È
freddo e
buio. Harry è stanco e non ha mai aspettato tanto il Natale.
Gli zii e
suo cugino Dudley sono a pochi metri da lui, in soggiorno, a consumare
un ricco
pasto con alcuni vicini. Sente Dudley emettere la sua risata stridula,
così
simile al verso di un maiale -si dice il ringhio? Sbuffo? Grugnito? Non
importa
poi molto, alla fine- e zia Petunia parlare
dell’“ora dei regali”. Dudley
questa volta urla, un urlo stridulo ed eccitato che fa fremere di
ribrezzo
anche il ragnetto che stava placidamente tessendo la sua tela davanti
al naso
di Harry. Si sente confusione, zia Petunia che cerca di placare il
tornado che
è diventato suo figlio ad udir la parola
“regali”. Probabilmente manca ancora
qualche minuti, ma Dudley non aspetterà. Non ha senso che lo
faccia neppure
Harry.
È
ora, si dice
quindi, e poi si mette a
sedere, nello spazio angusto del sottoscala della casa dei suoi zii,
prende in
mano il piccolo pacco rosso che si è rigirato tra le dita
per più di due ore e
chiude gli occhi. Sorride, nonostante fuori le
persone siano più allegre
di lui, nonostante si sentano provenire dal soggiorno le lamentele di
Dudley
sulla poca quantità di regali, sulle cose inutili che ha
ricevuto, sul poco
cibo che è riuscito ad ingerire. Sorride e sospira, pregando
in cuor suo che
sia un regalo bello, indimenticabile, un qualcosa che
resterà con lui per
sempre e che, anche nei momenti più tristi, quando la porta
dello sgabuzzino
verrà chiusa a chiave e i suoi zii usciranno di casa senza
liberarlo, quando
Dudley gli riderà in faccia, sottolineando con scherno e
smorfie di disgusto il
suo stato pietoso, il suo corpicino esile, i suoi occhiali ricoperti di
scotch,
riuscirà sempre e comunque a farlo sorridere,
come ora, per sempre.
Prega e spera, il display dell’orologio da polso che non sa
ancora leggere che
gli illumina fiocamente il viso, e poi non gli resta altro da fare se
non
scartarlo, liberare quel pacco dal suo involucro e scoprire,
vedere cosa
contiene.
È
per
me, pensa, ancor
prima di aver completato l’operazione di disimballaggio; è
per me e nessuno
lo toccherà.
Harry ha
solo sette anni. A scuola lo trattano tutti male, a casa passa le
giornate
dentro ad un sottoscala. La sua vita è un vortice di
malinconia e preghiere, di
scherno e vendetta, di ingiustizie e rassegnazione. Harry non ha
genitori e non
ha fratelli; non ha amici. Quando i suoi unici parenti sono troppo
presi dalle
loro vite per accorgersi della sua, passa il tempo a casa della sua
vicina
pazza amante dei gatti. Non esce mai di casa senza qualcuno che lo
tenga sotto
stretta sorveglianza. Anche la settimana prima, quando ha incontrato la
bambina
dai capelli rossi, la signora Figgins era giusto qualche metro da lui,
intenta
a dar da mangiare ad un grosso gattone fulvo che si era portata dietro
da casa.
«Io
sono
Ginny, lo sai?» gli aveva detto la bambina. Stava giocando
nel recinto della
sabbia e Harry si era avvicinato solo perché stava
costruendo un castello. In
realtà gli faceva un po’ paura, quella bambinetta
sorridente che occupava il
centro del recinto. Gli altri bambini si tenevano alla larga, vedeva,
perché
non doveva farlo anche lui? Ma la bambina lo aveva visto e non aveva
fatto in
tempo a fuggire.
«Tu
come
ti chiami?» gli aveva chiesto, e aveva gli occhi grandi come
palline e la bocca
sporca di marmellata. Lei è felice,
aveva notato Harry; lei ha dei
genitori che le vogliono bene.
Una certa
strana sensazione gli si era formata nello stomaco e lui non aveva
più avuto
voglia di risponderle. Era solo una bambina felice che giocava nel
recinto
della sabbia a costruire castelli storti e a tenere lontano gli altri
bambini:
con lui non aveva niente da spartire.
Però
la
bambina gli era venuta dietro, quando aveva fatto per allontanarsi. Gli
era
venuta dietro e gli aveva stretto la felpa larga che era appartenuta a
Dudley.
«Io
lo so
come ti chiami» gli aveva detto. Al che se Harry non si fosse
girato sarebbe
stato davvero sciocco.
«No
che
non lo sai. Io non ti ho detto niente» aveva allora voluto
rispondere. Ma la
bambina -Ginny- l’aveva ignorato.
«Ti
chiami
Ron, è sicuro, perché devi avere
l’età del mio fratellone Ron. Però tu
non hai
i capelli rossi, ce li hai più scuri. Quindi devi essere un
Ron scuro. Sei
Ron-scuro, vero? Ti chiami così?»
