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Autore: crimsontriforce    15/12/2011    2 recensioni
Ultime ore dell'ispettore Cabanela. Cronaca di una sconfitta.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*prende una carrettata d'amore per il capitolo 15 (the only one that matters ever, come giustamente riassume Shledzguohn), la spiaccica sullo schermo e viene fuori questa cosa qui*
Quattro temi a raccogliere tutt... buona part... alcune riflessioni nate nel rimirare tale meraviglia di narrazione, da quando Yomiel sbatte la porta lasciandosi indietro la sua vendetta a base di berretti di lana in poi.
Originariamente erano cinque parti, ma mi sono ricordata in corso d'opera che questo non è Myst (ehi, sono cose difficili da capire, se si è me, abbiate pazienza) e si possono usare anche altri numeri *cough* e che se una cosa è ridondante è meglio toglierla, soprattutto quando il resto è già troppo lungo, mamma mia doveva essere una serie di drabble...
Anche per il Calendario dell'Avvento di magic-reservoir (eh, GT, è Natale...), 12 dicembre. :)







Non vedrà l'alba





La tela si tinge

Finiva lì. A meno che un miracolo non bussasse alla porta di quell'ufficio scalcagnato in mezzo ai rifiuti, la sua guerra privata finiva lì, in una bolla calda e accogliente di fallimento mentre fuori la notte s'infittiva nelle ultime ore prima dell'alba. Era ancora vivo, sconfitto (o quaaasi, ma aveva giocato una mano rischiosa e aveeeva proprio perso, perso un proiettile e un orologio), inutile e costretto a fare qualche conto con se stesso nella calma prima che il prof risalisse le scale dalla fogna in cui si era salvato. Scacciò il ricordo dell'altro presente, sdoppiato e tremulo per qualche istante, poi monco, come una cicatrice che lottasse per rimarginarsi senza trovare carne viva su cui far presa, quando il suo altro tempo si era interrotto con un proiettile in fronte.
In pratica non era cambiato molto, si confessò. Il suo tempo era finito prima della fine. Così poco prima della fine, baby, un piccolo sfooorzo, no? No. Aggrottò le sopracciglia. Ci aveva provato.

Il respiro si allungava, rauco sotto il peso acuto di costole rotte, e Cabanela ricordava gli anni in cui le notti in bianco scivolavano leggere alle sue spalle, chiazze di luce e musica a collegare il grigiore di un giorno in ufficio al successivo. Passati anche quelli. Notti in bianco. Quella notte sì sarebbe dovuta essere bianca, impeccabile e immacolata – chinare la testa e vedere il casino in cui era terminata era uno schiaffo all'orgoglio, ma aveva finito le forze per reagire.
Strinse i denti e imparò ad apprezzare altri colori: il grigio caldo delle pareti, abbastanza spento da non ferirgli gli occhi e da stendere un sipario dignitoso sul suo spettacolo. Svolazzi azzurri accompagnati da rimbrotti stanchi per migliorare l'educazione di un piccione che già rispondeva al suo nome e la mattina si azzardava a tubare solo dopo il secondo snooze della sveglia. Era sicuro che ci fosse un commento graffiante nell'aria, qualcosa sui piccioni che – ma era troppo vago, modellarlo in una battuta degna del professore avrebbe richiesto impegno.
Infine, nel rosso tranquillo con cui Sissel li aveva circondati si ritagliò una pausa, una riflessione, uno squarcio di tempo immobile e guadagnato. Tempo per guardare in faccia un fantasma che era e non era il suo passato. Cabanela sapeva pensare in rosso: l’intensità decisa del colore era un invito, una spinta in avanti, era sulla sua lunghezza d'onda. La seguì come uno spartito, impostando un racconto di incertezze e successi al ritmo delle domande di Sissel, e si sentì di affermare senza timore che i secondi fossero stati più grandi e importanti del mare di nulla da cui erano partiti. Aveva avuto una direzione. Quando anche la conversazione smise di riguardarlo, vide come chi era rimasto in piedi non avesse intenzione di mollare.

Si scoprì grato che quella vendetta (dovuta, baby, meritata, quello che vuoi. Ma non dopo Alma, hai perso ogni diritto, non con quelle parole e non ora, non ora) si fosse consumata di fronte alle volute calde della stufa, senza trascinare fuori dalla porta le sue ossa stanche. Fuori c'era la discarica con i suoi verdi e i suoi blu malsani, i colori stridenti della spazzatura, il cielo tinto del'alone artificiale della città oltre gli archi di luce fredda dei lampioni più vicini. Lì dentro poteva restare nel rosso.
Un tempo aveva mirato più in alto. Si mise comodo e se lo fece bastare.





