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Autore: Liy    17/12/2011    5 recensioni
“Tua mamma non si preoccuperà? Sei sempre qui da noi, anche fino a tardi...”
“Oh, no. Tanto ha quasi sempre il turno di notte, quindi non c'è davvero alcun problema. Anzi, credo si senta più sicura sapendo che sono con te... ed Himari e Kamba. Se anche rimanessi qui per la notte, forse non se ne accorgerebbe nemmeno.”
[Spoiler ep19][Shoma/Ringo]
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Plot of my demise
Personaggi: Shoma, Ringo, Himari.
Pairing: Shoma/Ringo.
Rating: Verde.
Genere: missing moment, fluff.
Avvertimenti: One-shot.

Note: Scritta qualche settimana fa, poco dopo l'episodio con la rivelazione WAH! UNMEI NO HITO.

Disclaimer: Questa gentaglia non l'ho inventata io.

Plot of my demise

 

L'incessante ticchettio della pioggia fece tornare in sé Ringo, rannicchiata sul morbido e decisamente minuto divanetto rosso di casa Takakura. La prima cosa che notò furono i capelli di Himari sparsi accanto a lei, mentre la suddetta ragazza dormiva col capo appoggiato ad un cuscino lì vicino; sembrava felice, gli occhi chiusi e le labbra piegate in uno stanco sorriso.

C'era una strana atmosfera di pace e serenità nella piccola abitazione che da tempo mancava di due importati membri. C'era un leggero silenzio, accompagnato dal respiro lieve di Himari e dal soffocato scrosciare della pioggia. C'era un dolce profumo che veniva dalla cucina ed un rassicurante calore che sapeva d'affetto. C'era una piccola pentola sui fornelli, la solita, quella che Shoma utilizzava per cucinare di tutto. C'era la giacca di Kanba in un lato del salotto, accanto a quella ben piegata di suo fratello.

Un leggero rumore di passi catturò la sua attenzione, quando vide Shoma spuntare dalla cucina – mestolo forato in una mano ed una scodella nell'altra.

“Sei sveglia, Oginome?”

“Sì...?”, sbadigliò, una mano davanti alla bocca mentre tendeva l'altra verso l'alto, stirandosi il braccio intorpidito e dolente. Aveva indosso una delle grandi felpe calde di Shoma – le maniche sembravano rubarle le mani talmente erano lunghe. La gonna della divisa scolastica si vedeva a malapena spuntare dall'orlo della felpa.

“Mi daresti una mano? Ho proprio bisogno di un'altra persona che mi aiuti e Kanba – che aveva promesso sarebbe stato a casa per le cinque – non è ancora tornato. Se mi fermo a fare una cosa, l'altra non cuoce e viceversa.” Agitava la scodella a mezz'aria, spiegando il tutto in tono pacato. Poi, senza che Ringo capisse come avesse collegato i due discorsi, Shoma iniziò a fare il broncio, borbottando fra sé e sé “Quell'idiota è sempre in giro a farsi i suoi porci comodi. A me tocca la casa e tutto il resto.”

“Shoma...”

“Eh?”

“Certo che ti aiuto...”

C'era una singola mela accanto al grembiule rosa che Ringo afferrò decisa ed infilò dal capo. C'era ancora quel dolce profumo, quasi timido mentre sfuggiva rapidamente nell'aria. C'era una tenda con un nuovo ricamo e qualche ghirigoro che il giorno prima non aveva notato – davanti a loro, abbelliva la finestrella sopra il lavandino in modo piacevole e delicato.

Himari aveva dei gusti strani ma gradevoli e casa Takakura sembrava sempre più di un altro mondo – uno piccolo e caldo, colorato ed accogliente. Anche senza delle figure adulte fra quelle quattro mura, Ringo riusciva a percepire un senso e quel calore che solamente una famiglia potevano dare. Erano entrambi una cosa che lei non aveva mai provato – troppo intenti a litigare ed a distruggersi per il dolore i suoi genitori per accorgersi che lei stesse crescendo in fretta.

“Che devo fare?”

“Tu tieni d'occhio quel padellino lì. Continua a mescolare con il cucchiaio di legno o rimarranno grumi. Quando senti che si è completamente sciolta e sembra quasi acqua, abbassa la fiamma e continua ancora a mescolare per almeno altri cinque minuti.”

“Va bene.”

Si sentiva bene al suo fianco, braccio contro braccio mentre lavoravano entrambi sui fornelli accessi.

