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Autore: CountessMikk    21/12/2011    10 recensioni
"[...] Nella luce innaturale di un fulmine, i freddi e vuoti occhi neri di Eric Cartman incontrarono lo sguardo verde smeraldino di Kyle Broflovski.
E da quel momento il Nazista seppe che quegli occhi, sarebbero divenuti la sua condanna."
Kyman. Ambientato nella Seconda Guerra Mondiale.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Eric Cartman, Kyle Broflovski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                 Tell me would you kill, to save a life?
Tell me would you kill, to prove, you're right?
Crash, crash! 
- Hurricane, 30 Seconds to Mars.

         
L'aria era satura di sirene, di urla strazianti...di paura, di terrore.
Non c'era più tempo, lo sapeva, lo percepiva dal continuo brulichìo di lavoratori, guardie e ufficiali delle SS: doveva sbrigarsi, correre, non gli era concesso fermarsi.
Ma in fondo forse di tempo non ce n'era mai stato.
Non per lui almeno, non per Herr Cartman, ammirato e rispettato tenente di Auschwitz, il più giovane ed efficiente che la struttura abbia mai avuto: fiero Tedesco, orgogliosamente Ariano, aveva colto al volo quell'opportunità pur avendo solo diciotto anni.
D'altronde, era stato l'obiettivo della sua vita intera sconfiggere quel morbo che infestava la società, purificare la razza umana, uccidere tutti coloro che si opponevano al nuovo regime della Germania Nazista.
Chiunque un anno prima gli avesse detto che un giorno le sue ridicole convinzioni sulla purezza del sangue sarebbero ben presto crollate, si sarebbe certo ritrovato con una pistola puntata alla tempia. Avrebbe avuto ragione però, già.
Il passo dai diciotto ai diciannove era stato così tanto breve.
Eppure quel diciottenne che era entrato in quel mondo nuovo, adatto a lui, aveva creduto ignaro, carico di pregiudizi ed avente una disgustosa voglia malsana di debellare quegli sporchi Ebrei, era ben diverso, completamente differente dal ragazzo in divisa che ora si faceva largo tra la folla in tumulto, in uno dei molteplici corridoi umidi e impregnati dell'odore del sangue della fortezza di Auschwitz.
Era un giovane uomo di quelli, il tenente Cartman, capace di incutere timore ai prigionieri con un solo, freddo sguardo: uno di quelli capace di gelarti il sangue nelle vene, di portare la tua anima al suicidio. Un contatto visivo da non essere capaci di sostenere per più di un secondo, senza il rischio di perdersi in due pozzi bui e profondi quanto il Tartaro.
Con il tempo, questa sua capacità gli era valsa l'appellativo di Haifischaugen: occhi di squalo.

Ma in quel pomeriggio, un pomeriggio qualsiasi del 1943, tetro e nevoso come di consuetudine, dal cielo grigio uniforme e l'aria spiacevolmente gelata, negli occhi di Eric Cartman c'era una luce differente.
Le persone che lo incrociarono e lo videro correre a perdifiato, gettarsi lungo le gradinate di pietra fredda, spalancare una cella dopo l'altra in chissà quale disperato tentativo, ignorare colleghi e prigionieri in fermento, osarono definirla come una sorta di straziante preoccupazione, di dolore immenso...e di paura. Sì. Paura.
Come poteva provare paura una persona come lui? Se lo domandarono in molti quel giorno, senza trovare risposta.
Ma c'era ben altro nell'animo tormentato di Herr Cartman in quel momento, purtroppo. Emozioni contrastanti, terribili dubbi, una miriade o forse di più d'interrogativi senza un'apparente risposta: se il suo 'io' interiore avesse avuto libertà di parola, avrebbe urlato.

