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Autore: Yuki_wo_Koeru    12/12/2011    0 recensioni
Background scritto per un mio vecchio personaggio di Sine Requie, gioco di ruolo a tinte Horror a cui purtroppo non gioco più (per il momento). La storia di una bambina prodigio, dei suoi sogni e le sue ambizioni dietro l'angolo ... ma il 6 Giugno 1944 ... tutto cambiò.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Registrata all’anagrafe come Simona Belcecchi, nacque nel 1929 come terzogenita a Viserba da genitori di ceto medio/alto. Suo padre è un banchiere e sua madre un’impiegata presso uno studio di ingegneria, mentre i suoi due fratelli, Lamberto ed Ancilla, sono rispettivamente un avvocato in praticantato e una studentessa dell’Istituto Magistrale Superiore.
Cresce come un’adorabile bambina gentile e altruista,  eccellente sia nello studio elementare che nelle attività fisiche. Bambina prodigio e orgoglio della famiglia, finite le scuole elementari i genitori vorrebbero per lei un’istruzione al ginnasio così da poter accedere alla facoltà di Scienze Politiche all’Università di Rimini, ma la bambina è ferma e risoluta nel voler intraprendere un corso triennale di avviamento professionale per poi cercare lavoro come infermiera, giustificandola come vocazione che sente fin da quando era più piccola. I genitori dopo un po’ di “tigne” della figlia, accettano la richiesta della bambina, seppur non senza delusione.
Passa pochissimo tempo, nemmeno un mese, e Simona viene chiamata per lavorare in uno dei più rinomati ospedali di Rimini, soprattutto grazie ad una “gentile quota” che il sig. Belcecchi offre al direttore dell’ospedale se avesse fatto assumere sua figlia.
Quote a parte, il lavoro appassiona seriamente, e quando non è impegnata all’ospedale studia i rudimenti della medicina e chirurgia, intenzionata a diventare dottoressa. 
E’ il 1942.
 
Passano due anni, Simona ha 16 anni e lavora sempre allo stesso ospedale. E’ molto apprezzata da pazienti e colleghi per la dedizione e l’impegno che mette nel ruolo come nello studio della medicina. Inoltre, nel frattempo ha avuto modo di fidanzarsi con un ex-paziente dell’ospedale, il coetaneo Gabriele Sforza, finito là dopo una caduta durante un’escursione in montagna. I suoi genitori sanno ed approvano, visto che anche lui è un rampollo di una ricca famiglia della zona. Quello che i genitori non sanno è che lei è incinta al secondo mese, in barba al voto di castità fino al matrimonio.
 
Sembrava insomma una vita come tante. 
 
Fino al 6 Giugno.
 
Quel giorno stava lavorando in una sezione dell’ospedale adiacente l’obitorio quando sentì un urlo di una collega provenire proprio dall’obitorio, corse a vedere e si trovò la sua collega che urlava circondata da bambini Morti usciti dalle celle dov’erano riposti in attesa della camera ardente (c’erano tanti bambini per via di un’epidemia recente che en aveva uccisi tanti). Senza sapere cosa fare ed in preda la panico si avventò sui bambini Morti tentando di allontanarli dalla collega ormai semi sbranata. Ne risultò che i Morti si accerchiarono intorno a lei mentre altre cabine si aprivano ed altri bambini Morti uscivano. Sotto shock, si difese come poteva, lanciando bisturi ed altri oggetti trovati sopra un tavolo, finché non ebbe l’accortezza di rovesciare direttamente il tavolo sopra i bambini e fuggire verso il piano terra. Lì si trovo davanti uno scenario apocalittico, con i Morti che avevano invaso l’atrio dell’ospedale. Fuggì quindi fuori dall’ospedale attraverso una finestra sul retro ed uscì in strada, ma anche lì lo scenario era simile, con Morti che si aggiravano per la strada incontrollati, forze dell’ordine incapaci di arginare l’invasione, e cittadini impazziti che correvano dappertutto. 
 
Sentendosi male, si accasciò in un vicolo nascosto, e lì ebbe un aborto spontaneo, vomitando il feto (dall’utero, si capisce). Si affrettò a recidere il cordone ombelicale e si curò l’emorragia come poteva, anche se per fortuna non era abbondante. Tornata in sé, pensò di ritornare in ospedale e prendere con sé dei medicinali e degli oggetti medici, oltre a beni di prima necessità e il cambio d’abiti, per poi fuggire ancora, cercando di tornare a Viserba dai genitori. L’infiltrazione all’ospedale e la successiva fuga riuscirono, seppure con parecchi pericoli, tra la sua inesperienza in piani di fuga e la debolezza dovuta alla perdita di sangue e bambino.
 