Harry non
aveva saputo cosa dire. La bambina aveva cominciato a parlare, e non
gli aveva
lasciato neanche uno spiraglio di tempo per fargli rispondere.
«E
visto
che sei Ron-scuro, non ti piace la sabbia. È per questo che
ti sei allontanato,
no? Ma non importa, perché a te piacciono i fiori, e io ti
ho portato questa
margherita». Gli aveva teso il fiorellino, stropicciato e con
un petalo
mancante. Harry lo aveva preso in mano perché era troppo
stupito per far altro.
Poi,
proprio quando aveva trovato l’opportunità di
parlare -Ginny era in silenzio,
lo guardava e sorrideva- la bambina era stata richiamata da una donna.
«Cosa
farai per Natale, Ron-scuro?» gli aveva chiesto saltellando
la bambina,
ignorando completamente quella che doveva essere sua madre, che la
chiamava a
gran voce. Harry era rimasto in silenzio, e la donna aveva urlato
“Ginny” più
forte. La bambina si era girata, e saltellava ancora.
«Io
torno
qui domani, Ron-scuro. Se tu domani sei qui, Ron-scuro, io ti faccio un
regalo.
Se non ci sei non c’è il regalo, va bene? Ma se
non ci sei, non ti racconto
cosa farò io a Natale. Ci sarai, vero?», poi era
corsa via. Harry era rimasto a
guardare i suoi capelli rossi sparire in mezzo alla folla, prima che la
signora
Figgins lo riportasse alla realtà e gli afferrasse un
braccio per riportarlo a
casa.
Era
tornato il giorno dopo, solo perché i suoi zii dovevano fare
delle compere e lo
avevano affidato di nuovo alla signora Figgins, che aveva pensato bene
di far
vedere ad un altro gattone puzzolente il parco prima
dell’arrivo della neve. La
bambina era di nuovo nel recinto della sabbia e quando
l’aveva visto aveva
sorriso. Ma Harry non si era avvicinato.
«Ciao,
Ron-scuro, sei tornato. Va bene, perché allora ora ti faccio
un regalo» aveva
detto la bambina quando gli si era avvicinata, le mani dietro alla
schiena. E
il regalo c’era davvero, piccolo e quadrato, avvolto in una
carta rossa con
delle piccole renne disegnate sopra.
«Non
lo
voglio» aveva detto Harry, perché se
l’avesse accettato a casa Dudley l’avrebbe
visto e se lo sarebbe preso. E lui non voleva che Dudley avesse un
altro
regalo.
«E
invece
te lo prendi, perché se no mi arrabbio!» aveva
quasi urlato Ginny. Al che Harry
l’aveva preso, anche perché praticamente la
bambina glielo aveva lanciato
contro. Poi la bambina si era girata, sorridendo.
«Domani
non ci sarò, Ron-scuro. Ma quel regalo non lo devi aprire
oggi, va bene? Lo
apri a Natale, con gli altri regali. E se ti piacerà, io lo
saprò» gli aveva
detto, da sopra la spalla. Aveva fatto per andarsene.
«Non
mi
chiamo Ron-scuro» aveva voluto dire allora Harry.
Perché era giusto che lo
sapesse, ormai, quella bambina che non si preoccupava a parlargli, che
non gli
stava distante, che sembrava quasi un’amica. «Mi
chiamo Harry, va bene?»
La bambina
si era girata di scatto; aveva spalancato gli occhioni grandi come
palline e
aveva sorriso.
«Bene,
allora sei Harry. Proprio come Harry Potter, e allora io ti chiamo
così. Quando
aprirai il regalo, Harry Potter, io lo saprò. E se ti
piacerà, ci vedremo
ancora» e poi, sfuggente così com’era
apparsa, se n’era andata.
Harry non
si chiede adesso come abbia fatto quella bambina a conoscere il suo
cognome.
Non lo vuole sapere, non vuole provare ad indovinare, perché
l’ignoto e così
bello, perché la sua quotidianità e stata rotta
così dolcemente da lasciargli
un calore nel petto, e vuole bearsene finché può.
Il regalo
ora è aperto, scartato, la scatolina piccola è
stata aperta e davanti al nasino
all’insù e agli occhiali pieni di scotch ora Harry
lo vede, il suo primo
regalo: un vasetto, grande come il suo pugno, con un castello di sabbia
all’interno.
Harry
potrebbe chiedersi come abbia fatto quella bambina a costruire un
castello di
sabbia dentro un vasetto così piccolo, ma non gli interessa.
Sul vasetto c’è
scritto in nero “Per Ron-scuro” e Harry sorride,
nonostante questo non sia il
suo nome e quello sia un vasetto molto strano. Sorride e promette:
custodirà
quel vasetto. E Dudley non lo romperà, perché il
regalo gli è piaciuto, gli è
piaciuto molto, e la prossima volta che vedrà Ginny glielo
dovrà dire.
È
freddo e
buio. Harry è stanco, chiude gli occhi con il suo primo
regalo stretto tra le
mani. Non ha mai amato tanto il Natale.