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Autore: _ki_    10/12/2011    2 recensioni
È freddo e buio. Harry è stanco, chiude gli occhi con il suo primo regalo stretto tra le mani. Non ha mai amato tanto il Natale.
Partecipa all'iniziativa "Gift Boxes Challenge" col prompt "Vacanze di Natale, cosa farai?", indetta da Fanworld.it
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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È freddo e buio. Harry è stanco e non ha mai aspettato tanto il Natale.

Gli zii e suo cugino Dudley sono a pochi metri da lui, in soggiorno, a consumare un ricco pasto con alcuni vicini. Sente Dudley emettere la sua risata stridula, così simile al verso di un maiale -si dice il ringhio? Sbuffo? Grugnito? Non importa poi molto, alla fine- e zia Petunia parlare dell’“ora dei regali”. Dudley questa volta urla, un urlo stridulo ed eccitato che fa fremere di ribrezzo anche il ragnetto che stava placidamente tessendo la sua tela davanti al naso di Harry. Si sente confusione, zia Petunia che cerca di placare il tornado che è diventato suo figlio ad udir la parola “regali”. Probabilmente manca ancora qualche minuti, ma Dudley non aspetterà. Non ha senso che lo faccia neppure Harry.

È ora, si dice quindi, e poi si mette a sedere, nello spazio angusto del sottoscala della casa dei suoi zii, prende in mano il piccolo pacco rosso che si è rigirato tra le dita per più di due ore e chiude gli occhi. Sorride, nonostante fuori le persone siano più allegre di lui, nonostante si sentano provenire dal soggiorno le lamentele di Dudley sulla poca quantità di regali, sulle cose inutili che ha ricevuto, sul poco cibo che è riuscito ad ingerire. Sorride e sospira, pregando in cuor suo che sia un regalo bello, indimenticabile, un qualcosa che resterà con lui per sempre e che, anche nei momenti più tristi, quando la porta dello sgabuzzino verrà chiusa a chiave e i suoi zii usciranno di casa senza liberarlo, quando Dudley gli riderà in faccia, sottolineando con scherno e smorfie di disgusto il suo stato pietoso, il suo corpicino esile, i suoi occhiali ricoperti di scotch, riuscirà sempre e comunque a farlo sorridere, come ora, per sempre. Prega e spera, il display dell’orologio da polso che non sa ancora leggere che gli illumina fiocamente il viso, e poi non gli resta altro da fare se non scartarlo, liberare quel pacco dal suo involucro e scoprire, vedere cosa contiene.

È per me, pensa, ancor prima di aver completato l’operazione di disimballaggio; è per me e nessuno lo toccherà.

Harry ha solo sette anni. A scuola lo trattano tutti male, a casa passa le giornate dentro ad un sottoscala. La sua vita è un vortice di malinconia e preghiere, di scherno e vendetta, di ingiustizie e rassegnazione. Harry non ha genitori e non ha fratelli; non ha amici. Quando i suoi unici parenti sono troppo presi dalle loro vite per accorgersi della sua, passa il tempo a casa della sua vicina pazza amante dei gatti. Non esce mai di casa senza qualcuno che lo tenga sotto stretta sorveglianza. Anche la settimana prima, quando ha incontrato la bambina dai capelli rossi, la signora Figgins era giusto qualche metro da lui, intenta a dar da mangiare ad un grosso gattone fulvo che si era portata dietro da casa.

«Io sono Ginny, lo sai?» gli aveva detto la bambina. Stava giocando nel recinto della sabbia e Harry si era avvicinato solo perché stava costruendo un castello. In realtà gli faceva un po’ paura, quella bambinetta sorridente che occupava il centro del recinto. Gli altri bambini si tenevano alla larga, vedeva, perché non doveva farlo anche lui? Ma la bambina lo aveva visto e non aveva fatto in tempo a fuggire.

«Tu come ti chiami?» gli aveva chiesto, e aveva gli occhi grandi come palline e la bocca sporca di marmellata. Lei è felice, aveva notato Harry; lei ha dei genitori che le vogliono bene.

Una certa strana sensazione gli si era formata nello stomaco e lui non aveva più avuto voglia di risponderle. Era solo una bambina felice che giocava nel recinto della sabbia a costruire castelli storti e a tenere lontano gli altri bambini: con lui non aveva niente da spartire.

Però la bambina gli era venuta dietro, quando aveva fatto per allontanarsi. Gli era venuta dietro e gli aveva stretto la felpa larga che era appartenuta a Dudley.

«Io lo so come ti chiami» gli aveva detto. Al che se Harry non si fosse girato sarebbe stato davvero sciocco.

«No che non lo sai. Io non ti ho detto niente» aveva allora voluto rispondere. Ma la bambina -Ginny- l’aveva ignorato.

«Ti chiami Ron, è sicuro, perché devi avere l’età del mio fratellone Ron. Però tu non hai i capelli rossi, ce li hai più scuri. Quindi devi essere un Ron scuro. Sei Ron-scuro, vero? Ti chiami così?»