“Tua mamma non si preoccuperà? Sei sempre qui da noi, anche fino a tardi...”

“Oh, no. Tanto ha quasi sempre il turno di notte, quindi non c'è davvero alcun problema. Anzi, credo si senta più sicura sapendo che sono con te... ed Himari e Kanba. Se anche rimanessi qui per la notte, forse non se ne accorgerebbe nemmeno.”

“E dove dormiresti? La sola stanza che abbiamo è quella di Himari, quindi l'unico posto rimasto sarebbe nel salotto con me e Kanba, stesi sul futon...”, il sorriso sulle labbra di Shoma s'allargò, gli occhi fissi sulla finestra che dava sul loro piccolo giardino, mentre Ringo lo osservava un po' sorpresa ed un po' intimidita, curiosa di porgli una domanda di cui temeva la risposta.

L'acqua bolliva nella pentola e la ventola sulla parete girava velocemente, l'aria fresca della sera che lavava via il fumo e rinfrescava le idee, gettandosi su di loro come un secchio d'acqua gelata.

“Se”, deglutì, cercando di mandar via il groppo che le stringeva la gola, “se un giorno mi servisse un posto in cui poter dormire, mi faresti restare qui? Per la notte, intendo, con te...”

“Eh?”, lo sguardo perplesso di Shoma non mancava mai d'irritarla un po'. Qualche volta sentiva ancora il bisogno di prenderlo a schiaffi per inculcargli un po' di buon senso e per spronarlo a reagire agli stimoli – certe volte sembrava quasi che per lui il resto del mondo fosse solo una cosa in più, una della quale poteva fare a meno e con la quale aveva paura a relazionarsi.

“Ti ho chiesto se... se nel momento del bisogno mi ospiteresti, se mi permetteresti di dormire... con te.”

“Perché? Mi sembri essere in così buoni rapporti con tua madre, non capisco perché un giorno dovresti venir qui a-”, il rossore sul volto imbronciato della ragazza catturò la sua attenzione e, in un istante così breve, quasi come se gli fosse corsa davanti agli occhi, il significato di quella domanda e l'imbarazzo di Ringo lo colpirono come un secchio d'acqua gelata in una fredda mattinata di Gennaio.

“E-eeeeeeeeh?”, il suo fu più un urlo che una domanda, “C-che razza di domanda è, Oginome?” Completamente rosso in volto, come se gli mancasse il fiato e non riuscisse nemmeno a deglutire. Senza alcun motivo, per puro caso, Shoma iniziò a sentire un senso di colpa crescere in lui a pari passo con un imbarazzo sempre maggiore.

“Sssh!”, la ragazza si premette l'indice alle labbra, voltandosi indietro verso la porta che dava sul salotto, assicurandosi che Himari stesse ancora dormendo e che non l'avessero svegliata per sbaglio.

Le labbra rosee di Oginome lo distrassero, rievocando immagini che aveva deciso di dimenticare – infondo l'aveva solo salvata, perché se non l'avesse fatto sarebbe potuta morire. Non contava, non contava come bacio quello. L'aveva deciso tempo addietro e non avrebbe rivalutato questa sua decisione. Era stato solo una cosa che era stato costretto a fare per farla respirare, non era stato un bacio il loro – anche se lei era ancora convinta che fosse stato Tabuki ad averla baciat... salvata.

“Shoma?”

“Eh... s-sì, Oginome?”

“C-credo si sia sciolta... posso abbassare la fiamma ora?”, indicava il padellino, senza guardarlo negli occhi – c'era ancora del rossore sulle gote in parte nascoste dal caschetto sempre così ben curato della ragazza. Sembrava una sedicenne qualunque ora, rispetto a quando l'aveva incontrata qualche settimana prima – incontrata... lui e Kanba la stavano pedinando e lei s'era infilata sotto la casa del loro professore, Tabuki.

“Fammi vedere.”

Shoma allungò una mano verso di lei, invitandola a cedergli il cucchiaio cosicché potesse controllare, ma Ringo non si mosse e continuò a stringere il manico del padellino con una mano ed il cucchiaio di legno con l'altra.

