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Autore: ViolentSehnsucht    16/12/2011    1 recensioni
Non c'è nulla di peggio che essere amati senza amare. Ma non è colpa mia. Il rapporto con qualcuno di diverso dalla Solitudine, è scaduto.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La sposa del faro

Viene per certi uomini il momento
in cui devono dire il gran Sì
o il gran No. Subito si vede chi dentro
ha pronto il Sì e pronunciandolo va
verso gli onori e il suo convincimento.
Nemmeno chi rifiuta si pente. Richiesto di nuovo
nuovamente avrebbe detto no. Ma questo
no –così giusto– l’angustia per la vita
.
«Che fece… il gran rifiuto», Konstantinos Kavafis.

La sposa stava lì, sulla spiaggia e contemplava estasiata il mare. L’acqua le lambiva vivacemente gli orli merlettati del vestito e le scarpe già sporcate dalla rena. Dietro la sposa, lo sposo la guardava teneramente contemplare la distesa d’acqua che non aveva mai visto. Anche le damigelle, dietro, sembravano degli enormi bignè glassati inteneriti dall’infantile stupore della sposa. Quando gli occhi di lei conobbero il faro, la sua vita si stravolse completamente per la seconda volta.

Sara era una ragazza solitaria, viveva da sola e quattro banali chiacchiere con banali conoscenti le bastavano come vita sociale. Preferiva rifugiarsi in polverose pagine antiche che in rumorosi centri commerciali. Talvolta si immaginava cosa si potesse provare ad avere una vita mondana colma di eventi e incontri, ma alla fine non soffriva mai davvero per la sua solitudine. Un giorno, però, aveva conosciuto Carl, un ragazzo goffo ma intelligente. L’amore divampò in fretta tra i due e Sara venne subito inglobata nella numerosa cerchia di Carl. La famiglia di lui non era del tipo a cui Sara era abituata: cresciuta come unica figlia di due taciturni e geniali ricercatori, le apparve aliena l’amorevole e invadente vena dei familiari di Carl. E quei calorosi e ciarlieri amici che si trovava a frequentare ogni sera la stranivano. Piacevolmente, ma la stranivano. La solitudine stava soffocando e forse Sara non lo voleva. “Forse” perché quel sottile senso di malessere che percepiva, l’aveva etichettato come semplice ansia pre-matrimoniale. Ma nel suo cuore, celato, stava il desiderio di condividere la sua solitudine con qualcuno senza sopprimerla. Così, quando vide il faro e le vennero in mente tutti gli affascinanti racconti sul guardiano di quel luogo, in Sara nacque qualcosa. Capì che tutta la folla di invitati che le stava alle spalle non era ciò che desiderava, quegli abiti sgargianti e addobbati sarebbero stati una gradevole vista soffusa solo dal faro. Il tempio della solitudine. Capì che cosa avrebbe dovuto fare per assecondare finalmente il suo cuore. Erano i primi dolci giorni di ottobre e Sara aveva riscoperto se stessa. Due settimane passarono veloci per la sposa, chiusa in quella casa per preparare continui banchetti con amici e parenti di Carl. Si sarebbe sentita oppressa se non fosse stato per le finestre che incorniciavano il faro. Soleva rimirarlo ipnotizzata per ore, desiderando raggiungerlo. Col passare del tempo, la chiamata del faro si fece sempre più insistente, così che per Sara divenne il chiodo fisso, l’unica priorità. Si sentiva anche cattiva a preferire il faro a suo marito. Non capiva cosa stesse succedendo ma sapeva che se non avesse accolto l’invito del misterioso amante, le conseguenze sarebbero state gravi: solo lui avrebbe potuto guidarla. Era passato per metà novembre e Sara era ancora bloccata tra quelle pareti, trattenuta solo dai sensi di colpa verso il povero buon Carl. Ma il faro non amava Carl, amava Sara e il suo desiderio dolorosamente insoddisfatto incupì il cielo e rese nevrasteniche le acque. La sposa sapeva che il faro si stava disperando, così quel venerdì si decise. Mise in un cassetto il vincolante ricordo di Carl, indossò l’abito da sposa e andò alla spiaggia. Il vento ululava e l’eccitazione del faro, da dietro le nubi illuminava, le acque erano in fermento; gioiosi putti pronti a traghettare Psiche da Amore.

