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Autore: Shi_Yurei    22/12/2011    11 recensioni
“I fantasmi, per quanto ne sapevo, sono inconsistenti e tu mi hai appena toccato. Mentre i doppelgaenger si dice siano la parte malvagia delle persone, sono come sosia ‘malvagi’ ed alcuni potrebbero rispecchiare una condizione che rappresenta la persona con uno sbalzo temporale. Si dice che, quando lo s’incontra,…la propria vita stia per finire, perché questo se ne vuole impadronire.”
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“Mhh…potrebbe diventare interessante vedere cosa accadrà in futuro.
Quindi…piacere, io mi chiamo Erika”
Genere: Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Doppelgaenger, sei tu o sono io?


Il tempo trascorreva sereno sull’aereo, mentre una ragazza sui venti/venticinque anni sorvolava il panorama Scozzese.

Una volta giunta all’aeroporto si sbrigò a raggiungere l’Hotel del piccolo paese, per abbandonarci le proprie valigie e recarsi al maestoso castello medievale che troneggiava sulla vallata.

Durante il viaggio, mentre guardava il panorama scorrerle davanti agli occhi, non riuscì ad impedirsi di pensare a quanto fosse ironico il fatto che l’ultima regina di Scozia fosse stata decapitata dalla cugina, Elisabetta I, e alla morte di quest’ultima, proprio il figlio di Mary Stuart prese le redini anche del paese dell’assassina della madre; unificando così la Gran Bretagna.

Si ritrovò a sbuffare sonoramente pensando agli intrighi di corte.

La giovane si ridestò dai suoi pensieri al fermarsi del mezzo che la stava trasportando. Osservò dall’entrata il maniero, che sembrava ancora più imponente. Si voltò quando un uomo richiamò la sua attenzione chiedendole, in inglese, se lei fosse Miss Erika Borellini, con un accento che pareva storpiarle il nome, pronunciandone uno completamente differente.

La giovane annuì con un gesto del capo, rispondendogli, sempre in quella lingua, “Sì, sono io Erika Borellini”. In modo da correggere la pronuncia del suo nome.

Seguì l’uomo che la condusse in una stanza non molto luminosa, per via della momentanea posizione del sole. Durante il tramonto avrebbe scommesso che una stupenda luce aranciata avrebbe inondato la stanza, che si sarebbe perfino incrementata grazie allo specchio posizionato in opposizione della finestra.

Si guardò intorno, certa che il suo lavoro di restauro, degli affreschi, sarebbe stato lungo ed impegnativo.

Sbuffò pensando che fra qualche mese le avrebbero mandato qualcuno per aiutarla. Certo, lei era grata per l’aiuto, ma temeva che le avrebbero mandato lui, aveva come questo strano presentimento, conoscendo la sua fortuna. Ma non poteva far altro che sperare vivamente che non gli avrebbero mandato quel rompiscatole di Luca, di cui si era finalmente liberata venendo lì.

Scosse la testa, non volendo rovinarsi l’umore pensando a cose spiacevoli.

Avanzò all’interno della stanza. Una volta di fronte allo specchio si fermò ad osservare la sua immagine riflessa.

Una donna di altezza media, per la sua età, se non lievemente più alta. Lunghi capelli castani, solitamente tenuti sciolti, come in quel momento, tranne quando si metteva al lavoro. Occhi di un color nocciola, con il contorno esterno dell’iride di una tonalità verde, che non si sarebbe notato se non ad un attento esame.

Sobbalzò percettivamente quando s’accorse della presenza di un uomo, poggiato alla finestra, che fino ad un attimo prima non c’era.

Si voltò, pronta a fronteggiare lo sconosciuto, quando si ritrovò ad osservarlo. La superava in altezza di una decina di centimetri circa, se non di più. Possedeva una corporatura robusta e, per quanto gli abiti permettessero, si intuiva avere un fisico asciutto. I capelli di un castano della sua stessa tonalità, di media lunghezza. Tutta via il viso era coperto da una maschera da demone ed il corpo era fasciato da abiti che s’indossavano nel periodo intorno al 1550 circa. Indossava soprabito lungo, che arrivava ad accarezzare il freddo pavimento e possedeva una tonalità marrone-rossiccio, come il colore del sangue ormai secco su d’un tessuto.

