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Autore: shotmedown    18/12/2011    5 recensioni
No, lei non ci credeva più. Inutile negarlo, c'era qualcosa che non andava nella sua vita, e non poteva far altro che crogiolarsi nella sua ignoranza; un giorno, forse, qualcuno le avrebbe fatto capire quanto contasse, e le avrebbe donato un mondo fatto di sicurezza e passione, ma per ora, si limitava a partire, ad andare lontano. Boston le stava stretta, Montréal era la libertà.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cinque amici e un paio di chitarre.'
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Quando un sogno maturato in cinque anni non si avverava, risultava difficile continuare a credere in tutto ciò che non fosse concreto. Veniva spontaneo essere cinici, talvolta freddi, per riuscire a distogliere la mente da un unico pensiero: “la realtà ti assorbe”. E non si poteva far nulla, se non arrendersi e subire silenziosamente la tortura. Ero in una sala d’aspetto, e mentre armeggiavo con un cellulare arcaico, per non dire preistorico, attendevo che la mia amica e il suo ragazzo prendessero due biglietti per il prossimo volo. Direzione? Qualsiasi luogo mi sarebbe andato bene, purché fosse anche solo minimamente distante da Boston. Sembrava tutto così normale, consueto, ma io mi sentivo fin troppo osservata, e fu un sollievo quando intorno alle dieci, tutti scomparvero. “ Era davvero necessario lasciare la chiesa e correre subito in aeroporto? Potevi almeno togliere l’abito... ” sollevai lo sguardo e guardai la mia amica dritto negli occhi. “ Avrei perso tempo. E poi, chi vuoi che faccia caso ad un abito azzurro? ” gli sguardi della gente mi rispondevano esattamente ciò che non volevo sentirmi dire. “ Lungo. A gonna larga. Sembri un confetto ambulante. ” Talvolta la sua schiettezza mi irritava, ma aveva ragione. Mi rivolse un sorriso e poi tornò dal ragazzo, intento a porre le valigie su un carrello. Finalmente, dopo due ore, riuscii ad alzarmi da quella sedia, scomoda d’altronde; era la seconda volta in vita mia che vedevo un aereo così da vicino. Mi affacciai alla grande vetrata che dava proprio sulla pista, illuminata, al buio, solo da alcune luci rosse. Evidentemente non erano previsti voli di ritorno o di andata a quell’ora. Non seppi bene quanto tempo rimasi in quella posizione, immobile e dritta con lo sguardo perso nel vuoto. Sin da ragazzina era sempre stato il mio problema più grande: quando sentivo il bisogno estremo di riposo mi nascondevo nel silenzio e me ne stavo in uno stato di trance fino a quando qualcuno o qualcosa non mi riportava alla realtà. E benché fossi a conoscenza del fatto che quello potesse essere un problema, non avevo mai fatto niente per porvi rimedio. Semplicemente non mi importava; era una questione che riguardava solo e soltanto me. ‘ Losing what was found, a world so hollow, suspended in a compromise. ’ Avevo cercato di non sfidare qualcosa di più grande di me, ero riuscita a convincere me stessa, tuttavia, che un giorno sarei riuscita a vivere come il mio cuore desiderava. Ma non ce l’avevo fatta. Tutto era crollato con un effetto domino devastante, per me, e non ero riuscita più a sopportare ciò che mi circondava. Sentivo migliaia di dita puntate contro, e un coro incessante di ‘ Te l’avevo detto! ’ C’erano mille voci nella mia testa... “ Finirai col romperlo. ” Istintivamente sollevai lo sguardo in direzione della voce. “ Il cellulare, lo tieni troppo stretto. ” Allentai leggermente la presa, e solo quando anche lui se ne accorse si voltò verso di me. Aveva un volto estremamente familiare. “ Anche se si rompesse non mi importerebbe. ” Gli risposi. Inchiodò i suoi occhi castani nei miei, per poi prendere il piccolo oggetto dalle mie mani e posarlo, successivamente, su una delle mie borse. “ E’ un modello vecchissimo, quindi vuol dire che te lo ha regalato qualcuno che per te è importante. Brutti ricordi o rimorsi? ” “ Entrambi. ” Non seppi perché lo dissi così liberamente. Neanche lo conoscevo. “ Non saresti riuscita a distruggere ciò che è stato, lo sai? ” lo vidi sorridere. Purtroppo sì, lo sapevo fin troppo bene. Avevo pagato fin troppo il prezzo di una presunzione infantile. “ Forse sarei riuscita a cancellarne solo un piccolo tassello... ” mormorai tra me e me. “ Passato e presente plasmano il futuro. ” Pascal. Lo conoscevo bene. “ Certe volte il futuro diviene di nuovo passato, e lo stesso vale per il presente. Se sarà forgiato per me un nuovo avvenire sarò ben felice di accoglierlo. Per ora, mi aggrappo al nulla. ” Mi sentii chiamare da Leah; stranamente, avrei voluto continuare quella conversazione. “ Sono Pierre. ” “ Sam. ” Mi allontanai, raggiungendo i miei compagni; mi accorsi di avere un gran sonno e tantissima stanchezza sulle spalle. “ Ci rincontreremo! ” Sembrava un affermazione più che una domanda.
  
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