Si appoggiò ad una colonna in chissà quale passaggio del carcere, cercando di riprendere fiato, scostandosi una ciocca di capelli castani madidi di sudore dalla fronte, lasciando che la fatica e la disperazione alterassero i suoi lineamenti duri e definiti.
Cercò invano di isolarsi dalla confusione che imperversava tutt'intorno, dalle grida degli Ebrei che stavano venendo scortati da ufficiali verso il più crudele dei destini: giustiziati senza un'apparente spiegazione nella neve candida e senza peccato, che ben presto si sarebbe tinta di rosso vermiglio e... di ingiustizia.
Tentò di ignorare i richiami dei superiori, le loro imprecazioni, quei continui colpi di pistola che si elevavano sopra le grida strazianti, e i corpi senza vita coperti solo da pigiami a righe che cadevano ai suoi piedi come marionette alle quali venivanotagliati i fili...uno dopo l'altro, ogni legame che teneva loro appesi alla vita.

Lui, lui dov'era, Dio, dov'era? Era già stato catturato? Era in attesa dell'esecuzione, in chissà quale delle molteplici file di condannati al patibolo? O forse era già...Non riuscì a formulare il pensiero, non voleva formulare quel pensiero.
No, il suo Ebreo era forte, dannazione! Sicuramente si era rintanato da qualche parte ed era fuggito all'avanzata delle SS.
Sarebbe spuntato da un momento all'altro da dietro una cella, con la sua aria di innoncente bellezza, quel suo tipico sorrisino di strafottenza disegnato sulle labbra rosee e piene che neanche un'anno e poco più di Auschwitz era riuscito a sottrargli; il bel volto dai lienamenti leggermente femminili incorniciato dai particolari riccioli rosso sangue, in netto contrasto con la pelle diafana e con i ridenti occhi smeraldini.
Quegli occhi.
Quegli splendidi occhi verdi puri e liquidi che sarebbero potuti essere già fissi e vuoti, puntati contro il cielo plumbeo, che non avrebbero mai più visto.
Si sforzò di non pensarci, ma quando l'immagine del corpo di Kyle senza vita, abbandonato sul manto candido del cortile gli si parò dinanzi, il suo cuore perse un colpo. Forse più d'uno.

"Ehi, ma che cazzo sta succedendo? Culone, mi spieghi dove diavolo corrono tutti?" Una voce limpida e chiara, per poco non fece sobbalzare Herr Cartman, afflosciato con lo sguardo vacuo sulla parete dinanzi. D'istinto, agguantò la pistola che teneva nella cintura dei pantaloni della divisa.
Aspetta, era familiare quel suono però.
Per un attimo pensò fosse solo frutto della sua fervida immaginazione, ma quando alzò uno sguardo incredulo, si ritrovò a fissare un paio di gambe snelle coperte da uno scialbo pigiama a righe. Proseguì verso un bacino stretto ed un torace asciutto ma ben delineato, fino ad un braccio tremante su cui era ancorata la stella di Davide: la ragione per cui tutto quello era sbagliato, completamente e maledettamente sbagliato, un peccato imperdonabile per gli altri, un dolce ma difficile segreto per lui.
Ecco, quell’Ebreo era il suo segreto.
Si alimentò di ogni centimetro di quella figura sinuosa che sembrava una sorta di visione celestiale dopo quell’ora d’Inferno, e si soffermò sul volto delicato che da un anno era il suo centro gravitazionale.
Quel viso tanto perfetto ed immutato nonostante la morte e la sofferenza vista e vissuta sulla pelle, che quel pomeriggio però, era privo della sua consueta serenità.
Kyle Broflovski era lì.
In piedi davanti a lui. Tremante sì, aveva anche qualche taglio sulla guance ed era più pallido del solito, cosa che risaltava ancor di più l’intenso colore delle sue iridi, ma era vivo.
"Oh, stai calmo con quella, mettila giù! Cartman, merda, abbassa quella maledetta pistola! Sono scappato da quegli arnesi infernali fin troppe volte oggi! ...Ti sei arrabbiato perché ti ho chiamato ‘culone’?" Scattò su il rosso, indietreggiando alla vista dell’arma sguainata del Nazista e spalmandosi contro il muro dall’altra parte del corridoio, ormai fortunatamente deserto.
C’era troppa quiete in effetti…
Eric lasciò cadere la pistola, - una Luger P08 di cui andava particolarmente fiero -, e si slanciò verso Kyle, che lo guardava attonito con una strana espressione disegnata sul volto, premendo le sue labbra contro quelle del ragazzo Ebreo.
E poi fu beato oblio.
Sentì il calore sprigionarsi immediatamente dalla bocca dell’altro, i morbidi riccioli che gli solleticavano le guancie, ed ebbe l’impulso di accarezzarli. Portò la mano che non era occupata a cingere il fianco sottile al ‘Prigioniero numero 2631’ sui boccoli vermigli ed iniziò a giocherellarci con le dita, cercando di resistere alla stretta di ferro di Kyle che, essendo di una buona manciata di centimetri più basso di lui, si era aggrappato bramoso alla divisa di Herr Cartman e tentava disperatamente di portarlo al suo livello.
I loro corpi s’incastravano alla perfezione, quasi fossero stati creati per appartenersi, sapevano esattamente come muoversi, come dare una scossa elettrica all’altro nel momento giusto.
Nonostante l’atmosfera tesa e di terrore che aleggiava padrona nell’aria, un piccolo raggio di sole timido e tiepido si fece largo tra la ragnatela di nuvole bigie, penetrando da una finestra della fortezza, illuminando quello scherzo di coppia, e la cappa di disperazione sembrò affievolirsi un poco.
Quando si staccarono, - non per voglia, ma per necessità: il fiato mancava ad entrambi -, Eric si specchiò in due verdi pozze liquide che lo guardavano con un sentimento impetuoso, pronto ad esplodere da un momento all’altro.
Amore.
Amore puro e sincero. E si ricordò dell’anno prima, quando vide per la prima volta quelle iridi stupefacenti.

