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Autore: jakefan    21/12/2011    16 recensioni
Ha la classica copertina nera con l’elastico per chiuderlo, pagina bianca perché non le piacciono né le righe né i quadretti.
Da qualche anno c’è sempre un Moleskine nella vita di Leah Clearwater.
Questo però le è durato più degli altri: da quando si è trasferita a Seattle ha scritto di meno, era troppo impegnata a vivere.
Storia prima classificata al contest "Ricordi - Only Quileute e Volturi" indetto da Palm sul forum di EFP
Storia prima classificata del girone "Elizabeth e Mr. Darcy", Contest "Lovely Valentine" indetto dal COS
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Leah Clearweater
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
- Questa storia fa parte della serie 'Almost Heaven' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Moleskine

Agenda con un cuore rosso

Quando io trovo
in questo mio silenzio
una parola
Scavata è nella mia vita
Come un abisso.

(G. Ungaretti)

Ha la classica copertina nera con l’elastico per chiuderlo, pagina bianca perché non le piacciono né le righe né i quadretti: riempie il bianco del foglio come e dove vuole lei. Scrive sempre con la stessa penna nera a punta media, che costa poco e non tradisce mai, fino a quando l’inchiostro nel tubicino non è completamente esaurito. Lo fa senza lasciare vuoti, riempiendo meticolosamente gli spazi: a volte incolla frammenti sulla pagina e poi ci gira attorno con la sua calligrafia rotonda e corposa, un po’ troppo ricca di anelli, creando figure di parole quasi solide che già al primo sguardo raccontano storie. Probabilmente le capirebbe solo lei, ma non è importante.
A volte scrive con un pennarello arancione e a volte evidenzia col giallo; sottolinea per se stessa, come sui libri di scuola. Se l’è sempre cavata bene nei componimenti, ma la roba che c’è qui dentro la fa arrossire dalla vergogna… non l’ha mai letta nessuno, per fortuna, o almeno lo spera!
Da qualche anno c’è sempre un Moleskine nella sua vita.
Questo però le è durato più degli altri: da quando si è trasferita a Seattle ha scritto di meno, era troppo impegnata a vivere. Ma ha sempre continuato a fermare la vita sulla carta in qualche modo, e lo fa tuttora.

L’elastico nero grida pietà: il quaderno ormai ha la copertina deformata, è praticamente triplicato di volume. È diventato spesso come un vero libro, anzi, sembra una di quelle pubblicazioni per bambini, interattive, che si possono anche toccare e colorare, che fanno ascoltare suoni e respirare odori.
Un vecchio amico, ecco cos’è. Si può essere scortesi con un vecchio amico? Certo che no.
Così si siede sul letto fregandosene degli scatoloni aperti, di quelli già chiusi ma ancora da etichettare, degli ultimi vestiti ammucchiati su una sedia senza pietà, dei libri più amati -tutti consumati- che si rifiutano di farsi rinchiudere; quasi ride pensando a sua madre e alla crisi isterica che probabilmente le prenderà quando si accorgerà che, in mezzo a quel supremo casino, lei invece di darsi da fare si è persa nei ricordi.
È già da un po’ che, quando siede a ricordare, invece di piangere sorride.
Poi magari piange pure, ma è sempre una cosa… dolce. Se sua madre entrasse proprio ora la vedrebbe così, con quella specie di grosso libro in mano e gli occhi lucidi; dopo essersi arrabbiata perché cazzeggia invece che impacchettare le sue cose, le chiederebbe perfino se sta bene. Ma non sarebbe davvero preoccupata. Non più.

Leah sposta l’elastico con cautela per non prendersi una frustata sulle dita, e i ricordi sembrano saltare fuori da soli, come chiamati da un incantesimo del suo mago preferito.
Ed ecco scivolare fuori per primo un rettangolo di carta sgualcita, bianco con scritte nere e rosse e i bordi verdi: è il biglietto del Greyhound che l’ha portata a Seattle con lo zaino in spalla. Questa invece, tra le stesse due pagine, è la fotocopia del tesserino da studente che è andata a farsi fare subito appena arrivata, giusto il tempo di posare lo zaino in camera. La fotocopia in verità se l’è fatta per via  della foto tessera: si piaceva un sacco nonostante la faccia incazzosa. Aveva i capelli cortissimi, non li ha mai più avuti così corti. E anche se non lo avrebbe mai ammesso con nessuno, il giorno del suo arrivo a Seattle era gasata come una cocacola.
Qualche pagina dopo, tra il resoconto del primo giorno di lezioni e l’elenco delle cose da vedere assolutamente in città, è appiccicata la sua prima foto con Lynn. Un autoscatto per immortalare il giorno in cui la sua compagna di stanza -nonché compagna di corso nonché Prima Amica nella Sua Nuova Vita- l’ha convinta al grande passo: dipingersi le unghie. Anzi, farsele dipingere, perché Leah ancora non è capace di darsi lo smalto a destra usando la mano sinistra. Anche Lynn, come Emily un secolo fa, si è offerta subito di farlo al suo posto pur di non sentire le sue parolacce. Beh, in quella fotografia si vede il risultato: ci sono loro due che ridono e mostrano le mani con le unghie rosse… rosso vacca, direbbe qualche bestione di sua conoscenza.

