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Autore: MaTiSsE    22/12/2011    4 recensioni
"...Quando due persone si trovano sotto un ramoscello di vischio la tradizione vuole che si scambino un bacio..."
Isabella vuol credere a quella leggenda narratale da una voce amica e si adopera affinché la sua speranza diventi realtà. Affinché possa incontrare di nuovo le labbra amate sotto un fortunato rametto di vischio.
Piccola storia del Natale di Bella Swan dopo l'abbandono da parte di Edward in New Moon.
Si è classificata sesta al contest "Luci di Natale" indetto da SerenaEsse e Vanderbit sul forum di Efp.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Angela, Charlie Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
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Grazie ad Agnes Dayle Efp per avermi seguita e supportata. Non soltanto in questa storia.
Ti voglio bene Mari.

















 
"...C'è il temporale
ed anche se non fosse stato Natale
t'avrei amata uguale..."
- Canzone per Natale - Morgan
 















 
 
C'era freddo. Troppo freddo. 
Tanto che, per quel Dicembre, la proverbiale pioggia di Forks si era trasformata in neve.
 
 
Soffice, candida neve.
 
 
Tuttavia, Isabella non parve risentire particolarmente di quel cambiamento climatico: non doveva esserci più gelo fuori di quanto lei stessa non percepisse nel suo cuore da un po' di tempo a quella parte.
Il resto non faceva poi così male. Almeno, non risultava impressionante allo stesso modo.
 
Inoltre, in passato, si era tenuta abbastanza in allenamento con le basse temperature. 
Ormai non le creavano più alcun fastidio.
 
Per cui seguitò a trascinarsi ancora un po' nella neve, senza particolare irritazione ed anzi contemplando, disinvolta, le tracce lasciate dal suo passaggio.
 
Preferiva tenere gli occhi bassi sul  manto bianco reso iridiscente dalle luci artificiali della sera piuttosto che sul suo intorno.
 
Un intorno fatto di festoni colorati, fantocci raffiguranti Santa Klaus, mamme ed innamorati sospinti dall'irresistibile frenesia di comprare ed impacchettare stupidi regali.
Un intorno fatto, ancora, di lucine intermittenti, alberi dalle decorazioni improponibili e fastidiosi propositi di bontà.
 
 
Port Angeles si apprestava a celebrare il Natale.
Così come Forks, Seattle, Jacksonville....il mondo intero, in altre parole.
 
 
Sospirò chiedendosi perché fosse stata così idiota da accettare l'invito di Angela per un pomeriggio di shopping convulsivo in salsa natalizia.
A dirla tutta, Isabella non aveva acquistato assolutamente nulla se non un paio di guanti nuovi per suo padre ed un bracciale in legno per Renèe. Che, tra l'altro, abitava lontano, troppo lontano da lei. 
Chissà quando avrebbe potuto fargliene effettivamente dono.
 
A conti fatti, la discrepanza tra i suoi due piccoli pacchetti e la montagna di borse che Angela si trascinava dietro a fatica sarebbe quasi  risultata comica. Tuttavia Isabella l'affrontò piuttosto dolorosamente.
Poichè quella medesima discrepanza le ricordava, di continuo, l'esistenza di qualcun altro cui lei non aveva fatto alcun tipo di regali. E non perché non l'avesse desiderato, tutt'altro. Semplicemente perché le era stato proibito. E perché quel qualcuno era sparito fin troppo velocemente dalla sua vita, senza lasciare traccia del proprio passaggio se non un'inguaribile ferita sul suo cuore di ragazza.
 
Sospirò tristemente, ancora una volta e considerò mestamente, infine, come a lei, in ogni caso, il Natale non fosse mai piaciuto molto in realtà. Neanche troppo da bambina ed ancora meno adesso che quell'aria di festa e gioia artificiosa veniva a stridere pesantemente con l'agonia del suo animo.
 
 
 
Un'ultima volta, quindi, si maledisse per quell'inutile pomeriggio di acquisti.
Poi, però, si ricordò di Charlie e smise quasi subito di imprecare contro se stessa.
 
Rimembrò il motivo per cui aveva messo la testa fuori da casa Swan.
Rimembrò quell'aria desolata con la quale suo padre era solito guardarla. E quel pensiero mai realmente espresso in parole ma che Isabella poteva leggergli ogni istante negli occhi: 
 
"Ti avrebbe fatta soffrire quel maledetto Cullen. Io lo sapevo!"
 
