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Autore: lievebrezza    19/12/2011    38 recensioni
Blaine arriva in una nuova scuola. L'ultima cosa che vuole è innamorarsi della persona sbagliata; però succede. E tutto improvvisamente, diventa molto complicato, perchè a volte non si può evitare di amare qualcuno di proibito.
[Teacher!Blaine + Student!Kurt]
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Solo una piccola introduzione veloce: volevo ringraziarvi. Questa storia è nata un po' per gioco e un po' per caso, ancora adesso non sono certa di volerla terminare, ma di certo se andrò avanti sarà anche grazie all'entusiasmo e alla gentilezza che avete dimostrato nei suoi confronti.

Davvero, il vostro appoggio è eccezionale e non vi ringrazierò mai abbastanza per questo.

 

 Capitolo terzo

 “Hey Kurt! Pss… Kurt!” Finn era in piedi davanti al bagno dei maschi e si sbracciava per attirare l’attenzione del fratellastro, che con mani tremanti stava prendendo i libri di letteratura dal suo armadietto. Di solito era stare in corridoio che gli metteva agitazione, non andare in aula.

“Che c’è? Hanno aggiunto qualche nuova frase di cui non capisci il significato?” rispose sprezzante, passandogli davanti senza fermarsi, con i libri e il quaderno stretti al petto.

“Smettila, vieni dentro.” Insistette Finn.

“Io lì non ci entro.” Kurt si era voltato e gli aveva risposto bruscamente, sorpreso dalla richiesta di Finn. Come poteva aspettarsi che Kurt lo seguisse dentro quella galleria degli orrori? Era decisamente troppo umiliante. Stava per aggiungere qualche altro commento sarcastico, quando Finn lo afferrò per un braccio e lo tirò dentro.

L’odore di solvente e di vernice lo stordì, nonostante le finestre aperte per far circolare l’aria. Ma ciò che lo sconvolse davvero fu il candore delle pareti, completamente intonse per la prima volta da mesi: era sorpreso di vederle improvvisamente bianche, dato che non si erano degnati di ripulirle nemmeno durante l’estate. Kurt si era rassegnato all’idea di farsi accompagnare da quello schifo fino al diploma e si chiedeva che senso aveva farlo ora, con gli studenti che erano pronti a imbrattarle di nuovo nel giro di un paio d’ore.

Si ricompose e guardò Finn, fingendosi nient’affatto sorpreso: “Cinque dollari che entro le undici ci sono almeno due scritte e tre disegni di me senza pantaloni.”

Diede un’ultima occhiata al bagno, poi uscì, seguito di corsa da Finn. Non contento, il fratello continuò a parlarne: “Ma no, non capisci! Girano delle voci a scuola, Azimio e Dave hanno detto che faranno il culo a strisce a chiunque sporcherà di nuovo il muro.” A quel punto, Kurt si fermò.

“Sono loro che scrivono quelle schifezze, di solito.” Disse osservando scettico Finn.

“Lo so! È che il signor Anderson ieri li ha messi in punizione per aver spintonato un ragazzo e li ha costretti a ripulire tutto dopo la scuola. Lui e la Pilsbury hanno detto che li avrebbero obbligati a rifarlo ogni volta che le scritte sarebbero ricomparse. Forte no?” L’entusiasmo di Finn era tangibile, perché gli si spezzava il cuore vedere Kurt fare chilometri ogni volta che doveva fare pipì o cambiarsi i vestiti zuppi di granita. E poi in diversi disegni c’era anche lui senza pantaloni a far compagnia a Kurt, solitamente in modi assai poco fraterni, quindi quella era una doppia vittoria. O no? L’espressione sul viso di Kurt era indecifrabile, mentre camminava lasciando Finn impalato in mezzo al corridoio.

Non aveva dormito bene quella notte, al pensiero di trovarsi in classe con il signor Anderson seduto alla cattedra e lui schiacciato dietro il suo banco. Non aveva idea di come la questione sarebbe stata affrontata, o quando: solo l’idea lo uccideva per l’imbarazzo. Aveva sognato di entrare in classe con tutta la bocca sporca di rossetto e di essere sbeffeggiato davanti a tutta la classe, con i compagni e il professore che lo prendevano in giro. Subito dopo essere scappato via dal bagno aveva realizzato di essersi messo in una situazione complicata, ma solo durante la lezione di biologia aveva avuto la sfortuna di capire quanto era davvero complessa.

