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Autore: Albicocca    18/12/2011    8 recensioni
[Partecipa al Contest 'Sweet Merry Christmas' indetto da Alicchan e Mya]
“Quel ragazzo, come cavolo fa ad avere sempre ragione?!”
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Una schifezza. Un qualcosa che non merita di partecipare a questo grande contest, ma che partecipa lo stesso.
Spero vi piaccia,
Miam :3
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Coppia: Matoro Jyuka x Kitami Ryuu.
Genere: romantico, sentimentale, fluff.
NdA: Ok, farà schifo, preparate il sacchetto per il vomito. Ci sentiamo sotto, spero. Sempre se ne avrete il coraggio.
Attenzione! I personaggi che compaiono in questa one-shot non mi appartengono!

 
 
 
 
 

Anything can happen tonight, Kitami.
 
New Year's Eve.

 
Sentiva la musica perforargli le orecchie, mentre, si portava alle labbra il quarto bicchiere di tequila.
Era seduto sul divano rosso, guardando, con aria annoiata, tutti i ragazzi ballare, ammassati al centro dell’enorme sala comune dell’Hakuren, che ballavano su quella musica spacca timpani. Era sicuro che l’indomani si sarebbe svegliato con un mal di testa lancinante, oppure completamente sordo.
Faceva caldo, e sentiva il sudore imperlagli la fronte coperta dalla frangetta scurissima, anche se, al di fuori dell’enorme istituto scolastico imperversava una bufera incredibile, che, a detta del meteo del pomeriggio, non si verificava da un paio d’anni. Si poteva sentire, anche se con quella musica era quasi impossibile, la neve battere violentemente contro i vetri delle finestre.
Scrutò, con i suoi occhi chiari, l’orologio appeso sulla cappa del camino spento, che indicava le dieci e mezza. Era ancora presto, e, da come aveva capito, mancavano ancora un paio d’ore alla mezzanotte, dove, sapeva, si sarebbe scatenato il putiferio. Peggio di quello che si stava verificando adesso.
Era sera inoltrata, ma non una sera qualsiasi a detta di Sorano, no, ma la sera del trentuno dicembre, l’ultimo dell’anno.
Non capiva per niente tutta l’eccitazione con cui, Retsuto aveva annunciato che ci sarebbe stata una festa, all’americana, per quella sera speciale.
Cosa c’era da festeggiare? Infondo era un giorno qualunque, tranne, forse, per il fatto che la Terra completava il suo moto di rivoluzione intorno al sole.
Lui non capiva. Ma comunque non aveva non potuto accettare; avrebbe dovuto per forza farlo visto che Shirou gli si era messo nelle orecchie tutto il giorno. Avrebbe preferito stare in camera sua, con la porta chiusa a chiave e sotto quarantacinque piumoni a leggere un buon libro, che stare lì e sentirsi fuori luogo.
Perché era così che si sentiva; fuori luogo. Non sapeva che fare, cosa dire. E quindi stava lì, seduto sul quel divano sorseggiando tequila, sperando di non reggere più l’alcool e svenire, così per estraniarsi da quel momento, che per lui era quasi una tortura. Una tortura piuttosto amara.
Tutti ballavano, sembravano divertirsi. E quelli che non ballavano si erano messi in luoghi appartati a limonare allegramente. E lui, l’asociale della scuola, stava lì, seduto sul maledetto divano, senza dire una parola.
A diciott’anni si poteva essere così? Evidentemente sì, e lui ne era la prova vivente.
Sospirò, appoggiandola schiena al cuscino del divano dietro di lui, portandosi nuovamente alla bocca il bicchiere per poi ingerire il liquido che esso conteneva.
Fece una smorfia, quando una ragazzina sicuramente del quarto anno lo urtò con il braccio facendogli cadere addosso tutto il contenuto del bicchiere, non accorgendosene neanche per il fatto che balla come una trottola impazzita, sotto lo sguardo divertito dell’amico, o del ragazzo. Si guardò la maglietta e sbuffò, seriamente scocciato.
Si alzò e si diresse in bagno, per cercare di levare quella macchia enorme dalla sua maglietta preferita.
Adorava quella maglia, l’amava. Era stato un regalo per i suoi diciassette anni fattogli da Araya. Non era niente di speciale, ma lui l’adorava, non poteva farci niente. Era un regalo della sua migliore amica, e non poteva fare altro che amarlo, come amava lei.