Lo smalto è stato solo l’inizio della sua nuova vita e dell’amicizia con Lynn. La sua amica bionda, dolce come la panna montata, è l’unica alla quale Leah è riuscita a parlare di quei due, e dopo averla ascoltata l’ha accarezzata su una guancia, con dita che le erano parse lievi e fresche sulla sua pelle bollente. Lynn non ha riso stupefatta alla confessione che dopo Sam non c’era stato nessuno, che in verità non c’era mai stato nessuno; non ha trovato folle che qualcosa dentro Leah si fosse impuntato e non volesse nessun altro se non poteva avere Sam. Leah gliene è stata grata, prima ancora di volerle bene perché lei era Lynn, semplicemente.
È stata ancora Lynn che anni dopo, quando se ne è andata per sposarsi, ha lasciato a Leah la gatta Nessie, il contratto d’affitto e un posto pieno di bei ricordi in cui tornare la sera, dopo le sue estenuanti giornate di insegnante giovane in una scuola piena di teste calde. Che le ricordano tanto certi suoi vecchi amici con cui condivide un piccolo problema peloso* e che, poverini, non capiscono come faccia la professoressa Clearwater a sentire da distanze incredibili i commenti sul suo culo. E a batterli a braccio di ferro.

Con le stesse belle mani dalle unghie laccate di rosso -ormai diventate un’abitudine- Leah volta le pagine all’indietro, sapendo che corre il rischio di perdere tempo o che il tempo perda lei, restituendole il dolore. Non ricorda più se la pagina della rottura con Sam stia in questo Moleskine o in quello prima. Poi le viene in mente, è così facile: la pagina vuota, quella che non ha mai scritto perché non trovava le parole, non era su un Moleskine nero ma sull’ultimo dei suoi diari di ragazzina, quelli con la chiavetta e il lucchetto inutile che si apre solo a guardarlo. Sulla pagina del giorno in cui Sam l’ha lasciata non c’è scritto proprio niente. Non c’è nemmeno incollato niente. Ci sono delle macchie d’acqua che hanno arricciato la carta, nient’altro.

A posteriori Leah ritiene che avrebbe dovuto stamparsi la mail, quella specie di annuncio funebre che Quil le ha mandato quando è morto suo nonno. Così avrebbe un frammento tangibile anche per quel buco -di tempo e di pagine vuote- in cui non è mai tornata a casa. No, non è vero: non è per quello che vorrebbe non avere cliccato su Svuota Cestino. E non è nemmeno perché in allegato c’era quella foto di Quil Ateara II, Nonno della Tribù, in cui compariva anche lei, attorno al fuoco del consiglio.
La verità è che vorrebbe qualcosa da incollare su quelle pagine vuote, come una bandierina a segnare il punto da dove è cominciato tutto. Che cosa ci può fare se non l’ha capito subito? Le Giornate Memorabili mica sono già segnate in rosso sul calendario quando lo compri, come le domeniche e i festivi. Mica arrivano col cartello in mano, “Salve, sappi che oggi ti cambierà la vita”. Come diavolo avrebbe potuto immaginare?

Non c’era nient’altro che avrebbe potuto appiccicare sulla pagina di quel giorno. Così ha trascritto a mano le parole della mail di Quil Ateara III, non erano molte e per fortuna se le ricordava bene: “Dai, torna. Non fare la stronza come al solito. Seppelliamo il vecchio e ci beviamo una birra tutti insieme.”
Ah, ecco, subito sotto ci sono una data e dei buoni propositi. “Obiettivi: stare in casa, coccolare mamma, non litigare con Charlie, non litigare e basta. Ripartire indenne.”

E dopo?

Più avanti, in un punto a caso, tra due facciate c’è un fiore essiccato, di quelli che sembrano fatti di piccole campane con la testa all’ingiù; le corolle ora ingiallite erano bianche sotto la luna.
Quella notte gli strani fiori profumavano da darle alla testa, e da allora ogni notte profumata per Leah è piena di quei fiori di luna. Non si lasciano dare un nome, sono come una terra mai visitata prima; quella notte la sua foresta era sorprendente e inattesa, straordinariamente inebriante, inesplorata come la giungla di un paese molto lontano.
Leah si scuote, un brivido ritorna: è uno stupore che non s’è mai sopito per ciò che è accaduto quella notte.

