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VIEWS.
15 aprile 2011.
Laura Fanelli
maggiorenne.
Incredibile, no?
Avevo già vissuto diciotto anni della
mia vita, ma erano passati talmente in fretta, che dubito tutt'ora di
essere cresciuta per davvero. Temo che la mia età celebrale
non
supererà mai il periodo adolescenziale.
Era una bella giornata e
non potevo crederci
neppure io. Ero, e sono tuttora sempre stata maledettamente sfigata
quando si
tratta di tempo meteorologico; forse però, quel giorno ero
miracolosamente riuscita a fregare Dio, in un modo o nell'altro,
distraendolo così che non si ricordasse di me.
Ma Dio esiste?
Bah, finchè non sarà
scientificamente provato, dubito che ci crederò mai; anzi,
pur ponendomi qualche dubbio atroce -senza però sfociare
però in sgraditi
pensieri filosofici-, continuerò a cercare nell'ombra un
qualcuno
da insultare semmai dovesse andarmi tutto a puttane.
Per il momento
mi accontentavo di Dio, ma sicuramente se fossi nata in un'altra
parte del mondo avrei cominciato a prendere a parole Buddha o che so,
Allah.
Come si può intuire facilmente dalle mie
parole, non sono propriamente quella che si può definire una
ragazza
allegra e solare. Ecco spiegato perchè non volessi alcuna
festa per
i miei diciotto anni, né tanto meno un regalo. Ma a quanto
pare i
miei desideri erano gli ultimi a dover essere realizzati il giorno del
mio compleanno.
Mi organizzarono un party a sorpresa.
Uno stupido,
odioso e inutile insieme di gente che pensa solo ad ubriacarsi a
spese degli altri; che fingono di essere lì per te quando
poi non
sanno neppure che sei proprio tu la festeggiata. Stufa della
falsità
e della puzza di alcool che aleggiava nell'aria del mio salotto, dopo
la prima mezz'ora mi nascosi in camera mia, ascoltando musica rock a
tutto volume e cercando di coprire il rumore insensato, che proveniva
dallo stereo del piano di sotto.
Legalmente parlando, dopo
quel giorno avevo molti più
diritti e doveri di prima: dipendevo solo e soltanto da me stessa. Ad
essere sincera però, la differenza, se c'era, era talmente
minima da
essere impercettibile. Mi sentivo esattamente come si sente una
diciassettenne, o una sedicenne, o anche una quindicenne. Un'eterna
bambina insomma, peccato che mano a mano che i miei pensieri
diventavano più corposi ed importanti cominciai a rendermi
conto che
l'età dell'allegria, delle cazzate e del menefreghismo stava
per terminare e dovevo iniziare a comportarmi da adulta.
Io.
Da adulta.
Mi lasciai andare ad una risata: io non sono fatta per essere adulta,
sono nata per non invecchiare mai, perlomeno di mentalità.
Anche
perchè non avevo nessuna intenzione di ridurmi come quelle
signore
di paese che dopo averti individuato chiedendoti chi sono i tuoi
genitori, cominciano ad assilarti con le solite frasi fatte, del tipo
“si stava meglio quando si stava peggio” e le loro
splendide
storie sui tempi della guerra.
No; tutto ma non questo. Rimarrò sempre una fantastica
giovincella spensierata.
Durante la serata, varie
volte venne Marco a chiedermi perché non
scendevo, era evidente che avrebbe voluto farmi uno dei suoi primi
discorsi da fratello maturo e responsabile, ma era inutile
perché
non riusciva a trovare le parole giuste.
I quattro anni che aveva più
di me scomparvero tutti insieme quando lo vidi impacciato sulla porta
della mia camera. Mi fissava cercando di dire con parole contorte
qualcosa sul divertimento e lo stare in compagnia. Era quasi dolce e
sorrisi appena, ma lo liquidai in fretta con una scusa
qualsiasi.
Ora
che il tramonto della vita si faceva più vicino e incombeva
sulle
mie giornate volevo godermi un po' di sana solitudine.