Non era quell’amore tra fidanzati, ovviamente. Era un amore diverso. Molto diverso; a loro bastava uno sguardo per capirsi, un abbraccio per consolarsi. Come quando lei aveva saputo che Fubuki, il suo amatissimo Fubuki, si era fidanzato con Haruna. Lei stava male, lui l’aveva consolato, solo come sapeva fare lui. Perché, per quanto potesse sembrare silenzioso, gelido e schivo, aveva un gran cuore, che, in modo diverso amava tutti. Non lo dimostrava spesso poiché sapeva del fatto che, qualunque persona che poteva fingersi amico, lo avrebbe usato. E lui non ci pensava nemmeno un secondo a farsi usare come un bambolotto. Si poteva dire che, beh, fosse perspicace, e anche molto.
Aprì l’acqua, mentre si guardava allo specchio.
Capelli folti e neri, carnagione dorata, per quanto l’Okkaido lo permettesse, e grandi occhi verde acqua, profondi come l’oceano a detta della piccola Araya.
Kitami Ryuu non era poi un ragazzo da buttare nella spazzatura.
Era alto, bello, ma nessuna ragazza l’aveva mai visto più di un amico. E questo significava solo una cosa; Kitami non aveva mai baciato una ragazza. O un ragazzo, ma di certo, omosessuale non lo era.
Era il classico ragazzo all’antica che diceva di voler aspettare la ragazza giusta, la donna della sua vita. Non era certamente uno che le belle donne se le andava a cercare, era comunque un ragazzo calmo e pacato.
Orfano per colpa di un incidente aereo, che, oltre ad avergli strappato i genitori, gli aveva strappato anche la sorella minore, Yukiko. Ma quella tragedia familiare non gli aveva causato traumi, come era successo a Shirou. No, lui l’aveva superata, ma molto lentamente.
All’età che aveva in quel momento, sapeva che i suoi genitori e la sua sorellina stessero bene, anche se si sentiva in colpa per non essere stato con loro, sul quell’aereo quel giorno.
Aveva la passione per la geografia astronomica, ed era uno studioso. Sì, gli piaceva imparare sempre. E anche viaggiare. Sicuramente, appena preso il diploma, sarebbe partito in un lungo viaggio intorno al mondo.
Praticamente Kitami era un ragazzo serio, composto, ma per niente perfetto, perché aveva un mare di difetti. Per dirne uno era uno che l’ordine lo vedeva solo durante le pulizie di primavera, poi niente. Era pigro, ma non tanto.
Praticamente Ryuu era un controsenso bello e buono. Ed era anche abbastanza lunatico, e, ogni giorno dovevi sperare di acchiapparlo con la luna giusta oppure ti saresti dovuto subire uno dei suoi poemi, che erano abbastanza noiosi.
Kitami Ryuu era unico nel suo genere, per dirla con un clichè. E a tutti andava bene così, visto che avevano imparato a conoscerlo, scoprendo tutti i suoi lati migliori, e anche quelli peggiori e accettandoli di conseguenza.
Erano veri amici. Quelli che incontri solo una volta nella tua vita. E lui era stato fortunato a conoscerli.
Si sciacquò la faccia con l’acqua gelida, e rabbrividì.
Appena uscì, la sensazione di caldo afoso lo investì in pieno, mentre, qualche ragazzo gli passava letteralmente addosso. Sembravano una calca di bufali imbestialiti che correva per le praterie, travolgendo tutti e tutto.
Sbuffò infastidito e si diresse verso il tavolo, che Yukino aveva utilizzato per creare una specie di mini-bar, dove, tutti i ragazzi potevano andarsi a prendere qualcosa da bere. Ovviamente c’erano solo alcolici.
Vide l’amico, e lo raggiunse accennando un sorriso, invece l’altro, lo guardava con uno strano sguardo di rimprovero.
“Ti stai divertendo, ne’, Kitami?” domandò lui, all’orecchio del ragazzo, mentre l’altro tratteneva una risata abbastanza divertito.
“Sì, posso dire che mi sto leggermente divertendo.”
Yukino rise. “Se ti ubriachi, giuro che ti faccio una foto. Il ragazzo più responsabile della scuola che si diverte ad una festa; è uno scoop scandalistico!” gli urlò nell’orecchio, cercando di superare la canzone che faceva ballare l’intera sala.
Ryuu lo guardò. “Sai come sono fatto, non potrei mai.”
Tutto può capitare stanotte, Kitami.” Yukino pronunciò quella frase sorridendo in modo malandrino, mentre, sotto lo sguardo confuso del ragazzo davanti a lui, riempiva il bicchiere di Kitami con del tequila.
 
