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Autore: ledjimmypage    17/12/2011    0 recensioni
Racconto, sotto forma di intervista, di tre giorni trascorsi insieme al Subcomandante Marcos, portavoce della rivoluzione zapatista nel Chiapas (Messico sud-orientale).
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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San Cristòbal de Las Casas. Notte fonda. Aspettiamo con pazienza il furgone che ci dovrebbe portare, dopo un viaggio di circa 7 ore, a La Realidad, una comunità autonoma zapatista del sud-est messicano. Il fatto di partire a quest’ora non è casuale, ci permetterà di superare con maggior facilità i posti di blocco con i quali l’esercito messicano controlla la maggior parte dei territori del Chiapas  fin dallo scoppio della rivoluzione zapatista del 1° gennaio 1994. Ne incontriamo due durante il percorso, ma li superiamo con relativa facilità, fingendo di essere turisti diretti al “bellissimo lago Miramar”.La luce dell’alba rivela un paesaggio montano, e ciò significa che non manca ormai molto alla nostra meta. Attraversando i villaggi sulla strada abbiamo già un assaggio delle condizioni di estrema povertà in cui vivono le popolazioni indigene, dirette discendenti dei maya. La mancanza dei più basilari diritti umani e il feroce sfruttamento delle massicce risorse d’energia chiapaneche da parte di varie multinazionali occidentali non aiuta di certo la loro situazione. Alla fine arriviamo a La Realidad, e ci accolgono in maniera molto ospitale le donne del villaggio. Facendoci capire a fatica (non parlano lo spagnolo, ma il Ch’ol, la lingua delle etnie di origine maya o azteca), otteniamo un incontro con la leadership zapatista per ribadire il motivo del nostro annunciato viaggio: passare tre giorni insieme al Subcomandante Insurgente Marcos, carismatico portavoce dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), geniale poeta rivoluzionario per alcuni, criminale per altri. Un comandante (il suo grado è riconoscibile grazie a vari attributi, primo fra tutti il passamontagna che indossa) ci rassicura che “el sup” (così è soprannominato Marcos) arriverà a La Realidad entro i prossimi giorni e sarà a nostra disposizione. Ci mostrano allora la nostra sistemazione: delle brande all’interno di una “posada” (un grande edificio di lamiera) avvolte da alcune zanzariere. Col passare dei giorni ci rendiamo sempre più partecipi alla vita comunitaria del villaggio imparando anche a conoscere chi ci abita: soprattutto donne e bambini, gente semplice che tuttavia non ha rinunciato a lottare per i suoi diritti. Il pomeriggio del quinto giorno mentre io e la mia troupe ci rilassiamo sulle rive di un fiume che scorre di fianco al villaggio, notiamo del fermento e dei comandanti che corrono in una direzione. Li seguiamo. Arrivati all’”edificio” (in fango e paglia) principale della comunità notiamo un cavallo legato al suo esterno. L’eccitazione sale, forse ci siamo. Entro per primo e scorgo una figura, il volto coperto da un passamontagna, un cappello sgualcito in testa e una bandana di un rosso sbiadito al collo. È Marcos. “Scusa per il ritardo!” mi dice lui, sorridendo, in un perfetto inglese.
Il 1° gennaio 1994 entrò in vigore il NAFTA (North American Free Trade Agreement), un accordo fra USA, Canada e Messico per l’agevolazione delle attività commerciali tra questi paesi. In pratica, l’ennesimo trionfo del neo-liberismo. Non tutti però videro quell’accordo come un successo. Quello stesso giorno, l’EZLN (fondato il 17 Novembre 1983) fece la sua prima comparsa pubblica, intraprendendo un’azione militare volta all’occupazione di cinque tra la principali municipalità del Chiapas. Durante l’assedio, durato 12 giorni, il Subcomandante Marcos lesse la “prima dichiarazione della selva Lacandona” nella quale l’EZLN dichiarava guerra al governo e annunciava “libertà, giustizia e democrazia” per tutti i messicani. Le ostilità finirono con una trattativa durata tre anni conclusasi con un accordo secondo il quale il governo messicano  avrebbe dovuto modificare la costituzione inserendo il riconoscimento dei popoli e delle culture indigene, oltre a un'autonomia legislativa. Tale accordo non fu mai rispettato dall’allora presidente Ernesto Zedillo ponce de leòn. La lotta armata degli zapatisti durò 12 giorni e le vittime furono esclusivamente membri dell’esercito messicano, ma la lotta più importante, quella della parola, continua ancora oggi.