- Flashback-

Grida, imprecazioni, suono di metallo su carne umana…la quiete del corridoio 113, immerso nel buio, si era insolitamente rotta quel pomeriggio lugubre, ove il solo rumore, era il rombo in lontananza di una tempesta in arrivo.
Eric Cartman, appena arruolato inaspettatamente come tenente, era di sorveglianza nel corridoio, quando tutto quel baccano attirò la sua attenzione.
 “Ti avevo avvertito, sporcizia! Ancora uno sgarro e l’avresti pagata, sudicio piccolo ratto Ebreo!” Era la voce di Hoffman, l’aveva riconosciuta. Una recluta non particolarmente brillante, e a suo avviso, alquanto odiosa.
Bam, un altro colpo e un leggero gemito strozzato.
“Ammazzami allora, stronzo! Non m’importa. Meglio morire che vivere in questo Inferno! Ho rubato del cibo e quindi? Tu non ruberesti per sfamare tuo fratello, razza di idiota?” Urlò una voce limpida, una voce di un ragazzo della sua stessa età, pensò Herr Cartman.
Bam. L’ennesimo colpo, e il tonfo di una caduta.
“Basta così, feccia. Ti farò rimpiangere di avere alzato il tono con una guardia! Penso che una visita dalle parti del, m-mmh, si, colonnello Weger, ti farà più che piacere, eh, Rosso?”
Eric sentì chiaramente il respiro del ragazzo più giovane spezzarsi, ma non lo sentì supplicare, affatto.
“Fai come vuoi, non m’importa. Non più.” Replicò il carcerato, con un’ammirevole nota di sfida nella voce.
Il novello tenente non aveva mai sentito un’Ebreo rapportarsi e sostenere un qualsiasi Nazista in quel modo tanto…strafottente, irrispettoso, inadatto sì, ma anche fiero e coraggioso. Provò un improvviso moto di orgoglio verso quel ragazzo tanto irriverente e sì, suicida.
Fu forse questo che lo spinse a spuntare dall’angolo, al far arretrare Hoffman in malomodo, dandò un'occhiata disgustata alla spranga di ferro insanguinata che stringeva in mano, e dal rivolgersi alla figura spezzata che stava rannicchiata in posizione fetale sul freddo pavimento di pietra liscia, in una pozza del suo stesso sangue.
Si prese qualche istante per osservarlo.
Sì, avrà avuto la sua stessa età, infilato in un pigiama a righe troppo grande e sporco di terra. Aveva rossi e ricci capelli vermigli, che risplendevano ramati alla vaga luce di qualche lampo lontano, e potè ugualmente scorgere, nonostante l’Ebreo tenesse il profilo basso, tratti dolci, quasi femminili, la pelle bianca come il latte inframezzata da qualche taglio superficiale, e carnose labbra rosee.
Per essere uno sporco ‘Juden’, era bello, non poteva negarlo.
“Alzati, coraggio.” Intimò quando il silenzio stava diventando troppo snervante per Herr Cartman. Il ragazzo tremò un poco ma, ancorandosi alla parete, grondando sangue, si erse in tutta la sua minuta statura. Tenne ancora gli occhi bassi però, lo sguardo accigliato rivolto verso il pavimento.
“Come ti chiami?” Domandò il Nazista, cercando di suonare il più rude e freddo possibile: doveva  ancora imparare.
“C’è scritto sulla maglia." E l'Ebreo picchiettò svogliatamente la targhetta di stoffa sulla sinistra del petto. "Non lo vedi? ‘Prigioniero 2631’.” Soffiò infine. Che nervi.
“Intendo il tuo di nome, quello vero Ebreo. Non farmi perdere la pazienza, non sono buono come Hoffman per tua sfortuna. Fosse per me ti avrei già freddato sul colpo.” No che non l’avrebbe fatto, era ancora inesperto, ma tanto valeva sembrare uno che sapeva il fatto suo. "...Feccia." Aggiunse poi cercando di sembrare convincente.
“Kyle. Kyle Broflovski.” Rispose in un sussurro astioso il Rosso, ed alzò finalmente il capo.
Nella luce innaturale di un fulmine, i freddi e vuoti occhi neri di Eric Cartman, incontrarono lo sguardo verde smeraldino di Kyle Broflovski, le gemme ridotte a fessure cariche d'odio incastonate nelle orbite del precedente.
E da quel momento seppe con certezza che quegli occhi sarebbero divenuti la sua condanna. Per sempre.