 
 
Le facevano male i piedi. Le faceva male la testa. Le faceva male lo stomaco.
Matoro si sentiva un rifiuto umano, in quel momento.
Ballava almeno da due ore, e si era fermata solo per bere tutto quello che le passava per le mani, in più indossava dei tacchi neri e vertiginosi. Ma non poteva dire di non divertirsi.
Lei adorava quel genere di feste. Le amava. Le piaceva ballare ed ubriacarsi, le piaceva indossare vestitini corti e indossare scarpe dal tacco dodici.
Matoro era uno spirito libero, era un irresponsabile. Non le importava mai delle conseguenze, lei seguiva il suo istinto, mai la ragione. Non le piaceva ragionare sulle cose, per lei farle era l’importante. Divertirsi era importante per lei.
Per questo non era mai andata così d’accordo con Kitami, che era la responsabilità fatta a persona. Non che l’odiasse, per niente, era uno sei suoi migliori amici e gli voleva bene, ma alcune volte gli avrebbe staccato la testa, soprattutto quando gli faceva una cazziata quando ne commetteva una delle sue; sembrava suo padre. E lei odiava suo padre.
L’aveva mandata all’Hakuren, quando aveva solo dieci anni, il perché era semplice; era riuscita a farsi espellere da tre scuole, a nove anni.
Di certo le regole lei non le rispettava. E in più suo padre era un carabiniere di un certo livello, e lei lo sapeva. Nessuno poteva credere che da un uomo così responsabile era potuta nascere lei, una casinista di prima categoria. Sì, perché dovunque andava, Matoro Jyuka portava e faceva casino, sempre.
Era fatta così, e nessuno, questo lo avevano capito tutti, poteva cambiarla ormai. E i suoi amici erano contenti di averla con loro. Matoro era un po’ lo spirito allegro e sempre ottimista del gruppo.
Una che di cazzate ne aveva fatte, e anche molte. Una che aveva la risposta pronta l’aveva sempre, una che non aveva mai capito cosa voleva dire soffrire, ma sapeva che fosse doloroso vedendo quello che avevano passato la maggior parte dei suoi compagni di squadra.
Infatti Matoro era legata in modo indissolubile a tutti i giocatori della Hakuren, di più di quanto era legata agli altri studenti. Con loro aveva un rapporto migliore. Passava la maggior parte del suo tempo, con loro.
“Tutto a posto, Matoro? Non sembri stare molto bene…” Sorano, con cui stava ballando, la presa in tempo prima che lei cadesse per terra. Lei scoppiò in una risata cristallina tendendosi strettala suo amico.
“Cosa te lo dice, Soraano-chan?!” ridacchiò.
“Sei ubriaca…” dedusse il ragazzo scuotendo la testa, mentre Jyuka continuava a ridere incontrollatamente.
Lo aveva fatto ancora, ed era sicuro, che quella volta sia Kitami che la professoressa Akuma non gliela avrebbero fatta passare liscia. Soprattutto il primo, che quando Matoro si metteva nei guai o li faceva, impazziva, senza un motivo apparente. Araya aveva sempre ipotizzato che avesse una cotta per lei, ma Retsuto aveva sempre smentito, dicendo che lui provava preoccupazione per lei come la provava per Araya, ma visto che lei non si metteva così spesso nei guai, tutto il senso di preoccupazione di Kitami era concentrato sulla biondina.
Sorano non sapeva a chi credere in verità. Ma quello non era il momento giusto per decidere se Kitami era innamorato di Matoro oppure provava semplicemente preoccupazione cronica per lei.
Doveva portarla via dalla pista da ballo, il prima possibile. La prese in braccio, mentre lei continuava a ridere.
Dopo aver affrontato tutta quella banda di persone ubriache e eccitate, la posò delicatamente sul grande divano rosso, accanto alla finestra. Poi, una marea di persone lo portarono lontano da Matoro che non lo vide più, ma era l’ultima cose che passava per la mente della biondina, poiché continuava a ridere come una deficiente.
