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Autore: Julian Caulfield    20/12/2011    2 recensioni
"... la soluzione a quel vuoto che stava per arrivare imperterrito era un abbraccio, e non quel quantitativo esagerato di Lucky Strike."
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Matthew Bellamy, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questa orrenda storia che per caso vi state apprestando a leggere è frutto della mia immaginazione malata, della mia passione per Londra e di una folle conversazione con un ragazzo dell'Ecuador che si è appropriato di un po' del mio cuore. Nulla è scritto a scopo di lucro, ma solo a scopo di dimostrazione di affetto.
Non vi consiglio di leggerla, poiché, trattandosi di una sorta di riflessione personale reinterpretata in chiave Bellamy, non so quanto possa piacere ad un pubblico innocente che apre un file. Ma se per caso capitaste qui, ogni manifestazione di disgusto o di gradimento è più che ben accetta.
Grazie dell'attenzione. : )
 

A Marcos, al suo tutto e al suo niente.
E ad Anna, che è sempre dietro l'angolo ad incoraggiarmi: grazie, amore.


 

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 - Quando tornerai? -
- Sarebbe inutile anche solo tentare di pensarlo. Forse mai. -
- Santa madre, Matthew! Se il mondo stesse ad ascoltare tutto quello che dici, vivremmo in un pessimismo cosmico, molto à la Leopardi . Ne sei consapevole, mi auguro. -
- Chi mi dice che ho torto? Il mondo non ha il diritto di insultarmi: e poi Leopardi era messo sicuramente peggio di me. -
Ayelén sbuffò sonoramente, lasciando che dalla sua bocca uscissero dei sottili cerchi di fumo biancastro, atti a sporcare l’aria umida che infestava da sempre quel mondo sotterraneo, fatto di cavi troppo intricati e di treni troppo puntuali. Buttò la cicca ormai consumata sul pavimento macchiato di grigio e la spense definitivamente con la punta di entrambe le Converse, senza curarsi della cenere che si spargeva sui binari, trascinata da un alito di vento.
Sia chiaro, non era assolutamente nelle sue abitudini: da brava cittadina pulita camuffatasi nel corpo di una fumatrice sufficientemente passiva di Lucky Strike, Ayelén non avrebbe mai e poi mai permesso ad una sola sigaretta di finire abbandonata su un qualsiasi marciapiede della City... non in sua presenza, almeno. Tanto è che Matthew percepì quel gesto come una magistrale esternazione del nervosismo della ragazza che gli stava seduta affianco, impegnata a divorare tubicini di tabacco nascosti nelle maniche di una felpa dei Rage Against The Machine grande poco più di lei, e a tentare di instaurare una conversazione civile con il suo migliore amico senza strillare.
Il silenzio calato all’interno della sfera emotiva della panchina su cui si erano seduti durò meno di quanto il ragazzo dagli occhi color cielo avesse calcolato.
- Capullo de merda, devi tornare! Ne va della mia salute! – urlò ridendo la mora, tirando un pugno scherzoso all’indirizzo del suo braccio ossuto. – Chi mi farà astenere dal fumo, mentre non ci sei? Rischierò l’avvelenamento da nicotina, me lo sento. Per non parlare della cassetta della posta, accidenti! –
Matt esplose in una risata divertita al solo pensiero.
Era da quando avevano iniziato a frequentarsi che si occupava di raccattare tutte le buste che straripavano dal suddetto portalettere, abbandonate nel contenitore di ghisa agganciato al minuscolo cancello nero di casa sua, a Thurloe Place: Ayelén si giustificava sostenendo che << ritrovarsi quella meraviglia architettonica del Natural History Museum, e bada bene, proprio il celebre Natural History Museum, mio caro Bellamy!, a venti metri di distanza dal giardino non è l’ideale per ricordarsi di prendere la posta e di lasciar perdere per un momento l’architettura! >>.
