Io sono di vetro
“Teco porti lo specchio
di Narciso?
Questo è piombato vetro,
o mascheraio.
Aggiusta le tue maschere
al tuo viso ma pensa che
sei vetro contro acciaio.”
G. D’Annunzio
«Siamo tutti qui riuniti per ricordare
la gloriosa esistenza di Vittoria XVII».
Draco
non dovette impegnarsi molto per sfoggiare uno sguardo scocciatissimo.
«A voler essere precisi, non ci siamo
proprio tutti».
Draco
si persuase che i pezzi di vetro sul pavimento di casa sua avessero
un’attrattiva in più della sciarpa viola con cui Blaise
rifiutava di strozzarsi.
«Se vogliamo sottilizzare, a ricordarla
ci sono solo i migliori amici della povera Vittoria, pia in vita, santa nella
morte».
Il presunto anello di congiunzione tra Black, Malfoy e goblin poco dotati di pazienza sbuffò in maniera piuttosto
eloquente.
Blaise
dal canto suo riuscì persino a trovare il coraggio di precisare:«non capisco
come puoi essere così insensibile, Draco. Vittoria
XVII è stata la tua migliore pallina di vetro. Inoltre mi permetto di
ricordarti che era anche una delle due uniche sopravvissute al Natale passato».
Tre
sopravvissute, pensò Draco,
con la rilassatezza tipica di un dorso rugoso a cui era venuto il mal di gola.
Era
sopravvissuta anche Hermione.
Ed
era lei, quella che gli aveva insegnato a tossire fuoco.
çòç
Potter
doveva morire.
Draco
non riusciva nemmeno a capacitarsi che un soggetto così sinistro fosse
diventato niente di meno che capo del
dipartimento auror nel ministero più ingiusto che
l’intero mondo magico avesse mai conosciuto.
Roba
da pazzi, da non credere, da perderci il sonno.
Naturalmente, siccome in lui si era
sviluppato un singolarissimo senso della giustizia, ogni volta che il sonno lo
perdeva sul serio, non poteva fare a meno di informare lo stesso Potter della
sua tragica condizione.
«Ti ho offerto un’operazione col
migliore magichirurgo estetico del mondo, Potter, ti
libereresti per tutta la vita di quella cicatrice oscena e tu mi dici… no?» Draco
sbatté le palpebre inorridito da tanta insensatezza. Non gli stava mica chiedendo
di darsi fuoco per osservare le sfumature che avrebbe preso il suo mantello dal
gusto umanamente inclassificabile. Gli aveva solo chiesto qualche informazione
sul modo migliore per diventare un eroe; e magari quanto avrebbe dovuto
sborsare per una sua buona parola col direttore della ditta cioccorane nel mondo, senza dimenticare il consiglio accorato di cambiare lo
slogan pubblicitario (cioccorane nel mondo: un cioccosospiro
al secondo). Dopotutto Draco Malfoy
non si muoveva mai senza una buona intenzione.
E dietro la buona intenzione c’era
un’ottima ambizione.
«Potter, tu non capisci. Ho già in mente
la didascalia per la mia figurina. Ho persino la foto perfetta e i fondi
disponibili per mandarne in stampa… su per giù diecimila copie, per cominciare.
Mi manca solo un trofeo di guerra, o una spilla, un riconoscimento ad onore o…»
«Hermione».
A Draco Malfoy andò di traverso la saliva, e tossendo fu quasi
dispiaciuto che l’abilità di sputare fuoco fosse andata del tutto persa il
giorno dopo la sbornia colossale che l’aveva fatto sentire un drago – dopo che aveva smesso di incontrare Hermione al confine tra vetro e acciaio. «Sì, anche
lei, ma un’impresa eroica per volta».
Potter non diede segno di averlo
sentito, mentre si alzava titubante dalla sua poltrona da eroe. «Hermione, già qui? Sei in
anticipo. Tu non sei mai in anticipo. Arrivi sempre all’orario prestabilito.
Voglio dire… non che sia meno che perfetta l’idea di anticipare la pausa
pranzo, ma…»
Quando Draco
recepì il significato di quelle parole, lasciò cadere il portapiume
a cui stava cercando di cancellare la dedica il mondo magico ti deve il suo presente. Con l’augurio che Harry Potter
possa scriverne ancora la storia.