 Arrivato davanti alla classe di letteratura inglese, tirò diritto fino al bagno dove il signor Anderson l’aveva trovato accucciato a terra. Non gettò nemmeno un’occhiata all’interno dell’aula, fingendo di non essere minimamente interessato.

Una volta davanti allo specchio del bagno fece un respiro profondo e prese dalla borsa lacca e spazzola per sistemarsi rapidamente i capelli, poi si pizzicò appena le guance per nascondere il pallore mortale che la nottata insonne gli aveva tanto generosamente regalato. Nel vedere i lavandini, ricordò improvvisamente di avere lasciato lì la maglietta il giorno prima: si abbassò per vedere se era per terra, ma non riuscì a trovarla. Scocciato, camminò avanti e indietro un paio di volte, poi gettò un’occhiata all’angolo in cui si era seduto il giorno precedente: ma che gli era passato per la testa? Per terra poteva esserci qualunque cosa, anche se era il bagno meno usato di tutta la scuola: doveva essere davvero a pezzi per essere arrivato a tanto senza nemmeno rendersene conto. Di solito non reagiva tanto male agli scherzi che gli venivano fatti quotidianamente, ma l’aver trascorso un’estate particolarmente serena l’aveva reso stupidamente fiducioso nei confronti dell’inizio della scuola: magari nessun avrebbe fatto più caso a lui, magari l’avrebbero lasciato stare. Invece i disegni sui muri del bagno erano ancora lì, tutti ridacchiavano quando passava e scimmiottavano le sue movenze, esattamente come tre mesi prima. Le granite erano state la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, senza contare che era a causa loro che s’era cacciato in quel guaio con il professore di letteratura.

Stupido stupido stupido

Come se la sua vita fosse tanto semplice da non preoccuparsi di una bazzecola come quella. Idiota.

Quando finalmente trovò il coraggio di entrare in aula, scoprì che il professore non era ancora arrivato e che non c’erano banchi liberi, se non in prima fila: Finn oggi si era seduto con Puck, nell’ultima fila. Il fratello gli fece un cenno di scuse e Kurt fu costretto a piazzarsi davanti a tutti, vicino alla porta. Almeno poteva usare il banco vuoto accanto al suo per riporre la borsa e il maglioncino che ora aveva appoggiato sulle spalle. Dietro di lui gli altri cominciarono a fare chiasso e lui poggiò la testa sul banco, coprendosi con le braccia in attesa dell’arrivo del professore.

Non appena la porta si chiuse, tutti rimasero improvvisamente in silenzio; fu l’insolita tranquillità dei compagni a distrarre Kurt, che alzò lo sguardo dal banco e incrociò quello del signor Anderson, che stava poggiando la sua borsa sulla cattedra. Lo sguardo di Blaine era così diverso, rispetto al giorno precedente nel bagno. Altrettanto intenso, ma diverso: si scambiarono una lunga occhiata silenziosa, mentre Blaine riponeva alcuni libri in uno dei cassetti. Nessuno dei due mostrava stupore nel vedere l’altro; anche se in modi diversi, entrambi erano venuti già a conoscenza del fatto che l’uno era il professore dell’altro. Ma Kurt negli occhi di Blaine vide qualcosa d’altro: nonostante non fossero più gentili e impacciati come il mattino precedente, in loro c’era una sorta di calore che lo portò istintivamente a sorridere. Fu una fugace occhiata di confidenza, che durò solo un secondo, per essere rimpiazzata da una fredda professionalità.

 Perfino quando parlò, la sua voce si rivelò diversa: era più dura di quanto ricordasse, il tono più secco, le parole scelte con più attenzione. Il professore fece l’appello, e quando chiamò Kurt, lo informò che il giorno precedente aveva ricevuto una nota a causa della sua assenza alla lezione.

“Ma io ieri… insomma, noi… io credevo fosse chiaro perché…” Kurt non voleva dirlo a tutta la classe, ma onestamente non s’aspettava che la nota fosse ancora lì ad attenderlo. Il signor Anderson sapeva perché non era venuto a lezione, pensava non fosse necessario aggiungere altro; dopotutto, con Dean si era dimostrato piuttosto comprensivo. Perché con lui doveva essere diverso?

