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Autore: My Pride    12/12/2011    3 recensioni
Forse lo scopo della nostra vita è il viaggio stesso, non la destinazione. Qualunque risposta mi attenda, oggi è l’inizio del mio viaggio.
La mia storia comincia qui.

Quell’occhiata avrebbe dovuto mettermi soggezione, probabilmente, ma in quel momento ero troppo preso dalla foga di quella che sperai sarebbe stata la mia prima avventura.
Di una cosa, però, ero sicuramente certo: non sapevo in che guaio mi ero cacciato.
[ Prima classificata al «Pirates Contest!» indetto da visbs88 ]
[ Vincitrice del Premio Coppia più originale al «Chi è normale non ha molta fantasia» indetto da Butterphil ]
Genere: Avventura, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Curse of the sea'
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Oceani_5 ATTO V: CRUISES FEAR, CABINA DEL CAPITANO › MAR DEI CARAIBI, 1768
DEAD MEN TELL NO TALES

    Anche se ci trovavamo sottocoperta, mi sembrava di sentire l’odore del mare e della libertà.
    Non mi ero mai realmente soffermato su queste due singole parole, ma da quando la nostra vita aveva ricominciato a farsi davvero avventurosa avevano acquistato un significato tutto nuovo, quasi si fosse trattato di parole assolutamente diverse: l’arruolamento di Patrick, la fuga da Porto Rico, l’attacco della marina ai danni della nostra caravella, le taglie sulle nostre teste e l’inseguimento del Commodoro Waine lì a Roseau... avevano fatto in modo che mi sentissi nuovamente vivo, un pirata come avevo sempre sognato di essere, quasi al pari del mio compianto padre. E tutta l’adrenalina che avevo accumulato durante quel nostro viaggio sembrava essere ancora in circolo, sebbene ci trovassimo momentaneamente in una situazione di stallo.
    La nostra destinazione era ancora parecchio lontana e ci sarebbero voluti giorni, se non mesi, per riuscire quanto meno a trovarci nei paraggi, e inoltre si era aggiunto il ritrovamento di quella mappa che, ne ero certo, ci avrebbe fatto perdere ancora più tempo. Purtroppo sapevo che avevo ormai i minuti contati e che dovevo affrettarmi a raggiungere quel determinato luogo in mezzo all’oceano, dunque non potevo pensare anche ad eventuali luoghi immaginari colmi di tesori, per quanto essi mi tentassero.
    A quei miei stessi pensieri sospirai, gettando un’occhiata alla mia ciurma: Cid, che si era occupato lui stesso di fasciarmi la ferita alla testa prima di occuparsi del proprio braccio, se ne stava seduto a lucidare la sua pistola come se si stesse preparando ad un altro possibile scontro, mentre il ragazzo ammazzava il tempo giocherellando con qualcosa che ricordava vagamente un doblone; sebbene avessi cominciato ad fissarlo distrattamente, sbadigliando in preda alla noia, quando mi resi davvero conto di cosa fosse sgranai gli occhi e spalancai la bocca, avvicinandomi a lui così rapidamente che quasi sussultò quando gli fui ad una spanna dal viso. «Dove l’hai preso?» gli domandai incredulo, osservando quella patacca come se non credessi alla sua esistenza. Grande quanto un doblone, sopra vi era raffigurata una tigre e, intorno ad essa, vi erano incise delle scritte in aramaico 
[1] che non avevo mai tradotto. Quello era l’unico esemplare di un antico tesoro che mio padre aveva rubato tempo addietro nelle Bermuda, ne ero certo. Perché diamine ce l’aveva quel moccioso?
    Lui si strinse nelle spalle, chinando lo sguardo per fissare con fare afflitto i legacci dei suoi stivali. «Quando sono arrivato a Porto Rico l’avevo già con me», mi rispose, evitando di guardarmi come se avesse fatto una brutta cosa. «L’ho sempre considerato un portafortuna».
    «Hai detto che mastro Garrington ti ha trovato e ti ha accolto, giusto? Che altro ricordi di quel giorno?» indagai, fissandolo attentamente come se cercassi di sondare la sua anima semplicemente facendolo. C’era qualcosa che non quadrava, in quella storia, e avrei fatto luce su di essa in un modo o nell’altro.