Guardarla fu come riconoscere una favola
cui nessuno aveva saputo dare un finale, nonostante avesse un inizio così
chiaro…
Azkaban era il pugno strettissimo
dell’angelo della morte. Era soffocante a tal punto, che nessuno poteva pensare
di uscirne vivo. I dissennatori avevano falci
appuntite che usavano per scavare tra ricordi felici, ma già crepati dalla
disperazione. Nutrirsi di miele avvelenato sarebbe stato più dolce della vista
di quei mantelli oscuri, di labbra troppo sottili per pronunciare parole
d’amore, e gole abbastanza profonde da contenere la felicità delle generazioni
di sempre.
Azkaban era il piano più oscuro della
morte, quello che includeva torture talmente violente da far dimenticare
l’essenza stessa della vita. Lì dentro non solo si smetteva di vivere, ma si
finiva vittima di un pensiero maldestro, per cui tutti cominciavano a credere
di non aver vissuto affatto.
Quando
l’essenza stessa della vita fece visita a Draco Malfoy, infatti, quasi stentò a riconoscerla. Forse perché
non avrebbe mai pensato di vederla con le sembianze della Granger.
Eppure quando lei entrò nella sua cella, l’aria si riempì dei profumi
dell’infanzia, di sapori così dolci da sembrare zucchero finissimo nella più
deliziosa delle bevande.
«Granger», salutò, un po’ incerto e con la vista appannata.
«Solo tu potevi pensare di venire ad Azkaban spalmata
di amortentia».
La
vide sussultare, poco lontana dal suo giaciglio sul pavimento, prima che si
inginocchiasse proprio di fronte a lui.
«Come
hai fatto a capirlo?»
«Nessuna
donna ha un profumo così buono».
Hermione Granger
annuì, un po’ a disagio, lanciando sguardi preoccupati alla porta. Certamente
non le avevano dato molto tempo per parlargli, ammesso che non fosse lì per
ucciderlo – per ucciderlo senza falci e senza baci, in una maniera che sarebbe
stata persino più dolorosa.
«Che
sei venuta a fare?» sbuffò Draco, voltandosi da
tutt’altra parte, col viso quasi schiacciato contro il muro. «Mi stai
consumando l’aria. E qui l’aria non è molta, considerando quante volte aprono
quella porta».
«Non
è l’aria che ti manca».
«E
tu che ne sai? Quante volte hanno cercato di ucciderti con un bacio?»
«Mai».
«Allora
non puoi capire», le fece presente. «Che diavolo vuoi? Sei venuta a torturarmi
per quello che ti ha fatto mia zia davanti ai miei occhi?» Draco
riuscì a pronunciare quella domanda con una fermezza spaventosa, ma solo perché
non sentiva più niente. Forse qualsiasi morte sarebbe stata più dolce del
pensiero di non aver mai vissuto.
«Malfoy, tu non capisci!» La Granger
era scattata di nuovo in piedi, con le mani nei capelli e gli occhi lucidissimi.
«Persone che ho visto più o meno ogni giorno della mia vita da quando avevo
undici anni sono morte. Morte. Ora sono in cimiteri così lontani che io non
saprò nemmeno come sono fatte le loro tombe. E non è giusto. Nessuno di noi
doveva morire. Ognuno aveva i suoi sogni… le sue ambizioni. Tu Malfoy eri quello con le ambizioni più grandi e più
assurdamente orribili del mondo, ne avevi così tante…
Sei
l’unico che è finito ad Azkaban. L’unico a cui posso
impedire di morire, perciò ora te ne starai qui immobile e ti lascerai
salvare».
«Senti
quanto sei ridicola», Draco era certo che se fosse
stato vivo avrebbe stretto i pugni per la rabbia, magari attorno al collo della
Granger, ma le dita gli facevano male perché aveva
troppo scavato nella pietra, e la rabbia gli sembrava un sentimento troppo
complesso per elaborarlo con la sua mente distrutta. «Sai come funziona qui
dentro? I primi giorni, mi ripetevo che quando ne fossi uscito sarei cambiato,
sarei diventato più forte. Indistruttibile. Ora, in quei rari momenti in cui credo
di ricordare cos’è il divertimento, rido di me, Granger.
Qui dentro ci si salva solo con la morte».
«Lasciati
toccare».
«Non
pensarci nemmeno».
«Malfoy, io posso salvarti. Posso tentare. Non rendere tutto
un inferno, come al solito».