Non ha nemmeno una foto di come l’ha visto la prima volta, sotto l’albero davanti a casa di Billy, ma poco importa perché le basta chiudere gli occhi e la fotografia compare nitidamente. Non aveva il famoso cartello in mano, con una scritta tipo “Buongiorno, sto per sconvolgerti la vita”, ma qualcosa deve avere fatto in modo che lei salvasse l’immagine sul disco fisso e non la perdesse più, come Lynn che non perde nulla perché stampa le sue foto al più presto dopo averle scattate, e sono lì pronte, lucide, brillanti, quasi gli stessi colori della vita vera.
L’ha visto la prima volta? Ma non è vero! Lo conosce troppo bene, si sputano in faccia fin da quando erano nanerottoli infangati sulla spiaggia di La Push. Hanno imparato a camminare attaccandosi alle stesse gonne e lei non ha mai avuto le fette di salame sugli occhi, riguardo a lui. Mai neanche un nanosecondo di sentimentalismo, casomai una solenne voglia di prenderlo a schiaffoni quando si perdeva nelle sue fantasticherie su quell’ameba di Bella Swan. Che poi, sua ragazza? L’ha baciata due volte in tutto e pure con l’inganno! Leah non ne è infatuata come quel cretino di suo fratello, sa perfettamente di cosa è capace, lui, quando fa del suo peggio. E lo ha perfino già visto nudo. Insomma, non capisce come diavolo le sia venuto in mente di pensare che lo vedeva per la prima volta. Men che meno per un bel pezzo è riuscita a capire perché ci stava così male, a non ricordarsi esattamente la piega delle sue labbra distese in un sorrisetto del cazzo, e se aveva le mani in tasca oppure le braccia conserte, subito prima di muoversi e andarle incontro.

Leah sta in cima alla scala e litiga con una latta di vernice e il tetto di Billy (chiaro, deve preoccuparsi lei che a quel pover’uomo piova in casa, no? Dove cazzo sono le gemelle e il suo prediletto figlio maschio? Cioè, se non fosse tornata lei per il funerale?!).
Sente un fischio, si volta e lo vede lì. Replay: sente quel fischio da camionista, si sente nuda, poi si ricorda che è in grado di rompere una mascella maschile con un pugno e allora indossa la Faccia Da Dura e si volta.
È quasi sicura che lui si sia messo in posa apposta.
Certo, non ha né una foto del Marine Figo Di Ritorno In Licenza Con La Sacca Militare E Il Fisico In Mostra, né un’istantanea di se stessa con la mascella cadente. Deve ricostruire a memoria. Realizza che c’è qualcosa che non torna, fa Salva con Nome sul disco fisso e il file non è lo stesso, non si sovrappone, non c’è nessuna domanda di sicurezza. Quello che ricorda coincide ma non esattamente, quello che vede le scalda lo stomaco. Rinomina il file. Crea una cartella nuova. Jacob Black, coglione innamorato, scarto della Tonna, sta davanti ai suoi occhi di ritorno dal Chissà Dove che lo ha inghiottito, esattamente come Seattle ha inghiottito lei.
Eppure non è lui. Non l’ha mai guardata così. Le viene il dubbio di averle sempre avute, le fette di salame sugli occhi.
Forse è meglio che non ci sia una foto, perché la sua faccia immortalata mentre lo riconosceva, ne è certa, lo farebbe davvero ridere.

Leah torna per un istante nel presente, si appoggia al davanzale e guarda fuori dalla finestra; la pioggia cominciata timida ora è più decisa, il suo ticchettio è ipnotico e suadente. Non avesse tanto da fare, si sdraierebbe sul letto e chiuderebbe gli occhi per ricordare meglio, tra le montagne di scatoloni. Non vale più la pena che sfogli il Moleskine alla ricerca di qualcosa, perché sa che dopo non ha più scritto veramente nulla se non poche, scarne parole isolate di cui ora nemmeno lei sa decifrare il significato.
Nei componimenti se l’è sempre cavata bene, ma i miracoli con le parole non li sa fare; del dopo ha solo colori, impronte sulla pelle, impressioni tattili, odori, gusti in bocca e sulla lingua. Ha il chiaro ricordo di una seconda pelle ipersensibile che la avvolge, e niente è più distinguibile solo con la mente: vede il tavolo a cui sono rimasti solo loro quattro, poi sente i racconti delle loro vite a metà e il rumore delle risate mescolate alla musica. Poi ci sono le luci rosse dello scooter di Embry e Quil che se ne vanno.
Poi lui che scherza sul loro destino di avanzi delle vite degli altri, la ferita, lui che capisce e sorride. Lui che la se-duce, la chiama a sé come non avrebbe pensato mai, con l’innocenza del lupo, come solo loro due avrebbero potuto capire. Poi è foresta e odori e luna incredibile e bianca, è ridere e dimenticare, è tornare a casa.