“Hummel, ne parleremo al termine della lezione, ora per favore lasciami terminare l’appello.”

Kurt annuì e si fece piccolo sul suo banco: davvero si era dipinto tutto nella sua testa? Era convinto che il giorno precedente nel bagno tra lui e quel ragazzo si fosse creata una, seppur breve, connessione. Non il principio di nulla, quello ormai era chiaro, ma Kurt pensava che fosse sufficiente per cancellare quella nota senza fare troppe storie.

E, segretamente, per essere trattato in modo diverso dagli altri.

Evidentemente si sbagliava, perché il signor Anderson lo interrogò esattamente come gli altri su quanto era stato detto durante la lezione precedente e in almeno un paio di occasioni l’aveva richiamato perché stava disegnando sul banco anziché prendere appunti. Con un sospiro, Kurt affrontò il resto della lezione senza speranze.

 

Blaine ci aveva pensato per tutta la sera, sia durante la riunione dei professori, che mentre stirava la maglietta di Kurt: da un lato voleva andare da quel ragazzo, sedersi con lui in una caffetteria e parlargli come se si fossero conosciuti per caso alla fermata dell’autobus, ma dall’altro sapeva che anche solo un briciolo di confidenza poteva essere l’inizio di qualcosa di davvero pericoloso. Perché la storia di Kurt era troppo simile alla sua per lasciarlo indifferente e perché era bastato un tocco leggero delle sue labbra su una guancia per farlo incespicare.

Blaine aveva deciso di non lasciare spazio a nulla, nella speranza che Kurt si rivelasse uno studente scostante e irritante, o di trovarlo meno bello di quanto ricordasse. O con uno sguardo meno sofferente e bisognoso di attenzioni, cure e affetto. Voleva che fosse antipatico e irriverente, voleva che i suoi compiti fossero copiati da Wikipedia, disordinati e pieni di errori, voleva che si spostasse in un altro corso.

Per quello non aveva cancellato la nota.

Per quello aveva interrogato Kurt e lo aveva ripreso quando si era distratto.

Non voleva che nutrisse delle speranze o che confidasse di trovare in Blaine qualcosa di più di un professore disponibile. La tentazione era troppo forte, l’unico modo per evitare di cascarci era tagliare ogni contatto: perfino la maglia era un errore a questo punto, ma ormai doveva rendergliela.

Non gli era sfuggito il modo in cui Kurt aveva reagito durante l’appello, ma Blaine aveva tenuto duro; aveva faticato tanto per ottenere quel lavoro, ora doveva sforzarsi di non rovinare tutto. Si era ripetuto che era un ragazzino qualunque, non diverso da tanti altri; non aveva nulla di speciale, nulla che valesse la pena di mandargli all’aria la carriera o la reputazione. Non lo guardò in faccia nemmeno una volta per tutta la lezione, a eccezione di quel lungo sguardo che si erano scambiati mentre poggiava le sue cose sulla cattedra. Avrebbe voluto schiacciare in quello sguardo tutto quello che voleva e non poteva dirgli, ma era impossibile: mi dispiace, Kurt.

Al termine della lezione, tutti uscirono ordinatamente, ma Blaine chiese a Kurt di restare: “Hummel, dobbiamo parlare della tua assenza di ieri.”

Con l’aula vuota e la porta chiusa, Kurt afferrò la tracolla e arrivò fino alla cattedra, appoggiando la schiena a uno dei banchi della prima fila.

“Mi dispiace per ieri. Io non avevo capito che Lei… beh, che Lei era un professore. Non mi sarei mai permesso di dire certe cose sul preside, né di trattarla in quel modo. La prego, mi cancelli la nota. Sono terribilmente mortificato e dispiaciuto, non avevo nessuna ragione per saltare la lezione, né per trattarla in quel modo.”

Blaine ripose l’agenda su cui stava scrivendo e si strinse la radice del naso tra indice e pollice.

“Kurt. Non devi scusarti di niente. Statura ed età non giocano a mio favore, non sei di certo il primo a fare lo stesso errore. Io avrei dovuto rendere le cose chiare fin da subito e così che non ci fossero equivoci. Né lasciarmi sfuggire informazioni personali che potevano confonderti.”