La giovane rimase bloccata nell’osservare quella figura, mentre la storia raccontatale un attimo prima dall’uomo che l’aveva accompagnata in quella sala, le tornò alla mente.

“Deve sapere signorina che, si dice, questo castello sia infestato dai fantasmi…”

“Fantasmi? Ma che originalità.”
Borbottò lei in un sussurro, non venendo udita dall’altro che continuò.

“In molti ne hanno visto uno, che si aggira per tutto il maniero, ma che dalle testimonianze pare prediligere la sala dove lavorerà. Tutti hanno detto che è caratterizzato da uno spolverino marrone e dal fatto che porta una maschera da demone in volto. Q-Quindi faccia attenzione per favore.”

La sua attenzione venne richiamata alla realtà dall’uomo, che si era spostato su una sedia che poggiava al muro, accanto alla finestra, passata inosservato sino a quel momento.

Fece un respiro profondo, per riprendere il controllo di se stessa e gli si avvicinò piano, con passi calibrati, fermandosi all’incirca ad un metro da lui.

“Tu sei il famoso fantasma di questo castello?”
Le chiese lei dolcemente, docilmente, senza traccia di paura o insicurezza nella voce. Ricevendo un leggero “Sì” in risposta.

Alzò il braccio, tenendo l’indice alzato, come ad indicarlo, mentre le altre dita erano stancamente rivolte verso il basso. Quando l’arto destro giunse all’altezza della maschera, con un movimento morbido del polso, roteò la mano. Mostrandone il palmo, le dita, prima piegate verso il pavimento, s’abbassarono di poco, non mutando la loro differenza con l’indice.
Le ginocchia si flessero leggermente, fino a che la mano sinistra non poggiò sulla rispettiva articolazione della gamba, in modo che anche il busto s’abbassasse.

“Mi mostreresti il tuo volto per favore?”
Chiese lei, mantenendo lo stesso tono di voce tranquillizzante di prima, senza mai distogliere lo sguardo dalla maschera dell’altro.

Ricevendo un cenno d’assenso dall’uomo, si rimise in posizione eretta, abbassando il braccio destro ed allontanandosi di un passo dall’uomo.

L’osservò portarsi la mano al volto, che lentamente ne scostava la maschera.

Le labbra sottili puntavano leggermente verso il basso, donandogli un’aria triste. Accentuata dalla luce malinconica che illuminava quegli occhi nocciola che, come i suoi, possedevano quel cerchietto verde sull’esterno dell’iride. Tanto uguali ai suoi da sembrare il suo riflesso nello specchio. Il viso le ricordava moltissimo il suo, tranne per lievi particolari che lo rendevano mascolino.

Vide accendersi nei suoi occhi una luce di divertimento. Mentre sulle sue labbra andava a formarsi un sorriso divertito. Provocato dai suoi occhi, che aveva inconsciamente sgranato per lo stupore.

Continuarono a guardarsi ancora per alcuni secondi, prima che il fantasma scoppiasse in una fragorosa risata. Mentre la voce dell’altro riempiva la stanza, la giovane cominciò a gonfiare le guance, prima di farsi sentire.

“Hey, la smetti di ridere!? Guarda che non c’è nulla di divertente!!”

Sentenziò prima d’incrociare le braccia al petto e girare la testa di profilo. Mettendo il broncio e rigonfiando le guance per far comprendere, con quel gesto infantile, di essersi offesa.

Quando l’uomo riuscii a sopprimere le risate, le si avvicinò, passandole una mano sulla spalla e con l’altra le ruotò il viso chiedendole poi venia per il suo comportamento.

“Sai, tu non sembri un fantasma. Sembri piuttosto il mio doppelgaenger.”

Proferì improvvisamente Erika, ricevendo uno sguardo confuso dall’altro. Così s’apprestò subito a chiarire.