 
Per sfuggire a quei medesimi sguardi di rimprovero, Isabella fingeva di star bene. Con enorme fatica, ogni giorno, recitava una parte che non le era propria e, di tanto in tanto, sgattaiolava fuori di casa con le sue amiche. 
 
In realtà avrebbe preferito, piuttosto, seppellirsi sotto le coperte e piangere fino all'ultima delle proprie lacrime. Finché i suoi occhi fossero stati così irritati e sdrucidi da non riuscire neanche più ad aprirli. Ma non poteva. Doveva mostrarsi forte per il bene di suo padre.
 
Ovviamente serviva a bene poco tutta quella commedia: la sua faccia, resa esausta da troppe notti insonni, non necessitava granché di commenti.
Era a pezzi, in tutta onestà e forse non le dava neppure più così fastidio. Il dolore era l'unica cosa che le confermasse che lui era esistito realmente, del resto.
 
In ogni caso i risultati erano tangibili: Charlie sembrava fingere di credere alle sue continue rassicurazioni - va alla grande papà, stai tranquillo era ormai diventata una frase cult, una specie di disco incagliato che si ripeteva ogni qualvolta suo padre si soffermava a guardarla troppo a lungo.
O forse, semplicemente, appezzava i suoi sforzi. I suoi tentativi di andare avanti.
Che poi non ci riuscisse realmente era un'altra storia.
 
Se Charlie avesse saputo che, onestamente, non desiderava altro che sparire, forse l'avrebbe ripudiata come figlia.
Lui era un tipo tosto: Isabella non avrebbe dovuto essere una codarda, viceversa. Era pur sempre una Swan, no?
 
 
Quel pomeriggio, dunque, Angela le aveva telefonato per pregare di accompagnarla a fare acquisti per il Natale.
Aveva tanti parenti, la sua amica, una famiglia felice ed un ragazzo da riempire di regali. Diversamente da lei.
 
Perchè Angela non aveva scelto piuttosto Jessica, per un simile impegno? Si sarebbe dimostrata certamente più di compagnia.
 
Sul punto quindi di rifiutare adducendo un atroce mal di testa come giustificazione, si era voltata incrociando - malauguratamente per lei - lo sguardo speranzoso di Charlie. Ancora una volta.
 
Per cui l'aveva osservato qualche istante più del dovuto prima di decidersi, infine, ad accettare quello stupido invito con un sospiro.
 
 
"Certo, Angela, sta' tranquilla. Oggi ti accompagnano io."
 
 
 
Ovviamente, aveva autonomamente firmato, in questo modo, la sua condanna a morte.
 
Al quindicesimo negozio in cui facevano visita quel pomeriggio, Isabella cominciò a sbuffare di nascosto. Agitata e nervosa, saltellava da una gamba all'altra, incapace di star ferma.
Desiderava soltanto tornare a casa, chiudersi in camera e scrivere qualche email chilometrica ad un'amica che non avrebbe mai letto. E che non le avrebbe mai risposto.
 
 
La sua cara Alice.
 
Schiava dei propri pensieri e di troppo dolore non si accorse di essere finita in un negozio di fiori.
Angela stava acquistando qualcosa anche lì ma non riuscì immediatamente a focalizzare l'oggetto in questione poiché la ragazza era già volata alla cassa mentre lei se ne stava in disparte, sotto la porta d'ingresso del fioraio.
 
Quando si apprestò nella sua direzione, Isabella colse parecchi ramoscelli di vischio tra le mani dell'amica.
 
Era raggiante, come se quello fosse stato l'acquisto più azzeccato e soddisfacente della giornata.
 
 
"Ehi, Bella! Guarda qui che meraviglia!"
"Sì, sì, molto bello..."
"Mmmh...non mi sembri convinta..."
"Che devi farci?" - Domandò piuttosto eludendo l'osservazione di Angela. Ripresero a camminare nella neve, mani in tasca, mentre sbuffi di vapore fuoriuscivano, di tanto in tanto, dalle pesanti sciarpe in lana che avvolgevano parte del loro viso.
In lontananza una campana suonò a festa. Isabella si chiese se fosse opera di qualcuno più in alto, qualcuno cui piaceva particolarmente deriderla.
 
 
"Decorare casa, ovviamente. Tu che addobbi hai usato per quest'anno?"
 
