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Autore: hane    11/12/2011    0 recensioni
L'amore di Simon si consuma in una stanza [...]. Là, fiancheggiato dalla dolce compagnia di carta stagnola, morfina e sostanze chimiche, ama et ancora ama lo stato di catalessi che lo culla e lo stordisce, non senza una puerile incoscienza che tanto lo inorgoglisce.
Quella che vi apprestate a leggere è un'amaro stralcio di due vite distrutte dalla droga. Amore e sofferenza, nelle loro varie sfaccettature.
Il titolo è tratto da una canzone di De Andrè, Il Blasfemo.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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MI CERCANO L'ANIMA A FORZA DI BOTTE

Dunque, prima di tutto comincio col dirvi che questa one-shot partecipa ad un concorso che trovate QUI. Inoltre, vorrei aggiungere una piccola postilla sullo stile: ho tentato di adottare uno stile "cinematografico", una sorta di susseguirsi di zoom ed inquadrature che rimandassero alla sfera visuale cinematografica. Lo so, non si capisce per nulla, ma ci ho provato ed il risultato è questo. Dopo "Ombre", altro mio lavoro che presenta uno stile simile, ho provato a riemulare quella particolare tecnica di narrazione che già avevo sperimentato. L'ho solo imprezionita un po' di più, ma molte frasi sono rimaste scarne e prevale la paratassi sull'ipotassi, quando, solitamente, predigilo la seconda. Aggiungo inoltre che il titolo fa riferimento ad una canzone di Fabrizio De André, Il Blasfemo.
 Beh, queste sono le premesse. Ora vi lascio alla lettura.


***


L'amore di Simon si consuma in una stanza, oltre l'enorme salone dall'aria barocca, superato il corridoio sul lato est, immettendosi poi nell'ultima stanza a destra.
Là, fiancheggiato dalla dolce compagnia di carta stagnola, morfina e sostanze chimiche, ama et ancora ama lo stato di catalessi che lo culla e lo stordisce, non senza una puerile incoscienza che tanto lo inorgoglisce.
Ivi l'amore di Simon si disvela per com'è veramente, con poche, semplici azioni ed un immenso sperpero di denaro: è triste ed avvilente, pur nella sua encomiabile intensità.
Alexander non può farci niente, se non osservare con un certo disappunto questo amore che non ha futuro.
Il suo, di amore, è ben altra cosa - e di futuro ne ha ancor meno.
Seduto in un angolo di quella stanza, stringendo fra le mani la sua sciarpa logora, osserva in silenzio l'amico riverso sul divano sfatto, l'aria inebetita che rilassa i tratti del suo volto di venticinquenne.
E' sempre la stessa, tragica storia ogni giorno, che va avanti ormai da mesi e sembra non avere fine.
Pensa, come una malsana ossessione, ai soldi: Simon non ne ha più; può solo contare sul buon cuore di Alexander, che, dal canto suo, sa di essere più egoista di quanto il mondo intero pensi e non osa ammetterlo a se stesso.
Stringere fra le dita una vita, un amore e la disperazione... Alexander sa cosa significa tutto questo. Con la sola forza di volontà, anch'essa ormai vacillante, si ostina a tenere stretto un filo rosso che non esiste.
Dice a se stesso che non ci sono alternative. La verità è che non le vuole vedere.

