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Autore: Gweiddi at Ecate    21/12/2011    2 recensioni
Buon Natale alla bellissima alister_!
"Noah si imbronciò. Quando faceva quella faccia era tutto sua madre. Del resto Gabriel non aveva mai fatto smorfie simili nemmeno quando era bambino, e per quanto Nathan insistesse nel dire che Noah era la sua copia sputata, il piccolo stava venendo su come un clone di sua moglie."
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elle Bishop, Sylar
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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A Peter non piaceva fare i conti con quella verità, ma gli mancava il suo vecchio potere. Gli mancava poter prendere la mano di uno come lui e dotarsi della sua capacità. E tenersela.
Il potere di Claire gli era tornato utile molte volte. Poter volare come Nathan, poi, specie ora che aveva dovuto dire addio per sempre a suo fratello, sarebbe stato come averlo ancora al suo fianco. Invece niente.
Guardò un arcobaleno azzurro e viola diramarsi dalla chitarra che un vagabondo stava suonando, seduto sul marciapiede.
Gli mancava parecchio il potere di Hiro. Se ce l’avesse ancora avuto, avrebbe cercato di capire se anche nel mondo dell’altro Peter le cose si erano più o meno sistemate. Nella sua testa il futuro del se stesso ricercato, con la cicatrice sul viso, non era solo un futuro possibile che era poi combaciato di nuovo con la sua realtà, ma piuttosto una dimensione simile alla sua. Un mondo in cui una scelta aveva cambiato tutto.
Avrebbe voluto sapere come andavano le cose lì.



What could have been
[and somewhere is]







