Son, it’s
time to make a change
Paul Karofsky si
avvicinò
in silenzio alla porta della stanza da letto di suo figlio, sepolta
sotto un
enorme poster della Linea KLM, la linea di attacco più forte
di tutti i tempi
dell’hockey.
Dave adorava
quello
sport, esattamente come lui, ed entrambi erano soliti seguire
avidamente ogni
partita durante il weekend, spaparanzati comodamente sul divano nel
soggiorno a
urlare e tifare come due ossessi.
Tante cose,
grandi e
piccole, li univano da sempre; si amavano profondamente, avevano sempre
avuto
un rapporto bilanciato e stretto, ma da tanti mesi ormai…
qualcosa si era
spezzato. In David.
E Paul non
riusciva a
comprendere cosa fosse successo, quale fosse stato l’evento
che aveva dato
origine a quel crollo improvviso nella vita di suo figlio.
Voti, sicurezza,
sorriso.
Tutto travolto,
franato.
E se non fosse
stato per
la sua abilità e i suoi agganci al McKinley, non sarebbe
riuscito a evitargli
una sacrosanta espulsione qualche tempo prima.
Tutti quei
pensieri però
svanirono in una nuvola di fumo non appena spalancò la
soglia di legno e scorse
Dave, accucciato sul letto, gli occhi chiusi e un’espressione
sofferente sul
viso.
Il cuore gli si
strinse
in una morsa dolorosissima, che gli mozzò il respiro. Non ce
la faceva più a
vedere il suo unico figlio continuamente depresso, prostrato e chiuso
in un
mutismo impenetrabile.
Avrebbe
assaltato e
distrutto la fortezza in cui si era come rinchiuso. Ad ogni costo, si
promise.
“David”
– lo chiamò.
Il ragazzo si
sciolse
dalla posizione fetale in cui si era sistemato e si mise a sedere sul
materasso.
L’unica
risposta che Paul
riuscì a ottenere fu un lieve cenno della testa, come se in
quel modo lo stesse
autorizzando a parlargli.
“E’
dal ballo di fine
anno di due giorni fa che tocchi a malapena qualcosa da mangiare. Posso
prepararti qualcosa adesso, nel caso ti fosse venuto un po’
di languorino”- gli
disse teneramente, avvicinandosi al letto e appoggiandosi al suo bordo.
Dave scosse il
capo,
triste.
“Ti
ringrazio papà, ma
non ho per niente fame”- affermò spento, gli occhi
verdi e marroni circondati
da cerchi violacei.
Non si nutriva
bene e in
aggiunta non dormiva tanto, era chiaro.
Paul si
allarmò con tutta
la forza che aveva dentro di sé.
Il primo impulso
che gli
venne dalla bocca dallo stomaco fu quello di infuriarsi, cercando
risposte a
domande che non sapeva nemmeno come porre, che non aveva la minima idea
quali
potessero essere.
Si sentiva un
genitore
snaturato, il peggiore mai esistito nella storia.
Stava assistendo
alla
caduta libera di David ogni giorno di più e sembrava non
essere in grado di
fornirgli un appiglio, un salvagente, una rete di sicurezza.
Trovò
comunque in qualche
angolo della sua anima la fermezza per continuare a insistere. Quel
pomeriggio
avrebbe scoperto tutto, non ci sarebbe stata altra soluzione o
alternativa.
“Dave”-
sussurrò
avvicinandosi al figlio, che intanto si era nuovamente sdraiato sulle
coperte.
“Mi vedi? Sono tuo padre, l’uomo che ti ha
cresciuto da quando tua madre ci ha
lasciato. Sono qui, davanti a te, anche se mi sento invisibile,
tagliato fuori
da troppo tempo ormai. Cosa ti sta succedendo? Cosa è
capitato al ballo di così
tremendo?”
Dave chiuse le
palpebre e
si massaggiò le tempie, come se si stesse sforzando
nell’impedire alla propria
testa di scoppiare in quell’esatto istante.
“Non
è successo niente.
Tranquillo. Adesso vorrei riposare
però…” – e interruppe la
frase, sfinito
dalle sue stesse bugie e dal tono poco convinto e convincente usato.
“Lo
sai che puoi dirmi
tutto, no? Lo sai che qualsiasi cosa tu abbia fatto, o sia successa, o
ti sia
capitata, io sono e rimarrò sempre tuo padre? E ti
starò vicino, pronto a
sostenerti?”- affermò Paul, il palato secco dalla
tensione per l’appello che,
sperava, Dave accogliesse, aprendosi.
Il ragazzo
sobbalzò
quando sentì il padre parlargli a quel modo, così
cordiale e comprensivo.
Paul se ne
accorse e
decise di abbattere quella barriera, sfruttando quella piccola breccia
che si
era venuta a creare.
Avrebbe
trasformato
quella minuscola crepa una voragine nei suoi muri d’acciaio.