“Non mi dire che lo hai fatto ancora, Matoro!”
Cazzo, pensò la ragazza, o almeno la parte lucida di lei.
“C-ciao Kitami!” salutò lei, cercando di trattenere le risate. Sapeva benissimo che la faccia seria di Kitami non poteva dire niente di buono, lo sapeva benissimo.
Ryuu, guardandola, scosse la testa. Aveva sempre avuto una specie di accanimento verso di lei, senza sapere il perché. Voleva proteggerla in qualunque modo, quindi, quando lei ne faceva una delle sue, si incazzava talmente tanto da urlale addosso. Ma a Matoro non importava, dopo che lui le aveva urlato addosso tutto e di più, lei lo faceva ancora, infischiandosene bellamente del fatto che il ragazzo le avesse proibito di farlo. Non le piaceva essere comandata, tutto qua.
“Cosa hai bevuto?” domandò lui, perforandola con il suo sguardo.
Matoro non ci fece caso, troppo abituata. “Un po’ quello.. un po’ di questo. Diciamo un po’ tutto.”
“Al solito.” Kitami la guardò, mentre l’altra rideva.
“E al solito tu sei pronto a dirmi che ho sbagliato!” ridacchiò lei.
Kitami tacque, per poi osservarla meglio. I capelli biondi e lunghi ricadevano sulle spalle, ondulati, gli occhi azzurri scintillavano come il cielo d’agosto e il vestito rosso e nero, la fasciava in modo perfetto. E la risata cristallina, che poteva sentire solo lui, visto l’alto volume della musica, la rendeva ancora più bella.
Sì, Matoro era bella. O almeno ai suoi occhi risultava bella. Non era una ragazza perfetta; aveva più difetti che pregi, in verità.
Ma era quello che la rendeva Matoro Jyuka.
“Vieni, ti porto via da qui, prima che ci rimetti l’anima.” Kitami posò il bicchiere di tequila sul tavolo di fianco al divano, dov’era seduta, mentre con un braccio tirava su la biondina, che rideva.
Quando era ubriaca quella lì non faceva altro che ridere, lui lo sapeva bene.
“Non voglio andare via, io!” si lamentò, piantando i piedi a terra come una bambina piccola.
“Invece sì, devi andare!”
“No, voglio ballare! E tu non hai ballato per niente, quindi adesso balliamo insieme! E non accetto un no come risposta!” detto questo, si avvicinò, traballante al tavolino e prese tra le mani il bicchiere di tequila, e ne bevve un po’, mentre Kitami la guardavo stupito. Poi lo trascinò nella pista da ballo.
Kitami non sapeva che dire e che fare, come sempre. Stava lì, e ballava con quella pazza scatenata di Matoro, che continuava a ballare, senza tener conto di nessuno.
Lei l’abbracciò ridendo, trascinandolo in un ballo senza senso su una canzone un po’ lenta, ma non troppo. Sorrise, guardandola.
“Ti stai divertendo?!” domandò lei, urlandogli in un orecchio. Kitami annuì, facendola sorridere.
Continuarono a ballare per un po’, finché, il destino, non li fece inciampare. Kitami si ritrovò a pochi centimetri dal viso di Matoro, che aveva le gote rosse, quanto il suo vestito.
Scoppiò a ridere, guardandola. Era imbarazzata, molto imbarazzata. Era bella anche completamente rossa.
Lei lo guardò offesa, mentre lui si riportava a sedere continuando a sorridere.
“E poi quella completamente ubriaca sarei io…” sbuffò, per poi scoppiare a ridere, mettendosi a sedere anche lei.
Mentre stavano ballando si erano allontanati un po’ dalla sala, ed infatti si trovavano all’inizio del corridoio che portava alle camere da letto. La musica si sentiva, però, lo stesso, ma, a differenza dell’enorme sala in cui si svolgeva la festa, era completamente buio.
“Su, alzati.” Kitami si alzò, porgendo la mano anche all’amica che la guardò.
“Mi scoccio di alzarmi. Restiamo qui, seduti per un po’!” si lamentò lei.
“Sei una bambina capricciosa, Matoro, lo sai?” le disse lui, sedendosi di nuovo sul pavimento di legno, appoggiando la schiena al muro, e osservandola.