«Stammi
lontana», le intimò, con tono perentorio.
Hermione scosse la testa, mangiando aria,
anche se non sembrava animata dal dispetto di volerla consumare. Si portò le
mani sulla camicetta, armeggiando con un bottone poco al di sotto della
clavicola.
«Ti
stai spogliando per me?»
«Non
voglio sedurti, Malfoy».
Draco arricciò le labbra, tornando a
fissare il muro. «Peccato», constatò. «Avrei avuto la prova schiacciante che
ormai sei del tutto fuori di testa».
Con
un colpo di dita sanissime, la Granger fece saltare
il bottone. Era un piccolo quadratino brillante, che oltre alla trasparenza
irradiava riflessi bui, come vetro decorato con colori adatti a dipingere la
notte. «Quanto ti fa male l’avambraccio, Malfoy?»
«Non
mi fa affatto male».
Posò
la mano destra sul marchio nero, esaminandone il gonfiore e i contorni di un
rosso carminio. «Sta capitando a molti, ma i medimaghi
e gli indicibili pensano che presto andrà meglio», spiegò la Granger. Lei evidentemente aveva ancora una concezione
tutta sua di meglio. «Perché non rilassi un po’ il braccio?»
E
come poteva spiegarle che dopo avergli tolto il dominio sulla propria mente, i
suoi carcerieri a poco a poco gli avevano tolto anche quello sul corpo? Non
riusciva nemmeno a ricordarsi come si faceva un movimento brusco, o come si
comandava ai muscoli di essere meno rigidi.
«Va
bene, non fa niente», continuò lei. «Brucerà un po’».
Draco non sentì il calore della pelle
che lo sfiorava, né il bruciore per cui era stato messo in guardia. Draco non sentiva proprio niente, mentre Hermione riversava sul suo braccio un po’ di dittamo che
aveva nascosto nel bottoncino di vetro. Lo massaggiò con energia, ma lievemente,
anche se il rossore non pareva arretrare.
«Non
potevo portarne di più. Prima di far visita ai prigionieri fuori ti
perquisiscono. Non ho neppure la bacchetta con me».
«Quindi
sei indifesa».
Hermione accennò un sorriso. «Siamo tutti
indifesi, ma io non ho passato le ultime sere della mia vita a cena con chi
vorrebbe uccidermi con un bacio».
«No,
eh?»
«Volendo
escludere il tipo che ci ha provato con un alito pestilenziale».
Draco fu certo che il suo non era
migliore, ma era anche certo di non doverci provare con la Granger,
nonostante lei continuasse a spogliarsi: aveva fatto saltare un altro bottone.
«Non muoverti».
Si
era fatta troppo vicina e Draco non riuscì a restare
immobile. Schiacciò la guancia destra contro il muro, mentre i suoi capelli gli
sfioravano il viso. «Vuoi farmi innamorare di te?», annaspò, terrorizzato
dall’eventualità che fosse proprio quella la punizione che gli spettava.
«Malfoy, voltati. E respira».
Scosse
un po’ la testa, prima che lei gli catturasse pure il mento, tenendolo fermo
contro il suo collo. «Non voglio usare l’amortentia
per farti innamorare di una persona che non ti è nemmeno amica. Malfoy, respira. L’amortentia
serve a ricordarti che hai già amato nella vita, e che devi resistere fin
quando non ti tirano fuori di qui. Devi resistere per tutte le cose che hai
amato e continuerai ad amare».
Draco tirò un respiro profondo contro il
collo della Granger: lì il profumo era più forte. Gli
entrava sotto pelle, lo sentiva. Sapeva di limone e luce al cherosene.
Hermione non si mosse, mentre lui ne
assorbiva l’essenza. Posò le mani sul suo petto, sul colletto sgualcito della
maglia e lo pizzicò un po’, tentando di cucire il bottoncino di vetro sull’orletto superiore. «Cerca di non farlo rompere. Contiene
tre gocce di amortentia. Non berle. Solo… continua a
sentirne il profumo tutte le volte che cercheranno di rubarti ricordi e pezzi
di vita».
Draco annuì, non molto lucido. Quando la
vide alzarsi all’improvviso, però, ricordò come si comandava al braccio un
movimento veloce. Le afferrò il polso, anche se non ci vedeva molto bene. «Hermione», la chiamò, tremando. «Passa anche dai miei
genitori».