Convergenza d’illusi (Nulla è logico, non dal calar del sole)

“Questa è una notte di miracoli”, aveva scritto Lynne a bordo del suo quaderno rosa, quello così segreto che gliel'aveva visto in mano, arrotolato e stretto come un portafortuna, ogni giorno dacché aveva finito l'addestramento. “Dove sono i miei miracoli?”
Maiuscolo e in penna rossa, ricalcato e sottolineato, quel desiderio ancora infantile era riuscito a strappare un sorriso a Cabanela all'inizio della notte: non riusciva a non rivedersi nelle speranze della sua bambina, nonostante gli anni e i gradi di distanza. Stesso percorso, lungo binari paralleli e sfalsati. Stesso obiettivo, stessa cocciuta speranza fin sull'orlo del precipizio – la differenza era che Cabanela confidava in un risultato, non sperava in un miracolo. I miracoli capitano, i risultati conseguono e come capo dell'Unità Investigativa Speciale aveva imparato ad abbandonare i sogni e mettere un cauto piede davanti all'altro (e spostarlo a lato, e batterlo, e piroetta). Un giorno il suo risultato si sarebbe avvicinato fino ad arrivare in vista, da ottenere ai suoi termini, al suo ritmo, e allora si sarebbe preparato ad accoglierlo. Non prima. Se avesse proseguito al traino delle sue stesse aspettative, l'eventualità che quel giorno potesse non arrivare mai ad avvicinarsi abbastanza sarebbe stata un colpo troppo duro da ingoiare.

Ma quando fosse stato sicuro che quel giorno si fosse fatto vicino si sarebbe preparato ad accoglierlo con stile degno della sua reputazione, sicuro, impeccabile: doveva allestire un Gran Discorso che non poteva permettersi di lasciare al caso. ...Coreografia really, ma nel suo quotidiano le due cose tendevano a concidere. E quel Discorso, se mai se ne fosse presentata occasione, sarebbe stato degno di cinque anni e di notti insonni, a viso aperto, potendo finalmente ridere dell'indagine perché se l'era lasciata alle spalle e non perché non doveva importare a nessuno fuorché a lui. Un “Visto che tu non ti credeeevi l'ho fatto io, baby” o un qualcosa del genere, un “Nothing like it – nothing to it per meglio dire”, ma doveva ancora pensarci, e gesti bianchi uno dopo l'altro, perché non aveva niente da nascondere, solo da spiegare, un mucchio di giorni da spiegare. Cinque anni di incomprensioni iniziavano a saltare al naso anche a lui, ma che importava? Tutto si sarebbe chiarito al finire delle danze. “Hai piena facoltà di offrirmi da bere, baby”, avrebbe detto, all'incirca.
O avrebbe potuto atteggiarsi a cavalier servente, paladino dalla giacca scintillante, per puro gusto di tornare ad arruffargli le penne (e rispedire al mittente quella gloriosa legata al dito di sette anni prima, perché veramente Jowd, “Piuttosto Merlino, ma nel senso di diavolo mancato” a chi? Ed erano sobri, tutti e due). Se avesse risposto a tono, smontando la sua pantomima battuta dopo battuta, lasciandolo a ridere di se stesso e delle sue assurdità, avrebbe avuto la certezza che una parte del passato fosse tornata al suo posto. Se invece l'avesse preso sul serio... forse per una volta se lo sarebbe meritato.
Ma più probabilmente si sarebbe limitato a fare il detective fiero del proprio lavoro, la volta che fosse riuscito a trascinarlo per un orecchio in un tribunale e a tirarcelo fuori innocente.

Ok, self, baby, forse un pochiiino ci hai pensato.

Non che cambiasse molto, ridotto com'era e senza nuove dai suoi ragazzi appostati là fuori. Preferiva continuare a pensare che il grande show della sua vittoria fosse una massa ancora informe da preparare con calma, in privato, misurando le pause e i tempi delle battute.

Così quando il suo miracolo gli rise in faccia e irruppe nella stanza non seppe che pensare, sprofondò nella sedia e restò zitto.





Il tunnel alle spalle resta buio

Alma non sarebbe tornata. Questo lo sapeva. Lynne non sarebbe tornata bambina e sapeva anche questo, la vedeva ogni giorno affannarsi da sorella e madre. Jowd era marcito in prigione con la sola compagnia dei suoi pensieri chiusi e circolari, senza nessun volontario che glieli risbattesse sul grugno uno per uno prima che diventassero pericolosi o che lo prendesse in contropiede con un paradosso ben piazzato, senza nemmeno la via d'uscita di Kamila – dèi, Kamila.
Avevano perso tutti almeno cinque anni. I più fortunati. Sarebbe corso a fare da scudo a tutti loro dalle ombre che erano rimaste sul loro cammino, ma rimaneva alla fastidiosa mercé di due gambe poco collaborative. Avrebbe espiato a tempo debito.
Per il momento restò a osservare la normalità schiacciante di Jowd che arrivava e gli soffiava l'indagine, com'era giusto che fosse, come doveva girare il mondo, e Lynne al seguito con gli occhi che le brillavano.

