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Autore: speranza19    13/12/2011    2 recensioni
Si sentiva un genitore snaturato, il peggiore mai esistito nella storia.
Stava assistendo alla caduta libera di David ogni giorno di più e sembrava non essere in grado di fornirgli un appiglio, un salvagente, una rete di sicurezza.
[Dave/Paul Karofsky]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dave Karofsky
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Son, it’s time to make a change

Paul Karofsky si avvicinò in silenzio alla porta della stanza da letto di suo figlio, sepolta sotto un enorme poster della Linea KLM, la linea di attacco più forte di tutti i tempi dell’hockey.

Dave adorava quello sport, esattamente come lui, ed entrambi erano soliti seguire avidamente ogni partita durante il weekend, spaparanzati comodamente sul divano nel soggiorno a urlare e tifare come due ossessi.

Tante cose, grandi e piccole, li univano da sempre; si amavano profondamente, avevano sempre avuto un rapporto bilanciato e stretto, ma da tanti mesi ormai… qualcosa si era spezzato. In David.

E Paul non riusciva a comprendere cosa fosse successo, quale fosse stato l’evento che aveva dato origine a quel crollo improvviso nella vita di suo figlio.

Voti, sicurezza, sorriso.

Tutto travolto, franato.

E se non fosse stato per la sua abilità e i suoi agganci al McKinley, non sarebbe riuscito a evitargli una sacrosanta espulsione qualche tempo prima.

Tutti quei pensieri però svanirono in una nuvola di fumo non appena spalancò la soglia di legno e scorse Dave, accucciato sul letto, gli occhi chiusi e un’espressione sofferente sul viso.

Il cuore gli si strinse in una morsa dolorosissima, che gli mozzò il respiro. Non ce la faceva più a vedere il suo unico figlio continuamente depresso, prostrato e chiuso in un mutismo impenetrabile.

Avrebbe assaltato e distrutto la fortezza in cui si era come rinchiuso. Ad ogni costo, si promise.

“David” – lo chiamò.

Il ragazzo si sciolse dalla posizione fetale in cui si era sistemato e si mise a sedere sul materasso.

L’unica risposta che Paul riuscì a ottenere fu un lieve cenno della testa, come se in quel modo lo stesse autorizzando a parlargli.

“E’ dal ballo di fine anno di due giorni fa che tocchi a malapena qualcosa da mangiare. Posso prepararti qualcosa adesso, nel caso ti fosse venuto un po’ di languorino”- gli disse teneramente, avvicinandosi al letto e appoggiandosi al suo bordo.

Dave scosse il capo, triste.

“Ti ringrazio papà, ma non ho per niente fame”- affermò spento, gli occhi verdi e marroni circondati da cerchi violacei.

Non si nutriva bene e in aggiunta non dormiva tanto, era chiaro.

Paul si allarmò con tutta la forza che aveva dentro di sé.

Il primo impulso che gli venne dalla bocca dallo stomaco fu quello di infuriarsi, cercando risposte a domande che non sapeva nemmeno come porre, che non aveva la minima idea quali potessero essere.

Si sentiva un genitore snaturato, il peggiore mai esistito nella storia.

Stava assistendo alla caduta libera di David ogni giorno di più e sembrava non essere in grado di fornirgli un appiglio, un salvagente, una rete di sicurezza.

Trovò comunque in qualche angolo della sua anima la fermezza per continuare a insistere. Quel pomeriggio avrebbe scoperto tutto, non ci sarebbe stata altra soluzione o alternativa.

“Dave”- sussurrò avvicinandosi al figlio, che intanto si era nuovamente sdraiato sulle coperte. “Mi vedi? Sono tuo padre, l’uomo che ti ha cresciuto da quando tua madre ci ha lasciato. Sono qui, davanti a te, anche se mi sento invisibile, tagliato fuori da troppo tempo ormai. Cosa ti sta succedendo? Cosa è capitato al ballo di così tremendo?”

Dave chiuse le palpebre e si massaggiò le tempie, come se si stesse sforzando nell’impedire alla propria testa di scoppiare in quell’esatto istante.

“Non è successo niente. Tranquillo. Adesso vorrei riposare però…” – e interruppe la frase, sfinito dalle sue stesse bugie e dal tono poco convinto e convincente usato.

“Lo sai che puoi dirmi tutto, no? Lo sai che qualsiasi cosa tu abbia fatto, o sia successa, o ti sia capitata, io sono e rimarrò sempre tuo padre? E ti starò vicino, pronto a sostenerti?”- affermò Paul, il palato secco dalla tensione per l’appello che, sperava, Dave accogliesse, aprendosi.

Il ragazzo sobbalzò quando sentì il padre parlargli a quel modo, così cordiale e comprensivo.