 
Ripensò allo sbilenco albero artificiale, alto un metro, che suo padre aveva montato in un angolo del salotto. Era abbellito soltanto sul davanti. Alle spalle appariva totalmente spoglio perché Charlie era troppo pigro per considerare di far le cose per bene.
E lei, invece, troppo stanca di tutto.
 
"Non lo so Angela, gli stessi dell'anno scorso presumo. Abbiamo l'albero e....nient'altro."- Concluse mestamente.
"Oh! Allora...tieni questo!"
 
Angela spezzò un ramoscello di vischio da un originale di maggiori proporzioni, porgendoglielo con gentilezza.
 
"Prendi Bells...Questo è per te."
"Gra...Grazie. Ma non saprei..."
"Oh, avanti! Potrai metterlo nella tua camera, le darai un'aria natalizia! E poi il vischio è speciale..."
"Perché?" - Domandò perplessa.
"Su, è impossibile che tu non lo sappia! Quando due persone si trovano sotto un ramoscello di vischio la tradizione vuole che si scambino un bacio. Ecco, la trovo una cosa molto romantica e magari...potrebbe...Ecco sì, portarti fortuna. Te lo regalo augurandoti di trovare la persona giusta da baciare sotto il vischio." 
 
Angela arrossì, nel pronunciare quelle parole. Perché era consapevole delle sofferenze della sua povera amica e desiderava davvero che qualcuno più degno di Edward potesse prendersi cura di lei. Ad Isabella, viceversa, venne da piangere. Riuscì a trattenersi per puro miracolo. Sapeva perfettamente chi avrebbe desiderato baciare sotto il vischio: la stessa persona che si era volatilizzata da mesi, la stessa persona che non avrebbe mai più rivisto in vita propria. Se n'era andato via un giorno di Settembre, in maniera tanto naturale che per troppo tempo Bella aveva creduto che si fosse trattato semplicemente di un sogno. Ma Edward si era portato via anche il suo cuore scavandole una voragine nel petto che la costringeva ad urlare di orrore ogni notte. E quando la sofferenza si palesava in maniera tanto vivida allora era certa che quella fosse proprio la realtà. Malauguratamente.
Tuttavia Angela le porse quel ramoscello con tanta dolcezza che Isabella non se la sentì di rifiutare, benché fosse ben consapevole del fatto che quell'augurio tanto sentito, probabilmente, non si sarebbe mai realizzato. Biascicò quindi un grazie piuttosto imbarazzato ed accettò il regalo con mani tremanti.
 
 
*
 
 
La leggenda sul vischio narrata da Angela finì, tuttavia, con l'insinuarsi in maniera piuttosto subdola nella mente di Isabella.
D'improvviso, come spinta da un moto irrazionale ed incosciente del proprio cuore, cominciò ad immaginarsi che, dopotutto, quel ramoscello avrebbe potuto portarle fortuna per davvero.
 
In fondo, cos'aveva da perdere?
Edward si era già portato via tutto e sperare ancora un po', per quanto scioccamente potesse apparire, le consentiva ancora di sentirsi viva di tanto in tanto.
Cosicché, cominciò a fantasticare sul suo possibile ritorno: era quasi Natale del resto. A Natale tutti erano più buoni, forse anche i vampiri che sparivano dall'esistenza delle proprie fidanzate senza una ragione plausibile.
Magari Edward avrebbe acconsentito a farle quel regalo: a tornare da lei, anche per una notte soltanto. E se questo fosse accaduto, Isabella non l'avrebbe lasciato andar via: non senza un bacio. L'ultimo.
Il vischio sarebbe stata la sua trappola: ne avrebbe riempito la casa, ogni angolo, ogni buco. Costretto da quella tradizione, Edward non avrebbe potuto rifiutarsi.
 
Sempre se avesse deciso realmente di tornare sui suoi passi.
 
Per cui, qualche giorno dopo quel pomeriggio di shopping, Isabella tornò nel medesimo negozio di fiori. Ed acquistò vischio in quantità industriali disseminandolo, successivamente, per l'intera abitazione.
 
 
Era ovunque. 
Quando, quel mattino del 23 Dicembre, Charlie percorse le scale di malavoglia per recarsi in cucina ed infine alla centrale, per poco non gli prese un colpo.
 
La casa era inondata di quei maledetti ramoscelli. Finì persino per schiacciarne uno, allacciato alla ringhiera tramite un nastrino rosso, col palmo aperto della mano procurandosi una piccola ferita.
 