Lei
si bloccò, tesissima. «Non ho altri bottoni pieni di amortentia».
«Non
fa niente», si affrettò Draco. «Ce l’hai addosso,
come un profumo».
Non
la vide convinta, mentre si portava ancora una mano tra i capelli, come se
fosse possibile averli più scompigliati. Poi la lasciò scendere sul collo, che
in qualche modo si era arrossato.
Draco si chiese se fosse a causa del suo
respiro, prima di chiudere gli occhi e pronunciare parole indicibili, che
sarebbero rimaste segrete nel buio di una cella: «Per favore».
Lei
annuì rapidamente, infilando la porta. Aveva la pelle arrossata, i capelli
disordinati e la camicetta sbottonata.
Draco sorrise un po’, accigliandosi.
Forse, vedendola, qualcuno avrebbe pensato che fosse andata da lui per farci
l’amore, ma nessuno avrebbe capito con che tocco sottile glielo avesse portato,
tutto quell’amore.
Nell’ufficio di Potter, Hermione fissava immobile prima lui, poi il suo più vecchio
amico. Aveva uno sguardo così rabbioso e stupefatto, da far tremare un paio di cioccorane scartate sulla scrivania.
Draco
accennò a una smorfia non molto cortese, massaggiandosi il mento con le dita e
alzandosi velocemente dalla sua sedia. «Assunto che tu non stai mai zitta per
troppo tempo, soprattutto se hai più di qualcuno da attaccare, ne deduco che
sei in imbarazzo, Hermione. Perciò…»
«Malfoy, non
ci provare».
Riconobbe nel suo sguardo una luce che
aveva visto nei momenti della sua vita in cui non c’era più bisogno di amortentia per conoscere l’amore. Si affrettò a continuare,
ignorando il suo sguardo di fuoco. «Perciò Potter, se non ti spiace vado a cioccosospirare lontano dalle maledizioni che vorrà
lanciarti la mia ex-ragazza». Draco si aprì in un
sorriso lievemente teso, scartandosi un’altra cioccorana.
Si premurò di gettare per aria l’ennesima figurina di Ronald Weasley, dare un morso alla testa di cioccolato, e
smaterializzarsi il più lontano possibile dalla bacchetta che lo aveva preso di
mira.
çòç
«Malfoy, se la
tua relazione complicata con gli elfi è di nuovo una scusa per attirarmi qui
dentro…»
«Hermione, certo che è una scusa. Non capisco come
un elfo in calo di autostima possa essere un mio problema». Draco
arricciò appena le labbra, per trattenere un’espressione poco cortese quando
una creaturina spaurita decise che fustigarsi con un
candelabro non sarebbe stato sufficiente a farla redimere dal peccato commesso.
«Lo stai facendo sentire in colpa!»,
trillò lei, esterrefatta. «Che avrebbe fatto per meritarsi tutto questo?».
L’elfo uscì molto contrariato dal suo maldestro tentativo di protezione.
«Io e Blaise
giocavamo con Vittoria XVII, quando a un certo punto la palla gli è finita in
testa. È stato… in realtà ho visto solo i pezzi di vetro a terra, non lo so».
«Come puoi non saperlo?»
Proprio quando i toni stavano prendendo
le fattezze di un interrogatorio, spuntò dall’altra stanza una bambina che era
diventata la sua personalissima piaga:
«Qui c’è la nuova lista dei regali che voglio per Natale. Mi raccomando: devi
fare attenzione e non dimenticarti di barbie luci di stelle. È importante.
Barbie regina dei fiori ha litigato con le altre e ora si sente sola».
Draco
si ritrovò tra le mani quaranta o cinquanta centimetri di pergamena, tutta
fittamente compilata con inchiostro luminosissimo, che già da solo era indice
di quanto potesse essere osceno il contenuto
della lista. Sbatté un paio di volte le palpebre, prima di ritornare da Hermione con sguardo afflitto:«Vedi? Fuggivo da quella. È la tredicesima sorellastra di Blaise e lui le ha fatto credere che io sono Babbo Natale
sotto copertura con la polisucco, e che sono qui, in casa mia, per tenerla d’occhio».
«Notevole. Sei ancora incapace di
startene tranquillo almeno un minuto».
«Hermione…»
«Se il problema dell’elfo era una scusa,
perché io ora ho l’ufficio, il camino e… la doccia
pieni di tue fastidiosissime lettere?»