Numero 2, che per tutto il tempo aveva rotolato a terra vicino alle gambe dei due ragazzi, s'accasciò sul pavimento, il becco rivolto verso il basso soffitto quando Shoma decise d'afferrare la mano di Ringo e d'iniziare a mescolare il contenuto del padellino per controllare che tutto andasse bene. La sentì irrigidirsi sotto il suo tocco leggero e delicato e qualcosa che non seppe ben definire gli strinse la bocca dello stomaco in una morsa quasi dolorosa – un dolore ben sopportabile e quasi piacevole. C'era qualcosa di strano in quella sensazione, pensò, cercando di catalogarla e compararla con tutte quelle che aveva provato nella sua vita fino ad allora. C'era un po' di imbarazzo, un po' d'agitazione, ed entrambi venivano ingranditi ed espansi a dismisura da quel calore che sembrava quasi soffocarlo direttamente da dentro.

Mentre mescolava, continuando a stringere la mano fredda di Ringo, si avvicinò a lei, fianco contro fianco. Era piacevole starle così vicino, pensò, desiderando improvvisamente più contatto. Voleva toccarla, anche solo sfiorarla, e sentire il dolce profumo dei suoi capelli ben curati. Non avrebbe mai pensato che stringerle la mano sarebbe stato così piacevole, così appagante in un certo senso e così negatorio in un altro – perché desiderava di più, ma lui non era di certo quel tipo di persona così intraprendente... lui non era Kanba.

Si chinò verso il padellino, fingendo di controllarne il contenuto, e quando il suo volto fu all'altezza di quello di Ringo, quando vide le sue labbra tremare, gli tornò alla mente quel giorno al parco Wadazuka. Aveva deciso di dimenticare tutto l'accaduto, seppellire quei ricordi da qualche parte ed abbandonarli là per poter riuscire a guardare ancora Oginome negli occhi senza dover sentire quel fastidioso calore alle gote.

“Sho, che c'è per cena?”

Fu la lieve voce di Himari a farlo sobbalzare e rinsavire. Lasciò di scatto la mano di Ringo e si allontanò da lei, come fosse appena stato colto a fare qualcosa di male ed imperdonabile – Numero 2 si era nascosto sotto la credenza, inghiottendo quella che sembrava una vecchia spugna logora.

“Hi-Himari! Ti sei svegliata?”

Ringo si voltò verso di lei sorridendole – un sorriso tirato, tinto d'imbarazzo ma di tanta, tanta gioia.

“Sho...?”, il capo piegato appena mentre sbadigliava, “E' successo qualcosa?”

Si stiracchiò le braccia, camminando con lentezza verso di loro – i piedi che quasi parevano strisciare sul pavimento così ben pulito da Shoma stesso il giorno prima.

“Eh? N-non è successo nulla! Stavamo solo cucinando!”

Ringo abbassò il capo, tornando a fissare il pentolino e la propria mano – Shoma aveva stretto quella mano fino a poco prima, Shoma le era stato più vicino di quanto non ricordasse fosse mai stato. “G-già...”, fu un sussurro un suo.

“Mh...”

Lo sguardo indagatore di Himari preoccupò Shoma; lui non era bravo a mentire, lui non era Kanba.

“... Che c'è, Himari?”

“Niente.”

La ragazzina sorrise, portando le mani dietro la schiena, sorridendo loro e poi voltandosi per tornare in salotto. Numero 3 la seguì a ruota, muovendo piccoli passi accanto a lei. Vedendole allontanare, Shoma tirò un respiro di sollievo – anche se non si seppe spiegare il perché di tale reazione; Himari era la sua preziosa sorellina, quindi perché era così felice che se ne fosse appena andata?

“Shoma... qui sta diventando tutto duro.”

Il cucchiaio di legno che Ringo reggeva ancora in mano grattò il fondo del padellino ed Himari s'accasciò sul divanetto rosso, attenta a non far troppo rumore per poter sentire i rumori provenienti dalla cucina.

“A-ah! Acqua, mettici dell'acqua!”

Numero 2 sbirciò nel salotto, la spugna logora incastrata nel becco che lo soffocava. Numero 3 corse verso di lui, aiutandolo a togliersi quell'oggetto dalla bocca.

“Non funziona! Sta diventando duro! Che devo fare... che devo fare Shoma!?”

La spugna scivolò lentamente nella gola di Numero 2 e, con sguardo basso, Numero 3 tornò sul divano – il gomitolo di lana fra le piccole ali che, esperte, lavoravano a maglia.

“A-Aspetta, faccio io!”

Numero 2 si allontanò, un cuscino ben ricamato ora incastrato nel becco ingordo ed Himari smise di sorridere.

 

   
 
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