“Dannazione!” - Esclamò prima di chiamare a gran voce il nome di sua figlia.
“Che c'è?” - Domandò quest'ultima dalla porta della propria camera.
“A cosa ci serve tutto questo vischio, Bells?? Punge...!” - Mugugnò.
“A decorare la casa. E' Natale, papà.” - Concluse lei in un soffio, richiudendo immediatamente la porta alle proprie spalle con un tonfo secco.
“A decorare la casa...” - Ripetè lui, mestamente e seriamente preoccupato.
 
Quel pomeriggio finì con l'avventarsi sul telefono, chiamando la ex moglie per cercare una spiegazione al comportamento irrazionale di Isabella. Sembrava preoccuparlo più di tutte le sue lacrime e di quelle urla che finivano sempre col svegliarlo nel cuore della notte.
Si era rivolto a lei perché era una madre: avrebbe potuto aiutarlo. Lui, con certe faccende strane da donna, era piuttosto incapace.
Ma aveva dimenticato che Renèe fosse anzitutto...Renèe. La donna svampita e divertente che aveva amato anni prima.
Cosicché riagganciò dopo soli pochi minuti: la conversazione era stato tutto un susseguirsi di gridolini di giubilio con cui la donna mostrava di approvare l'improvviso pollice verde della figlia ed il suo buon gusto in fatto di decorazioni. Neanche l'aveva sfiorata l'idea che qualcosa potesse non andare per il verso giusto e Charlie finì con l'irritarsi enormemente.
 
Alla fin fine, si decise a lasciarla fare. Se Isabella trovava divertente trasformare la loro casa in una specie di serra natalizia, lui non avrebbe obiettato. Tutto ciò che le faceva bene era perfetto anche per lui.
E se, viceversa, quello si fosse rivelato il sintomo di un malessere interiore più profondo beh...sì, avrebbe trovato una soluzione anche per quello. E l'avrebbe ancora cullata nelle sue lunghe notti di agonia.
 
In ogni caso, un pensiero si mantenne costante nella sua mente: 
 
"Maledetto Cullen! E' tutta colpa tua!
 
 
 
*
 
 
 
La sera del 24 Dicembre Isabella si ritirò nel suo letto ancor prima del solito. Insieme a Charlie aveva consumato una modesta cena a base di hamburger  ed insalata – decisamente nulla di natalizio – lasciando buona parte del pasto a giacere inerme nel piatto.
Dopodiché aveva biascicato un “Buona Vigilia papà” assolutamente bugiardo prima di ripulire il tutto e fuggire nella propria camera.
Lontano dagli occhi di Charlie.
 
Ovviamente il suo piano non aveva dato i frutti sperati.
Nessun Edward era tornato a farle visita. Avevo atteso pazientemente di ricevere, in regalo, un paio di labbra gelide delicatamente poggiate sulle proprie. Ma le sue speranze si erano rivelate vane.
Edward era lontano, ancora. Chissà quanto e chissà dove.
 
Sospirò, accucciandosi sotto le coperte.
Portò il piumone fino alla punta dei suoi capelli spettinati ed in quel buio artificiale cominciò a singhiozzare piano il suo dolore.
 
Infinitamente piano.
E poi...
 
Sempre più forte. Con agitazione crescente.
L'ultimo singhiozzo fu costretta a reprimerlo portandosi la mano alla bocca. Non poteva avere un cuore tanto arido da decidere di rovinare ulteriormente la già miseria Vigilia di Charlie con i suoi pianti disperati.
 
 
Tentò quindi di calmarsi, respirando a fatica.
Per un tempo infinitamente lungo ed in un silenzio tanto irreale quanto spaventoso.
 
 
E proprio in quel silenzio percepì più nettamente il rumore di un colpetto secco e ripetuto. Catturò la sua attenzione, nonostante il momento non propriamente felice.
Isabella sobbalzò sempre da sotto le coperte. 
Non uscì comunque allo scoperto. Non subito almeno.
Trattenne piuttosto il fiato quanto bastava per convincersi di essersi sbagliata.
 
Ma non durò così a lungo.
 
Di nuovo quel toc ovattato giunse alle sue orecchie.
Si scoprì con una rapidità sorprendente – degna di un essere non umano, evidentemente. 
Tutto questo perché il cuore le aveva parlato e non le stava dicendo una bugia.
 