Paul se ne accorse e decise di abbattere quella barriera, sfruttando quella piccola breccia che si era venuta a creare.

Avrebbe trasformato quella minuscola crepa una voragine nei suoi muri d’acciaio.  

“Non ti ho mai visto ridotto così, nemmeno quando mamma se ne è andata. Forse perché eri molto più piccolo, non ti rendevi conto di tante cose… Il punto è che stai soffrendo, non so per quale motivo ed è da mesi che questa cosa si sta trascinando. Quando hai rischiato di farti espellere, ti sei rifiutato di dirmi una sola parola riguardante il tuo comportamento. E l’ho accettato, difendendoti comunque. Poi la situazione è sembrata migliorare, eri tornato a essere più rilassato, più contento. Da un paio di giorni, sei precipitato di nuovo nel tunnel invece. Sei catatonico e mi impedisci di starti accanto. Ma stavolta, non ti lascerò affondare… se non mi parli e mi dici cosa diavolo tieni, non risolveremo mai nulla”- affermò l’uomo, sicuro e con voce fermissima.

Colse un breve lampo nello sguardo di Dave, ma non seppe definire cosa fosse.

Stava lottando con se stesso, quello era dannatamente certo.

L’unica cosa che desiderava era che gli aprisse anima e mente, dicendogli qualsiasi cosa, senza timore di niente.

“David”- si limitò ad affermare, afferrandogli una mano e stringendogliela con delicatezza.

“Ti prego, parlami”- lo implorò quasi.

Dave lo guardò, per dei momenti quasi eterni. In un secondo, Paul vide la sua bocca piegarsi all’ingiù e le lacrime iniziare a scendergli sulle guance, copiose.

“Papà…”- fu tutto che riuscì a dirgli prima di tuffarsi tra le sue braccia e cominciare a singhiozzare disperatamente.

Gli sembrò quasi di essere tornato indietro nel tempo, a quando Sarah era scomparsa in quel maledetto incidente stradale ed erano rimasti solamente loro due e i pezzi della loro famiglia da incollare. A quando Dave era piccino, fragile, e aveva bisogno di lui per sostenersi e vivere dopo il lutto.

“Shhhhh, shhhhh”- gli sussurrò all’orecchio, cercando di calmarlo e di evitare che il pianto si trasformasse in una crisi isterica di singulti e lo contagiasse.

Doveva essere forte anche lui, per trasmettere la stessa forza a David; solo così gli avrebbe parlato.

Dopo lunghi minuti di abbracci e lucciconi, Dave riuscì a calmarsi e a regolarizzare i propri respiri.

Si sistemò, trafisse Paul con uno sguardo profondo e si decise, col terrore che gli gonfiava il petto e gli faceva ballare il cuore, a confessargli il segreto più grande della sua vita, il fardello che lo stava uccidendo lentamente da mesi.

“Papà, io sono gay”- soffiò la sua voce, rotta e scossa.

L’aveva finalmente detto. Ad alta voce. A suo padre.

Aveva appena fatto coming out e non se ne rendeva minimamente conto.

E, mentre osservava il volto del suo genitore e realizzava ciò che aveva appena fatto, sperimentò dentro di sé la paura più folle mai immaginata, nemmeno nei suoi incubi più orribili.

Il timore di non sentirsi accettato dall’uomo che lo aveva cresciuto e messo al mondo fu talmente enorme che si sentì affogare dentro il panico, che ormai gli scorreva mischiato al sangue e ai sospiri.

“Sei sicuro?”- gli domandò stranito Paul.

Aveva pensato a tutte le opzioni, le aveva tutte passate mentalmente ogni sera prima di addormentarsi, chiedendosi cosa avesse Dave.

Ma quella non la aveva mai presa in considerazione, anche perché quel ragazzone alto amava gli sport, era mascolino, adorava la palestra e l’attività fisica, manco sapeva cosa fosse vestirsi senza sembrare una persona che prendeva a caso dall’armadio i propri abiti… Non aveva mai ravvisato segnali, di alcun tipo.

Apprendere quella notizia fu sconvolgente per Paul.

Semplicemente, percepì con chiarezza la vita cambiargli tra le dita in un battibaleno.  

Fu come se gli venisse gettata una secchiata di acqua gelida da capo a piedi e si sentì letteralmente sotto choc.

Poi, con ancora quella frase di tre parole echeggiante tra le pareti della camera, fece vagare lo sguardo negli occhi umidi e gonfi di Dave.

Suo figlio, sangue del suo sangue.

E vi lesse sollievo.

Per la prima volta da infiniti mesi.

