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Autore: anna ritchie beverley    19/12/2011    1 recensioni
In questa storia non si parla di maghetti o vampiri sbarluccicanti. Sicuramente sarebbe stata più figa, ma no. Ho deciso di evitare.
In questa storia si parla di droga, di alcool e di cattive compagnie.
In questa storia non c'è spazio per i giochi, i ragazzi qui rappresentati sono cresciuti troppo in fretta per queste stronzate.
In questa storia si parla anche di amore, sì.
In questa storia non ci sarà il "e vissero tutti felici e contenti".
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tournaround 2021
prefazione.


Vorrei partire con un presupposto che riguarda la veridicità della mia storia: non lo è, è inventata di sana pianta. 
Tuttavia, nulla è puramente casuale.

 

Questa è la storia di Anne, una delle tante Anne che ci sono al mondo.
Non ho intenzione di dilungarmi, basti sapere che tutti i personaggi sono presi dalla mia realtà (bensì le loro abitudini non siano le stesse). 
Tournaround 2021 è solo una storia, ma non di quelle che si raccontano ai bambini prima di dormire.
Non è horror, non è romantica, non è un giallo. 
E' pure e semplice realtà, la realtà di una società in cui tutto viene nascosto.

Grazie a un po' di gente, a partire da Joey e da Alex, fino ad arrivare a Chuck Palanhiuk.





parte prima.
 

Non ho niente da dichiarare. Niente.


Si sentiva ancora il rimbombo delle parole, delle grida nel corridoio.
Il rimbombo era il fantasma di quello che era stato e quello che era stato era un corpo.
Un corpo senza vita nel bagno. Circondato da scritte. Ti amo, io no, stronza ti spacco il culo se ti becco, Arthur sei bellissimo.
Macchia di sangue vicino al braccio. Principio di trombosi. Polvere bianca, un cucchiaio, una siringa.
Un accendino vecchio, quasi vuoto. La turca era sporca, intasata. Non funzionava nemmeno più lo scarico.

I tempi non cambiano in modo radicale. Cambiano le persone, ma la storia è la stessa.
E’ un cerchio, che si apre e si chiude con una crisi. E poi gira, gira, continua a girare.
La moda gira, i soldi girano, gira la droga, gira la testa. La verità è che non riusciamo a starci dietro, a questo movimento.
E quando non ce la fai più, sbagli tutto. Le dosi, ad esempio.

Portarono via il corpo e lo caricarono su un’ambulanza.
Era il 16 Novembre e pioveva a dirotto. I ragazzi si stringevano nelle giacche a vento striminzite, nei k-way.
Alcuni indossavano un giubbotto di pelle, altri avevano l’ombrello aperto e ospitavano amici sotto di esso.
Era uno scempio, dover assistere a quella scena.
Mi allontanai e accesi una sigaretta. Aspirai il fumo, sentii il calore, il catrame, la nicotina, scendere per le mie vie respiratorie, farsi strada fino ai polmoni.
Laurie  mi si avvicinò. Eccone un’altra, mi disse. Risposi che non mi interessava il numero di gente che ci lasciava le penne.
Disse che non interessava nemmeno a lei, ma che non poteva ignorare la realtà. Disse che era stanca di vedere gente tirare le cuoia per un po’ di ero.  
Dispiaceva anche a me, ma andava così. Era ritornata la crisi, lo stato era fallito e i ragazzi non avevano altro che le droghe per fingere di stare bene.
I genitori si facevano il culo per cercare di tirare avanti, i figli non venivano curati.
Alcuni si suicidavano, scappavano di casa, si tagliavano, rubavano nei negozi, vendevano il sangue al mercato nero, spacciavano, vendevano il culo, andavano nei locali a prendere acidi, sotto i ponti a bucarsi. Qualunque fosse stata la tua scelta di vita, saresti sembrato comunque un cadavere. E lo saresti stato presto a tutti gli effetti.
Ti tenevi stretto un cellulare, un pacchetto di sigarette, delle cartine, un cucchiaio, un accendino.
Dei soldi, se ne avevi. Potevi sempre vendere il cellulare, in caso contrario.

Tornai a casa stanca, i miei erano in soggiorno.
«È morta una ragazza oggi?» mi chiesero preoccupati. O almeno, presumo che lo fossero. O che cercassero di esserlo.
Mio padre stava leggendo il giornale, come al solito. Controllava la pagina dell’economia, dell’attualità. Mia madre stava rammendando un mio calzino.
Risposi di sì, con noncuranza. Mi chiesero se la conoscevo. Sì, la conoscevo, si chiamava Charlotte. Sì, mi dispiaceva. Non so quando sarà il funerale, dico.
Mi lasciarono andare in camera, presi la borsa e la svuotai sul letto. Il mio vecchio telefono stava suonando insistentemente, premetti il tasto verde e ascoltai.
«Annie?» parlò il telefono.
«Sì, sono io.» non conoscevo quel numero, non era in rubrica.
«Sono Andrew. Ho dovuto cambiare numero, questa è una vecchia SIM. Ammesso che serva a qualcosa. »
«Che è successo? »
«Gli sbirri.. » immaginavo. Andrew spacciava e agli sbirri non andava giù. Volevano nomi e cognomi e Andrew non era così codardo da raccontare tutto.
Ma d’altronde non poteva farsi arrestare, così ogni volta che si sentiva minacciato, cambiava la SIM del telefono per non farsi rintracciare. E in quel mese l’aveva cambiata già due volte.
Tredici volte in tutto l’anno. Le rubava da altri telefoni, non era il solo. Quello che so, è che non aveva mai speso soldi per una SIM. Lo salutai e misi giù. Fine della conversazione.
Mi sedetti sul letto e cominciai a pensare alla scuola, avrebbero sicuramente cercato lo spacciatore che aveva venduto la merda a Charlotte. Morta nel cesso delle ragazze. A scuola.
Si può essere così idioti da farsi una pera nel bagno della scuola? Se non fosse morta, l’avrebbero beccata di certo.
Una primina, vide che c’era la porta socchiusa e bussò forte per sicurezza. Nessuno rispose. Aprì convinta e urlò.
Urlò così forte che tutta la scuola riuscì a sentirla. E continuò ad urlare, facendo rimbombare la sua voce per i corridoi. Tutti sapevano cos’era successo, anche senza aver visto.
Non era una novità, anche se non era ancora morto nessuno. Di solito riuscivano a salvarli sempre prima.
Riuscivano a garantire loro ancora un paio di giorni di vita, prima di ritrovarli in una latrina della stazione, con la siringa ancora nella vena. Morti.