Quasi si rifiutò di batterle ancora nel petto, tuttavia, quando i suoi occhi incontrarono quelli ambrati e fin troppo luminosi del suo amore non più andato.
 
 
 
 
Edward.
 
 
Edward era tornato davvero.
Edward....
 
....era tornato per lei?
 
 
Edward!
 
 
Questa volta avrebbe singhiozzato per davvero e senza remore.
Ma soltanto di gioia.
 
 
 
*
 
 
 
La guardò per un tempo infinitamente lungo, un istante che valeva quanto l'Eternità, prima di sfiorare il suo profilo col dorso della mano.
Isabella pensò alla familiarità di quel tocco gelato, a quanto le fosse mancato.
A quanto non potesse farne a meno, ora più di prima perché Edward era di nuovo in quella stanza con lei, sotto il medesimo tetto ad osservarla con i suoi occhi dorati carichi di emozione e sapeva che per lei, quella presenza, era più importante della stessa aria che respirava.
Avrebbe pianto fiumi di lacrime soltanto per sfogare la disperazione che si portava dietro da mesi e tornare a sorridere sinceramente.
Ma si trattenne.
 
 
Non ora. Non ora Isabella.
 
 
“Stavi singhiozzando, prima. E' stato un Natale...triste?” 
 
 
La sua voce riempì lo spazio intorno a loro. Era melodiosa e perfetta quanto una sonata di Mozart, molto, molto più di quanto lei stessa rimembrasse. Bella pensò che la memoria fosse ingannevole: non restituiva mai ricordi che potessero sposarsi esattamente con la realtà.
 
Ma trovò ancora forza e coraggio per parlare. Costrinse i muscoli a contrarsi e la lingua a schioccare fin quando un debole “Sei tornato” non fuoriuscì dalle sue labbra.
 
Non c'entrava assolutamente nulla quella risposta con la domanda rivoltale da Edward ma non le importò, francamente. Aveva molto altro a cui pensare e, prima di tutto, al fatto che avesse di nuovo il diritto di toccargli le mani e sentirlo suo.
 
 
“Isabella...”
 
“Dove...dove sei stato? Dove?” - Ripetè percorrendo il suo viso con le dita. Voleva esser certa che lui fosse lì, voleva toccarlo e sapere che non si trattasse soltanto di una crudele fantasia.
 
 
Edward raccolse quelle piccole mani fra le sue. Tremavano.
 
 
“Non è importante questo, adesso.”
“Perché, Edward?”
“Perché...?”
“Perchè sei andato via...e perché sei tornato adesso...Perchè, vorrei soltanto sapere questo. Oppure no...no, forse no! Io...”
“Io ti amo.” - Le confessò in un sospiro. Bella lo guardò esterefatta, ancora una volta. 
 
Travolta dall'assurdità di un momento tanto atteso quanto inaspettato e da una gioia non totalmente concepibile né realizzabile, faticò a mettere insieme pensieri e parole. 
 
“Sono qui per fartelo sapere, perché tu non debba credere che la mia sia stata solo una bugia. Non ti ho ingannata. Sei l'unica per me. Lo sarai per l'Eternità.” - Continuò.
 
 
Il cuore di Isabella perse un battito, forse anche più di uno.
Aveva tanto desiderato di vivere quell'istante, in quei lunghi mesi di buio. Aveva scelto accuratamente le parole da usare quando l'avesse riabbracciato, aveva studiato l'espressione più severa da mostrargli per indurlo a pentirsi del suo gesto e maledirsi per tutte quelle notti in cui aveva costretto il suo cuore a non riposare, nel tentativo di immaginarselo accanto a sé. Si era, infine, ripromessa molte volte di non tremare, agitarsi, balbettare.
Ogni suo buon proposito, tuttavia, era svanito in un attimo.
Risucchiato da parole che mai avrebbe pensato Edward avesse potuto sussurrarle.
 
 
 
Lui non era il suo nemico.
Era ancora l'uomo che amava e non c'era alcuna fine per loro due.
Non ora, almeno. Non più.
 
 
"Ti amo anche io..." - Sospirò dunque poggiando la fronte contro il suo collo freddo.
 
Edward la carezzò in un gesto di infinita dolcezza ed Isabella pregò che quell'istante tutto loro non avesse mai fine.
 
