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Autore: Ely79    12/12/2011    3 recensioni
Due stranieri rompiscatole, una donna ingegnere, due gatti meccanici, una airship da corsa guasta. E il tempo che scorre inesorabile nella campagna.
Storia prima classificata al contest "In sei ore" indetto da (Vienne) e partecipante all'"Ipse Dixit - Quote Challenge" indetto da Fabi_Fabi.
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dalle 8:21 alle 9:34
Questa storia si è classificata prima al contest "In sei ore" indetto da (Vienne), i cui risultati verranno pubblicati al termine della fic. Partecipa inoltre all' "Ipse Dixit - Quote Challenge" indetto da Fabi_Fabi.

NICK AUTORE:
ely79
TITOLO: Almond 312
GENERE: Commedia, introspettivo
RATING: Giallo
AVVERTIMENTI: Nessuno
RIASSUNTO: Due stranieri rompiscatole, una donna ingegnere, due gatti meccanici, una airship da corsa guasta. E il tempo che scorre inesorabile nella campagna.
NOTE DELL’AUTORE: l’ambientazione della storia è steampunk, anche se un po’ anomala perché ci troviamo nel Nord Italia e non nel classico contesto vittoriano.


DALLE 8:21 ALLE 9:34

Zeppelin Van Hoefer “Paloma”,
Saletta ingresso

La lancetta scattò sul ventuno quando la donna si affacciò all’oblò, scrutando l’ombra sul prato. Getti d’aria piovevano dalle gondole motore anteriori, pettinando il prato. Visto dall’alto, il paesaggio somigliava a quello del Connecticut: erba verde, filari di alberi, qualche casa, stradine sottili che serpeggiavano senza direzione, un fiume stretto da argini di mattoni. Ciò che, a suo giudizio, rappresentava la quintessenza del nulla.
Sedette sul divanetto di seta damascata crema e bordeaux, allacciando la cintura di sicurezza. Mentre il dirigibile calava lento verso terra, prese a sistemare l’abito. La gonna a vita alta le fasciava i fianchi e non era esattamente comoda per starsene legata a quella maniera; la tornure1 peggiorava le cose, ma avrebbe resistito: si trattava al massimo di un paio di minuti di supplizio. Prese a tormentare con le dita i riccioli biondi, osservando il riverbero delle guarnizioni dorate dello stivaletto sinistro, che dondolavano al ritmo degli ultimi scossoni del gigantesco mezzo di trasporto.
Un breve scampanellio dagli altoparlanti l’avvisò che la discesa era ultimata: mancavano meno di sette piedi a terra. Il tintinnio metallico della scaletta venne attutito dall’erba.
Un panciuto valletto prese ad armeggiare con le chiusure del portello. Ad ogni giro di manovella, sottolineato dall’oscillare delle code della giacca, due gruppi di barre arretravano verso l’interno dell’anta.
«Ci siamo!» esclamò una voce alle sue spalle.
Algernoon Banks giocherellava con un dischetto colorato e un’espressione allegramente compiaciuta dipinta sul volto abbronzato. Era un trentaquattrenne precocemente invecchiato, come testimoniavano le ampie pennellate argentee fra i capelli bruni e impomatati, ma i suoi modi accattivanti e talvolta sopra le righe rimediavano all’illusione.
«Siamo dove? Non c’è niente!» obbiettò, indicando fuori.
La campagna circostante non possedeva particolari attrattive. Era solo piatta campagna contadina, null’altro.