Draco
si rianimò un po’, ricordandosi del problema che aveva un’assoluta urgenza di
essere risolto. «Parliamo del mio regalo di Natale».
«Malfoy», lo
sguardo oltraggiato della ragazza non prometteva proprio niente di buono. «Assumendo
che io nel giro di dieci giorni perda la memoria, mi ritrovi nei corridoi del
reparto psichiatria del San Mungo a giocare a scacchi con Gilderoy
Allock, dopo aver bevuto una pozione aguzzaingegno scaduta… No,
nemmeno in quel caso ti farei un regalo, mettitelo in testa».
La perplessità sul viso di Draco fu un compendio di arte recitativa e stupore
naturalissimo. «Sul serio? Allora mi spieghi come si è infilata la tua sosia
nel mio specchio?»
Quella giornata doveva essere uno
scherzo del destino. Qualcuno l’aveva aggiunta a tradimento tra le sue giornate
perfette.
Non bastava che il giorno prima aveva
dovuto piangere la dipartita di Vittoria XVII, né che Potter aveva rifiutato di
nuovo la sua proposta per corrompere il direttore di cioccorane nel mondo, né che sempre in quello sventurato frangente avesse
rivisto Hermione cinquantadue ore prima di quanto
aveva programmato, e non bastava nemmeno che la sesta letterina per Babbo
Natale fosse rispuntata nella sua stanza dopo tre volte che le aveva dato fuoco
con molto sentimento. Tutto quello era evidentemente insufficiente per chi
desiderava punirlo. Il giorno dopo, infatti, gli era stato finalmente
consegnato lo specchio che aveva ordinato per la sua stanza di vetro. Era persino più bello di quello fotografato nel
catalogo. Il vero dramma era arrivato dopo, quando dentro lo specchio ci aveva
trovato una Hermione sorridente e adorante, proprio
mentre scartava il bigliettino che gli avevano spedito insieme al pacco: non serve a niente rifugiarsi nei sogni.
Draco
era molto contrariato, ma non poté fare a meno di socchiudere un po’ gli occhi,
quando la vide passare le dita morbidissime sulla superficie splendente dello
specchio. Aveva uno sguardo assorto, e più che una favola, sembrava una
leggenda che parlasse di divinità…
«Non
ci posso credere. La storia dell’elfo con cali di autostima era una scusa. Malfoy, sei
imperdonabile».
«Hermione, certo che era una scusa. Non capisco come un elfo
in calo di autostima possa essere un mio problema». Draco
non tardò a notare la valenza omicida dello sguardo che si era guadagnato. «Ma
giuro che non ti ho trascinata a Malfoy Manor per una cosa da poco».
«Me
lo immagino. Deve essere qualcosa di molto rilevante, come per esempio la
scelta dell’inchiostro con cui mi scriverai gli auguri di Natale pur di non
venire alla tana o… ecco: fare spazio su qualche parete per appendere il
boccino che prenderai alla prossima partita di Quidditch».
«Sono
profondamente offeso», Draco si portò una mano sul
cuore. «Per quello ci sono gli elfi domestici».
La
smorfia sul viso di Hermione si fece ancora più
indignata. «Pensa che ingenua. Ero convinta che avresti ricavato spazio facendo
collassare un paio di ritratti antichi mentre mi presentavi come la tua nuova
ragazza mezzosangue».
Draco per un attimo non poté impedirsi
di fissarla ammirato. «Questo piano è subdolamente geniale» le sorrise. «Se ci
avanza un po’ di tempo lo mettiamo in atto. Ma ora», soggiunse, prima di poter
essere interrotto «devi assolutamente fare quello che ti dico».
«Cioè?»
«Voglio
un albero di Natale. Completamente di vetro».
Draco
sorrise, per un attimo felice, mentre Hermione
scribacchiava qualcosa su una pergamena. Dovevano essere le istruzioni per
liberare lo specchio della sua immagine.
A dire il vero, lui non aveva alcuna
intenzione di liberarlo. In quello specchio Hermione
era più bella di quanto la ricordasse, era immensamente
bella, forse perché non la smetteva mai di sorridere. Lo metteva di
buonumore come il pensiero che fosse di nuovo sua.
Doveva
sapere che era sua. Draco non riusciva nemmeno a
immaginare che in quel momento possedeva qualcosa solo a metà. Hermione doveva essere tutta sua, e lui aveva bisogno di saperlo.