Kurt spostò il peso da un piede all’altro, imbarazzato.

“Grazie per aver fatto cancellare quelle scritte dal bagno. L’ho apprezzato molto.”

“Avevo due ore di punizione da riempire, l’idea è stata della Pilsbury. È lei che dovresti ringraziare.” Rispose secco Blaine, di nuovo concentrato a non dire nulla di cui poteva pentirsi. Qualcosa come: “Se avessi potuto, le avrei graffiate via con le mie stesse unghie, non appena le ho viste. Avrei grattato fino a farmi sanguinare le dita, pur di cancellare quello scempio.” o “In questa scuola hanno più fantasia di quella che frequentavo io. Si limitavano a chiamarmi checca o ad ammazzarmi di botte.”

Guardò il ragazzo in piedi davanti a lui e si trattenne dal dirgli che avrebbe trovato qualcuno, prima o poi. Qualcuno che lo avrebbe stretto, coccolato e protetto. Qualcuno che non avrebbe avuto paura di dire al mondo intero che lo amava. Qualcuno che gli avrebbe fatto capire che era importante e speciale. Ma Blaine questo non poteva dirglielo: perché quando poteva, Blaine diceva sempre la verità. E la verità era che dopo gli anni infernali nel suo primo liceo e quelli vissuti tra le ovattate pareti della Dalton, l’unico uomo con cui aveva trascorso più di mezz’ora, l’unico che sembrava davvero comprenderlo e ascoltarlo era William Shakespeare.

Morto da più di cinquecento anni. Non era certo l’esempio di un sereno rapporto di coppia.

“Lo farò non appena la vedrò.” Kurt teneva gli occhi fissi sulla mano che stringeva la tracolla, ma ebbe il coraggio sufficiente per dirlo. “Mi dispiace per essere stato inopportuno.” Poi alzò lo sguardo: “Mi dispiace per il bacio sulla guancia. Tu eri così carino e … cioè, volevo dire che Lei è stato così carino con me ieri… se avessi saputo che lo faceva perché era un professore non l’avrei mai fatto, invece credevo… non lo so cosa credevo. È stato comunque un errore. A volte sono impulsivo e poi me ne pento. Oddio, non pensi che vado continuamente a distribuire baci a dei perfetti estranei.”

Blaine fece un sospiro, poi sorrise benevolo.

“Non ti devi scusare Kurt. Non è stato niente. Non ha avuto alcun significato per me, quindi non ti preoccupare. È come se non fosse mai successo. Davvero.”

Ecco, forse era stato un tantino troppo esplicito nel chiarire che la cosa non aveva alcun valore, ma l’importante era che il messaggio arrivasse forte e chiaro. Dagli occhi improvvisamente lucidi di Kurt, capì di aver fatto centro.

“Le ho riportato questo.” Sfilò dalla borsa il fazzoletto da taschino di Blaine, che era stato accuratamente stirato e lavato. Kurt lo porse a Blaine con dita incerte, ma l’altro non allungò le mani per prenderlo; così decise di limitarsi ad appoggiarlo sulla cattedra, vicino alla sua agenda. Blaine si era completamente dimenticato di averglielo dato.

“Curioso, anche io ho qualcosa per te.” Aprì il primo cassetto della scrivania e poggiò accanto al fazzoletto la maglia di Kurt, accuratamente lavata e stirata a sua volta. “Ieri l’hai lasciata sul lavandino, ho pensato che il minimo che potevo fare era restituirtela, ma non sapevo che fossi un mio studente. L’ho scoperto solo dopo.”

Kurt guardò la maglia, poi la prese delicatamente, infilandoci sotto la mano.

“Grazie. Le direi che è una delle mie preferite, ma se fosse vero probabilmente non l’avrei dimenticata sul lavandino. Beh, allora io vado…”

Quando Kurt si scostò dal banco e fece per andare verso la porta, Blaine si alzò di scatto dalla cattedra, facendo per seguirlo. Kurt si voltò a osservarlo, corrucciando le sopracciglia e chiedendosi perché l’aveva fatto; non c’era bisogno di accompagnarlo fuori, la strada era piuttosto semplice da trovare.