“Sì, me lo dicono spesso, Kitami. Soprattutto tu!” rise.
“E’ la verità.”
“Lo so. Ma io sono fatta così.”
“Infatti, e nessuno vorrebbe che tu cambiassi, per quanto sei irresponsabile, sei perfetta così..” sorrise, mentre lei arrossiva una seconda volta.
Matoro non era mai arrossita così tanto in una sola sera. Non era da lei imbarazzarsi per così poco, in verità, ma Kitami ci riusciva. Sempre.
In qualunque modo ci riusciva, e lei non capiva perché.
“Smettila.”
“Di fare cosa?” domandò lui, un po’ confuso, osservandola.
“Di… di essere così… stasera non ti riconosco proprio. Ti solito quando bevo troppo sei pronto ad uccidermi.. invece adesso conversi con una mezza ubriaca tranquillamente. Tu non stai bene, stasera!” esplose Matoro, passandosi una mano tra i capelli biondi.
“Hai ragione, ma.. è Capodanno no? Per una notte posso non essere il responsabile Kitami” disse lui, con fare tranquillo.
Matoro sbuffò, guardandolo, per poi levarsi i tacchi che le stavano distruggendo i piedi.
“Bah, secondo me sei anche tu ubriaco, Ryuu-chan!” sbottò lei.
Il ragazzo rise, mentre lei gonfiava le guance indispettita.
Si creò uno strano silenzio. Nessuno dei due sapeva cosa dire.
“Che ore sono?” domandò Matoro, guardandosi intorno alla ricerca di un orologio, ed interrompendo il silenzio.
“Le undici e quarantatre…” rispose Kitami, guardando l’orologio da polso, che si era appena accorto di avere.
“Fra poco è mezzanotte.” Jyuka lo guardò, mentre lui annuiva.
Il nuovo anno sta per arrivare, mancava un quarto d’ora all’incirca, e loro stavano lì, a guardarsi mentre a pochi metri da loro la festa procedeva senza intoppi.
Un nuovo anno di cazzate, di litigi, di risate e divertimento. Un nuovo anno di studio, di neve e di giochi. Un nuovo anno di compleanni, un nuovo anno di vacanze, un nuovo anno di tutto. Un nuovo anno per l’Hakuren. Un nuovo anno per loro.
Chissà cosa sarebbe successo.
Era questo che pensava Matoro, mentre Kitami la guardava in modo curioso; lui non aveva tutta quella voglia di immaginarsi il nuovo anno. Per lui non cambiava niente. Per lui sarebbe rimasto lo stesso.
Erano completamente diversi, sia in aspetto fisico che caratteriale. Ma erano fatti così.
Si guardarono e sorrisero, mentre Kitami dava un altro sguardo all’orologio.
“Mancano cinque minuti, Jyuka.”
“Come vola il tempo… sono passati dieci minuti così.” Sospirò “Anzi, è passato un anno, così…”
“Pare che la sbronza ti sia passata..” le fece notare lui, e lei sorrise.
“Probabilmente…” e rise.
La musica si fermò all’improvviso e la voce di Shirou risuonò in tutto l’istituto Hakuren. “Manca solo un minuto alla mezzanotte, prendete per mano il vostro vicino, baciate la vostra ragazza e prendete i champagne, siamo pronti per il conto alla rovescia!”
“Manca un minuto quindi…” sussurrò.
“Ripeto: il tempo vola.” Matoro sorrise, mentre prendeva per mano Ryuu, che incurvò le labbra.
“Mancano trenta secondi…” urlò Fubuki. “Venti!” aggiunse subito dopo.
“Dieci…” bisbigliò Kitami.
Le era venuta voglia di baciarla.
“… nove…” aggiunse Matoro. 
Non capiva perché, ma aveva voglia di baciarlo.
“.. otto...” lui si avvicinò.
Non capiva perché, ma si era dovuto avvicinare.
“sette...” lei arrossì.
Non capiva, come sempre, perché le sue gote si erano fatte rosse.
“sei…” lui sorrise.
Non capiva perché, ma adorava vederla imbarazzata.
“cinque…” lei lo guardò negli occhi.
Non capiva perché, ma in quel momento amava i suoi occhi verde acqua.
“quattro…” lui si avvicinò ancora di più.
Era a pochi centimetri dalle sue labbra.
“tre…” lei sorrise.
Sapeva cosa stava per succedere.
“due…” sussurrò lei.
“…uno.”
“Buon anno, Kitami!” augurò in un bisbiglio Matoro, prima di sentire le labbra di lui sulle sue. E non capì più niente.
 