Poi è lui. Sconosciuto.
Poi è la sua prima volta.
Poi è la follia di parole che non si devono dire.

Le scale scricchiolano, Sue sta salendo a vedere se sta bene. Leah vorrebbe ancora un solo attimo per sé, non ci metterà molto: quello che è successo dopo è presto detto e lei ha assolutamente bisogno di quell’attimo, le serve per riuscire a ricordare.

Hanno fatto tutti e due gli indifferenti.
L’ha accompagnato col cuore stretto a prendere il treno, ma quando le nuvole di polvere si sono posate lui era ancora lì, non era partito.
Nei giorni venuti dopo hanno scandalizzato tutti: Sue, Charlie, i vecchi, gli amici, Sam che l’ha fermata per dirle che cazzo fai, non ne hai avuto abbastanza di lupi, se trova il suo imprinting te la prendi di nuovo in quel posto. Ha negato, hanno negato, a tutti, a se stessi.
E infine si sono arresi.
Lei ha pensato “Sam ha ragione” ed è tornata a Seattle, nell’unico posto un po’ suo ma senza lupi e leggende, senza storia e senza madre né padre, senza Seth, senza niente. Senza Jacob Black.

Senza nemmeno Leah Clearwater.
È rimasta in trance per mesi, divisa in due da sogni borderline. Nei sogni i palazzi diventano alberi, le pareti foresta, le luci rosse sull’Highway diventano tramonti e gli odori, i pochi che sono buoni, diventano lui. È ovunque e lei si distrae, si perde, Lynn le chiede a cosa sta pensando e lei non sa rispondere, perché effettivamente non lo sa né lo vuole sapere.
Una sera lui ha suonato alla sua porta.

La faccenda dell’imprinting non l’hanno mica mai risolta. Lei un giorno ha posto il problema, lui ha buttato lì una soluzione che invece di tranquillizzarla l’ha fatta incazzare il doppio: “Con tutte le ragazze che ho conosciuto, se avessi dovuto imprintarmi sarebbe già successo, no? Probabilmente sono un lupo difettoso.”
Gli ha tirato una gomitata nello stomaco. Lui l’ha baciata e ha proseguito con le cazzate. “E poi, quella cosa lì è sempre un rischio. E se muoio? E se mi lasci tu? E se mi cade un meteorite in testa? E se lo spirito di tuo padre viene a reclamarmi perché viviamo nel peccato?”.
Leah non ha saputo rispondere, così lui ne ha approfittato e l’ha sposata.
Quella cosa lì un nome ce l’aveva.

Sua madre sta salendo le scale. Leah sta per ricacciare dentro i ricordi, tirare l’elastico e chiudere il suo Moleskine; solo in quel momento nota che ci sono davvero molte pagine ancora bianche, in fondo. Allora non lo ributta nello scatolone, lo mette nella borsa: bisogna che si rimetta a scrivere seriamente. Non vuole rischiare di perdersi niente di quello che sta per accadere.
La voce di Sue Clearwater è dolce: per stavolta non si è arrabbiata, anche se un’altra giornata è andata quasi persa e ci vorrà un po’ più del previsto per il trasloco. Apre la porta spingendola con una spalla, ha le mani occupate da un vassoio con una tazza di tè e una fetta di torta.
-Basta, hai fatto fin troppo per oggi. Mettiti sul letto. Un cuscino sotto le gambe, ecco, così.
Leah obbedisce e si trascina sul letto; goffa come una balena spiaggiata, si accomoda tra i pupazzi e i cuscini. Succede sempre più spesso, negli ultimi tempi, che sua madre si metta a coccolarla; d’altronde è comprensibile, non se lo aspettava proprio. Né Sue né Jacob né nessun altro se lo sarebbero mai immaginato. Meno che meno lei stessa, anzi è quasi svenuta la mattina che l’ha scoperto.

Tra poche settimane conoscerà suo figlio. Ricomincerà a scrivere, questo è sicuro, e scatterà anche un sacco di fotografie. Niente più pagine vuote, né giorni scuri nella memoria.

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Agende cariche di ricordi

Il banner della storia è stato realizzato da Kagome_86 per la mia pagina fan, che ha creato e gestisce egregiamente. Manu, grazie *_*

Beh, questo era un momento tutto per Leah. Ma se volete sapere com'è cominciata la faccenda, magari anche dalla voce di lui,

potreste dare un'occhiata alla breve storia (cinque capitoli) che ha originato la serie: Almost Heaven, qui.

Grazie di cuore a chi leggerà e lascerà due parole; felice Solstizio d'Inverno!

   
 
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