Libri > Il meraviglioso mago di Oz
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Autore: Feel Good Inc    16/12/2011    0 recensioni
Era cambiata, quella città. Era stata la guerra a cambiare tutto – tutti gli Oziani lo dicevano, sì, ma forse neppure loro si rendevano conto di quanto le cose fossero diverse. Un tempo non ci sarebbe stata nessuna insegna a illuminare i vicoli; non ci sarebbe stato nessun vicolo a inquietare i viandanti notturni; non ci sarebbero stati viandanti notturni in cerca di affari per tirare avanti.
Un tempo non c’era il commercio, ma la magia.
Jack non pensava spesso a queste cose. Quelli come lui, che ai più parevano stupidi perché non avevano una testa degna di tale nome, non avevano alcun ragionevole diritto di preoccuparsi del nuovo regime instaurato dalla Regina, né del fatto stesso che adesso non fosse più Ozma ma ‘la Regina’: un puro titolo, freddo e senz’anima. Eppure in quel momento, nell’intrico di stradine che portava al molo, sentì il proprio sorriso caricarsi di amara ironia. Erano cambiate tante cose, e lui, maledizione, avrebbe sempre avuto quella sua strampalata natura a ricordargli tutto ciò che Oz aveva perso.
{ Jack/Trot; Spaventapasseri/Dee ~ gameverse: 'Emerald City Confidential' }
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dorothy Gale, Jack Testa di Zucca, Quasi tutti, Spaventapasseri, Trot
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Incompiuta
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Dalle ampie vetrate del castello la vista poteva spaziare lontano, giù fino all’orizzonte che a nord si tingeva del viola del Paese dei Gillikin, a sud del rosso della regione dei Quadling, a est si fondeva coi campi blu dei Munchkin e a ovest si stemperava nella terra dorata degli Winkie. Dalla sala del trono si poteva beneficiare di ciascun panorama offerto dalla geografia di Oz; ma ormai da troppo tempo agli occhi dipinti dello Spaventapasseri ogni cosa, anche quando colpita dai primi raggi del sole, appariva triste.

Il consiglio si era protratto a lungo. La Regina aveva lasciato la sala solo pochi minuti prima, accompagnata dalle premure della fidata Jellia fino ai suoi appartamenti, lasciandolo solo con i fiumi di verbali recanti tutte le parole – elegantemente stilate dallo Scarabeo – che si erano scambiati nelle ultime ore. Oh, non era stata la Regina a ordinargli di rileggerli, certo. Aveva solo bisogno di pensieri, di cose che gli empissero il cervello impedendogli di fermarsi a pensare a quanto fosse, invece, ormai inesorabilmente vuoto.

Non era colpa del Mago. Sarebbe stato facile prendersela con lui e con la sua fuga – perché di questo si era trattato – ma anche quella, in realtà, non era che una conseguenza. Come il gelo del nuovo titolo di Ozma, dal quale tutte le cose erano discese, simili a chicchi di grandine caduti in colonne precise e dolorose. Così anche quel cervello di cui il Mago gli aveva fatto dono s’era inaridito, al vedere che, giorno dopo giorno, la stessa Oz appassiva.

Tutto faceva capo alla guerra, a un lieto fine posticcio, a una scelta risolutiva che lui non aveva mai condiviso. Ma non doveva, semplicemente non doveva pensarci. Non poteva più permettersi di essere se stesso.

Nonostante quanto era accaduto a Nick, a Shaggy, a Jack, a Palazzo c’era ancora qualcuno che aveva bisogno dello Spaventapasseri. Se consapevolmente o meno, non era dato sapere.

Il suono di passi lo sorprese nella lettura della quattordicesima pagina. Sollevò il capo in tempo per vedere la figura sgusciare oltre il portone in fondo alla sala: veniva dai giardini, nel passo svelto e deciso che ne indicava chiaramente l’identità – nessun altro, là dentro, si muoveva così... con tanta esigenza di vita.

Forse era una prerogativa degli esseri umani o forse soltanto la sua.

Lo Spaventapasseri parlò senza alzare la voce, senza neppure muoversi. Non voleva attaccarla; solamente sapere.

« Sei stata di nuovo fuori tutta la notte? »

La figura trasalì appena, ma non sembrò volersi ritrarre. L’aveva riconosciuto – lo riconosceva sempre, anche se era cambiato tutto.

Lo Spaventapasseri attese tranquillo che la ragazza tornasse piano sui propri passi ed emergesse alla penombra della sala del trono.

« Mi hai spaventata. »

« Singolare. Credevo di non aver mai spaventato neppure un corvo. »

Sorrise vagamente, fredda. « Cosa fai là seduto? Ozma non c’è. Non devi star lì come un cucciolo per tutto il tempo, sai. »

Lo Spaventapasseri rimase al suo posto, sui gradini ai piedi del trono, i fogli sparsi attorno a sé, a riflettere su come gli echi raccolti dalle alte pareti rendessero ancor più dura la voce di lei. Una volta Ozma era la sua migliore amica... Anche questo, anche lei. Tutto era dunque perduto.