“I fantasmi, per quanto ne sapevo, sono inconsistenti e tu mi hai appena toccato. Mentre i doppelgaenger si dice siano la parte malvagia delle persone, sono come sosia ‘malvagi’ ed alcuni potrebbero rispecchiare una condizione che rappresenta la persona con uno sbalzo temporale. Si dice che, quando lo s’incontra,…la propria vita stia per finire, perché questo se ne vuole impadronire.”

Spiegò lei con voce pacata, ricevendo uno sguardo sbalordito , prima di ricevere una risposta.

“Vedi, i fantasmi riescono a divenire concreti a loro volere, dopo che, col passare degli anni, hanno accumulato potere, altrimenti svaniscono. Per quanto riguarda il doppelgaenger, mi spiace deluderla, ma non li avevo mai sentiti nominare, non ne sapevo nulla.”

“Mhh…potrebbe diventare interessante vedere cosa accadrà in futuro. Quindi…piacere, io mi chiamo Erika”

Si presentò educatamente lei con un sorriso cortese in volto, porgendogli la mano. Mentre questa venne stretta dall’altro, pronunciando “Daniel, piacere mio” per poi concedere alle proprie labbra di stirarsi, formando un dolce sorriso dedicato solo a lei.

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I mesi passarono e Daniel aiutò Erika nel suo lavoro di restauro. Le insegnò anche l’uso della spada e persino alcuni vecchi canti scozzesi, mentre l’accompagnava con l’Uilleann Pipes*: strumento musicale Scozzese, più difficile da suonare della cornamusa.


Passavano tutto il loro tempo insieme ed, ovviamente, nacque anche quel sentimento chiamato comunemente amore. Tutta via, quando qualcuno venne inviato ad aiutarla, quello fu l’inizio della fine.

Arrivò con l’aereo delle quindici, un giovane coi capelli corti, di un color biondo scuro, corporatura robusta, abbastanza alto e gli occhi di un marrone abbastanza scuro.

Una volta che ebbe terminato di sistemare i suoi bagagli nella camera che gli venne assegnata nell’Hotel, dello stesso piccolo paesello, si recò velocemente al castello. Una volta giunto a destinazione entrò in fretta e furia nella stanza in cui lavorava Erika.

La porta sbatté violentemente contro la parete.

La castana si voltò, per rimproverare chiunque fosse entrato, poiché avrebbe potuto danneggiare gli affreschi. Venendo però investita dall’individuo piombato nella stanza senza preavviso.

Un “Che bello rivederti”, di una voce fin troppo famigliare, le giunse alle orecchie.

Pronunciò debolmente il nome “Luca” con tono incredulo,sconsolato e rassegnato allo stesso tempo. I ricordi degli anni in cui l’aveva perseguitata con la sua opprimente e persistente presenza si susseguirono, ancora ben vividi nella sua memoria. Cominciò a maledire mentalmente un qualunque Dio che esistesse, perché le pareva ovvio che ce l’aveva con lei, o che si divertiva delle sue disgrazie.

La castana, non essendo intenzionata a passare più tempo del necessario col biondo, stabilì dei turni di lavoro, in modo da dover trascorrere meno tempo possibile col collega, ma al contrario continuare tranquillamente le sue attività con Daniel.

Tutto filò lisciò per due settimane, o almeno fino a quando Luca rispettò i turni.

Il sedici luglio il biondo sentì, sulla radio Italiana, del ritrovamento di alcune anfore greco-romane del terzo secolo avanti Cristo, ritrovate integre da due sub a Belvedere. Decise d’approfittare di quella scusa per spiare dove si recava Erika ogni volta che lui era impegnato col restauro.

La pedinò fino alle segrete del castello. La vide chiudersi alle spalle una pesante porta in legno. Avvertiva due voci, delle quali una era sicuramente quella della castana. Tutta via non erano abbastanza chiare da riuscire ad comprendere le parole scambiate dai due. Si domandò con chi stesse parlando, con chi s’incontrava tutte le volte. La gelosia prese possesso di lui che dopo aver aspettato per una manciata di minuti si fiondò nella segreta. Entrò nella stanza spalancando, come suo solito, la porta, mentre un solo pensiero egoista e alquanto maligno gli rimbombava nella mente: -Lei è soltanto MIA-.