Si trovò dunque in mezzo ad una strada, costretta a muoversi furtivamente per evitare d’incappare nei Morti, verso una città di cui non conosceva lo stato. Dopo due giorni di viaggio riuscì ad arrivare a Viserba, ma la situazione non era dissimile di quella a Rimini: caos, Morti, e nessun vivo in giro. Si diresse in quella che una volta era la sua abitazione, ma la trovò in uno stato pietoso: tutte le finestre rotte, muri bruciati come se ci fosse stato un incendio, e nessun segno di vita all’interno. 
 
Distrutta, girovagò senza metà uscendo dalla città verso le campagne. Sperduta in mezzo alle campagne, trovò riparo in un vecchio rudere abbandonato, almeno per un paio di giorni. Nel ripostiglio dietro il rudere trovò un fucile arrugginito e malfunzionante ed un’accetta, e con quelle armi lasciò il rudere e si avventurò cercando aiuto non sapendo neanche lei da dove cominciare. Dopo una settimana di giri senza meta le provviste finirono, stava per soccombere quando venne trovata svenuta in mezzo ad un sentiero da un gruppo di uomini. 
 
Quando riprese conoscenza, si trovò in un rudere simile a quello che aveva lasciato lei giorni prima, sdraiata su di un giaciglio. La venne a controllare un uomo, il primo vivo che vedeva dopo quasi un mese. L’uomo si presentò come Sandro Corradini, un ex-fabbro di Misano Adriatico datosi alla fuga dal proprio paese dopo il Giorno Del Giudizio insieme a cinque uomini del suo paese, confessando poi il loro obiettivo comune di raggiungere Bologna per provare a ricominciare una vita normale; tant’era l’euforia di Simona nel vedere finalmente un uomo vivo che chiese subito di aggiungersi al gruppo. La richiesta fu ben accettata, soprattutto dopo che raccontò delle sue conoscenze mediche, così si mise in viaggio con i suoi nuovi compagni. 
 
Ciò che sembrava oro colato si rivelò presto essere solo una mera placcatura; non passarono due settimane che venne sottoposta ad un stupro di gruppo da quelli che si rivelarono membri di una setta eretica della branca dei Luciferini, e venne minacciata con un fucile che se avesse osato fuggire o raccontare a qualcuno della setta sarebbe stata uccisa. Venne quindi costretta a far parte della setta, a vedersi rasare la testa e tatuare nella nuca il Baphomet, per assicurare gli uomini che anche se fosse fuggita, appena avesse incontrato un vivente, questo anziché aiutarla l’avrebbe tacciata come eretica e fatta ammazzare. Lei sopportò tutto questo senza fiatare, terrorizzata all’idea di venire uccisa. Sopportò i loro riti, i loro sacrifici (umani ed animali), le loro orge sabbatiche e le loro preghiere ad un Dio Nero in cui non credeva. Imparò a sparare con il fucile, utile quando andavano a caccia di vittime da sacrificare, ma perfezionò anche la sua pratica in chirurgia, ricucendo i tagli profondi che i suoi “compagni” si facevano in ogni parte del corpo per offrire il loro sangue al Dio Nero. 
 
Sopportò tutto questo per un anno e mezzo, finché non ascoltò per sbaglio un discorso de suoi aguzzini per cui la vittima sacrificale del prossimo rito sarebbe stata proprio lei. Immediati furono i piani per architettare la fuga, che avvenne poche sere più tardi; dopo l’ennesima preghiera al Dio seguita dalla “consueta” orgia, attese che i suoi aguzzini fossero in totale trance da oppiacei, si rivestì lentamente e fece per allontanarsi. Era vicina alla porta della cantina abbandonata usata per i riti, quando uno di loro le lanciò un pugnale, che la prese di striscio ad un polpaccio; l’uomo era totalmente sveglio e correva verso di lei. Simona spalancò la porta e corse lungo le scale cercando un qualsiasi oggetto che potesse essere usato come arma, dato che il fucile malmesso e l’accetta con cui fu trovata dagli aguzzini erano stati sequestrati per loro uso e lei non era autorizzata a tenere armi. Trovò solo un vecchio pezzo di legno con dei chiodi malmessi, con cui tese un agguato all’uomo uccidendolo con un fendente alla nuca, gli rubò soldi e vestiti e fuggì il più lontano possibile. Con i vestiti dell’uomo ucciso rimediò una bandana e qualche straccio per coprirsi meglio che poteva. Si diresse quindi a Cesena, dove trovò riparo momentaneo in una locanda. Il terrore che gli eretici avessero trovato il loro compare morto e che ora fossero sulle sue tracce era forte, tanto da non farla dormire. Decise quindi per l’impensabile: s’intrufolò in un negozio e ne rubò delle parrucche, ne indossò una alla bell’è meglio e fuggì ancora verso Forlimpopoli. Vi arrivò nel pomeriggio, non prima di essersi sporcata la faccia di terra per essere meno riconoscibile ed aver indossato una parrucca diversa, messa meglio della prima. Nel prenotare la locanda dove avrebbe passato la notte dette un nome falso, Martina Casagrande. Quella notte riuscì a dormire quasi tranquilla. La mattina dopo, scendendo, notò seduti ad uno dei tavoli una coppia di uomini alti e robusti il doppio di lei, che discutevano sull’andare a Bologna per degli “incarichi”. 
 