    «Senta, Capitano, ma questo che importanza ha?»
    «Rispondi alla mia domanda e basta, ragazzo».
    «Ti conviene fare come dice», si intromise Cid, che fino a quel momento se n’era rimasto in disparte a lucidare la sua cara pistola. Era seduto sulle casse gettate lì nella stiva con una gamba ciondoloni, e il suo viso esprimeva un’indifferenza tale e una noia così profonda che avrebbero anche potuto dirgli che l’Olandese volante
 [2] si aggirava nei pressi del porto senza che battesse ciglio minimamente. «Potrebbe continuare a farti la stessa domanda in eterno, e alla fine per non sentirlo l’unica cosa che vorresti fare sarebbe puntargli una pistola alla testa e fargli saltare le cervella».
    Alla faccia del compagno che avevo! «Grazie, Cid, tu sì che mi sei d’aiuto», ironizzai, vedendolo però sollevare un angolo della bocca in un sorriso e farmi un cordiale cenno del capo con il cappello piumato che indossava.
    «Quando vuole, oh mio Capitano», mi prese in giro a sua volta, tornando ad occuparsi della propria arma e lasciando finalmente a me il compito di occuparmi del ragazzo. Era già difficile farlo parlare chiaro senza che ci si mettesse anche il mio vice a fare dell’ironia.
    «Ricominciamo da capo, Patrick», mi sforzai di essere cordiale, chiamandolo persino per nome invece di usare altri appellativi. Mi ero anche seduto, quasi potesse realmente servire. «Cosa ricordi di quel giorno?»
    Lui si grattò dietro la testa e cominciò a guardarsi intorno, lanciando di tanto in tanto delle occhiate furtive a Cid come se volesse cercare in qualche modo il suo aiuto. Restio a parlare, al principio, decise finalmente di spiegarsi solo dopo che iniziò a giocherellare con il doblone, rigirandolo fra le dita. «Vedevo rosso ovunque», disse sottovoce, quasi temesse di star dicendo la cosa sbagliata. «Però è difficile dire di cosa si trattasse davvero. Non so se fosse semplicemente il tramonto riflesso sul mare o qualcosa che andava a fuoco». Si interruppe, però io mi ritrovai a sgranare ancora una volta gli occhi. Le coincidenze erano troppe, davvero troppe. Ma ero sicuro quasi al cento per cento che la persona che conoscevo io fosse scomparsa sei anni prima, e avevo creduto alle voci che lo davano ormai per morto. Quel ragazzo non poteva essere chi credevo che fosse. Allora perché il mio cuore si ostinava a sperarlo? «Ricordo anche la nausea che mi aveva provocato l’oscillazione di una nave in balia delle onde», continuò, riscuotendomi. «Sono stato trovato sulla riva, poco distante dal porto, e sono quasi certo che ero imbarcato su una nave. Ma oltre a questo non ricordo altro, a parte qualche parola confusa».
    «Chi era colui che le pronunciava? E cosa diceva?» insistetti, venendo ammonito da Cid che mi lanciò contro lo straccio che aveva usato fino a quel momento per pulire la sua pistole.
    «Dagli tempo, dannazione», sbottò tranquillo. «Se fai tutte queste domande insieme lo confondi, quel povero ragazzo».
    Assottigliai lo sguardo nella sua direzione. «Tu vedi di farti gli affari tuoi».
    «Ehi, Cid, Capitano», ci richiamò subito Patrick. «Non c’è bisogno di discutere, sul serio. Ho solo sentito qualcuno che canticchiava una bassa nenia, qualcosa tipo “L’alba non c’è ancora” o simile».
    A quel suo dire stornai bruscamente lo sguardo su di lui per fissarlo attentamente con tanto d’occhi, spalancando la bocca con fare incredulo. «“L’alba è ancor lontana, ma la notte non ci fa paura”... era una cosa del genere?»
    Gli occhi di Patrick si illuminarono. «Aye, proprio quella!» esclamò tutto contento, ma io lo osservai basito e dilatai gli occhi, non credendo alle mie orecchie. Mi alzai così velocemente che rivoltai la sedia all’indietro e feci sussultare sia Cid sia Patrick, che mi fissarono come se si stessero chiedendo cosa mi fosse preso così all’improvviso.