Harry non aveva saputo cosa dire. La bambina aveva cominciato a parlare, e non gli aveva lasciato neanche uno spiraglio di tempo per fargli rispondere.

«E visto che sei Ron-scuro, non ti piace la sabbia. È per questo che ti sei allontanato, no? Ma non importa, perché a te piacciono i fiori, e io ti ho portato questa margherita». Gli aveva teso il fiorellino, stropicciato e con un petalo mancante. Harry lo aveva preso in mano perché era troppo stupito per far altro.

Poi, proprio quando aveva trovato l’opportunità di parlare -Ginny era in silenzio, lo guardava e sorrideva- la bambina era stata richiamata da una donna.

«Cosa farai per Natale, Ron-scuro?» gli aveva chiesto saltellando la bambina, ignorando completamente quella che doveva essere sua madre, che la chiamava a gran voce. Harry era rimasto in silenzio, e la donna aveva urlato “Ginny” più forte. La bambina si era girata, e saltellava ancora.

«Io torno qui domani, Ron-scuro. Se tu domani sei qui, Ron-scuro, io ti faccio un regalo. Se non ci sei non c’è il regalo, va bene? Ma se non ci sei, non ti racconto cosa farò io a Natale. Ci sarai, vero?», poi era corsa via. Harry era rimasto a guardare i suoi capelli rossi sparire in mezzo alla folla, prima che la signora Figgins lo riportasse alla realtà e gli afferrasse un braccio per riportarlo a casa.

Era tornato il giorno dopo, solo perché i suoi zii dovevano fare delle compere e lo avevano affidato di nuovo alla signora Figgins, che aveva pensato bene di far vedere ad un altro gattone puzzolente il parco prima dell’arrivo della neve. La bambina era di nuovo nel recinto della sabbia e quando l’aveva visto aveva sorriso. Ma Harry non si era avvicinato.

«Ciao, Ron-scuro, sei tornato. Va bene, perché allora ora ti faccio un regalo» aveva detto la bambina quando gli si era avvicinata, le mani dietro alla schiena. E il regalo c’era davvero, piccolo e quadrato, avvolto in una carta rossa con delle piccole renne disegnate sopra.

«Non lo voglio» aveva detto Harry, perché se l’avesse accettato a casa Dudley l’avrebbe visto e se lo sarebbe preso. E lui non voleva che Dudley avesse un altro regalo.

«E invece te lo prendi, perché se no mi arrabbio!» aveva quasi urlato Ginny. Al che Harry l’aveva preso, anche perché praticamente la bambina glielo aveva lanciato contro. Poi la bambina si era girata, sorridendo.

«Domani non ci sarò, Ron-scuro. Ma quel regalo non lo devi aprire oggi, va bene? Lo apri a Natale, con gli altri regali. E se ti piacerà, io lo saprò» gli aveva detto, da sopra la spalla. Aveva fatto per andarsene.

«Non mi chiamo Ron-scuro» aveva voluto dire allora Harry. Perché era giusto che lo sapesse, ormai, quella bambina che non si preoccupava a parlargli, che non gli stava distante, che sembrava quasi un’amica. «Mi chiamo Harry, va bene?»

La bambina si era girata di scatto; aveva spalancato gli occhioni grandi come palline e aveva sorriso.

«Bene, allora sei Harry. Proprio come Harry Potter, e allora io ti chiamo così. Quando aprirai il regalo, Harry Potter, io lo saprò. E se ti piacerà, ci vedremo ancora» e poi, sfuggente così com’era apparsa, se n’era andata.

Harry non si chiede adesso come abbia fatto quella bambina a conoscere il suo cognome. Non lo vuole sapere, non vuole provare ad indovinare, perché l’ignoto e così bello, perché la sua quotidianità e stata rotta così dolcemente da lasciargli un calore nel petto, e vuole bearsene finché può.

Il regalo ora è aperto, scartato, la scatolina piccola è stata aperta e davanti al nasino all’insù e agli occhiali pieni di scotch ora Harry lo vede, il suo primo regalo: un vasetto, grande come il suo pugno, con un castello di sabbia all’interno.

Harry potrebbe chiedersi come abbia fatto quella bambina a costruire un castello di sabbia dentro un vasetto così piccolo, ma non gli interessa. Sul vasetto c’è scritto in nero “Per Ron-scuro” e Harry sorride, nonostante questo non sia il suo nome e quello sia un vasetto molto strano. Sorride e promette: custodirà quel vasetto. E Dudley non lo romperà, perché il regalo gli è piaciuto, gli è piaciuto molto, e la prossima volta che vedrà Ginny glielo dovrà dire.

È freddo e buio. Harry è stanco, chiude gli occhi con il suo primo regalo stretto tra le mani. Non ha mai amato tanto il Natale.

   
 
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