Gabriel era tornato a casa da lavoro distrutto. Aveva un cerchio alla testa che minacciava di farla scoppiare. Fortuna che, nel caso, la rigenerazione di Claire gli avrebbe salvato la pellaccia, pensò divertito.
Il ricordo della ragazza gli risultava dolce e amaro allo stesso tempo.
Un giorno, quasi due anni prima, lei e Peter erano scomparsi nel nulla, prima che Gabriel potesse trovare il coraggio anche solo di pensare di scusarsi, in qualche maniera, per tutto quello che le aveva fatto. Noah e Nathan li avevano cercati in lungo e in largo, ma sembrava che nessuno dei due avesse fatto un passo falso, e non li avevano ancora trovati.
Angela Petrelli, a riguardo, si chiudeva in un dignitoso ma quanto mai scandalizzato silenzio, probabilmente a conoscenza di cose che nessuno voleva dichiarare a voce alta.
Quella gallina bugiarda e petulante ci aveva quasi rimesso la pelle per l’infarto, altroché. Gabriel sogghignò a quel pensiero, e chiuse l’auto nel garage, lasciando la ventiquattrore sul sedile del passeggero, pronta per il giorno dopo.
«Sono tornato!»
Nell’ingresso un fulmine in pigiama blu e rosso gli si schiantò addosso all’altezza delle gambe.
«Papà! Sei qui!»
«Ouch. Piano campione!» si lamentò per il contraccolpo, afferrando il figlio sotto le ascelle e prendendolo in braccio. Il bambino rise, e sfilò gli occhiali a Gabriel in un gesto maldestro.
«Noah, così papà non vede niente.»
«Ma la mamma dice sempre che li porti solo per sembrare int-intettuale!» disse il piccolo, giocando con le stanghette degli occhiali.
«Mamma è convinta che gli unici mal di testa esistenti siano quelli che le vengono ogni mese.» brontolò laconico, roteando gli occhi.
Noah guardò il padre, confuso, con gli occhi ingranditi dalle lenti degli occhiali che aveva infilato. Gli scivolarono sul naso.
«Lascia perdere, capirai quando sarai più grande.»
«Se hai finito di parlar male di me, sono in cucina!»
Una voce femminile lo richiamò all’ordine, e Noah si dimenò fra le sue braccia finché Gabriel non lo mise giù. Il bambino corse nella stanza adiacente chiedendo dei biscotti a gran voce.
Gabriel lo raggiunse con calma, e si passò una mano sul volto, per cancellare la stanchezza. Rimase con la spalla appoggiata allo stipite della porta, osservando sua moglie allontanare il vaso di biscotti dalle mani di Noah.
«Adesso no, è quasi pronta la cena!» lo sgridò, piegando di poco le ginocchia per guardare il figlio negli occhi.
Noah si imbronciò. Quando faceva quella faccia era tutto sua madre. Del resto Gabriel non aveva mai fatto smorfie simili nemmeno quando era bambino, e per quanto Nathan insistesse nel dire che Noah era la sua copia sputata, il piccolo stava venendo su come un clone di sua moglie. Ora c’era solo da aspettare a vedere che potere avrebbe avuto.
Sperò con tutto se stesso che non avesse ereditato la sua fame. Gabriel era terrorizzato a quel pensiero.
«Su, va’ a lavarti le mani, piccola peste.»
Noah annuì docilmente e scappò  verso il bagno, urtando di striscio il padre. Quel bambino andava sempre di corsa.
«Gabriel.»
Elle si voltò verso di lui con un gran sorriso.
Quando gli sorrideva a quel modo, Gabriel si ritrovava spesso a ricordare il giorno dell’eclissi, quando avevano temporaneamente perso i loro poteri, e insieme avevano desiderato immaginare una vita da persone normali.
I poteri poi erano tornati, ma i sogni erano rimasti.
«Sembri stanco.»
Elle andò verso di lui. Gabriel registrò il modo bizzarro con cui la vide stringere le braccia davanti al ventre e le sorrise.
«Uhm, jet lag?» cercò di giustificarsi.
Lei sollevò le sopracciglia, scettica.
«Nel Maine sono indietro di appena un’ora.» gli fece notare.
Gabriel la prese per i fianchi e la attirò a sé.
«Ho solo mal di testa. È stata una giornata pesante.»
Cercò di baciarla, ma Elle sorrise furbamente, ritraendosi, e si morse un labbro. Gli picchiettò l’indice sulla fronte, alzandosi sulle punte dei piedi per arrivarci meglio, e un lampo blu le partì dal polpastrello.
«Ah! Santo Cielo, Elle! Ho mal di testa!»
La donna scrollò le spalle con noncuranza.
«Te lo meriti per essere stato via con Bennet invece di accompagnare tua moglie dal medico.»
Gabriel si accigliò.
«Stai male?»
Elle strinse le labbra, nascondendo un sorriso, e scosse la testa.
«E allora?» chiese, lasciando in sospeso la domanda. Sapeva che lei adorava confonderlo e tenerlo sulle spine, ma dopo una settimana passata gomito a gomito con Bennet non era in grado di reggere i suoi giochetti psicologici. Per carità, Bennet era una bravissima persona, o non avrebbe dato il suo nome al proprio figlio, ma dopo sette giorni ti rendevi conto di quale grandissimo palo nel culo potesse essere, nemmeno si fosse tornati ai vecchi tempi in cui si odiavano.
Elle ridacchiò e gli tirò il colletto della camicia per farlo chinare, e si avvicinò all’orecchio del marito.
«Sono incinta.» sussurrò.
Gabriel pensò che stesse per venirgli un colpo apoplettico.
Si drizzò con un movimento fulmineo e strinse Elle con più vigore.
«Sei…» balbettò. Lanciò uno sguardo alla pancia della moglie, comprendendo improvvisamente il gesto di prima.
«Incinta.» ribadì lei con un sorrisetto divertito. «E non osare chiedere come possa essere successo come l’ultima volta, perché direi che entrambi sappiamo molto bene com-»
Si trovò sollevata da terra, stretta nell’abbraccio di Gabriel, e la bocca tappata dal suo bacio. Cercò di aggrapparsi a lui con le gambe, ma Gabriel la stringeva così forte, quasi alla sua altezza, da non averne bisogno.
«Che schifo!»
Alla protesta disgustata del figlio, Gabriel si staccò da Elle con una risata, ridandole il sollievo di poggiare i piedi per terra.
Lei guardò Noah con l’espressione di sufficienza che usava sempre per stuzzicarlo. A volte era più bambina lei del piccolo.
«Quando sarai più grande avrai un’altra idea di queste cose.»
Noah sbuffò contrito.
«Parli come papà.»









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A Natale siamo tutti più buoni, quindi ho voluto fare questo regalo alla mia sorellina, immaginando un mondo in cui le cose stanno al loro fottuto posto.
Un mondo dove, come dire, la gente non ammazza l’amore della propria vita per poi andare a piangere dalla propria schizofrenia perché si è tanto soli.
Insomma, è Natale, diamoci al fluff.
   
 
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