Ormai avevo
diciotto anni, ma non sapevo quale sarebbe stato il mio futuro,
dovevo cominciare a pensarci sul serio: per quanto mi facesse paura e
volessi evitarlo, dovevo crescere prima o poi. Esaminai una per una
tutte le carriere possibili che avrei potuto intraprendere, lasciando
un segno nella storia. Ci doveva pur essere qualcosa in cui fossi
abbastanza brava da poter far ricordare di me alla gente, ma
più ci
riflettevo e più mi rendevo conto che la strada giusta per
me
non esisteva.
Non sarei mai diventata una
musicista di fama internazionale,
non
avrei mai scalato l'Everest con i polsi legati,
non sarei mai andata
sulla luna a colonizzarla e creare condizioni favorevoli alla
vita,
non avrei mai scoperto una cura per il cancro,
non avrei mai scritto
un best seller,
non sarei diventata ricca,
non avrei mai avuto una
fantastica carriera politica né tantomeno avrei cambiato il
mondo.
Forse era giusto che Laura Fanelli rimanesse nell'ombra, che nessuno
sapesse di lei. Perchè dopotutto non avevo niente di
speciale,
dovevo solo trovare un lavoro come tutte le altre persone. Un
semplice mal retribuito lavoro che mi avrebbe permesso di vivere in
modo mediocre. Senza una famiglia, senza dei figli, perchè
crescerebbero senza un modello da seguire, senza voglia di diventare
grandi e gli trasmetterei la mia visione triste e sconsolata della
vita, che forse non sarà veritiera, ma era pur sempre
soggettiva e
quindi indipendente dalla realtà.
Soprattutto poi, non mi
sarei mai
voluta sposare, perchè sposarsi è ciò
che c'è di più stupido ed
insensato. Legarsi ad una persona in maniera così forte,
diventare
subordinati al proprio partner e subire passivamente i cambiamenti
del mondo standoli a guardare senza mai muovere un dito. Io ero nata
per essere anticonformista, per modificare le cose sbagliate e
migliorare le giuste. Perchè, per quanto fossi sicura della
mia
totale incapacità nel fare tutto, sapevo che avevo una
grande forza
di volontà, un coraggio invidiabile e una speranza morta e
sepolta,
ma che avrei potuto far risuscitare se avessi trovato qualcosa per
cui ne valesse la pena.
Il futuro incombeva tragicamente sulla mia
vita.
Spettava a me gestirlo.
Ed è con questi pensieri
rivoluzionari che vivo la mia vita. Nulla è per sempre. Lo
so.
Tranne forse quei sentimenti che ormai conosco bene, ma che allora ho
fatto di tutto per evitare, non sapevo ancora a cosa andavo incontro.
Ero ingenua forse, ma molto combattiva.
Decisi di chiudere il portatile, dal quale ormai dipendevo, nonostante non sapessi usarlo e non mi interessasse impararlo; e mi andai a distendere a letto, stringendo il mio cellulare, stretto tra le mani.
Un attimo dopo la porta si aprì ed un tizio che non avevo mai visto prima si affacciò guardandosi attorno perplesso. Era bello, di una bellezza forse un po' banale, ma che mi colpì da subito. Alto, forse troppo, con delle spalle squadrate, braccia possenti, capelli biondi ma non troppo, con due occhi penetranti e verdi. Il massimo che qualsiasi ragazza potesse desiderare, ma sicuramente un bell'aspetto per quanto banale fosse, comportava un carattere insopportabile. Lo fissai incerta, in cerca di spiegazioni.
<< Ehm…questo non è il bagno? >>
Chiese lui con espressione persa. Era proprio affascinante, la sua voce cupa ma liscia e piacevole scaldava chiunque la ascoltasse. Mi lasciai ipnotizzare, se avesse avuto cattive intenzioni avrebbe potuto schiavizzarmi senza incontrare troppa resistenza. Scossi la testa e riacquistai il mio carattere freddo e distaccato che da sempre mi contraddistingueva, ma non riuscii a non far prendere alla mia voce un'incrinazione quasi dolce che lui notò con un certo compiacimento.