All’interno della sala Erika lo guardava, sconcertata per la sua intrusione, mentre il braccio destro, abbassato, impugnava una spada. Di fronte a lei, un uomo che lo superava in altezza di quattro centimetri. Con caratteristiche simili alla mora per quanto riguardava il volto e l’osservava con sguardo indagatore e forse un po’ indispettito.

Quando la giovane si riprese dallo shock gli chiese chiarimenti sul motivo della sua presenza. Mentre il biondo le si avvicinava, rispondendole che voleva solo informarla d’un ritrovamento Italiano. Giuntale alle spalle le bloccò il polso, sottraendole la lama. Si distanziò dalla mora, puntando l’arma verso Daniel che l’osservava con un po’ di risentimento per la sua intromissione, mentre il biondo riprese a parlare.

“Non conosco il motivo per cui impugnavi questa spada, ma non ti preoccupare , ora ci penso io a fargli pagare a caro prezzo qualunque cosa ti abbia fatto. Vedrai, non serve che tu ti sporca le mani con questo tizio, ci penserò io per te.”

Proferì prima di lanciarsi contro l’altro, che evitò facilmente tutti i suoi goffi attacchi. O almeno finché, per un errore di traiettoria, uno di questi non stava per colpire Erika.

La castana vide la lama venirle incontro, prima che venisse spinta contro il muro e spostata di una dozzina di centimetri alla sua sinistra. Avvertendo una mano che le teneva la spalla.

Quando riaprì gli occhi, che aveva chiuso per l’impatto, la prima cosa che vide fu una spalla, coperta da del tessuto marrone, che identificò subito come l’ormai famigliare spolverino del fantasma.

Risalì con lo sguardo fino al viso dell’altro, che mostrava una smorfia di dolore. Sgranò gli occhi, abbassando lo sguardo timorosa, ed osservò la lama che attraversava il petto del castano, per poi andare a conficcarsi nel muro, proprio sopra alla sua spalla destra.

Ogni pensiero della giovane svanì, la sua testa si svuotò di colpo per lo shock. Mentre, la sua mente gli riproponeva solamente il flash back di un loro dialogo che s’era svolto all’inizio degli allenamenti con la spada.

“Daniel, anche i fantasmi possono morire?” Gli chiese curiosa.

“Beh… sì, ma solo se sono concreti, ma visto che sono pochi quelli che ci riescono e che quest’ultimi riescono a decidere quando esserlo risulta molto difficile ehm… liberarsene.” Le spiegò tranquillamente.

“Ah, allora posso stare tranquilla, perché non morirai mai.” Gli rispose lei, con un meraviglioso sorriso a solcargli le labbra, rincuorata dalle parole dell’altro.


Venne riportata alla realtà quando la lama venne estratta dal corpo del castano. Dopo un lieve sussulto, la mano, ancora poggiata sulla sua spalla, cominciò a tremare, o forse era lei a tremare?

Negli occhi di lei si leggeva il terrore, mentre lui staccava la mano sinistra dal muro. Prendendo dall’interno del lungo soprabito la propria maschera.

Le rivolse un ultimo sorriso dolce, che era solito rivolgere solo a lei, prima che questo venne occultato interamente dall’oggetto che teneva in mano.

Le voltò le spalle, facendo qualche passo. Avvicinandosi al suo assassino. Mentre il suo nome veniva pronunciato dalla bruna in un sussurro tremante.

Lei gli s’avvicinò d’un passo. Allungando timidamente la mano per riuscire a toccarlo. Invocando ancora il suo nome.

Quando sfiorò la spalla del suo soprabito, questo cadde a terra, accompagnato dalla maschera. Mentre una moltitudine di luci, che parevano lucciole, s’innalzava verso l’alto, dissolvendosi.

Il braccio ancora sospeso a mezz’aria, venne avvicinato lentamente al volto. Mentre lo sguardo, che osservava il vuoto, s’abbassava sugli oggetti abbandonati a terra. E le lacrime cominciarono a rigarle le guance.