Lungi dall'essere perfetto, ma ne era valsa la pena. Almeno per quello. Una piccola parte del presente che voleva aveva ripreso a scorrere.
Si chiese cosa avrebbe potuto fare di meglio – ignorò, per il momento, la voce insistente che diceva “lo sai benissimo e lo sapevi anche dieci anni fa”. Dopo quello.
Se ne sbaglia sempre una, baby.





Soffice, caldo e fine

Si sentì spostato. Movimenti sgraziati, gomiti ovunque. Si dichiarò che se c'era una cosa che odiava più di non avere controllo sull'ordine in cui i suoi muscoli eseguivano un casqué era l'affidarlo a un veterinario mancato.

Almeno gli avevano lasciato il cappello. Aveva, singolare: sentiva il berretto di lana appollaiato come una cornacchia sui ciuffi irrigiditi dal gel e non c'era da dubitare di chi fosse l'autore di una simile alzata d'ingegno.
“Se stai cercaaando di lanciare una moda”, biascicò, ma il Prof non sembrò prestargli attenzione e non era davvero sicuro di aver pronunciato tutta la frase. Forse stava parlando a sua volta, ma non riuscì a concentrarsi a sufficienza per capire di cosa né con chi.
E non stava succedendo nulla. Di nuovo. Odiava le attese – tutto il tipo sbagliato di tensione.
Sissel lo osservava in silenzio, palese nella sua preoccupazione anche sotto la massa degli occhiali scuri: l'angolo della bocca era teso, la fronte aggrottata, con le mani cercava un polsino o un bottone della giacca senza poi sapere che farsene, fino a che non perdeva consistenza scivolando in un oggetto o nell'altro.
Poteva sollevarlo da quello strazio tendendogli la mano e riportandolo per qualche tempo nello spazio ovattato dei fantasmi, certo. In quelle pause tornava volentieri a scherzare, a cercare di capire chi avesse davvero davanti con battute angolate che non trovavano riscontro, a scoprire un'intesa con il piccolo guerriero protettore di Kamila, ma il punto era proprio che dovevano aspettare. Nel mondo reale. Che due persone reali raggiungessero un risultato reale.
Cercò, sentendo di avere una presa salda almeno sul pavimento (l'esserci sdraiato sopra poteva aver giocato un qualche ruolo nella situazione), di raggiungere un compromesso accettabile di presentabilità, che almeno somigliasse alla posa di un eroe caduto più che a quella di un mucchio di lenzuola cui è stato sbagliato il lavaggio. Finì per urlare.
Quando riprese conoscenza, perfino il benedetto piccione lo stava guardando storto.

Il tempo passava e bruciava.
“Sissel. Per favore. Riportali indietro, baby. Tutti e tre”, disse in un momento di lucidità. Non sufficiente a riconoscere di aver barattato il pavimento dell'ufficio per un materasso né ad aprire gli occhi e scoprire il bianco di una stanza di ospedale.

Lontano, sotto il mare, lo spirito di Sissel scomparve da quel presente. Quel presente scomparve insieme a lui.




















Note: l'ultima volta che ho avuto così tanto da dire su una singola maledetta stanza ero a K'veer =/
'nyways.

@peeerso proiettile e orologio: sono il suo gambetto, ma non può avere certezza che pagheranno. (a tal proposito – posso dire chi mi sembra veramente il più “one-step-ahead” in questa trama? No?)
@ la cosa di Merlino: mi sono scavata la fossa da sola e l'unica soluzione che ho trovato è un po' troppo nerd, me ne scuso. Certe fonti danno Merlino come figlio di un diavolo destinato a diventare l'Anticristo ma poi no perché fu battezzato. Se Cabanela aveva provato ad atteggiarsi a Galahad o che so io, e ipotizzando che si possa citare il ciclo arturiano in quest'ambientazione (cosa di cui dubito tantissimo, ma transeat)... posso vedermi selfappointed!Artù!Jowd che lo smonta così XD
@ this is a time of miracles – where my miracles at?: citazione diretta da sworcery. Amo amo AMO i testi di quel gioco.
@ normalità di Jowd che arriva e gli soffia l'indagine: lo dice lui nel gioco.
@ soffice, caldo e fine: fine nel senso di finale, perché la mamma mi ha fatta leziosa.
@ sentirsi spostato + finire in ospedale: il finale del capitolo timeskippa due ore. Quando Sissel si telefona sullo Yonoa, Cabanela è scomparso dal campo visivo. Per me ha senso che abbiano chiamato un'ambulanza... il Prof comunque è dottore in medicina.
@ Cabanela e Missile potenziali BFF: un po' lo dice il finale, un po' lo dice Shari e in effetti i punti di contatto ci sono XD
   
 
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