«Ho chiesto di fermarci un po’ prima della nostra meta» spiegò l’uomo con un largo sorriso, indicando un punto in lontananza. «Sai, amo le sorprese».
Così dicendo, raccolse il cilindro dalle mani dell’inserviente e se lo sistemò con attenzione sul capo, in modo che gli eleganti e vistosissimi ornamenti bronzati fossero in favore di chi l’osservava.
«Passate una buona giornata, padrone» salutò il valletto, inchinandosi appena.
«Grazie, Paul. Vedete d’essere puntuali. Abbiamo una tabella di marcia molto più che serrata».
«Ovvio, signore. Non tarderemo, ma mi premurerò di rammentarlo al Commodoro Edwards. Buona giornata, Miss Nora» ossequiò, esibendosi in un elegante baciamano all’ospite.
«A dopo, guanciotte belle!» trillò la donna, facendogli un buffetto che lo lasciò imbarazzato alla sommità della scaletta.
Nora era incapace di resistere alla paffuta rotondità di quel volto, che tanto contrastava con l’espressione seria e compita che mostrava abitualmente.
Alcuni uomini stavano calando un veicolo dalla parte posteriore dell’aeronave, lungo una passerella decisamente più stabile di quella da cui erano scesi. Lei seguì le operazioni aggiustando l’attillata giacchetta color topazio mentre Algernoon controllava spasmodicamente l’orologio da taschino.
«Qualcosa non va?» chiese.
«Le nove in punto» brontolò,  battendo nervosamente il piede a terra.
«Sì?» insisté, facendogli segno di spiegarsi.
«Sì un accidente, mia cara. Siamo tremendamente in ritardo!» sbottò stizzito. «Conviene che ti metta qualcosa sui capelli o sembrerai una pazza quando arriveremo, perché dovremo correre» e le strizzò l’occhio.
Nora roteò gli occhi, verdi come i campi intorno. Per lei la velocità non era una cosa nuova. A maggior ragione da quando l’aveva conosciuto: il mondo era una girandola di luoghi, luci, nomi e colori degna dei quadri che si vendevano a Montmartre.
«A bordo!» esclamò Algernoon, balzando sulla berlina.
Era un modello molto recente, come testimoniava la lucentezza perlacea della carrozzeria, incrostata di decori scintillanti. Uno degli uomini si portò nella parte posteriore e prese ad armeggiare con il motore, smuovendo i contenitori dell’acqua e del combustibile. Con un sospiro roco, il primo sbuffo di vapore confermò l’avviamento. Poco a poco i giri crebbero, come il grigiore del fumo dai tubi di scappamento.
«Al, forse dovrei…» tentò di dire, immediatamente zittita.
«Vieni» insisté bonario, pigiando un pulsante che aprì la portiera dal lato del passeggero. «Prometto di non correre troppo».
Nora prese posto e con uno sbuffo sibilante l’automobile imboccò la strada larga e polverosa che costeggiava il fiume. Al le fece da cicerone, spiegandole che si trattava di un canale artificiale conosciuto come “Naviglio”, la strada veniva detta “Alzaia” e le coltivazioni intorno erano le rinomate risaie del pavese.
«Credi sia una buona idea?» domandò ad un tratto lei, scostando i boccoli dalle labbra.
«Fare questa strada, mia cara? Ahimé, è l’unica che possa condurci là entro mezz’ora».
«Intendevo quella di accompagnarti. Insomma, sai che preferisco non…»
Banks sollevò la mano, senza guardarla.
«Le piacerai» la rassicurò.
«Da come l’hai descritta è il mio esatto opposto».
«Tranquilla, non può detestarti più del sottoscritto. Nessuno mi batte nelle sue antipatie».