Attaccò discorso con loro dicendo di essere anche lei intenzionata a dirigersi a Bologna, chiedendo loro un passaggio facendo un po’ gli occhi dolci. Inteneriti (o maliziosi) i due accettarono di scortarla fino a Bologna. Partirono quella mattina, il viaggio trascorse senza particolari problemi, e giunsero a Bologna nei tempi prestabiliti dai due. Lì lei volle insistere per assistere al loro “lavoro” di Cacciatori di Morti, promettendo cure mediche adeguate in caso di pericolo. I due, grandi grossi ma un po’ tonti, accettarono ancora. In effetti ci fù bisogno di lei, perché uno dei due si ferì gravemente ad una gamba e solo un intervento tempestivo di Martina salvò la gamba da amputazione certa. I due uomini videro in lei una valida alleata, e le chiesero di seguirli anche nelle prossime missioni, diventando una Cacciatrice a tutti gli effetti. Lei accettò immediatamente e si unì a loro. 
Era il gennaio del 1946. 
 
Da quel momento non smise più la professione, continuò per qualche tempo a compiere missioni con quel gruppo di uomini, finché una sera di tre mesi dopo, durante una serata all’insegna del vino (comprato in comunione per festeggiare la buona riuscita di una missione), uno di loro totalmente ubriaco la prese per i “capelli” facendole cadere la parrucca, rivelando i suoi veri capelli. il tatuaggio fortunatamente non fu notato, ma lei atterrita fu costretta ad uccidere i due uomini, cambiare parrucca, disfarsi di quella vecchia e fuggire ancora per le campagne. Nella prima diocesi cui chiese una missione come Cacciatrice si presentò come Barbara Falaschi.


 
- Aspetto
Alta 170cm circa, allo stato attuale porta capelli rosso rame all’apparenza naturali lunghi metà schiena tenuti fermi da una treccia. Occhi cerulei, fisico snello.
Si presenta con una sorta di “divisa” da Cacciatore, composta da stivali alti al ginocchio (ormai immancabili in tutti i pg), pantaloni neri stretti infilati dentro gli stivali e quella che una volta doveva essere una giacca mimetica di un soldato grande e grosso, tagliata e riadattata a vestito, con sotto una canottiera bianca. Porta sempre un cappello per non far vedere che l’attaccatura dei capelli è palesemente di una parrucca ed ha perennemente la faccia sporca di fuliggine.
I suoi modi di fare sono quelli di una signorina di ceto medio/alto, dal modo di camminare ancheggiando anche quando imbraccia un fucile, all’alzare il mignolo portandosi un bicchiere alla bocca. A volte tenta goffamente di nascondere questo lato quasi regale, ma invano.
Ha un tatuaggio ben nascosto sulla nuca, scomodo ricordo di quando per disperazione si appoggiò ad una setta di eretici Luciferini per sopravvivere. 
 
- Carattere.
Il suo tarocco è il Diavolo.
All’apparenza socievole, quando arrivano i segni dell’astinenza da sigarette diventa nervosa e intrattabile. Per deformazione professionale non riesce a negare cure mediche a chi ne ha bisogno, a meno che non sia ferita anche lei. In quel caso, la precedenza assoluta và alla salvaguardia di sé stessa. Come già detto nella descrizione, ha una tatuaggio rappresentante un Baphomet sulla nuca, simbolo di quando apparteneva ad una setta minore dei Luciferini, da cui fuggì. Quel tatuaggio ovviamente deve rimanere coperto, e i suoi capelli ormai sono abbastanza lunghi, ma per sicurezza indossa una parrucca e si sporca la faccia per nascondere il suo aspetto reale. Dal Giorno Del Giudizio ha la fobia di neonati e bambini, soprattutto Morti.
  
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