<< Ti sembra un bagno? >>
<< Non è che potresti dirmi dov’è? Ne avrei un bisogno urgente >>
Il suo sorrisetto mi innervosì e mi sembrava talmente buffo mentre si teneva i gioielli di famiglia cercando di resistere dalla tentazione di farsela nei pantaloni. Sorrisi anch'io, ma divertita e decisi di temporeggiare.
<< E perchè dovrei dirtelo? >>
<< Dai, il giorno del proprio compleanno si è sempre più buoni. >>
Soffriva come un cane. Senza riuscire a trattenermi scoppiai in una risata rumorosa. Lui mi guardò storto, ma non fece domande. Io intanto raggiunsi la consapevolezza che effettivamente quel tizio non l'avevo mai visto e, mentre la mia risata si smorzava pian piano mormorai qualcosa del tipo: << Io non ti conosco! Tu come fai a sapere che è il mio compleanno? >>
<< Si
tratterà di intuito? >> Chiese lui
sorridendo.
Feci una smorfia strana .
<< Questa non
è una risposta! >>
<< Ti conosco di vista. Faccio il quinto
G >>
<< Che strano che io non ti abbia mai
notato >>.
<< Sono un tipo piuttosto timido e
riservato. Sarebbe stato strano il contrario >>
<< Allora è un piacere averti
conosciuto >>
<< Grazie, ma se non ti dispiace adesso potresti... >> Non terminò la frase ma indicò la sua vescica nervosamente.
Risi di nuovo: per quanto il suo gesto non volesse essere ambiguo, lo sembrava proprio. Comunque, ormai impietosita dal suo sguardo sofferente, gli spiegai dove si trovasse il bagno. Lui fece un cenno con la testa e scappò via correndo nella direzione che gli avevo indicato. Notai che aveva lasciato la porta aperta, ma per pigrizia non mossi un dito, tentando di chiuderla con la sola forza del pensiero, ma, come si può immaginare bene, fallii miseramente.
Dopo qualche ora, mio fratello Marco tornò nella stanza, stavolta mi si sedette accanto, accarezzandomi, con fare quasi paterno, la guancia. Gli sorrisi stancamente e attesi che parlasse.
<< Lo so che non ne hai voglia, ma dovresti scendere. Sai, il taglio della torta non si può fare senza festeggiata >>.
Annuii e senza
controbattere mi tirai su e lo seguii al
piano di sotto.
Mi aspettavo molto peggio. Il salone non era messo
poi tanto male e tutti, ma proprio tutti avevano lo sguardo rivolto
verso le scale ed attendevano la mia discesa. Li guardai cercando di
incrociare lo sguardo di ognuno di loro, ma notai un ragazzo che non
osservava dalla mia parte. Era girato e se ne fregava altamente di
me. Ne rimasi affascinata, mi attraeva il mistero, quella sua aria di
superiorità, ma allo stesso tempo da eterno modesto. Dopo
qualche
interminabile secondo che trascorsi a fissarlo, finalmente
alzò il
capo e mi sorrise.
Era il tizio di poco prima.
Scossi la testa e
raggiunsi il tavolo con la splendida torta che padroneggiava su di
esso. Era davvero bellissima ed il mio nome scritto a lettere
cubitali, per qualche attimo, mi fece sentire talmente importante da
essere al centro del mondo. Scoprii i denti in un sorriso forse
eccessivo e, dopo aver ascoltato il coro stonato, che mi dedicava tanti
auguri, pensai al mio desiderio. Mi resi conto di non averne nessuno,
ma mi concentrai meglio e ne trovai uno che faceva proprio al caso
mio.
Volevo innamorarmi e
vedere il lato bello del mondo, della vita
e delle piccole cose.
Conoscendo l'amore avrei conosciuto la gioia di
vivere.
Grazie ad un semplice incontro con un meraviglioso
sguardo chiaro e maledettamente misterioso, avevo capito finalmente che,
se volevo, potevo davvero
cambiare il mondo; ma senza far nulla di eccezionale: solo cambiando
prospettiva.
Perchè per ogni cosa negativa ne esistono un migliaio
di positive, che spesso non vediamo, non notiamo,
non riusciamo a captarle, ma ci sono. Sempre.