    Troppo scombussolato, però, diedi loro le spalle e corsi come una furia fuori dalla cabina, seguito dalla voce di Cid che mi urlava di tornare lì. Non mi presi la briga di voltarmi né tanto meno di rispondere, salendo svelto sul ponte per rifugiarmi dietro al cassero, portandomi le mani alla testa per intrecciare le dita fra i capelli. Mi lasciai scivolare a terra a gambe spalancate, fissando basito un punto indefinito. Tutte quelle conferme, le parole del ragazzo, quella patacca proveniente dalle Bermuda... nay, non potevano essere solo coincidenze, tanto meno la canzone che soleva cantare mia madre quando mio padre prendeva il largo per mesi e mesi.
    Me ne restai lì fuori ad osservare il cielo nero trapunto di stelle per chissà quanto tempo, con l’alone argentato della luna che rendeva il legno della nave quasi spettrale. Persino le vele, che si gonfiavano con il vento che soffiava da ovest, erano simili ad enormi e spaventose creature emerse dai fondi più oscuri e terrificanti dell’oceano.
    A distrarmi furono dei pesanti passi sulle assi del ponte, ma non ebbi bisogno di alzare lo sguardo per capire di chi si trattasse. «Gale, idiota», mi apostrofò Cid, «si può sapere che ti è preso? Io e il ragazzo ci siamo spaventati».
    «Il ragazzo», ripetei senza guardarlo, nascondendomi il viso con il palmo di una mano. Avevo anche chiuso gli occhi, come se servisse. «Dobbiamo riportare il ragazzo a Porto Rico, Cid. Non può più venire con noi».
    Sentii il più completo sconcerto nella sua voce quando infine parlò, «Pochi giorni fa dicevi l’esatto contrario», annotò. «Per non parlare poi del tempo che impiegheremo nel cambiare rotta. Ma perché pensi questo, adesso?»
    Strinsi i denti, imprecando. «Voglio che scenda da questa nave. Immediatamente. Il triangolo delle Bermuda è un posto pericoloso, per il ragazzo».
    «Ma che diamine ti prende?» Lo sentii avvicinarsi maggiormente a me a passi pesanti e veloci, e fu lui stesso ad allontanarmi la mano dal viso per costringermi a guardarlo. «Anch’io mi sono un po’ affezionato al ragazzo, Gale, ma venire con noi è stata una sua scelta», mi fece notare. «Che diritto hai di prendere decisioni al suo posto? E’ un uomo, per la miseria».
    Che diritto avevo? Eh, avevo più diritti di quel che credessi anch’io al principio, il che non era cosa da poco. Così trassi un sospiro, socchiudendo le palpebre per non guardare né lui né tanto meno la luce della luna che si frammentava sulle onde dell’oceano. «Quel ragazzo... credo che non si chiami Patrick, Cid», cominciai, dando finalmente voce alla mia ipotesi. Forse farlo mi avrebbe convinto che non stavo sognando. «Il doblone che ha con sé, il bagliore rosso che dice di aver visto, la canzone che ricordava... quella era la canzone che mia madre cantava a me e a mio fratello».
    «E questo cosa diavolo centrerebbe con...» iniziò, interrompendosi tutto d’un tratto quando la sua mente realizzò ciò che avevo tentato di dirgli. Attraverso l’orlo delle ciglia lo vidi sgranare gli occhi, sgomento, sbattendo poi le palpebre più e più volte mentre boccheggiava. «Credi... credi sul serio che quel ragazzo sia Jim?» mi chiese con fare guardingo, con voce bassa e appena percettibile da orecchio umano. «Gale, amico... non puoi aver semplicemente preso un abbaglio?»
    «So quel che dico, Cid, dannazione», scompigliandomi furente i capelli prima di aprire gli occhi e fissarlo con attenzione in viso. «Non riuscivo a crederci neanche io, però...» mi interruppi, lasciando sfumare la voce ed abbassando ancora una volta la testa. Volevo aggrapparmi alla speranza che fosse davvero come credevo, ma al tempo stesso non volevo farmi illusioni su quella mia stramba supposizione se essa si fosse rivelata sbagliata.
    Avevo perso mio fratello Jim sei anni prima, quando la cittadina in cui vivevamo era stata presa di mira da una flotta di pirati che era sempre stata contro mio padre. Prima che morisse in mare era difatti stato il più grande pirata che avessi mai conosciuto, ed era stato anche per quel motivo che io avevo deciso di seguire le sue orme e salpare alla volta dei sette mari.