Si aggrappò alla sua giacca ed alla sua pelle liscia con tutte le sue forze. 
Affinché non fosse solo un sogno, per non vederlo svanire di nuovo nella neve di quel Dicembre. Ma Edward era lì, a cingerla ancora amorevolmente in quell'abbraccio e dunque Bella comprese che il suo regalo di Natale fosse giunto davvero a destinazione.
 
Non si trattava più di un'illusione, di una speranza che non avrebbe trovato la sua strada.
 
Edward era tornato per lei.
Di nuovo.
 
Dunque, improvvisamente, ricordò.
I suoi sforzi ed i buffi tentativi di riportarlo a sé. E si staccò rapida dalla sua presa.
Edward la guardò perplesso ma Isabella lo rassicurò.
 
"...Voglio...soltanto fare una cosa."
 
Si sporse appena in direzione del comodino dov'era poggiato l'ennesimo ramoscello di vischio. Sorrise nell'afferrarlo e nel tornare tra le braccia di Edward mentre lasciava che il medesimo ramoscello pendesse sulle loro teste.
Lo sguardo dell'amato luccicò di sorpresa. Sorrise senza comprendere.
 
"La tradizione vuole..." - Spiegò dunque Isabella - "...che a Natale gli innamorati si scambino un bacio se vengono ad incontrarsi sotto un rametto il vischio. Vuoi, Edward?"
 
Lui sorrise distogliendo lo sguardo.
Il suo sorriso sghembo, quello che sapeva mozzarle il fiato ogni volta. Aveva dimenticato quanto fosse realmente bello.
 
"Lo voglio..." - Rispose dunque. - "...Ma non c'è bisogno del vischio. Ti avrei baciata comunque. E ti amerei in ogni caso, in qualunque tempo, anche stando lontano da te. Voglio che tu lo sappia, Isabella. Perdona questo mio stupido amore."
"O la tua stupida ragione..."
"La mia stupida ragione..." - Acconsentì prima di chinare il suo viso su quello di Isabella lasciando un bacio dolce e freddissimo sulle labbra di lei.
 
 
Ti amo Edward.
Ti amo, ti amo. Ti amo.
 
 
*
 
 
 
"Isabella...Bells!" - Qualcuno la scosse tanto bruscamente che la ragazza sobbalzò.
"Che...Papà!"
"Bells, scusami! Scusa figliola ma tu....ecco...ti stavi...agitando nel sonno. Prima ti ho sentita piangere e poi...Parlavi. Ti ho sentita parlare e...ho pensato fosse meglio svegliarti prima che i tuoi incubi..."
 
"Papà!" - Ripeté realizzando. Ed annaspando.
 
 
Dov'era Edward? 
Dov'erano le sue mani delicate, le sue labbra meravigliose?
Perché era sparito, perché non era più in quella stanza, con lei, a guardarla con i suoi occhi ambrati e quell'espressione così emozionata da risultare accigliata?
Perché...C'era Charlie, al posto suo?
 
 
"...E' stato un sogno!" - Constatò portandosi una mano alla bocca e l'altra tra i capelli, in un gesto disperato. Cercava un nuovo appiglio per resistere alle beffe della sua crudele fantasia ed alla nuova voragine che andava aprendosi nel suo petto. Non l'avrebbe trovato.
"Bella...cosa...? Hai sognato..."
"...Io..."
"Lo chiamavi nel sonno. Ho sentito il suo nome...Il nome di quel maled..."
"BASTA!" - Urlò – "Basta, ti supplico! Non. Nominarlo. Sei hai pietà di me non farlo, ti prego!"
 
Suo padre la guardò per un tempo infinitamente lungo, con occhi pietosi. Ma lei non desiderava la pietà di nessuno, solo che, al momento, era troppo debole per rifiutarla veramente.
Infine si decise a lasciarla.
 
"D'accordo Bells...Forse...Forse vorrai restare da sola. Okay."
 
Isabella comprese perfettamente il perché di tutta quella fretta: Charlie aveva paura dello sguardo vacuo e perso che assumeva quando la disperazione per la perdita di Edward tornava ad accendersi. Come in quel medesimo istante in cui aveva realizzato che fosse stata tutta una bugia, ancora una volta.
 
Isabella odiava i suoi sogni e, tuttavia, non poteva farne a meno. 
Nei suoi sogni incontrava Edward e ne era felice. Ma al risveglio tornava a perderlo ed era una dolore così atroce che temeva sempre l'avrebbe portata allo stremo, prima o poi.
 