“Non
ti ho mai visto
ridotto così, nemmeno quando mamma se ne è
andata. Forse perché eri molto più
piccolo, non ti rendevi conto di tante cose… Il punto
è che stai soffrendo, non
so per quale motivo ed è da mesi che questa cosa si sta
trascinando. Quando hai
rischiato di farti espellere, ti sei rifiutato di dirmi una sola parola
riguardante il tuo comportamento. E l’ho accettato,
difendendoti comunque. Poi
la situazione è sembrata migliorare, eri tornato a essere
più rilassato, più
contento. Da un paio di giorni, sei precipitato di nuovo nel tunnel
invece. Sei
catatonico e mi impedisci di starti accanto. Ma stavolta, non ti
lascerò
affondare… se non mi parli e mi dici cosa diavolo tieni, non
risolveremo mai
nulla”- affermò l’uomo, sicuro e con
voce fermissima.
Colse un breve
lampo
nello sguardo di Dave, ma non seppe definire cosa fosse.
Stava lottando
con se
stesso, quello era dannatamente certo.
L’unica
cosa che
desiderava era che gli aprisse anima e mente, dicendogli qualsiasi
cosa, senza
timore di niente.
“David”-
si limitò ad
affermare, afferrandogli una mano e stringendogliela con delicatezza.
“Ti
prego, parlami”- lo
implorò quasi.
Dave lo
guardò, per dei
momenti quasi eterni. In un secondo, Paul vide la sua bocca piegarsi
all’ingiù
e le lacrime iniziare a scendergli sulle guance, copiose.
“Papà…”-
fu tutto che
riuscì a dirgli prima di tuffarsi tra le sue braccia e
cominciare a
singhiozzare disperatamente.
Gli
sembrò quasi di
essere tornato indietro nel tempo, a quando Sarah era scomparsa in quel
maledetto incidente stradale ed erano rimasti solamente loro due e i
pezzi
della loro famiglia da incollare. A quando Dave era piccino, fragile, e
aveva
bisogno di lui per sostenersi e vivere dopo il lutto.
“Shhhhh,
shhhhh”- gli
sussurrò all’orecchio, cercando di calmarlo e di
evitare che il pianto si
trasformasse in una crisi isterica di singulti e lo contagiasse.
Doveva essere
forte anche
lui, per trasmettere la stessa forza a David; solo così gli
avrebbe parlato.
Dopo lunghi
minuti di
abbracci e lucciconi, Dave riuscì a calmarsi e a
regolarizzare i propri
respiri.
Si
sistemò, trafisse Paul
con uno sguardo profondo e si decise, col terrore che gli gonfiava il
petto e
gli faceva ballare il cuore, a confessargli il segreto più
grande della sua
vita, il fardello che lo stava uccidendo lentamente da mesi.
“Papà,
io sono gay”-
soffiò la sua voce, rotta e scossa.
L’aveva
finalmente detto.
Ad alta voce. A suo padre.
Aveva appena
fatto coming
out e non se ne rendeva minimamente conto.
E, mentre
osservava il
volto del suo genitore e realizzava ciò che aveva appena
fatto, sperimentò
dentro di sé la paura più folle mai immaginata,
nemmeno nei suoi incubi più
orribili.
Il timore di non
sentirsi
accettato dall’uomo che lo aveva cresciuto e messo al mondo
fu talmente enorme
che si sentì affogare dentro il panico, che ormai gli
scorreva mischiato al
sangue e ai sospiri.
“Sei
sicuro?”- gli
domandò stranito Paul.
Aveva pensato a
tutte le
opzioni, le aveva tutte passate mentalmente ogni sera prima di
addormentarsi, chiedendosi
cosa avesse Dave.
Ma quella non la aveva mai presa in
considerazione, anche perché quel
ragazzone alto amava gli sport, era mascolino, adorava la palestra e
l’attività
fisica, manco sapeva cosa fosse vestirsi senza sembrare una persona che
prendeva a caso dall’armadio i propri abiti… Non
aveva mai ravvisato segnali,
di alcun tipo.
Apprendere
quella notizia
fu sconvolgente per Paul.
Semplicemente,
percepì
con chiarezza la vita cambiargli tra le dita in un battibaleno.
Fu come se gli
venisse
gettata una secchiata di acqua gelida da capo a piedi e si
sentì letteralmente
sotto choc.
Poi, con ancora
quella
frase di tre parole echeggiante tra le pareti della camera, fece vagare
lo
sguardo negli occhi umidi e gonfi di Dave.
Suo figlio,
sangue del
suo sangue.
E vi lesse sollievo.
Per la prima
volta da
infiniti mesi.
David era gay,
lo aveva
scoperto e glielo aveva ammesso, anche se dopo molte resistenze e Dio
solo
sapeva dopo quante guerre interiori, andando incontro
all’ignoto della sua
reazione, che avrebbe potuto essere tragicamente negativa.