Ben presto anche l’altra mano raggiunse il volto. Ed il pianto divenne sempre più intenso. Fino a quando le gambe non riuscirono più a sostenere il suo peso, facendola crollare sulle ginocchia.

Quando le mani lasciarono il volto, andarono verso il pavimento. Per poi riavvicinarsi tremanti al petto, stringendo tra di esse entrambi gli oggetti.

Passarono un minuto o due, che sembrarono però un’eternità. Prima che la voce di Luca le giungesse alle orecchie.

“Su, non ti preoccupare Erika, ora sei al sicuro. L’ho mandato via. Quindi non devi temere. Ci sono qui io a proteggerti.”

Al solo sentire quella frase, la sua disperazione si tramutò in una furia cieca, verso quel piccolo, insulso, insignificante, egocentrico pallone gonfiato. Affermava di volerla proteggere, senza mai aver capito nulla, procurandole solamente dolore e tormento.

Prese lo spolverino marrone, ancora stretto tra le sue esili braccia e l’indossò. Trattenendo nella mano sinistra la maschera. Mentre nella destra andava ad impugnare l’elsa della spada di Daniel.

S’alzò lentamente dal terreno, tenendo gli occhi bassi. Infine rialzò il viso. Mostrando le lacrime, che insistenti evadevano dalle prigioni degli occhi. Uno sguardo astioso ed irato che era puntato sul biondo. Che indietreggiò istintivamente d’un passo trapassato dallo sguardo furente della castana.

Erica eseguì due affondi. Calibrando bene il primo per disarmare l’avversario. E col secondo gli trafisse il cuore.

Quando la lama venne estratta, il corpo di Luca cadde a terra. Mentre i suoi occhi osservavano sbigottiti quelli di lei, che reclamavano una vendetta appena ottenuta.

Con la spada si tagliò i capelli, con un gesto secco, all’incirca alla lunghezza di quelli di Daniel. Per poi indossare l’oggetto che teneva stretto nella mano sinistra.

L’ultima cosa che Luca vide, fu quella maschera da demone.

Erika recuperò la spada utilizzata dal biondo per trafiggere il fantasma. E con passi lenti uscì dalla stanza, lasciando che il pavimento si tingesse di rosso.

Percorse vari corridoi. In cui solo i suoi passi e lievi singhiozzi rompevano il silenzio.

Le lacrime continuarono a rigarle il volto, anche dopo che si tolse la maschera.

Una volta entrata, s’appoggiò contro la parete opposta. Davanti all’antico specchio che si trovava sulla stessa parete dell’uscio.

Quella stanza fu costruita segretamente. Ormai conosciuta solo da lei , i fantasmi ed i vari spiritelli che vivevano nei dintorni; che avevano deciso di portarle i viveri.

Chiusa in quel luogo rifletté sul fatto che non fosse Daniel il suo Doppelgaenger, ma fosse lei il suo, la sua parte malvagia che si era impadronita della vita del fantasma. Già, l’aveva realmente fatto, era tutta colpa sua.

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Il tempo scorreva lento, come il susseguirsi dei giorni, di cui ormai aveva perso il conto.


Tutta via un canto, che si credeva perso nelle ere, continuavo incessantemente a risuonare per le sale ed i corridoi del castello. Nessuno riusciva a capirne la provenienza e ciò non fece altro che alimentare le dicerie del castello infestato, aggiungendo alla lista il fantasma canterino.

Nel frattempo, in una stanza segreta, situata nella parte nord della struttura medievale, che era circondata da un rigoglioso bosco, una donna se ne stava seduta sul freddo pavimento di pietra,lasciando che a sostenerle la schiena fosse la parete, costituita dallo stesso materiale della pavimentazione.

Avvolta in un lungo spolverino marrone, stringeva, tra le sue affusolate dita, una maschera da demone, che s’accostava al ventre ed alle gambe. Su cui continuavano ad infrangersi le lacrime della donna. Per lo meno, fino al giorno precedente. Non usciva più nulla da quegli occhi divenuti inespressivi e vuoti, come se non avesse più lacrime da versare, poiché ormai erano state consumate tutte.