“Perché quel passamontagna?” Domanda stupida. Il Sup, tranquillo, prende in mano la sua famigerata pipa, la carica con del tabacco e inizia a fumare. Mi risponde: “Non ha solo una funzione simbolica, come il mio cappello o la mia bandana, che indosso da quando iniziò la nostra rivoluzione e a cui sono molto affezionato. Ha anche un’utilità. Come credo tu sappia bene, io non sono un indigeno del Chiapas. Sono spagnolo. Questo passamontagna mi permette di lasciarmi alle spalle le peculiarità della mia origine iberica e di assumere un’identità collettiva. Solo così posso farmi portavoce di quello che ormai considero il mio popolo.” Io so che non è solo questo. Attraverso il suo passamontagna Marcos ottiene anche più visibilità, diventa una specie di icona. Nasconde la sua faccia per essere più visibile. Sembra un paradosso, lo so, ma è questa l’atmosfera che invade tutta l’ideologia zapatista. Conversiamo poi amichevolmente del nostro viaggio. Mi trovo molto a mio agio con lui, ma si sta facendo tardi e non è ora di passare ad argomenti più seri. Quella stessa notte dormo ben poco, sapendo che a pochi metri di distanza da me riposa il Subcomandante Marcos. Rifletto allora sulla natura anti-liberista del movimento zapatista. Penso divertito che, in fondo, gli indigeni del Chiapas potrebbero essere considerati i primi no-global, quando ancora non si conosceva il significato di questo termine. Appena sorto il sole raggiungiamo il sup, che ci accoglie sorridente. Dopo i convenevoli azzardo una prima domanda un po’ impegnata: “quali sono le principali ideologie da cui prendi ispirazione per l’elaborazione delle tue idee, dei tuoi principi?”. Lui mi guarda sorridendo ed esclama: “ma io non ho elaborato nessun’idea!”. Vedendo il mio sguardo perplesso mi spiega: “La mia funzione all’interno dell’EZLN è solo quella di portavoce. Io, rispetto agli altri, ho solamente avuto in più la fortuna di poter studiare, ciò che esce dalla mia bocca o dalla mia penna viene interamente da ciascuno degli indigeni che vivono nel chiapas. Molti riconoscono nel movimento zapatista elementi marxisti,o addirittura taoisti ma ciò che esprimiamo sono solamente i sogni e le speranze di un popolo che non ha mai smesso di  lottare per ottenere diritti uguali a tutti gli altri.””in effetti sono ben 15 anni che la vostra lotta continua..”dico. “no. Temo che siano più di 500 ormai.” Mi corregge lui. “Consideriamo come inizio della nostra oppressione il 12 ottobre 1492. È da quel momento, da quando avvenne il primo contatto con l’occidente che chi viveva nel continente americano cominciò a essere considerato “altro”, “diverso”. Queste sono le origini della nostra lotta”. Sorrido. Era questo quello che intendevo per “argomenti più seri”. L’ora del pranzo si avvicina . Usciamo allora dalla capanna del subcomandante e passeggiamo nel villaggio in direzione della nostra “posada”. Camminando osservo gli uomini, ma anche le donne e i bambini, nei loro piccoli campi a lavorare, e all’improvviso provo un’immensa stima nei loro confronti e nei confronti del coraggio che hanno dimostrato nel recuperare la dignità che è stata loro tolta dalle implacabili persecuzioni a opera dello stato e dei grandi proprietari terrieri che hanno reso, con le passate redistribuzioni delle terre, praticamente impossibile ad un contadino nullatenente possedere un pezzo di terreno da coltivare. Il nostro pranzo è come al solito a base di “tortillas”, elemento base della dieta chiapaneca. Il clima, dall’arrivo di Marcos è cambiato. Si teme che, in qualche modo l’esercito messicano venga a conoscenza della sua presenza e attacchi La Realidad. I loro timori non sono infondati,dall’inizio della rivoluzione sono avvenute continue rappresaglie da parte dell’esercito messicano verso i villaggi sospettati di sostenere l’EZLN.