Non
gli importava molto dell’albero di natale, né degli addobbi di vetro. Però ogni
volta che la vedeva con una pallina decorata e lucente tra le mani, si diceva
che dopotutto aver sopportato un branco di elfi domestici che tentavano di
caricare nel salone ottanta palline di vetro non era stato uno sforzo inutile.
Peccato
che già ne avesse rotte una ventina. Il fatto era che quelle assurde palline
non rimbalzavano per niente, e a nulla bastava la sua riconosciuta abilità
sulla scopa mentre le usava come boccino in una sanguinosa lotta con Blaise e il suo ottavo fratellastro. Erano fin troppo
chiassose, erano chiassose persino per uno come lui, che da un po’ non riusciva
a starsene fermo nemmeno un minuto. E se Hermione gli
faceva notare che sembrava una tormenta, o un terremoto o qualsiasi cosa
irruenta e molto disagevole, Draco le si avvicinava,
prendeva un’altra pallina tra le mani e le faceva notare quanto fossero belli i
riflessi del vetro. C’erano stati dei momenti in cui entrambi erano rimasti
incantati, specchiandosi in colori che assorbivano i loro sorrisi e li
rilanciavano negli occhi dell’uno o dell’altra come tesori preziosissimi. Poi Draco la baciava, perché i sorrisi nel vetro erano belli,
ma bocca contro bocca diventavano timbri dalla bellezza ancora più sottile,
ancora più delicata.
Alla
fine ritornava a tormentare le palline di vetro come fossero dei boccini
indistruttibili. Il salone era pieno di pezzi frantumati sul pavimento e
riflessi che parevano di luce lunare. Hermione si
chiedeva tante volte ad alta voce come Draco pensasse
di fare un albero senza applicarsi con gli addobbi, e Draco
a bassa voce spiegava agli altri giocatori come sarebbe stata la faccia della Weasley quando al prossimo incontro Slytherin
contro Gryffindor lui avrebbe preso il boccino, senza
mani. Molte palline furono sacrificate per
questa nobile causa.
Allora
i toni di Hermione crebbero a dismisura, quando gli
fece presente che aveva capito ancora una volta il suo inganno – Ammettilo,
non ti importa proprio niente
dell’albero di Natale. Draco riuscì ad ammetterlo con un candore angelico,
prendendola per mano, prima di mostrarle tutte le vetrate di Malfoy Manor.
Vetro
piombato si alzava fino ai soffitti altissimi, di un verde così brillante da
sembrare un pezzo di bosco modellato dai venti più insistenti. Vetro e acciaio,
insieme, erano barriere che, per quanto belle, sembravano gli abbozzi delle
porte del paradiso.
A
Hermione era mancato il fiato, per un momento.
Draco sapeva cosa significavano per lei.
Tantissime volte, quando era nuda e non molto lucida, gli aveva confessato di
sentirsi come vetro. Come vetro, Draco.
È come se fossi sul punto di cadere, col pensiero che se cado, finisco in mille
pezzi – Perché dovresti cadere? – Ho paura di non saper trovare un appiglio –
Lo troverai – Draco? – Sì? – Mi lascerai cadere? –
Sei come vetro?
C’era
qualcosa di strano, nel suo modo di essere vetro. Lui l’aveva saputo sin dalla
prima volta, ma non aveva capito come dirglielo senza impressionarla. Allora la
assecondava, quando lei si sentiva vetro e gli sussurrava all’orecchio che il
suo respiro era così caldo da sembrare fuoco sulla pelle. Draco
spesso le diceva che il fuoco modella il vetro, e lei non si indignava:
sorrideva, gli posava un bacio tra i capelli, scherzava un po’ – allora
hai studiato, Malfoy – e gli diceva ancora non mi dispiace essere vetro se tu sei il
fuoco, e ancora e ancora vuoi che sia
un modello per la tua bocca o per le tue mani?, e… e se ci bruciamo? – Impossibile. Sei vetro contro acciaio – Tu
non sei acciaio, sei fiamma verde.
Successe
anche quella sera, quando la casa si riempì di una musica fatta di vetro
sottilissimo, per cui ogni nota era una campanella suonata da mani delicate,
col ritmo di chi ha paura ma non può rinunciare all’azzardo di un altro trillo.