- Fine flashback -

“Ehi, culacchione, ci sei? Lo so che i miei baci fanno quest’effetto, ma cavolo, sembri una statua!” Kyle, appena staccatosi dal bacio, con le labbra intorpidite, schioccò impaziente le dita di fronte a sé.
Eric trasalì, e parve risvegliarsi da una trance. Era tardi, ma sperava non troppo.
“Mi vuoi dire che succede o vuoi un invito formale? Io…” La voce scherzosa del giovane Ebreo s’incrinò. “Sono venuti a prenderci, prima. Dicevano che ci avrebbero portato nelle docce ma... le volte scorse si limitavano a dare l’annuncio e ad andarsene. C’è…troppo fermento oggi. Ed hanno sparato, sai, a quelli che si rifiutavano...Io credo che ci sia qualcosa sotto. Mi sono nascosto in una nicchia ed ho atteso che venissero portati fuori tutti: non mi fidavo. Poi ho iniziato a cercarti e…” Eric poteva chiaramente sentire l’angoscia nella voce del ragazzo.
Lo interruppe senza troppi convenevoli. Era necessario che Kyle capisse, che capisse la terribile situazione in cui si trovavano.
“Gas. Kahl, non sono delle semplici docce, c’è il gas là dentro. Gli alleati stanno arrivando, devono cancellare le prove…e con prove intendono sbarazzarsi di voi, di tutti voi. Devi scappare, metterti in salvo io…” Si morse un labbro, incerto sul continuare notato il pallore cadaverico del suo Ebreo. “Provvederò io stesso ad assicurarmi della riuscita della tua fuga. Non ti toccheranno. Non finchè ci sarò io.”
E senza curarsi dello sguardo atterrito dell’altro, gli afferrò la mano, ed insieme si slanciarono lungo le scale di pietra deserte del corridoio immerso nella penombra.