Cascina dell’Acqua2,
Primo piano, camera da letto

Sentì qualcosa camminarle addosso, ma scelse d’ignorarla.
«Alzare» scandì una voce metallica.
Da sotto le lenzuola provenne un mugugno indecifrabile, cui rispose un leggero stridio metallico.
«Alzare» ripeté la voce, atona.
«Flapper3, per carità» piagnucolò qualcuno rivoltandosi nel letto.
«Ora. Alzare» insisté con l’identico tono pacato, artigliando le lenzuola e cercando di scostarle.
«Ho sonno» protestò una mano, che trascinò in avanti creatura e stoffa. «Sono stata sveglia fino alle due, per poi alzarmi alle cinque e tornare qui alle sette e mezza passate. Ho il diritto di dormire finché mi va!»
Per qualche minuto tornò a regnare il silenzio, ma si trattava di una tregua strategica. Allo scoccare dell’ora, il richiamo riprese.
«Alzare. Alzare».
Reprimendo un urlo e un calcio – che avrebbe mandato l’intrusa all’altro capo della stanza -, l’ormai ex-dormiente sporse il capo oltre le lenzuola, strizzando gli occhi grigi sull’ammasso di metallo che era la gatta meccanica.
«Che ore sono?» chiese, passando una mano fra i corti capelli castani.
L’occhio sinistro dell’automa ruotò lentamente su un perno, rivelando la faccia posteriore munita d’orologio. Le nove erano passate da due minuti, un orario indecente.
«Va bene, maledizione. Sono sveglia» sospirò mettendosi lentamente a sedere.
Prese un paio di profondi respiri e si alzò, reggendosi alla pediera in ferro battuto. Racimolò il vestiario da vari punti della stanza, ribadendo a sé stessa che doveva essere veramente molto stanca per aver combinato quel macello, lei, sempre al limite dell’ossessivo riguardo all’ordine.
«Dov’è Nove4?» domandò, accorgendosi dell’assenza del compare della gatta.
«Su. Schiena» spiegò sinteticamente quella.
«Più precisamente?»
«Corridoio. Bagno».
La padrona continuò a vestirsi con calma, meditando sulle informazioni appena ricevute.
«Cos’ha rotto questa volta? Il giroscopio?»
«Tubo. Pressione. Arto. Posteriore. Sinistro. E. Snodo. Bacino» elencò.
«Scommetto che ha tentato di nuovo di saltare dalla mensola del bagno».
«Esatto» confermò.
Scosse il capo, spazientita. Nove era stato il suo secondo tentativo di realizzare un gatto meccanico, ma a differenza di Flapper, era riuscito con quello che pareva essere un deplorevole eccesso di personalità. Ammesso e non concesso, che un automa potesse possedere una personalità. A volte le pareva persino di notare un che di perfido nella voce della gatta, ma non poteva essere. Gli automi non avevano sentimenti o reazioni equivalenti. O, per lo meno, nessun tecnico ne aveva mai riscontrati.
Trovarono Nove con le zampe anteriori ripiegate sul muso, dando l’impressione che stesse pensando.
«Sai di essere un imbecille, vero?»
La testa tonda ruotò un poco e un grosso diaframma la mise a fuoco.
«Prova. Interessante. Non. Mi. Hai. Fatto. Per. Volare. Ora. É. Certo».
«E dovevi provare per la terza volta? Non erano bastate le precedenti?»
«Dovevo. Verificare. Tutte. Le. Variabili» rispose il gatto.
La donna lo raccolse senza troppe attenzioni, rivoltandolo per valutare l’entità del danno. A volte si domandava se quelle risposte fossero il frutto di troppi ingranaggi cerebrali o di un settaggio andato male nelle schede perforate all’interno di quella zucca di latta.
«Nove, prima o poi ti smonto. Sempre che tu non lo faccia da te» minacciò.
«Ti. Servo» ribatté, stringendo le lamelle dell’unico, grande occhio.
«Questo è da vedere. Adesso andresti bene come fermacarte».
Con Nove sottobraccio e Flapper alle calcagna, la donna imboccò le scale, reggendosi al corrimano. I gradini sbucavano in un soggiorno rustico, che attraversò per raggiungere la cucina.
Sul tavolo erano disposte in bell’ordine le stoviglie per la sua colazione, mentre sull’acquaio sgocciolavano quelle lavate meno di due ore prima. Agganciò Nove ad un piccolo congegno sul piano di lavoro e ruotò la ghiera per aprire il flusso di vapore. In quelle condizioni la perdita d’energia del sistema era rapidissima. Controllò l’ora: erano quasi le nove e mezza, sarebbero occorse circa due ore per riequilibrare i sistemi di Nove, prima di procedere alla riparazione.
Lasciò i gatti a conversare e sedette a tavola, cominciando a spalmare uno spesso strato di marmellata su una fetta di pane.
«Bussare» miagolò Flapper.
La padrona la guardò di traverso, continuando a masticare con calma la colazione.
«Bussare» ripeté.
«Chi è?»
La gatta infilò la zampa in una presa accanto al congegno di ricarica. I diaframmi oculari si mossero alcune volte, prima di emettere il verdetto:
«Banks» scandì.
«Banks?!» tossì, strabuzzando gli occhi.
Barcollando in preda ai capogiri, percorse a ritroso i propri passi e raggiunse l’ingresso. La gatta la inseguiva, ricordandole di appoggiarsi da qualche parte e smise solo quando si aggrappò di peso alla maniglia. Aprì la porta di slancio, trovandosi di fronte un figuro in abiti da passeggio.
«Salve, Prudenza, amica mia! Dormito bene?» salutò lui sollevando il cilindro, incurante del rapido mutare dell’espressione della donna.
«Che fai qui?» sibilò irritata.
«Non indovini?» la stuzzicò. «E, se tu potessi usarmi la cortesia di parlare inglese… la mia amica non capisce l’italiano come me. Sai, è una coloniale».
«Fatti suoi» sbottò Prudenza, scrutandola con la coda dell’occhio.
Per un attimo fu tentata d’osservarla meglio: una striscia giallo-verde sullo sfondo impolverato del nuovo giocattolo di Banks. Avvolta dall’imbarazzante bicromia, l’americana somigliava ad un incrocio tra un canarino ed un frutto acerbo.



1 Tornure: sellino di crine rigido, che sosteneva la parte posteriore della gonna.
2 Cascina dell’Acqua esiste realmente, ma non è circondata da risaie né è sulla sponda del Naviglio.
3 Flapper: in inglese “valvola a farfalla”
4 Nove: valore della Scala Mohs, indice di durezza dei materiali, pari al corindone. Oltre c’è solo il diamante.

   
 
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