ammise timido.
Alla fine cedette e strinse forte la presa sul ragazzo, come Silente aveva fatto con lui. «È il tuo regalo di Natale, Tom. Questa notte la neve è tua,» gli disse. Furono sufficienti quelle parole per convincere il bambino a scendere di corsa i gradini e raggiungere i suoi compagni.
Moody lo seguì con lo sguardo, mentre Miss Swan si avvicinò silenziosa. «Lei è davvero Babbo Natale,» gli confessò sorridente.
«Per la neve?» grugnì seccato. Voleva evitare di assumersi ogni responsabilità.
La ragazza scosse la testa e indicò nuovamente i bambini che si rincorrevano spensierati. «No. Lei è riuscito a far dimenticare loro di essere soli la vigilia di Natale e questo è il dono più grande che potesse fare loro.»
Alastor si maledisse per aver accettato la proposta di Silente, perché quando ritrovò gli occhi verdi di Thomas, avvertì qualcosa smuoversi all’altezza del petto qualcosa che non aveva mai provato prima.

Più in là, sul ciglio della strada, due persone erano ferme a guardare il cortile dell’orfanotrofio.
«Era necessario mentirgli, Albus?» chiese la strega all’uomo al suo fianco.
Silente sorrise e le porse il braccio. «Anche un cuore freddo come quello di Alastor è capace di sciogliersi la notte di Natale, Minerva.»
Insieme s’incamminarono nella neve, imboccando uno dei vicoli di Regent Street.
«Non sarà contento quando saprà che il Ministero non necessitava la tua presenza,» osservò la professoressa McGranitt, sprofondando nel suo cappotto scozzese.
Albus Silente sorrise e si lisciò la barba. «C’è tempo per questo.»
Poco dopo, l’orologio di una chiesa scoccò dodici rintocchi e segnò l’arrivo del venticinque dicembre.
«Buon Natale, Minerva.»
«Buon Natale, Albus.»


Note:
[1]  Regent Park Boys Home: un orfanotrofio di Londra chiuso nel 1930. Ho preso il nome perché mi sembrava abbastanza realistico e adatto al contesto.
[2]  Dissimulo: incantesimo puramente inventato dalla sottoscritta e proviene dalla traduzione latina della parola ‘travestimento’.
[3]  Finite dissimulo: formula inversa dell’incantesimo di prima, sempre made in me stessa.
[4] Sipiente: è il nome di Silente storpiato da Miss Swan, ripreso direttamente dal sesto libro quando Harry entra nel ricordo del Preside e si ritrova nell’orfanotrofio dove alloggiava Tom.
[5]  Corridoio a scacchi bianchi e neri: descrizione ripresa sempre dal sesto libro, nello stesso ambito del ricordo di Silente cui assiste Harry nel Pensatoio.
[6] Pupa reparo: altro incantesimo inventato, preso dalla traduzione latina di ‘Riparare bambola’.
[7] Niveae: della serie Enciclopedia degli Incantesimi di IoNarrante. Ho inventato anche questo, abbiate pietà della mia fantasia.

***


Salve, salvino a chiunque sia arrivato in fondo a questa sdolcinatissima OS natalizia! Visto che siamo in tema, colgo l'occasione per ringraziare jakefan e Kagome_86 per aver organizzato questo simpaticissimo contest a tema e per aver 'creato' le opzioni della Roulette Russa, senza le quali non avrei mai dato vita a questa storia.
Devo essere sincera, all'inizio non sapevo da dove iniziare non appena ho scoperto che il personaggio sorteggiato era il caro e vecchio Alastor, ma ho accettato la sfida e la mia fantasia mi ha spalleggiato durante tutta la stesura della storia. Devo ringraziare IMMENSAMENTE -sì, sembro la Cortellesi nella pubblicità di BrioBlu- la mia Wife, nonché Beta, nonché consigliera ufficiale, nonché rimboccacoperte brevettata, nonché Miss Pazienza 2011/2012 nes_sie che con una valanga di Sopportazione mi ha continuamente ripetuto che non era tutto da buttare via e ha ''limato'' quelle parti che altrimenti avrebbero stonato con il resto della narrazione. Insomma, la storia sarà tipo fifty-fifty!
Aggiungo un utlimo appunto, giusto per rompere ancora un pochino, e dico che è la mia PRIMA e assoluta storia del fandom HP, quindi siate clementi perché personalmente adoro la saga, ma non sono una fan accanita e perdonatemi se ho commesso qualche piccolo errore.
Detto ciò, mi lascio nelle vostre mani e a voi il giudizio! *si inchina in modo teatrale*

Cosa aggiungere? Avete fatto l'albero? Io ancora no ^^' vergogna!
BUON NATALE! >.<


   
 
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