Corsero a perdifiato fino al portone d’entrata della fortezza. Tutto taceva.
Silenzio. Solo il rombo di qualche motore in lontananza e il ticchettio di gocce d'acqua. Da qualche squarcio nella parete, Eric poteva scorgere battaglioni di Ebrei, privi ormai del loro abiti, che si avviavano ignari verso la costruzione grigia che s’ergeva poco più in là.
Le docce, sciocche e banali docce secondo loro. In realtà, marchingegni assassini, trappole mortali.
Sentiva Kyle tremare al proprio fianco e battere i denti dal freddo: dannazione, aveva indosso solo quel maledetto pigiama a righe. Fece per dargli la propria giacca della divisa, ma certo se avesse incrociato qualcuno, avrebbe dovuto spiegare cosa diavolo ci faceva un Ebreo con indosso un capo Nazista. E Kyle non avrebbe mai e poi mai indossato un qualcosa con quel simbolo infernale sopra: la Svastica.
- “Herr Cartman, signore! Non dovrebbe essere dal colonnello? E che ci fa con quella fec-…” D’un tratto, la voce di una recluta vagamente familiare delle SS si levò dalle loro spalle, facendo fare un balzo ad entrambi.
Eric non esitò. Sguainò la sua Luger P08 dalla cintura e con un solo, preciso sparo, freddò l’uomo, che cadde con ancora un’espressione di sorpresa impressa sul volto, nel suo stesso lago di liquido scarlatto.
Kyle al suo fianco per poco non era caduto dallo spavento, ed ora si aggrappava convulsamente al braccio del Nazista, che tanto aveva rinnegato la sua religione ed il suo credo per inseguire il cuore che credeva quiescente da troppo tempo. O del tutto assente, se lo disse spesso.
“M-ma p-perché lo h-hai ucciso?” Farfugliò, con gli occhioni verdi ancora sgranati e fissi sul corpo morto dinanzi a loro.
Eric non rispose, ma lo afferrò nuovamente per la mano e lo tirò a sé, mentre riprendeva una corsa sfrenata nel campo innevato, ora superato il portone massiccio.

Il freddo fuori era pungente e penetrante. Il terreno era completamente coperto da un manto di neve candida, cosa per altro piacevole, se non fosse stato per i cadaveri abbandonati e le immense pozze porpora qua e là. Non si udiva alcun suono dalle docce a gas…perlomeno la dipartita di quei dannati sarebbe stata indolore.
Ma c’era troppa quiete, pensò Eric, troppa maledetta quiete.
Nessun Nazista sano di mente avrebbe lasciato la fortezza completamente incustodita, soprattutto in quella situazione, quando neanche un Ebreo doveva fuggire, ed infatti…
“Ma bene, ecco il nostro traditore. Cosa pensavi di fare, rifiuto della società Tedesca? Scappare con il tuo lurido Ebreo e vivere per sempre felici e contenti? Bè, mi spiace Cartman, ma non esiste un lieto fine nella tua vita.” La voce glaciale, persino più del clima, del colonnello Weger giunse non del tutto inaspettata alle orecchie dei due fuggitivi.
Era stato tutto fin troppo facile.
Merda, erano in trappola.

Come negli incubi più segreti e spaventosi di Eric, lui e Kyle, schiena contro schiena, sotto il cielo plumbeo, si ritrovarono circondati da dieci e forse più guardie delle SS, e con altrettante pistole puntate contro dritte al cuore.
“Che quadretto commovente, che ne dite? La straziante storia d’amore tra un rispettabile Nazista ed un sudicio e indegno ratto Ebreo che non meriterebbe nemmeno di essere considerato umano. Ti confesso, Eric, sospettavo di te da molto tempo purtroppo. Avevi avuto sempre un occhio di riguardo per quella feccia. Quante volte lo hai sottratto a morte certa, inventando miriadi di futili scuse, eh? Credevo fosse compassione,- le matricole di solito ce l’hanno-…ma amore!” Continuò Weger, scoppiando in una risata stridula e priva di gioia; Eric alzò lo sguardo, e lo vide, lì, in piedi, eretto in tutta la sua possente statura, i capelli biondi che pendevano flosci e gli occhi di ghiaccio senza sentimento, con la sua preziosa rivoltella sguainata, puntata solo contro Kyle, che tremava incontrollatamente mormorando chissà quali preghiere al suo fianco.
Sentì il sangue rimbombargli nelle tempie, ed in un gesto folle, completamente folle ed avventato, afferrò la sua Luger.
Ci fu uno sparo, e quest’ultima gli volò via di mano, atterrando con un tonfo in un cumulo di neve.
Erano fottuti. Indifesi e fottuti.
Andiamo Eric, so che non vuoi morire da nullità. Sono magnanimo e compassionevole oggi. Ti darò un’ultima possibilità, anche se so già che me ne pentirò. Lasciaci uccidere l’Ebreo com'è giusto e dimenticheremo tutto. Tornerai alla tua nobile professione, continuerai con la tua vita." Weger schioccò la lingua sul palato, impaziente. "O morirete entrambi, qui, fra qualche istante.” Cantilenò infine con voce falsamente dolce.