Avevi
detto che tua madre non c’era – Infatti – E invece è in salotto ad ascoltare
musica babbana – Prova a dimostrarle che Liszt era babbano, ti sbatterà
fuori di casa – Ma Liszt era babbano!
– Ah, secondo te è possibile suonare certe cose senza avere la magia tra le
dita?
Hermione fu un po’ timorosa e rigida,
quando Narcissa Malfoy li
fece chiamare da un elfo, e col sorriso in bocca si premurò di far notare a
entrambi che non c’era bisogno di nascondersi dietro una porta chiusa davanti a
quadri pettegoli, se volevano ascoltare La campanella.
Era babbano! –
Mi eri sembrata più intelligente quando sei venuta ad Azkaban
per salvare mio figlio – Ma insomma… – è tutta magia, Hermione.
Draco le sorrise divertito, quando lei
uscì dal salotto con il viso fumante di indignazione. Poi dovette faticare un
po’, per trascinarsela nella sua stanza senza nemmeno farglielo notare, per
spogliarla a poco a poco, mentre fingeva di assecondarla.
Lo sapevo, Malfoy!
Era questo il tuo scopo: portarmi nel tuo letto! – Certo! – Altro che albero di
Natale. Non mi hai neppure aiutata – Sei ingiusta. Ho dato i nomi alle palline
di vetro – Le hai chiamate tutte Vittoria – Vittoria… Vittoria, non ha un suono
delizioso, Hermione?
Vittoria
XVII per Draco aveva un suono delizioso, quando
l’adagiarono sul comodino, o sulla pelle, o tra i seni della ragazza, tra un
cuscino e l’altro mentre a loro ne serviva solo uno, tanto erano così vicini…
La campanella per Draco aveva un suono delizioso, dopo
aver dimostrato che sua madre ed Hermione non
sarebbero mai andate d’accordo, ma già si guardavano con rispetto e
ammirazione, sin dalla visita ad Azkaban.
Hermione aveva un suono delizioso, quando
voleva che la abbracciasse, quando gli diceva che lei era vetro e lui fiamma
verde, quando sottolineava che lui non era acciaio, e si lasciava toccare così
in profondità che quando lo chiamava (Draco, Draco, Draco), quando lo
chiamava, la sua voce sembrava quella di una campanella al rintocco più
importante. Sembrava una campanella di vetro al rintocco della mezzanotte.
E quindi non ti importa del Natale, Malfoy – Per niente – Non ti piace? Nemmeno un po’? – Non
lo so. Non è una di quelle domande che posso farmi a cuor leggero. Magari se ne
parla alla prossima sbronza – Non ci credo. Scommetto che adesso ti piace
almeno un po’ – Hermione, se non ci metti tutta la
notte, puoi anche dirmi cos’ha di bello.
A
che servono le luci? Non basto io?
Sei
di vetro?
Non
ti lascerò cadere, Hermione.
Forse
tua madre ha ragione, Malfoy. È tutta magia, ma non
di quella che fa uso di bacchette.
Vittoria
XVII!
Draco richiamò la pallina sorridente,
mentre lei già dormiva, dopo avergli esposto con comica perizia tutte le
delizie del Natale. Draco si era finalmente
assicurato che lei era davvero sua. Era così felice che dovette ripetere
l’incantesimo un paio di volte. Vittoria XVII ne uscì incantata, e diventò lo
scrigno di una scritta che si mostrava soltanto in poche occasioni:
Da
oggi, in questa casa, il Natale dura tutto l’anno.
Anche un anno dopo, La Campanella aveva
un suono delizioso.
Non gli sfuggì il tremore che la colse,
quando fu certa che qualcuno poco lontano aveva fatto partire proprio quella
composizione.
«A mia madre farebbe piacere salutarti, Hermione», intervenne Draco,
tentando di approfittare di quel momento di debolezza.
La vide tremare ancora un po’, mentre
scuoteva la testa. «Ho molto da fare, non posso trattenermi. Per lo specchio…
non chiamarmi più, è tutto scritto qui». Hermione gli
porse un pezzo di pergamena malamente ripiegato, prima di andarsene assicurando
alla tredicesima sorellastra di Blaise che Babbo
Natale era un gran bastardo e che doveva impegnarsi a farlo lavorare
tantissimo.
Ricorda
che sei vetro contro acciaio.
