MI CERCANO L'ANIMA A FORZA DI BOTTE
Beh, queste sono le premesse. Ora vi lascio alla lettura.
L'amore
di Simon si consuma in una stanza, oltre l'enorme salone dall'aria
barocca, superato il corridoio sul lato est, immettendosi poi
nell'ultima stanza a destra.
Là,
fiancheggiato dalla dolce compagnia di carta stagnola, morfina e
sostanze chimiche, ama et ancora
ama lo stato di catalessi che lo culla e lo stordisce, non senza una
puerile incoscienza che tanto lo inorgoglisce.
Ivi
l'amore di Simon si disvela per com'è veramente, con poche,
semplici
azioni ed un immenso sperpero di denaro: è triste ed
avvilente, pur
nella sua encomiabile intensità.
Alexander
non può farci niente, se non osservare con un certo
disappunto
questo amore che non ha futuro.
Il
suo, di amore, è ben altra cosa - e di futuro ne ha ancor
meno.
Seduto
in un angolo di quella stanza, stringendo fra le mani la sua sciarpa
logora, osserva in silenzio l'amico riverso sul divano sfatto, l'aria
inebetita che rilassa i tratti del suo volto di venticinquenne.
E'
sempre la stessa, tragica storia ogni giorno, che va avanti ormai da
mesi e sembra non avere fine.
Pensa,
come una malsana ossessione, ai soldi: Simon non ne ha più;
può
solo contare sul buon cuore di Alexander, che, dal canto suo, sa di
essere più egoista di quanto il mondo intero pensi e non osa
ammetterlo a se stesso.
Stringere
fra le dita una vita, un amore e la disperazione... Alexander sa cosa
significa tutto questo. Con la sola forza di volontà,
anch'essa
ormai vacillante, si ostina a tenere stretto un filo rosso che non
esiste.
Dice
a se stesso che non ci sono alternative. La
verità è che non le vuole vedere.
«Oggi,
pensavo che potremmo uscire,» gli sussurra Simon. Il suo tono
di
voce, così smorzato, palesa l'insicurezza che pregna quella
frase.
E' ben consapevole del fatto che quello è il loro taboo,
nato da un
tacito accordo e sorto dalla polvere e dal degrado. Eppure lo dice lo
stesso, senza curarsi delle conseguenze.
Alexander
socchiude gli occhi con fare pensieroso. Non vorrebbe rispondere:
è
un peso insopportabile per le sue deboli spalle; ma d'altro canto sa
che non può fare altrimenti. Avverte l'opprimente sguardo
dell'amico
su di sé, in attesa di un cenno qualsiasi.
«Sai
che...». Apre gli occhi e gli rivolge un'occhiata affranta.
«Sai
benissimo che non puoi.»
Simon
ringhia fra i denti, animandosi d'impazienza e rabbia. Porta un pugno
chiuso alla bocca, avvicinandovi i denti.
«I
soldi, - gli risponde, - li troverò. Se trovo Juan e glielo
spiego,
sono sicuro che mi darà altro tempo.»
Alexander,
per un solo istante, è scosso da un tremore che gli percorre
le
spalle e corre giù, lungo la spina dorsale. Il nervosismo
s'impossessa di lui, ma all'altezza del cuore si converte in un
dolore sordo, che non riesce ad interagire in alcun modo col
raziocinio.
Altro
tempo,
dice Simon. Gli sembra il capriccio di un bambino sguarnito ed
ingenuo, che non può permettersi di rimanere tale.
«Se
ti trovano ti ammazzano, col cazzo che ti danno altro tempo»,
grida.
Subito dopo serra le palbebre, come per nascondere un'espressione
che, ne è sicuro, avrebbe rivelato il suo terrore.
Simon
tace. Dal modo in cui si protende in avanti, si capisce che vorrebbe
rispondere; eppure ha ancora la decenza di non farlo. Alexander ha
ragione: è lui che ha ancora i coglioni di uscire di casa
per
andargli a comprare l'eroina; è lui che ci mette la faccia
ed il
denaro; è lui che lo nasconde, rischiando la vita.
Simon
non è nella posizione di lamentarsi di alcunché,
perché passerebbe
dalla parte del torto in un battito di ciglia.
«Esco
io, - mormora Alexander. - Vado a comprarti la roba». La sua
voce è
spezzata. Sta trattenendo le lacrime, con un orgoglio che, in una
situazione del genere, suona quasi in modo ridicolo.
Che
senso ha ostentare tale facciata di fierezza?,
pensa. La dignità – quella con la D maiuscola -
gli pare solo
un'allegorica figura di qualche mito dimenticato, che nessuno dei due
ha la forza di riesumare. Si sente come una bambola di ceramica,
dalle giunture usurate, sul ciglio di un tavolo: ammirare il baratro
con sgomento è divenuta la sua miserabile
quotidianità.
Si
solleva in posizione eretta e rimane immobile per interminabili
secondi. Ha le vertigini.