Il gruppo pacifista di ispirazione cattolica “las abejas” (le api) aveva da sempre sostenuto l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale per la sua natura non-violenta, attraverso anche sostentamenti di tipo economico. La comunità che risiedeva nel municipio di Acteal, formata in maggioranza da donne e bambini, si riuniva quotidianamente per pregare nella chiesa locale. Il 22 dicembre 1997 un gruppo paramilitare sconosciuto fece irruzione ad Acteal e, durante la messa, massacrò i componenti di “las abejas”.  45 persone persero la vita quel giorno, uomini, donne e bambini dagli 8 mesi ai 67 anni. Dopo varie indagini circa 20 persone furono arrestate, tutte collegate più o meno indirettamente al PRI (partito rivoluzionario istituzionale), il partito al governo in quegli anni.
Dopo la “siesta” obbligata torniamo a trovare Marcos, molto preso dal lavoro, ma ormai rassegnato alla nostra presenza. Voglio provare a toccare un tasto delicato. Quello dell’uso della violenza. “Noi non siamo un gruppo violento. Dalla fondazione dell’EZLN abbiamo utilizzato le armi solo 12 giorni. Ed esclusivamente contro soldati dell’esercito messicano. Rifiutiamo in ogni modo l’uso della violenza verso i civili. Il terrorismo come mezzo per ottenere dei risultati ci disgusta, ma questo si sarebbe già dovuto capire dalle varie lettere inviate  all’ETA tra il 2002 e il 2003”. Come previsto il sup sembra leggermente irritato. Meglio cambiare argomento. “Quanto tempo pensi che ci vorrà per ottenere quello che volete? E, con precisione, quali sono i vostri obbiettivi?” “Ti è andata bene..questa mi piace” dice lui sorridendo. Sorrido anche io, sollevato.”è difficile dire quanto ci metteremo. Abbiamo già ottenuto importanti conquiste, come la caduta del PRI e l’istituzione delle giunte di buon governo, una primitiva forma di quella che noi consideriamo “autonomia”. Ma la situazione è tutt’altro che a buon punto. Bisognerà lottare ancora. L’EZLN non si professa come un partito politico. Noi non vogliamo ottenere il potere. È di fondamentale importanza per chi ci osserva da tutto il mondo, capire quello che alcuni chiamano il “paradosso zapatista”. Lo scopo dell’esistenza dell’EZLN e del sottoscritto è di fare in modo che scompariamo. Il nostro obbiettivo è di non esistere più, fare in modo che non ci sia più bisogno di noi. Lo so che è difficile da comprendere, ma è così”. Rifletto. Rifletto sul fatto che l’EZLN non è il primo movimento indipendentista della storia. Come mai allora è così speciale? “non siamo speciali”. Ribatte lui alla mia domanda.”semplicemente cerchiamo di rendere i principi e i diritti per i quali combattiamo universali e globali. La richiesta di una giustizia uguale per tutti in Chiapas equivale a un’analoga richiesta in africa, tra gli indiani americani, tra, insomma, chiunque abbia la forza morale per non rinunciare alla propria dignità, in qualsiasi parte del mondo. Di certo esistono almeno due cose al di sopra di ogni frontiera: il crimine e la speranza che la vergogna esista soltanto quando sbagliamo un passo di danza e non ogni volta che ci guardiamo allo specchio. Per porre fine al primo e far fiorire la seconda bisogna solo lottare ed essere migliori. E questo vale per tutti. Non è necessario conquistare il mondo. Basta farlo nuovo”.
Arriva di nuovo la sera. Questa volta mi addormento con più facilità, con una leggera malinconia dovuta alla consapevolezza che domani sarà il giorno dell’addio. Dei comandanti ci svegliano poco prima dell’alba. Marcos sta per andarsene. Avrebbe dovuto trattenersi di più ma la sicurezza non  è mai abbastanza. ci salutiamo con una stretta di mano e le ultime parole che mi dice prima di salire sul suo cavallo e andarsene sono: “ricordati che anche tu sei Marcos”. E io capisco. Capisco che bisogna prender coscienza che ogni volta che qualcuno è oppresso, maltrattato,deriso e umiliato, ma trova la forza per reagire e lottare per i suoi diritti, allora lui è Marcos.



  Nota: la frase "Di certo esistono almeno due cose al di sopra di ogni frontiera: il crimine e la speranza che la vergogna esista soltanto quando sbagliamo un passo di danza e non ogni volta che ci guardiamo allo specchio. Per porre fine al primo e far fiorire la seconda bisogna solo lottare ed essere migliori. E questo vale per tutti. Non è necessario conquistare il mondo. Basta farlo nuovo" è una citazione diretta delle parole del Subcomandante marcos. Ogni altra sua frase in questo racconto è invece scritta da me, rielaborando però naturalmente i concetti fondamentali della sua ideologia.
  
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