« È per via di quell’uomo? »

Persino a quella distanza la vide irrigidirsi. « Che vuoi dire? »

« Nulla. Mi chiedevo se fossi stata con lui. »

Dee si rilassò. Sorrise più apertamente. « Lui è l’unico che mi faccia stare bene. Mi fa sentire... libera. »

Lo Spaventapasseri non le chiese perché si giustificasse così, senza una ragione di farlo. Solo, impilò con cura i verbali sul pavimento di smeraldo e si alzò. Nella sua cadenza morbida camminò nel salone fino a raggiungerla, finché poté vedere con assoluta chiarezza quanto i suoi occhi azzurri fossero ormai scuri, non per via del buio che precede il giorno.

Dee sostenne il suo sguardo in silenzio, ma lui non trovò la forza di sfiorarla.

« Eppure, non sembri felice. »

Il sorriso si spense. Il ghiaccio s’ispessì.

« E chi lo è? »

Lo Spaventapasseri tacque, poiché non era una domanda alla quale occorresse una risposta.

L’alba si levava ormai oltre la finestra alle sue spalle, liberando riflessi d’oro dai suoi capelli. Aveva tanto sperato di non vederla crescere. No, non si trattava del suo aspetto – sarebbe sempre rimasta se stessa, anche quando le gambe si fossero allungate e i fianchi ammorbiditi e i seni cresciuti, se solo non fosse cresciuta dentro. Le favole finiscono quando non vi si crede più. Aveva tanto sperato che lei si salvasse.

« Purtroppo hai ragione » convenne infine, riconosciuto che non c’era altro da dire.

Dee annuì brevemente, sfuggendo alla luce che cercava di circondarla. Si ritrasse ancora lungo il corridoio e gli voltò le spalle, diretta alle sue stanze.

« Ho bisogno di dormire. Buonanotte, Spaventapasseri. »

« Sogni d’oro, Dorothy. »

Lei si fermò, senza voltarsi né guardarlo. Tornò alla sua voce più dura.

« Non chiamarmi così. »

Se ne andò senza aspettare le sue scuse, nel passo svelto e deciso di chi fugge.

Lo Spaventapasseri uscì definitivamente dalla soglia della sala, affacciandosi a quel davanzale e concentrandosi sul punto in cui il verde diventava azzurro. Forse, da qualche parte nei giardini laggiù, quell’uomo stava tornando in un posto in cui i sogni esistevano ancora. Forse era per questo che lei s’illudeva di lui.

La luce del sole non aveva più nessuno da accarezzare, se non quell’ammasso di paglia e stoffa che ormai non era più in grado di accoglierla con la gioia che gli occhi scuriti di Dorothy gli avevano strappato.

Ai piedi del trono, i fogli fitti di frasi già dette e sentite giacevano dimenticati. Esistevano cose che le parole non avrebbero mai cambiato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice

 

Ebbene sì. Dai che ve l’aspettavate! :D

Lo Spaventapasseri di Emerald City Confidential è molto più introspettivo e malinconico del suo originale firmato Baum ma non certo meno adorabile e si lascia andare spesso a malinconiche dissertazioni sul passato perduto; ecco perché questo quarto capitolo si sviluppa in toni così riflessivi. Dorothy, dal canto suo, ormai si fa chiamare Dee, ha l’aspetto di una scostante ventenne (per la cronaca: nella saga originale Dorothy ha undici anni, Trot dieci) e sta tentando in ogni modo di staccarsi dalla Città di Smeraldo, che, ironia della sorte, dopo la guerra non sente più ‘casa’ sua.

Nel videogioco Petra verrà assoldata proprio da Dee, perché ritrovi il suo misterioso fidanzato improvvisamente scomparso. Anzel – questo il nome dell’uomo del quale crede di essersi innamorata – è il ‘simbolo’ che Dorothy associa a una vita finalmente libera, lontana dalla freddezza del Palazzo e di Ozma, che ormai è diventata una mera figura politica e non ha più nulla del calore umano che un tempo le ha rese tanto amiche. E da tutto ciò inizia il mio vaneggiamento: con questa storia (che inizialmente voleva soffermarsi soprattutto su Jack) mi propongo ora di speculare anche sulle motivazioni dello Spaventapasseri nel fare quel che ha fatto – e prima o poi sarà chiaro quel di cui sto parlando.

Davvero, avevo giurato a me stessa di distanziarmene un attimo, ma... Oh, insomma. È lo Spaventapasseri/Dorothy, cavolo

Aya ~

   
 
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