 

Non ho niente da dichiarare. Niente.


Il punto è, io mi bucavo? Tenevo siringhe e cucchiaini a portata di mano? Oppure cercavo di evitare lo squallore che tanto detestavo?
Nel circolo dei bucomani non c’era spazio per gente pulita. Io c’ero dentro, nel circolo. C’ero dentro fino al collo. C’eravamo tutti dentro e nessuno voleva seriamente uscirne.
Dal circolo dei bucomani, da vivo non ci esci. Una volta che sei dentro, puoi cominciare a scavare la fossa. Comincia uno, comincia l’amico, cominciano i conoscenti.
Poi finisce che nemmeno ti puoi più bucare sulle braccia e passi al collo, alle gambe, alla faccia.
Oppure sceglievi la meth e dimmi se non è peggio che morire in un cesso della stazione.
Una droga la trovavi comunque andava. Scegli, crack, coca, ero, meth, keta, MDMA, LSD, hashish, colla, la scelta è solo tua.
Vivi nel tuo circolo di drogati. Scegli come morire, scrivi la tua fine. Flash, trip, chiamalo come ti pare. Preferisci l’euforia o il relax? Preferisci fotterti il cervello?
Sei nel posto giusto. Le sigarette lasciale agli undicenni, dai tredici in poi sperimenta gli acidi. Bucati le braccia dai quattordici anni. Vediamo se ai sedici ci arrivi. Vediamo come ci arrivi.
Ma a quel punto, sei talmente fatto che non hai nemmeno più timore della morte. La tua vita fa così schifo che la morte sarebbe solo la cosa migliore che ti possa capitare.
Drogati per non sentire il dolore. Drogati per drogarti. Drogati perché il tuo corpo senza non può vivere. Drogati perché il tuo corpo vivrà poco comunque.
E alla domanda, perché fai tutto questo? Nemmeno risponderai.
Prendi la siringa, cala sulla vena. Spingi lo stantuffo e in pochi minuti non avrai più bisogno di farti delle domande. E non avrai bisogno di risposte.

La morte non è poi così male. In realtà non posso dirlo, ma quando muori, so per certo che stai bene.
La morte è una delle cose migliori della vita, ma solo se la provi in prima persona. Gli altri piangeranno, si dispereranno. Fanno sempre così, per puro egoismo.
Perché tu non sarai più con loro, non sarai più lì ad abbracciarli. E, nonostante tutto, si sentiranno soli. Per qualche giorno. Poi passa anche quello.
Tu, invece, sei morto e sepolto. In cenere, magari.
Siamo tutti egoisti. Il morto è egoista perché lascia tutti per andarsene. Gli altri sono egoisti perché piangono e non pensano che il morto ora sta meglio.
Pensano che hanno perso qualcosa. Come un bambino che perde un peluche. Ma poi se ne dimenticano, vanno giusto a cambiare i fiori quando capita.
Una volta all’anno alla festa dei morti. Solo se non c’è il ponte, altrimenti se ne vanno in vacanza.
 
 
Questa era la situazione, niente da dire.
Ci fosse stato qualcuno con ancora un briciolo di forza, di speranza, si sarebbe certo trasferito nei Quartieri Alti. Così si divideva la città: Quartieri Alti e Tutto il Resto.
Non è che nei Quartieri Alti si vivesse bene, da gran signori, semplicemente il degrado non era così lampante. Gli anziani andavano in villeggiatura nei Quartieri Alti.
Lì, forse, un lavoro l’avresti trovato. Forse.
I ragazzini dei Quartieri Alti, erano dei figli di papà, mantenuti con le poche migliaia di rendita, che rimanevano ai loro genitori.
Appena iniziavano gli anni del college si davano alle droghe leggere, per emulare qualche rockstar, per fingersi dei fottuti messia dei nostri giorni.
Per seguire le solite mode in voga tra gli adolescenti. Poi alla fine diventavano tutti avvocati, si sposavano e ricominciava il giro.
Erano tutti iscritti al circolo del golf, del tennis, dell’equitazione. Avevano macchine lussuose. Almeno questo era quello che cercavano di mostrare, per sminuirti.
La verità è che erano tutti pieni di debiti. Con la casa ipotecata.
Semplicemente, il degrado non era così lampante.
Ecco tutto; svelato il mistero.

  
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