Ormai erano anni che quel giochetto continuava ad esistere, nonostante che fossero entrambi finiti in una metropoli infinitamente più grande rispetto a quanto la loro coscienza da ragazzi della periferia di un paesino della Cornovaglia avesse calcolato in passato... ma non ne erano stufi: come non lo erano del loro rapporto, delle continue chiacchierate senza termine, dei loro bisticci; del loro incontrarsi ogni notte davanti a casa di Matthew, a Nugent Terrace, per raggiungere in pochissimo tempo Abbey Road ed emulare quattro ragazzi di Liverpool e qualche altra decina di complessi storici in un’assurda, divertentissima corsa sulle strisce pedonali più famose del mondo. O del progettare il futuro seduti su quella panchina costantemente ghiacciata della fermata di St. John’s Wood, immaginando testi per quelle melodie che la sua mente partoriva senza tregua.. con lei che lo assecondava sempre con un sorriso sulle labbra, una penna tra le mani e una luce strana nei suoi occhi, troppo chiari per appartenere ad una ragazza ecuadoriana.
Su quella stessa panchina dei sognatori, contesa tra le piastrelle blu oltremare delle pareti della Tubee i binari che sembravano scrutarla dal bordo del marciapiede, Matthew James Bellamy stava iniziando a riconsiderare gli effetti delle sue canzoni su sé stesso, e la lunghezza del tour che stava per allontanarlo da Ayelén. “Troppi pregi e difetti per entrambi”, rifletté d’istinto.
- Ci saranno anche le mie lettere, in quel caos. Pretendo troppo, nel chiederti di svuotarla, ogni tanto? - esclamò ironico il moro.
La ragazza annuì con una smorfia altrettanto ironica.
- Solo se mi prometti di prenderti cura di te. – sussurrò con tono quasi spazientito
– E di aiutarti a cucire qualche nuova toppa su Quito appena tornerò? – ribatté Matthew.
- Ovvio! Il mio zaino pretende di essere adornato da loghi di band serie, o si deprime! – sorrise lei.
- Lo giuro sulla mia copia di Nevermind. -
- Non pretendo questo tipo di sacrifici da parte tua, Bells: è inconcepibile anche solo pensare che tu riesca ad impegnare quel povero disco in giuramenti del genere, dato che è vittima della tua idolatria da almeno un decennio. -
La ragazza scostò lo sguardo dal suo migliore amico, e si soffermò ad osservare le lucide piastrelle che formavano la parete alle sue spalle: le sembrava incredibile che gli occhi di quello sconsiderato, nonché folle musicista avessero quella stessa tonalità di blu. “Innaturali”, ecco qual era la definizione più vicina a quelle iridi. Era anche sicura che stesse guardando nella sua stessa direzione, spinto da una curiosità così naturale che non avrebbe mai apportato svantaggi ad alcuno; e che avesse percepito il suo disagio e le sue riflessioni sulle piastrelle.. sì, ne era perfettamente capace.
- È solo che… -
Ayelén accese la quindicesima sigaretta della giornata. Inspirando profondamente dalla bocca e rimanendo con l’incarto di tabacco ancora ancorato saldamente all’indice ed al medio della mano destra, sembrò sorridere di forza all’indirizzo di Bellamy, ancora stupito dalle azioni inusuali che lei stava commettendo da qualche ora a quella parte nel modo meno brusco possibile.
- No, niente. Scusa, mi sono sbagliata. – concluse, iniziando ad ingerire la nicotina e il nervosismo col respiro.
Da parte del ragazzo, non giungeva che un’occhiata ricca di rimorso.
Avrebbe preferito che lei gli urlasse contro, rinfacciandogli di essere uno stronzo menefreghista ed ipocrita, e che lo scongiurasse di rimanere con lei seduto su quella fottuta panchina della Metropolitana, a fumare qualche sigaretta per combattere lo stress e ad abbracciarsi come due adolescenti alla prima cotta, parlando del loro desiderio di visitare Firenze e del valore della musica… ma no, evidentemente la voglia di sommergerlo di imprecazioni le si era congestionata in gola e la rendeva incapace di proferire un qualsiasi insulto contro quella situazione del cazzo, o di abbracciarlo come al suo solito. Ecco, la soluzione a quel vuoto che stava per arrivare imperterrito era un abbraccio, e non quel quantitativo esagerato di Lucky Strike.