David era gay, lo aveva scoperto e glielo aveva ammesso, anche se dopo molte resistenze e Dio solo sapeva dopo quante guerre interiori, andando incontro all’ignoto della sua reazione, che avrebbe potuto essere tragicamente negativa.

Invece, era stato coraggioso.

Un vero uomo.

Dave gli fece un debole sorriso, che gli rischiarò i lineamenti del volto, contratti dall’ansia.

“Sì, papà, ne sono certo. Al mille per mille”- dichiarò con i pochi residui di energia che gli erano rimasti. Si sentiva sfinito, stanco, svuotato.

E con la paura di venire ripudiato o cacciato di casa da un secondo all’altro.

Invece, Paul lo abbracciò, così forte da soffocarlo quasi. Dave si lasciò andare a quel contatto e a quel calore, incamerandolo e facendolo suo.

Capendo tutto, senza che si fossero ancora scambiati una parola.

“Va bene, David. Non posso nasconderti il fatto che la cosa mi colga veramente di sorpresa ma non devi preoccuparti di niente adesso. Ci sono io qui con te”- gli disse, sincero.

Nella sua mente si figurò l’immagine di Dave affianco ad un ragazzo, abbracciati, innamorati. E lui, finalmente, con un sorriso candido a incorniciargli gote e mento.

Fu strano trovarsi a fare i conti con quel futuro vagheggiato per Paul, gli lasciò addosso una sensazione strana, insolita.

Non era una cosa semplice a cui abituarsi, ci avrebbe messo un po’ di tempo ad assimilare il tutto e a trasformarlo in qualcosa di rasserenante.

Ma era già sicuro del risultato finale: ce l’avrebbe fatta a lunga distanza. E Dave stesso lo avrebbe poi aiutato in quel percorso di completa accettazione.

Si sarebbero sostenuti a vicenda, in ogni momento.

Paul avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di rendere felice suo figlio, nutriva troppo amore per lui per impedirgli di essere se stesso.

 “Papà, mi dispiace non avertelo detto prima. Avevo paura di deluderti, di non renderti più fiero di me. Non avrei potuto perdere anche te dopo mamma, non ce l’avrei fatta. Credimi, ho provato a combattere questa cosa, ma più ci provavo più ero infuriato e più mi infuriavo più mi sentivo stanco di vivere”- gli confessò, i singhiozzi nuovamente pronti a scoppiare in gola e a scuotergli le spalle.

“Non potresti mai deludermi, figliolo. Mai. Sei e rimani mio figlio. Niente e nessuno cambierà mai questa cosa”- gli borbottò nell’orecchio, attirandolo a sé in una stretta forte come una tenaglia.

Doveva solo partire col piede giusto, voler bene a suo figlio per ciò che era e tutto sarebbe andato per il meglio.

“Magari avresti voluto che mi sposassi con una brava ragazza, che avessi dei nipoti, che ti rendessi nonno… e adesso ti ho tolto tutto questo”- sostenne Dave.

Temeva di avergli rubato dei sogni, una parte di futuro.

Paul si lasciò andare a una curva sulle labbra.

“Puoi sempre sposarti col tuo compagno. Il mese prossimo a New York voteranno una legge per il matrimonio omosessuale, sai? E per quanto riguarda i nipotini… anche se adottati, li amerei come se fossero miei perché sarebbero cresciuti da te”- disse senza ragionare quasi.

Non gli importava niente delle nozze o dei bambini in quel momento. Ci avrebbero pensato quando sarebbe stato tempo.

L’unica cosa che realmente contava era che era riuscito a ristabilire una connessione con suo figlio. Dave si era fidato di lui, lo aveva accolto nel suo intimo, nei suoi tormenti e doveva mostrargli fiducia e sostegno per ripagarlo dell’occasione concessa.

Omosessuale o meno, David era la cosa più preziosa che la vita gli avesse mai donato e sarebbe stato disposto a fare qualsiasi sacrificio per lui.

E accettare la sua sessualità gli pareva una cosa piccolissima da fare rispetto all’esistenza piena di spensieratezza e, infine, priva di malinconia che Dave si sarebbe costruito nel giro di poco.

Finalmente, Paul capiva fino in fondo Burt Hummel e il suo comportamento nei confronti di Kurt, il modo in cui ne prendeva le difese, l’amore che gli dimostrava concretamente permettendogli di vivere l’esistenza che desiderava condurre, anche se il mondo glielo avrebbe volentieri impedito.

Ormai, lui e Dave non sarebbero mai più tornati al passato, ai silenzi dolorosi, ai segreti pesanti. Non si sarebbero più voltati indietro, manco per sbaglio.

Li attendeva solo una nuova strada, fatta di curve e salite scoscese, ma che li avrebbe condotti verso qualcosa di migliore.

  
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