Tutto,
dal preciso momento in cui Simon è corso da lui pregandolo
di
aiutarlo, è divenuto un deserto sconfinato ed infecondo; la
sua vita
giace in un languore senza fine, confinata in un recinto spinato di
paura ed angoscia. Il suo amore per Simon, intanto, cresce in lui
come un'edera incolta che lo avvolge e lo soffoca, nutrito
dall'insensatezza e dall'incomprensibilità che tale
sentimento gli
scaturisce dentro. Guardandosi allo specchio, riesce a provare
solamente una straziante pena per se stesso, caduto così in
basso
senza nemmeno essersi reso conto di precipitare, con le tasche ormai
vuote ed il cuore pieno di rammarico.
Come
dirlo, a Simon, che di soldi non ne ha più?
Esce
dalla stanza, percorrendo a ritroso il corridoio sul lato est e
l'enorme sala dall'aria barocca. Quelle mura non gli sono mai
sembrate così opprimenti e vuote.
Raggiunta
la strada, non può fare a meno di respirare con sollievo
l'aria
pregna dell'inquinamento della città: è libero,
per un
inconsistente attimo, dalla prigionia della sua passione mutilata; si
apre davanti ai suoi occhi uno scenario vasto, seppure squallido, in
cui perdersi e ritrovarsi all'infinito. Dinnanzi allo sguardo dei
passanti, è solo uno dei tanti spiriti materiali che
popolano le
strade; un niente dentro un tutto, un secondo dentro ad
un'eternità.
S'incammina
verso la piazza davanti alla chiesetta del quartiere, pensando a che
scusa inventare, questa volta, per l'ennesimo mancato
pagamento.
Simon
è ancora sdraiato sul divano; è rimasto immobile
dacché l'amico se
n'è andato. La gabbia che lui stesso si è creato
sta diventando
troppo stretta per lui, ma al tempo stesso tiene troppo alla sua
pelle per uscire da lì. Vive in un paradosso spiraliforme,
dentro
cui sta lentamente affogando. Quella stanza ha l'aria rarefatta,
anche se continua a spalancare le finestre.
Simon
ha capito benissimo quali sono i sentimenti che Alexander nutre nei
suoi confronti, ma ha paura di confessarglielo. In ogni caso, non
saprebbe che cosa dirgli.
L'amore
che Simon è in grado di provare è blando,
evanescente e, perso
com'è nei fumi della droga, non saprebbe proprio come
portarlo
avanti, senza farlo deperire.
Prima,
continua a ripetersi, bisogna
smetterla con questa farsa:
vuole uscire dal giro perverso nel quale è entrato, senza
nemmeno
volerlo. Non riesce a pensare ad altro che a questo.
Eppure,
pur consapevole di questo fermo desiderio, continua ad assumere
quelle sostanze: è
l'ultima sigaretta di Zeno Cosini,
alla quale ne seguiranno altre migliaia.
Alexander
rientra più di un'ora dopo e rimane fermo sulla soglia.
Simon
non gli rivolge subito l'attenzione. Attende che l'amico dica
qualcosa, ma quello tace, tace e ancora tace. Solo quando, dalla
porta, sente il respiro raschiante di Alexander, si volta.
E
ciò che vede lo distrugge.
Scioccamente,
si domanda: com'è
potuto succedere?,
senza davvero rendersi conto che la causa di tale, spaventoso
risvolto è lui, è sempre stato lui fin
dall'inizio. Riesce solo a
tremare convulsamente e a lanciare un flebile guaito di sgomento,
dopo il quale segue una stasi che li trascina in una mera parvenza di
realtà.
Alexander
gli rivolge uno sguardo sconfitto da sotto le sopracciglia spaccate e
turgide; si passa ripetutamente la lingua sulle labbra piene di crepe
e graffi, spargendo il sangue, diluito con la saliva, lungo il mento.
Le braccia sembrano due corpi morti, malamente ancorati alle spalle,
che penzolano fiaccamente.
Il
ragazzo si avvicina a Simon, trascinandosi dietro come un
indesiderato fardello la gamba destra; quando gli è di
fronte, gli
porge un amaro sorriso e, chinandosi sul suo volto, gli posa un bacio
sulle labbra. Simon, con orrore, sente il sapore del sangue
invadergli la bocca.
Capisce
che Alexander gli sta solo chiedendo scusa, ma l'emozione è
troppa e
non gli permette di parlare.
Capisce
che Alexander ha dato tutto ciò che poteva dargli, senza
esitare un
solo istante. Ed ora non ha più nulla.
Capisce
tutto, ma è ormai troppo tardi.
Con
le sopracciglia aggrottate, continua a guardare l'amico dal volto
devastato, martoriandosi coi denti il labbro inferiore.
Sta
per parlare, non sa nemmeno per dire cosa, ma Alexander lo blocca con
un cenno della mano, sollevata a fatica.
«Non
l'ho presa», sussurra. La sua voce sembra provenire da antri
profondi ed irraggiungibili.
Simon
reclina il capo in avanti. Le lacrime riempiono i suoi grandi occhi e
cominciano a scorrere lungo le guance.
«Mi
cercano l'anima a forza di botte,
- mormora Alexander, dopo interminabili minuti di silenzio - Ma
ancora non sanno... che non la troveranno mai.»
Entrambi l'hanno capito: il
filo rosso, che hanno creato per loro stessi durante quegli strazianti
mesi, si
è spezzato.
Mi piacerebbe molto, come al solito, sapere cosa ne pensate.