“Io…” disse improvvisamente incerto. Si sentiva meno professore che mai, in quel momento. “Devo andare in sala professori.”

“Va bene. A domani.” Kurt uscì dalla stanza senza voltarsi indietro e Blaine rimase lì fermo, a metà strada tra la cattedra e la porta. Esattamente come aveva desiderato, a Kurt non importava un accidenti di lui o di quello che faceva, altrimenti non se ne sarebbe andato senza aggiungere altro. Tornò a sedersi, ma era ben lungi dal sentirsi soddisfatto; si sentiva svuotato, perché niente di quello che aveva appena detto o fatto rispecchiava minimamente quello che in realtà avrebbe desiderato dire o fare.

Nella sua testa, le cose sarebbero andate diversamente. Un piccolo tocco sulla spalla, un sorriso e una domanda: “Non ti preoccupare della nota, ho capito da me perché non sei venuto a lezione. Hai voglia di parlare? Ho un’ora libera.”

Ma non era possibile, perché tra i tantissimi modi in cui quella conversazione poteva andare avanti, almeno metà erano deliziosamente piacevoli e assolutamente inaccettabili, quindi l’unico modo per evitarli era non sostenerla affatto. Anche se significava passare per uno stronzo.

O per un semplice professore.

 

Kurt uscì dall’aula stordito. Se da un lato la freddezza del signor Anderson nei suoi confronti l’aveva sorpreso, sotto sotto sapeva che doveva aspettarsela: che mai doveva succedere, se non una conversazione civile in cui gli diceva che non era successo niente?

Era ovvio che sarebbe finito tutto in una bolla di sapone. Si era agitato tanto per niente.

Arrivò al suo armadietto e cominciò a riporvi con cura i libri di letteratura e la maglia che il professore gli aveva stirato: rimase a osservarla per qualche istante, notando la cura con cui il colletto era stato ripiegato,

e accarezzò delicatamente il tessuto intorno ai bottoni, poi chiuse lo sportello e s’incamminò verso biologia, pronto ad archiviare tutta la faccenda come un’altra delle cose che avrebbe dimenticato una volta finito il liceo.

Kurt non aveva intenzione di mollare. Potevano scrivere quello che volevano sui muri, potevano inzupparlo di granita e potevano prenderlo in giro fino a farlo piangere, ma non avrebbe mai rinunciato a essere se stesso: impulsivo, esagerato e un po’ vanitoso. Aveva faticato tanto per accettarsi e ora era pronto a fare tutto quello che era necessario per tirare fino alla fine del quarto anno: tenere un cambio d’abiti nell’armadietto, andare al bagno abbandonato per non leggere scritte oscene sul suo conto, sedersi da solo durante le lezioni che seguiva senza Mercedes, fingere di non sentire le risatine quando passava.

Perché se Kurt si sforzava, poteva immaginarsi tra dieci anni, felicemente accoccolato sul divano contro suo marito, a raccontargli di quella volta che, senza saperlo, aveva baciato il nuovo professore di letteratura; avrebbero riso, poi si sarebbero baciati per davvero e poi magari…

Lui sapeva che avrebbe trovato qualcuno, una volta uscito da quell’inferno: qualcuno che ci sarebbe stato davvero per lui, qualcuno con cui parlare per ore senza annoiarsi, qualcuno a cui affidarsi completamente.

A volte si chiedeva se la sua fantasia non era troppo ottimista e si domandava se forse immaginare era meglio che scontrarsi con la realtà di una vera relazione, ma poi si ricordava che aveva solo diciotto anni e che sognare non costava niente. Soprattutto ora, quando la vita aveva così poco da offrirgli, in quel senso.

Per ora nei suoi sogni non andava oltre a qualche bacio, ma era certo che quel momento sarebbe arrivato.

In mezzo corridoio, Kurt arrossì. Perché per la prima volta lo aveva appena immaginato con riccioli neri, umidi come appena usciti dalla doccia, e occhi color miele. Sorridenti e gentili come li aveva visti la prima volta.

Si mise una mano sulla guancia: stava per dirsi da solo quanto era sciocco, stupido e inutile anche solo pensarci, quando qualcuno interruppe i suoi pensieri.

“Ehi, fatina! Invece di stare lì imbambolato, perché non ascolti un po’ quello che abbiamo da dirti?”

   
 
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