"Sì, voglio stare da sola..." - Acconsentì infine.
 
Suo padre annuì, rispettando mestamente il desiderio della figlia. Ma, sulla porta, dovette realizzare che la mezzanotte fosse passata da un pezzo ed il suo cuore di genitore gl'impose in ogni caso di parlare:
 
"Buon Natale, Bella. Che questo giorno possa renderti felice, in qualsiasi modo possibile."
 
 
Isabella tirò su col naso, cercando di non piangere nuovamente una volta rimasta sola nella penombra della camera. Si guardò intorno distrattamente, cercando qualcosa che potesse aiutarla a respirare e dimenticare anche solo per cinque minuti.
 
E fu allora che realizzò.
 
Non c'era più vischio nella sua stanza disordinata. Non più sulla scrivania, nessun ramoscello pendeva dalla lampada o giaceva inerme sul comodino.
Soprattutto sul comodino.
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
"L'ho fatto di nuovo." - Pensò correndo tra gli alberi rinsecchiti ed ostili che si sommavano nella fitta foresta di Forks. - "L'ho abbandonata ancora una volta."
 
 
 
Si rimproverò, aspramente. Si diede del codardo, dell'imbecille. Perché l'aveva illusa ed Isabella avrebbe pianto lacrime amare per troppi giorni ancora a causa sua.
 
Alla fine, tormentato e stanco - sì, paradossalmente stanco - si accasciò lungo un tronco bitorzoluto al margine di un sentiero poco distante.
 
 
 
Edward era tornato davvero per lei, non le aveva mentito. Ma la sua venuta era durata soltanto lo spazio di pochi istanti. Il tempo necessario, in altre parole, per farle sapere che l'avrebbe amata comunque. Ovunque fosse andato ed in qualunque tempo, nessun'altra avrebbe mai preso il suo posto accanto a lui.
 
Almeno questo glielo doveva: Isabella non avrebbe mai dovuto dimenticare che il loro amore non era stata una farsa o una menzogna. Che il suo cuore - il cuore di Edward - aveva compreso cosa significasse tornare di nuovo alla vita soltanto nel momento in cui lei aveva fatto capolino nella sua tetra esistenza. 
 
Ora che l'aveva lasciata andare definitivamente, tuttavia, si era ritrasformato in dura pietra. Senza possibilità di ritorno.
 
Edward sospirò ancora, chiedendosi se quella promessa, quella rassicurazione fatta ad un'anima lacerata sarebbe mai valsa, un giorno, per perdonarlo dal terribile peccato di cui si era macchiato sporcando la vita di un'innocente e concedendo, al contempo, nuova luce e colore alla propria.
 
 
"Ti ho promesso il mio amore eterno. Servirà mai a consentirti di vivere in pace? Ti basterà per scusare l'essere immondo che sono?" - Domandò a voce alta ma il vento portò via le sue parole, crudelmente. Nessuno gli rispose.
 
Avrebbe desiderato almeno piangere Edward. Tanto. Ma anche quel diritto gli era negato da troppo tempo, ormai.
Che vita inutile, la sua!
 
 
Nel frattempo, la neve ricominciò a posarsi in morbidi fiocchi sullo spazio intorno a lui. Sulle sue mani fredde, tra i suoi capelli. Perfino sulla punta del naso.
 
Edward la osservò per un po', senza fiatare. 
Poi, rivolse il proprio sguardo alle decine di ramoscelli di vischio che teneva fra le mani. Li aveva sottratti da casa di Isabella poco prima affinché anche l'ultimo elemento che avesse potuto rimembrarle la sua presenza fosse definitivamente allontanato dalla vita della giovane. Del resto gliel'aveva promesso molti mesi prima: sarà come se non fossi mai esistito, le aveva detto. Ogni promessa era debito ed andava rinnovata, anche a distanza di tempo.
 
 
Gli bastò poco sforzo e pochissimi istanti per sbriciolare quei ramoscelli tra le sue mani. Prima di distruggerne l'ultimo, tuttavia, ricordò che giorno fosse.
 
 
La mezzanotte era passata da un pezzo, del resto.
 
 
"Buon Natale, amore mio..." - Sussurò quindi, tristemente. Infine, sparì, rapido com'era venuto, in quella nuvola di granelli scuri.
   
 
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