Sono
un nome senza soggetto.
Parole dure mi rimbombano in testa: dicono di smetterla, ma non ho mai saputo iniziare e lo so perché mi conosco così tanto da aver, ormai da troppo tempo, noia di me stessa.
Mi sarei dovuta prendere in tempo, ma ho solo perso tempo a osservare gli altri cercando un modo e pregando di non trovarlo mai. La tristezza non m’abbandona ed è per questo che non dovrei sentirmi sola; ma guardo gli altri e mi dispero perché ormai c’è qualcosa di marcio e non basterà più riderci sopra.
Non dovrei piangermi addosso e iniziare ad affrontare tutto, ma le cose non le so iniziare – giuro – e aspetto passiva che mi si formino attorno. E lo vedi? Lo sto rifacendo: piangermi addosso.
Mia madre ha costruito limiti e gabbie nella sua mente e c’è uno specchio che mi ritrae, in realtà non mi assomiglia affatto, ma mia madre ci parla e ride e qualche volta ho paura che non mi riconosca come figlia.
Ho paura di sapere cosa c’è nella mente degli altri, l’immagine deformata nei loro specchi, tra tutti i loro limiti, perché probabilmente non mi assomiglia e se invece sono io quella riflessa inizierò a piangere di vergogna.
Sono stanca, così tanto stanca di essere me che è una disperazione liquida: mi cola sulla pelle e solidifica. Puzzo di stanchezza ed impotenza e per tante volte sono stata zitta, persa. E non lo sai com’è, no, nemmeno se è mia l’immagine nei tuoi specchi.
Sono stanca di essere stanca, di dirmi che va tutto bene e riscoprirmi bugiarda una volta di più, sono stanca di dire che sono stanca e di non reagire, di non dire mai nulla per stupide paure che hanno dimenticato tutti e di lasciar correre tutti i momenti – senza afferrarne nemmeno uno – perché sono altruista e li lascio tutti agli altri.
E lo vedi? Mi vedi? Lo sto rifacendo: piangermi addosso.
Dovrei, vorrei, vorrei così tanto… così tanto… così tanto arrabbiarmi e urlare, urlare, e vivere, vivere! Ma non ce la faccio, non so iniziare, non ci riesco. Non.
Sono la parata della negazione e la parodia di ogni persona. Mi può piangere il cervello? Mi può piangere il cervello?
Mia madre diceva in giro che ero sensibile e tutti giù a ridere, risate grasse che strisciavano sui muri, sotto al letto, e non bastava mai coprire le orecchie così forte da sentir pulsare il cervello. Mi entravano in testa lo stesso e ridevano, ridevano, coi loro sorrisi storti facevano a gara a chi rideva più forte. E mi urlavano in testa.
Pensavo di odiarli, davvero, me lo dicevo ogni notte e navigavo in mari di rabbia in cui tutto era dalla mia parte e non mi faceva male nulla, nulla. Poi un sospiro cancellava tutto, perché davvero io non posso, non posso, non posso. Non.
Tutti a usare parole dure nella mia testa, come l’acciaio delle padelle, come le voci in testa che mi urlano di smetterla ( e non ho mai capito se è la musica o qualcos’altro). Ho capito di capire solo le parole dure, cattive, spietate, come le bestie che capiscono solo il dolore e non vanno avanti finché non le picchi con forza.
Allora picchiatemi, ma non provate nulla, non vi azzardate!, perché le emozioni sono mie – tutte mie – e le dovete lasciar stare. Picchiatemi e urlatemi di smetterla e forse, quando vi guarderò con insipidi occhi di pesce, vi darò retta - pregando affinché la smettiate e confidando nel contrario. Perché sono l’opposto di me stessa, e quando mi guardo allo specchio vedo che è tutto da cambiare anche quando non vedo proprio niente.
Dio, dio… mi può piangere il cervello? Mi può piangere il cervello? Certi giorni penso di sì ed è così patetico che vorrei giocare a nascondino per tutta la vita, o guardarmi allo specchio per così tanto tempo da non riconoscermi più; per non pensare mai più a cosa sono, ogni volta che una mia immagine incontra uno specchio.
Amerei odiare così tanto da far piangere di vergogna chiunque, ma sono altruista e non ce la faccio, non potrei mai, non, quindi preferisco farlo allo specchio nella mia camera. Tanto non c’è nulla di riflesso e se anche ci fosse, sarebbe qualcosa da cambiare.
Voglio essere dura, spietata, essere come voi e farvelo pesare, ma non ci riesco, non posso, non devo. Non.
Sono un nome senza soggetto, “impotente” è solo aggettivo.