    Quel giorno di sei anni addietro mi stavo per l’appunto apprestando ad intraprendere quel lungo viaggio. Avevo radunato le mie cose e, salutati mio fratello e mia madre, avevo lasciato la nostra abitazione con un sorriso, attraversando le vie della città in direzione del porto. Era stato proprio in quel mentre che si era scatenato l’inferno in terra: il cupo suono dei cannoni e il sinistro sibilo dei colpi aveva infranto la quiete notturna del luogo, svegliando la popolazione e gettandola in preda al panico; l’odore della polvere da sparo si era diffuso ovunque, e ben presto le strade erano state ghermite da centinaia di pirati travestiti da uomini della marina, ognuno armato di spada e pistola. Chi tentava di scappare veniva subito trucidato, e a nulla era valso tentare di combatterli. Gli uomini del villaggio si erano comunque muniti di armi per scacciare gli invasori, e anch’io avevo preso parte alla rivolta tentando di portare con me più pirati possibili. Se fossi morto nel tentativo di difendere la mia gente, quei filibustieri mi avrebbero fatto compagnia all’inferno. Peccato però che, mentre ero intento a salvaguardare la parte bassa della città, i pirati avessero raggiunto i quartieri residenziali, razziando case e rapendo donne e bambini. Mio fratello era stato tra questi.
    Quando tutto era finito e i pirati avevano lasciato il villaggio, ero corso a casa così in fretta che le gambe avevano cominciato a farmi male; dinanzi alla porta, però, mi ero accasciato a terra lasciando cadere la spada, fissando il corpo privo di vita di mia madre, il cui viso insanguinato era stato sinistramente illuminato dalle fiamme arancioni che divoravano le abitazioni. E da quel momento avevo creduto che anche il mio fratellino fosse morto o stato venduto come schiavo, convinto persino dalle voci che si sentivano in giro riguardo quella stessa nave pirata che ci aveva attaccati. Sapere adesso che quel Patrick poteva essere in realtà Jim, sebbene stentassi ancora a crederlo, alimentava almeno in parte la fiamma di speranza che si era affievolita in me esattamente sei anni prima.
    «Non farne parola con il ragazzo», raccomandai infine a Cid a mezza voce, ostinandomi a guardare le assi di legno di cui era composto quel ponte trasandato.
    Lui trasse un lungo sospiro, quasi avesse voluto aggiungere altro, ma si limitò semplicemente ad annuire prima di chinarsi di poco verso di me, alzandomi il viso con due dita e poggiando appena le labbra sulle mie, con un tocco leggero e quasi inesistente. «Sta’ tranquillo, Gale», sussurrò. «Gli uomini morti non raccontano storie
 [3]».
 

 

[1] Lingua semitica che vanta circa 3.000 anni di storia. In passato fu lingua di culto religioso e lingua amministrativa di imperi. E’ la lingua in cui furono in origine scritti il Talmud e parte del Libro di Daniele e del Libro di Esdra. Essa era una lingua parlata correntemente in Palestina ai tempi di Gesù. Attualmente, l’aramaico è utilizzato nei villaggi di Ma’lula, Jabadin e Bakha, in Siria.

[2] Secondo il folklore nord-europeo, l’olandese volante è una nave fantasma che solca i mari in eterno senza una meta precisa, e a cui un destino avverso impedisce di tornare a casa. Viene spesso avvistata da lontano, avvolta in una nebbia o emanante una luce spettrale. I marinai della nave sono fantasmi, che tentano a volte di comunicare con le persone sulla terraferma.

[3] Tipica espressione piratesca utilizzata come scusa per non lasciare sopravvissuti.
Richiamando anche il titolo del capitolo stesso, motivo per cui non è stato segnato precedentemente fra le note, in questo caso sta solo ad indicare che Cid si tapperà la bocca come se fosse un uomo morto.
C’è anche un secondo motivo di fondo che si chiarirà andando avanti con la storia.


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