 
Matoro sbadigliò, portandosi le mani alla testa, che le faceva un male cane. Non ricordava più niente di ciò che era successo la sera prima, niente dopo quel semplice bacio che lei e Kitami s’erano scambiati.
Si guardò intorno, e si accorse di non essere in camera sua, ma di essere nella stanza di Ryuu. Puntò lo sguardo azzurro di fianco a lei, e conobbe delle ciocche nere come il petrolio.
“Oh cazzo…” sussurrò.
Si ricordò tutto. Ma proprio tutto.
Si erano alzati, erano andati di nuovo alla festa, e avevano bevuto, festeggiando con tutti. E poi…
“… siamo andati a letto insieme, Matoro.”
“Lo avevo notato, Ryuu.”
“Cosa facciamo adesso?” Kitami si passò una mano tra i capelli, imbarazzato.
“Io non so te, ma ho fame.” Detto questo si alzò e indosso la prima cosa che le capitò per le mani. Poi uscì, rimanendo da solo Kitami, che stava iniziando a maledire Yukino.
“Quel ragazzo, come cavolo fa ad avere sempre ragione?!”  

 
 
 
 



 
Angoletto del cara-cara-cacchio (?)
Questa cosa non so cosa sia, ma è uni schifo. Il lato positivo che ho aggiornato il penultimo giorno ** Non lo trovate fantastico. Mi dispiace non ave potuto fare di meglio, anche perché non avevo ispirazione e me ne stanno capitando di tutti colori.
Il lato positivo è anche che questa notte, probabilmente, nevicherà ad Ischia. Ci credete? Io non lo so, ma a Napoli sta nevicando quindi, beh, sì, è probabile! Anche l’anno scorso a nevicato! *-*
Ma perché vi dico queste cose?
Comunque la coppia è una mia invenzione, non esiste, se non da oggi, come la AiMido. Mi piacciono insieme, e quindi, beh, ho scritto su di loro. Spero di non essere caduta nel banale, ma ho la sensazione di scrivere la stessa cosa tutte le volte. Sul serio.
Beh, ditemi se vi piace. A me non importa vincere, anche perché cosa me ne faccio di una vittoria? Mi piace partecipare! E questa la cosa migliore di un contest. Quindi, anche se non vincerò sarò contenta del fatto che ho partecipato.
Ultima cosa: so che devo recensire le vostre storie per il contest, ma, sportiva e deficiente come sono, non le ho neanche lette. Spero solo che vi incavoliate, ma sono certa che siano tutte delle meraviglie. Le leggerò e le recensirò. Prometto.  E, per quelle che ho letto, che sono poche, posso dirvi che sono bellissime. Soprattutto la tua Angelica, smettila di dire che è schifosa, che giuro che entro nel telefono e ti uccido.
A proposito, non stai parlando da sola vero?
La smetto di divagare.
Dedico questa cosa ha tutti quelli che leggono. E probabilmente cambierò nick name perché non ho niente da fare, ora vado, la vostra,
Miamcchan <3 
   
 
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