“V-vai t-ti prego Eric. Andrà tu-tutto bene io, io non h-ho paura di morire. T-tu però...E' stata colpa mia. Tutta colpa mia. S- salvati, almeno tu, salvati. Questo era il mio destino da quando sono entrato qui. Morirei felice nel saperti sano e salvo.” Mugugnò flebile Kyle, di cui ormai sosteneva l'intero misero peso, dato che si era afflosciato contro di lui.
Si agganciò per un attimo al suo sguardo lucido di lacrime e smeraldino, implorante e rassegnato, e capì esattamente che doveva fare.
Fece un passo avanti, sotto gli occhi di tutti i presenti, affondando passo dopo passo gli stivali di cuoio nero nella neve immacolata.
La forza di mettere un piede dopo l’altro, non seppe  mai neanche lui dove l'ebbe trovata.
Forse però, si ritrovò a pensare. aveva i capelli rossi e stava ormai singhiozzando sommessamente alle sue spalle. 
Vide il volto del colonnello aprirsi in un sorriso di vittoria, e spegnersi un attimo dopo quando la mano di Eric raggiunse il foulard rosso con sopra incisa la svastica.
Lo strappò.
Lo gettò a terra.
Lo pestò.

“Io di qui non me ne vado senza di lui. Uccidetemi. Non saprei che farmene della mia vita senza Kyle.”
Alle sue spalle, il suo Ebreo crollò a terra, in ginoccio, spinto in malomodo da una recluta dell’SS, che gli puntò la pistola dritt.
“Bene. E’ la tua scelta, rifiuto. Bah. Procedete.” Sentenziò Weger con voce atona, avviandosi verso il carcere ormai deserto, ed un attimo dopo Eric si ritrovò in ginocchio anche lui, con una rivoltella incastonata nel cranio, fianco a fianco con Kyle, e con un’assoluta sentenza di morte sul capo.
Si guardarono negli occhi, in un istante che sembrò eterno.
Verde e nero. Nero e verde.
I colori dominanti di quel sentimento esploso tra quei due uomini così differenti.
La dimostrazione che l’amore andava ben oltre una stupida stella o una svastica.
Era la fine. Ma erano insieme, no? Non era questo che contava?.
Il sussurro di Kyle giunse come da lontano alle orecchie di Eric.
“Io ti amo e…sono fiero di te.”
Poi udì vagamente un colpo sordo, la percezione di stare svenendo. La visione si fece improvvisamente rossa, e lo sguardo di Kyle si sottrasse al suo. Crollò sul suolo innevato.
Era morto.
Morto ucciso dai compagni rinnegati in un lugubre pomeriggio del 1945, su un manto candido di neve.
Erano morti.
Morti uccisi per un amore che era sbagliato...Ma quand’è che un amore è sbagliato?
Era finito. Tutto.
E l’ultima cosa che videro, Eric Cartman e Kyle Broflovski, furono entrambi gli occhi dell’altro.
E morirono con la certezza di essere distesi lì, insieme.

Mano nella mano.


Do you really want me dead,
Or alive, to live a lie?
 


 

  
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