«Oggi, pensavo che potremmo uscire,» gli sussurra Simon. Il suo tono di voce, così smorzato, palesa l'insicurezza che pregna quella frase. E' ben consapevole del fatto che quello è il loro taboo, nato da un tacito accordo e sorto dalla polvere e dal degrado. Eppure lo dice lo stesso, senza curarsi delle conseguenze.
Alexander socchiude gli occhi con fare pensieroso. Non vorrebbe rispondere: è un peso insopportabile per le sue deboli spalle; ma d'altro canto sa che non può fare altrimenti. Avverte l'opprimente sguardo dell'amico su di sé, in attesa di un cenno qualsiasi.
«Sai che...». Apre gli occhi e gli rivolge un'occhiata affranta. «Sai benissimo che non puoi.»
Simon ringhia fra i denti, animandosi d'impazienza e rabbia. Porta un pugno chiuso alla bocca, avvicinandovi i denti.
«I soldi, - gli risponde, - li troverò. Se trovo Juan e glielo spiego, sono sicuro che mi darà altro tempo.»
Alexander, per un solo istante, è scosso da un tremore che gli percorre le spalle e corre giù, lungo la spina dorsale. Il nervosismo s'impossessa di lui, ma all'altezza del cuore si converte in un dolore sordo, che non riesce ad interagire in alcun modo col raziocinio.
Altro tempo, dice Simon. Gli sembra il capriccio di un bambino sguarnito ed ingenuo, che non può permettersi di rimanere tale.
«Se ti trovano ti ammazzano, col cazzo che ti danno altro tempo», grida. Subito dopo serra le palbebre, come per nascondere un'espressione che, ne è sicuro, avrebbe rivelato il suo terrore.
Simon tace. Dal modo in cui si protende in avanti, si capisce che vorrebbe rispondere; eppure ha ancora la decenza di non farlo. Alexander ha ragione: è lui che ha ancora i coglioni di uscire di casa per andargli a comprare l'eroina; è lui che ci mette la faccia ed il denaro; è lui che lo nasconde, rischiando la vita.
Simon non è nella posizione di lamentarsi di alcunché, perché passerebbe dalla parte del torto in un battito di ciglia.
«Esco io, - mormora Alexander. - Vado a comprarti la roba». La sua voce è spezzata. Sta trattenendo le lacrime, con un orgoglio che, in una situazione del genere, suona quasi in modo ridicolo.
Che senso ha ostentare tale facciata di fierezza?, pensa. La dignità – quella con la D maiuscola - gli pare solo un'allegorica figura di qualche mito dimenticato, che nessuno dei due ha la forza di riesumare. Si sente come una bambola di ceramica, dalle giunture usurate, sul ciglio di un tavolo: ammirare il baratro con sgomento è divenuta la sua miserabile quotidianità.
Si solleva in posizione eretta e rimane immobile per interminabili secondi. Ha le vertigini.
Tutto, dal preciso momento in cui Simon è corso da lui pregandolo di aiutarlo, è divenuto un deserto sconfinato ed infecondo; la sua vita giace in un languore senza fine, confinata in un recinto spinato di paura ed angoscia. Il suo amore per Simon, intanto, cresce in lui come un'edera incolta che lo avvolge e lo soffoca, nutrito dall'insensatezza e dall'incomprensibilità che tale sentimento gli scaturisce dentro. Guardandosi allo specchio, riesce a provare solamente una straziante pena per se stesso, caduto così in basso senza nemmeno essersi reso conto di precipitare, con le tasche ormai vuote ed il cuore pieno di rammarico.
Come dirlo, a Simon, che di soldi non ne ha più?
Esce dalla stanza, percorrendo a ritroso il corridoio sul lato est e l'enorme sala dall'aria barocca. Quelle mura non gli sono mai sembrate così opprimenti e vuote.
Raggiunta la strada, non può fare a meno di respirare con sollievo l'aria pregna dell'inquinamento della città: è libero, per un inconsistente attimo, dalla prigionia della sua passione mutilata; si apre davanti ai suoi occhi uno scenario vasto, seppure squallido, in cui perdersi e ritrovarsi all'infinito. Dinnanzi allo sguardo dei passanti, è solo uno dei tanti spiriti materiali che popolano le strade; un niente dentro un tutto, un secondo dentro ad un'eternità.
S'incammina verso la piazza davanti alla chiesetta del quartiere, pensando a che scusa inventare, questa volta, per l'ennesimo mancato pagamento.