Draco
sbuffò, dedicandosi alla scritta sulla pergamena di Hermione:
Non
serve a niente rifugiarsi nei sogni.
çòç
«Malfoy, si
può sapere che ci fai in casa mia?»
Draco
si sistemò un po’ il cuscino dietro la testa, mentre sedeva comodamente su un
divanetto davanti al camino del soggiorno. Da una piccola mensola di marmo,
Vittoria I lo fissava curiosa. Hermione aveva una
casa piccola, e non sembrava nemmeno di vetro. Era piuttosto una di quelle case
che danno l’idea di essere state intagliate nel legno di una quercia
antichissima, profumava di segreti consumati nel tempo della memoria.
«Perché non ti siedi anche tu?», la
invitò, indicando oziosamente il posto accanto al suo.
«Perché da qui mi è più facile buttarti
nelle fiamme e sbatterti fuori di casa».
«Lo sai, quando mi hai lasciato mi ero
immaginato un risvolto del genere».
Hermione
gli rivolse uno sguardo truce. «Quando ti ho lasciato, Malfoy,
tu immaginavi soltanto il modo all’apparenza più divertente per rompere la
prossima pallina di vetro».
«Come al solito mi sottovaluti. A quello
ci avevo già pensato quando ti ho detto che mai e poi mai avrei voluto
conoscere i tuoi genitori».
Draco
non impiegò molto a capire quanto profonda fosse la ferita che la ragazza aveva
cercato di fasciare con cumuli di indifferenza.
«Ma certo. Sospettavo che non ti fossi
nemmeno impegnato a cercare il modo più gentile per dirmelo».
Si alzò lentamente, allontanandosi dal
calore delle fiamme. La vide arretrare, quando accennò un passo verso di
lei:«Non era mia intenzione essere gentile. È questo che ti ha dato la forza di
lasciarmi, anche se ci hai messo due giorni».
Hermione
aveva gli occhi lucidi, ma non avrebbe pianto; avrebbe tenuto nascoste le
lacrime tra le ciglia fin quando non fossero diventate luce purissima e nulla
più. «Sei venuto per farmi notare che avrei dovuto lasciarti due giorni prima?»
«No, sono venuto a ricordarti che sei
vetro contro acciaio».
E
che lui non era l’acciaio…
«Sono
babbani, Hermione, non
voglio nemmeno sapere come si chiamano».
Si
ritrovò la porta sbattuta in faccia, anche se avrebbe preferito un’altra
dimostrazione di forza.
Ma
lei lo amava così tanto…
Lo
amava di amore tenacissimo, anticipazione del futuro (Sarai forte, Draco), di amore che è fiducia smisurata e frutto di
carezze riservate all’intimità della notte, alla lana di mantelli tanto larghi
da nascondere anche i movimenti più audaci.
Lui
sapeva tutte queste cose perché Hermione, di tanto in
tanto, gliele ripeteva con voce brilla di emozione.
Ma tutto questo cos’è per te?
Amore,
le aveva risposto. Draco le aveva risposto che con
lei riusciva ad amarsi meglio.
Due
giorni dopo averle detto che non avrebbe mai conosciuto i suoi genitori, Draco non aveva ammesso di amarla. L’aveva osservata andare
via, nascondendo una scintilla di soddisfazione negli occhi, prima di prenderla
per la vita, riscaldarle i capelli con un respiro di fuoco, e mormorare
l’affronto più dolce e più doloroso che le avesse mai rivolto:
Ricorda
che sei vetro contro acciaio.
«Malfoy,
sparisci».
«Jane e Matt».
Hermione
non mostrò neppure un po’ del suo stupore. «Devi essere più stupido di quanto
credessi, se pensi che conoscere i loro nomi significhi qualcosa, ora».
«No, significa qualcosa il fatto che già
li conoscevo a giugno».
Vittoria
I, dalla sua mensola in marmo, aveva ammiccato.
Questa
storia partecipa all’iniziativa dell’albero di Natale delle Blue
Ladies. Ho usato come prompt:
pallina di vetro decorata con nome scritto sopra.
Tutto
il resto è triste frutto di qualche notte insonne.
È
strutturata come one-shot. La pubblico in due parti
per evitare di rifilarvi venti pagine tutte in una volta sola.
Io
sono qui: Click a chiedermi perché ho scritto
questa storia quando avevo detto di essere di nuovo in pausa.
A
presto con l’ultima parte!
Filomena