La sposa chiamò le due persone che avevano testimoniato al sacrilego matrimonio con l’uomo, quel giorno sarebbero stati testimoni del suo scioglimento: Penelope aveva disfatto definitivamente la tela, Arianna non poteva più filare la salvezza di Teseo attendendo che questi l’abbandonasse. Il fratello di Carl, Nero, e la zia di Sara, Tania, giunsero sul posto e videro la sposa con aria folle contemplare la burrasca. Fu un attimo. Mentre Tania proponeva di andare in un luogo più caldo e riparato e Nero chiamava Carl, la sposa si lanciò in acqua. Le onde frementi la ghermirono e iniziarono a scortarla al faro, ma il poliziotto Nero –formato da anni di coraggiosa impudenza mercenaria– si gettò all’inseguimento. Le onde incollerite si gonfiarono minacciose e scatenarono la loro gelida furia contro l’uomo che serrava le dita attorno al vestito della sposa e la trascinava via, irrompendo nella cerimonia, affrontando i messi del faro, allontanandola dal suo sposo. Nero riuscì a caricarsi Sara sulle spalle, sebbene questa strepitasse e si dimenasse come un pesce appena pescato. Un flutto potente sbilanciò Nero che cadde e lasciò Sara, la cui fronte colpì violentemente uno scoglio. L’uomo la riacciuffò subito, la prese delicatamente ma saldamente in braccio e riuscì stremato a uscire dall’acqua. Sul bagnasciuga le onde erano ormai serpentelli schiacciati dai tacchi delle scarpe che scudisciavano. Questa volta Orfeo aveva affrontato l’ira degli Inferi per salvare Euridice. Carl giunse in tempo per vedere il fratello malconcio riportare a riva Sara, cianotica e sanguinante, e farle un massaggio cardiaco. Quando arrivò l’ambulanza Sara aveva ripreso a respirare ma non era cosciente. Sara rimase in ospedale qualche giorno, poi tornò a casa. Lì, depressa, agognava lo sposo tanto amato e si doleva per il dispiacere recato al povero Carl. Questi, insieme a Nero e Tania credeva che Sara avesse manie suicide, per cui la sorvegliavano giorno e notte. Al resto della cerchia dissero che quel maledetto giorno, Sara era stata spinta dalla curiosità a guardare da vicino il mare in tempesta, accompagnata da un riluttante Nero, il quale si era precipitato subito in suo soccorso quando per errore era finita in mezzo alle acque. Inoltre giustificarono quella depressione come un naturalissimo shock per il trauma. Con quella bugia la protessero da pettegolezzi e malignità, perché evidentemente sapevano che la tentazione del pettegolezzo sarebbe stata più forte dell’amore. Sara era protetta e sorvegliata, ma stava impazzendo, si sentiva in un carcere di massima sicurezza mentre lei voleva solo riabbracciare la sua solitudine. L’unica cosa che le restava era aggrapparsi alla vista del faro. Purtroppo però, Carl notò la morbosa affezione che Sara nutriva per quel faro e si convinse che era quello scenario a deprimerla e a farle venire manie suicide, perciò dopo nemmeno una settimana, la coppia si trasferì nell’entroterra della città, dove il mare non sarebbe stato visibile. Prima del trasloco la donna era diventata una stella morente, dopo quel colpo di grazia implose. La sua depressione peggiorò, divenne apatica quasi catatonica. E la sorveglianza aumentò. Era un circolo vizioso che si ruppe solamente quando la stanchissima zia Tania si sfogò con sua figlia Deb, urlando in lacrime che se solo Sara si fosse ripresa non ci sarebbero stati più quegli estenuanti turni di guardi. Nella mente atrofizzata di Sara nacque un piano. Da quel giorno riprese a leggere, accennava perfino qualche parola, finse di migliorare finché l’unica sorveglianza fu quella di suo marito Carl. Un pomeriggio ricevettero una chiamata, la madre di Sara aveva avuto un malore ed era in ospedale. Carl andò a verificare le sue condizioni da solo, per non turbare la moglie ancora troppo fragile, così la lasciò da sola promettendole che presto sarebbe arrivata la cugina Deb. Chiusasi la porta, Sara fu quello che non era più stata da quasi dieci anni: sola.

Si guardò intorno, nutrendosi di quella solitudine che, come un’antica magia, la riempì ricostituendola subito. Era di nuovo se stessa. Conscia di avere poco tempo, frugò frettolosamente nei cassetti, gettò a terra qualche scartoffia e afferrò la carta di credito. Squillò il telefono. Sara, per non dare l’allarme, rispose. Era Deb, le chiese se ci fosse del latte perché voleva prepararle una nuova ricetta. “E che non sia scaduto!” rise la cugina “Scaduto?” ripeté lentamente Sara “Sì, sai quando le cose vanno in avaria e diventano dannose?” ridacchiò ironica Deb. Senza saperlo aveva spiegato a Sara che non era colpa di nessuno se ormai c’era solo il faro nella sua vita, il suo rapporto con Carl era solo… scaduto. Scrisse questi pensieri in una lettera breve, mentre raccomandava a Deb di comprare non solo il latte ma anche delle verdure fresche. Così la sposa riuscì finalmente a fuggire. Quando Deb telefonò allarmata a Carl per informarlo della scomparsa di Sara e del furto della carta di credito, l’uomo contattò immediatamente il fratello chiedendogli di verificare se fossero state effettuate operazioni con la carta. Un abito da sposa. Un attimo di perplessità da parte di Carl, ma Nero subito urlò di recarsi alla spiaggia. E anche Carl capì immediatamente.

Si precipitarono alla spiaggia, Carl si arrampicò su degli scogli per osservare la scena dall’alto. Il mare era tempestoso, le onde aggredivano trionfanti lo scoglio su cui si ergeva Carl. I flutti gelidi si scontravano tra loro, generando argentea schiuma. In mezzo a quella galleggiava uno splendido velo da sposa. Il matrimonio era stato celebrato. “Nero! Io mi butto, vado a prenderla” urlò Carl “Sei impazzito? Carl, io conosco il mare, buttarsi con questa tempesta… Carl… è un suicidio!” “Lo so, ma è mia moglie” replicò in lacrime “No, Carl, non più… quella non è più tua moglie… finché morte non vi separi… finché morte non vi separi…” le parole si perdevano nel vento iracondo. E Carl cadde in ginocchio, ululando il suo dolore al cielo. Forse, se fosse stato più sentito, il faro l’avrebbe udito e, commosso, avrebbe spezzato il matrimonio e le onde, su suo ordine, avrebbero scortato Sara a casa. O forse no, avrebbe fatto orecchie da mercante all’umano dolore.

Perché il faro amava Sara. Perché Sara amava la solitudine.

  
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