Simon è ancora sdraiato sul divano; è rimasto immobile dacché l'amico se n'è andato. La gabbia che lui stesso si è creato sta diventando troppo stretta per lui, ma al tempo stesso tiene troppo alla sua pelle per uscire da lì. Vive in un paradosso spiraliforme, dentro cui sta lentamente affogando. Quella stanza ha l'aria rarefatta, anche se continua a spalancare le finestre.
Simon ha capito benissimo quali sono i sentimenti che Alexander nutre nei suoi confronti, ma ha paura di confessarglielo. In ogni caso, non saprebbe che cosa dirgli.
L'amore che Simon è in grado di provare è blando, evanescente e, perso com'è nei fumi della droga, non saprebbe proprio come portarlo avanti, senza farlo deperire.
Prima, continua a ripetersi, bisogna smetterla con questa farsa: vuole uscire dal giro perverso nel quale è entrato, senza nemmeno volerlo. Non riesce a pensare ad altro che a questo.
Eppure, pur consapevole di questo fermo desiderio, continua ad assumere quelle sostanze: è l'ultima sigaretta di Zeno Cosini, alla quale ne seguiranno altre migliaia.

Alexander rientra più di un'ora dopo e rimane fermo sulla soglia.
Simon non gli rivolge subito l'attenzione. Attende che l'amico dica qualcosa, ma quello tace, tace e ancora tace. Solo quando, dalla porta, sente il respiro raschiante di Alexander, si volta.
E ciò che vede lo distrugge.
Scioccamente, si domanda: com'è potuto succedere?, senza davvero rendersi conto che la causa di tale, spaventoso risvolto è lui, è sempre stato lui fin dall'inizio. Riesce solo a tremare convulsamente e a lanciare un flebile guaito di sgomento, dopo il quale segue una stasi che li trascina in una mera parvenza di realtà.
Alexander gli rivolge uno sguardo sconfitto da sotto le sopracciglia spaccate e turgide; si passa ripetutamente la lingua sulle labbra piene di crepe e graffi, spargendo il sangue, diluito con la saliva, lungo il mento. Le braccia sembrano due corpi morti, malamente ancorati alle spalle, che penzolano fiaccamente.
Il ragazzo si avvicina a Simon, trascinandosi dietro come un indesiderato fardello la gamba destra; quando gli è di fronte, gli porge un amaro sorriso e, chinandosi sul suo volto, gli posa un bacio sulle labbra. Simon, con orrore, sente il sapore del sangue invadergli la bocca.
Capisce che Alexander gli sta solo chiedendo scusa, ma l'emozione è troppa e non gli permette di parlare.
Capisce che Alexander ha dato tutto ciò che poteva dargli, senza esitare un solo istante. Ed ora non ha più nulla.
Capisce tutto, ma è ormai troppo tardi.
Con le sopracciglia aggrottate, continua a guardare l'amico dal volto devastato, martoriandosi coi denti il labbro inferiore.
Sta per parlare, non sa nemmeno per dire cosa, ma Alexander lo blocca con un cenno della mano, sollevata a fatica.
«Non l'ho presa», sussurra. La sua voce sembra provenire da antri profondi ed irraggiungibili.
Simon reclina il capo in avanti. Le lacrime riempiono i suoi grandi occhi e cominciano a scorrere lungo le guance.
«Mi cercano l'anima a forza di botte, - mormora Alexander, dopo interminabili minuti di silenzio - Ma ancora non sanno... che non la troveranno mai.»

Entrambi l'hanno capito: il filo rosso, che hanno creato per loro stessi durante quegli strazianti mesi, si è spezzato.

***
Bene, è un disastro. Lo so. Però non voglio modificarla, anche se ci ho pensato più e più volte. Vorrei che rimanesse così, quasi schematica e senza troppi fronzoli, per quanto bruttarella sia. Rischierei, altrimenti, di renderla ancora più pesante e troppo allegorica, facendole perdere quel margine di realismo che ho tentato di conferirle.
Mi piacerebbe molto, come al solito, sapere cosa ne pensate.

  
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