Invece, era
stato
coraggioso.
Un vero uomo.
Dave gli fece un
debole
sorriso, che gli rischiarò i lineamenti del volto, contratti
dall’ansia.
“Sì,
papà, ne sono certo.
Al mille per mille”- dichiarò con i pochi residui
di energia che gli erano
rimasti. Si sentiva sfinito, stanco, svuotato.
E con la paura
di venire
ripudiato o cacciato di casa da un secondo all’altro.
Invece, Paul lo
abbracciò, così forte da soffocarlo quasi. Dave
si lasciò andare a quel
contatto e a quel calore, incamerandolo e facendolo suo.
Capendo tutto,
senza che
si fossero ancora scambiati una parola.
“Va
bene, David. Non
posso nasconderti il fatto che la cosa mi colga veramente di sorpresa
ma non
devi preoccuparti di niente adesso. Ci sono io qui con te”-
gli disse, sincero.
Nella sua mente
si figurò
l’immagine di Dave affianco ad un ragazzo, abbracciati,
innamorati. E lui,
finalmente, con un sorriso candido a incorniciargli gote e mento.
Fu strano
trovarsi a fare
i conti con quel futuro vagheggiato per Paul, gli lasciò
addosso una sensazione
strana, insolita.
Non era una cosa
semplice
a cui abituarsi, ci avrebbe messo un po’ di tempo ad
assimilare il tutto e a
trasformarlo in qualcosa di rasserenante.
Ma era
già sicuro del
risultato finale: ce l’avrebbe fatta a lunga distanza. E Dave
stesso lo avrebbe
poi aiutato in quel percorso di completa accettazione.
Si sarebbero
sostenuti a
vicenda, in ogni momento.
Paul avrebbe
fatto
qualsiasi cosa pur di rendere felice suo figlio, nutriva troppo amore
per lui per
impedirgli di essere se stesso.
“Papà,
mi dispiace non avertelo detto prima.
Avevo paura di deluderti, di non renderti più fiero di me.
Non avrei potuto
perdere anche te dopo mamma, non ce l’avrei fatta. Credimi,
ho provato a
combattere questa cosa, ma più ci provavo più ero
infuriato e più mi infuriavo
più mi sentivo stanco di vivere”- gli
confessò, i singhiozzi nuovamente pronti
a scoppiare in gola e a scuotergli le spalle.
“Non
potresti mai
deludermi, figliolo. Mai. Sei e rimani mio figlio. Niente e nessuno
cambierà
mai questa cosa”- gli borbottò
nell’orecchio, attirandolo a sé in una stretta
forte come una tenaglia.
Doveva solo
partire col
piede giusto, voler bene a suo figlio per ciò che era e
tutto sarebbe andato
per il meglio.
“Magari
avresti voluto
che mi sposassi con una brava ragazza, che avessi dei nipoti, che ti
rendessi
nonno… e adesso ti ho tolto tutto questo”-
sostenne Dave.
Temeva di
avergli rubato
dei sogni, una parte di futuro.
Paul si
lasciò andare a
una curva sulle labbra.
“Puoi
sempre sposarti col
tuo compagno. Il mese prossimo a New York voteranno una legge per il
matrimonio
omosessuale, sai? E per quanto riguarda i nipotini… anche se
adottati, li
amerei come se fossero miei perché sarebbero cresciuti da
te”- disse senza ragionare
quasi.
Non gli
importava niente
delle nozze o dei bambini in quel momento. Ci avrebbero pensato quando
sarebbe
stato tempo.
L’unica
cosa che
realmente contava era che era riuscito a ristabilire una connessione
con suo
figlio. Dave si era fidato di lui, lo aveva accolto nel suo intimo, nei
suoi
tormenti e doveva mostrargli fiducia e sostegno per ripagarlo
dell’occasione
concessa.
Omosessuale o
meno, David
era la cosa più preziosa che la vita gli avesse mai donato e
sarebbe stato
disposto a fare qualsiasi sacrificio per lui.
E accettare la
sua
sessualità gli pareva una cosa piccolissima da fare rispetto
all’esistenza
piena di spensieratezza e, infine, priva di malinconia che Dave si
sarebbe
costruito nel giro di poco.
Finalmente, Paul
capiva
fino in fondo Burt Hummel e il suo comportamento nei confronti di Kurt,
il modo
in cui ne prendeva le difese, l’amore che gli dimostrava
concretamente
permettendogli di vivere l’esistenza che desiderava condurre,
anche se il mondo
glielo avrebbe volentieri impedito.
Ormai, lui e
Dave non
sarebbero mai più tornati al passato, ai silenzi dolorosi,
ai segreti pesanti.
Non si sarebbero più voltati indietro, manco per sbaglio.
Li attendeva solo una
nuova strada, fatta di curve e salite scoscese, ma che li avrebbe
condotti verso
qualcosa di migliore.