Matt si alzò di scatto da quella panchina, tirando su la zip del giubbotto sino al bavero, e dirigendosi verso l’amica, girata di spalle ad ammirare il complesso sistema di cavi che formava la rete tranviaria di Londra (secondo lei, un metodo come un altro per non pensare alle eventuali preoccupazioni del giorno): le cinse la vita con un braccio, mentre con l’altro le sfiorava delicatamente una ciocca di capelli tinta di biondo ambrato, sfuggita dal cappuccio della felpa; la sentì piangere sommessamente per la prima volta dopo tutti quegli anni, e sfiorare il suo corpo contratto dai lievi singhiozzi gli diede l’impressione che quello sarebbe stato il più difficile addio di tutta la sua esistenza.
- Don’t you cry tonight, there’s a Heaven above you, babe. – canticchiò sottovoce, sfiorandole con una carezza la mano sinistra e facendole voltare il viso nella sua direzione.
Fissò le lacrime che macchiavano le guance mulatte e gli occhi lucidi di pianto con una fitta allo stomaco; poi lasciò che le proprie labbra sfiorassero per qualche secondo quelle carnose della ragazza, ancora stretta tra le sue braccia ossute, senza pensarci: gli bastava sentire per qualche secondo quel lieve profumo simile all’ananas attaccarsi alla sua pelle, la sensazione di calore che la felpa gli creava attorno ai polpastrelli e quei 10 secondi di salvezza dall’angoscia iniettati in un qualche angolo del cervello, come banalissima morfina nelle vene.
Quando si separarono, Ayelén continuava a stringere convulsamente tra le dita un lembo della giacca di Matthew, in un modo così possessivo da sembrare un“Ti prego” disperso nella notte da qualche amante tradito. Il modo in cui stava reagendo la faceva somigliare tantissimo alla passionale, impulsiva, fragile protagonista del film con Kate Hudson che avevano visto qualche settimana prima… sì, Almost Famous.
Quasi famosi.. come lui e la sua band, come quelle passate per Abbey Road senza sapere di essere sulla soglia della fama mondiale, come tutte le altre disperse nei locali di Londra. Eppure quella definizione non sembrava combaciare con il dolore lancinante che comportava lasciare Ayelén lì, benché essa rappresentasse la chiave per aprire tutte le porte, da quella dell’adorazione dei fan a quella dei festini “Sex, Drugs and Rock ‘n’ Roll”. Mancava però quella sorta di groupie indispensabile sempre presente all’evenienza per confidenze, riflessioni, rime, assonanze, note stonate da sostituire nelle prime prove di una canzone. Non la classica scopata da rockstar insoddisfatta no. Voleva la sua migliore amica lì, nel backstage, su un amplificatore, pronta a tranquillizzarlo con un cenno della testa appena l’ansia da palcoscenico lo avrebbe assalito e sbranato senza pietà.
- Ayelén Goméz Quispe, vuoi essere la mia groupie per questo primo tour maledetto che mi porterà dappertutto, tranne che da te? Senza favori sessuali, ovviamente. -
Le parole gli uscirono spontanee, dirette solo a lei e a nessun altro, rimbombanti nel silenzio della stazione vuota.
Ayelén lo guardò senza espressione.
I secondi scorrevano malati nelle vene di Matthew almeno quanto la cenere delle sigarette già consumate dall’amica.
Solo nel momento in cui raggiunse il limite dell’asfissia ebbe una risposta:
- Vado a prendere un po’ di roba, torno tra un’ora. Ci vediamo direttamente a Heathrow o devo venire qui? -
Una fila di denti bianchi splendeva sul caffelatte della sua pelle
Matt si sentì stordito dall’aura di quel sorriso. Balbettò uno sconclusionato “La seconda opzione”, barcollò verso la ragazza ubriaco di euforia contenuta e la stritolò tra le braccia.
- PORCA PUTTANA! – urlò ridendo. – TI VOGLIO BENE! -
- Trattieni le scurrilità, siamo in un luogo, Bells! E che diamine, ma sei proprio un cabroncito! – mormorò lei trattenendo una lacrima di gioia che si apprestava a fuggire per lo zigomo e cercando di respirare in quell’abbraccio da anaconda.
Bellamy non la stava ascoltando: aveva cominciato a cantare Feeling Good  con quanto fiato aveva in corpo, senza mollare la presa sul corpicino minuscolo della sua bambina.
Alla fine era questo che contava: un’amica, un sogno vittima del rock, una band chiamata Muse, St. John’s Wood, Abbey Road e la voglia di ridere. Poco importava del resto.




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*si dilegua per non prendere in faccia i pomodori*

  
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