Ma continuò. Riprese a cantare anche quel giorno. Anche se le lacrime si erano consumate. Anche se aveva ancora la voce per un ultima canzone…la cantò.

Lo sentiva, l’estate stava terminando, l’aria si faceva sempre più fredda. Distrattamente pensò che non aveva mai fatto caso se ci fossero i grilli anche in scozia come il Italia, nel suo paese natale in Lombardia. Eh sì, ora che ci pensava, lei odiava il mare, preferiva la montagna. Beh era sta accontentata, no? Aveva passato tutta l’estate a contatto con della fredda roccia.

Lanciò uno sguardo malinconico alla maschera stretta tre le sue gracili dita, ricordandosi di lei che parlava ed esponeva i suoi progetti, quelli che aveva discusso tra le braccia di Daniel, durante il solstizio d’estate. Quelli che riguardavano il fatto che gli volesse mostrare la sua casa, le alpi, le coltivazioni di viti o magari i campi dorati dal grano. O più semplicemente lo sdraiarsi su un campo fiorito di montagna, osservandone il panorama o il cielo, rilassandosi e beandosi del venticello fresco e dell’aria pura e tante altre cose… cose che erano ormai svanite nel nulla, progetti che si rivelavano campati per aria e dissolti dal vento.

Era tutto finito ormai. L’estate finiva e con essa tutto sfioriva… non ce l’avrebbe fatta a sopportare anche il giungere dell’autunno, seguito dall’inverno ed il resto del ciclo stagionare, fino al ripetersi di tutto…non ce l’avrebbe fatta, non voleva divenire fantasma, non aveva nulla da fare in quel mondo, per lei inospitale. Quindi…

Una volta terminata la canzone, chiese con voce flebile ad uno spiritello del bosco, venuto a portarle del cibo, se sapeva dove andassero gli spiriti ed i fantasmi una volta morti. Ricevette un cenno di negazione col capo, prima che la timida voce dello spiritello le rispose di non sapere la risposta al suo quesito, scusandosi.
Ringrazio la creatura con un sussurro, aggiungendo che non serviva scusarsi.

Spostò lo sguardo sugli oggetti accanto a sé. Fu allora che sfoggiò un sorriso dolce e malinconico, mentre raccoglieva da terra la spada di Daniel. E ne affondò la lama nel proprio petto.
Un’ultima lacrima le scese sul volto, infrangendosi anch’ella sulla maschera,mentre anche il sangue prendeva ad imbrattarla col suo color cremisi.

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Quando riaprì gli occhi, si ritrovò in uno spazio bianco, cosparso da macerie di una tonalità scarlatta. Intravide una scalinata, costeggiata da delle basi di colonne, permettendole di capire cosa fossero le rovine lì attorno. Avvertì un lieve cigolio prodotto dall’apertura d’un imponente cancello di fine fattura, situato in cima alla scalinata.


All’interno del confine delimitato in precedenza dalle porte del cancello, comparve una figura a lei molto famigliare. Appena la riconobbe, la castana, prese a corrergli incontro. Saltandogli al collo, sussurrandone il nome tra i singulti provocati dalla gioia, ma non riusciva a non temere che fosse tutto solamente un sogno, uno splendido sogno.

Una volta che l’altro riuscì a calmarla ed a convincerla che non fosse tutta una sua illusione, dalle sue labbra fuori uscì un’ultima frase, prima che il loro abbraccio si rafforzasse ed i cancelli si chiudessero, lasciandosi alle spalle la scalinata:

-Ora che ti ho ritrovato Daniel, staremo insieme per sempre, vero?...- Ricevendo un segno affermativo sorrise finalmente felice, ripetendo a bassa voce quella promessa, quel -…per sempre…-.

Fine


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* Uilleann Pipes:
-Come si presenta: la Uilleann Pipes (pron.Illan paips) si distingue a prima vista da tutte le altre cornamuse per il fatto di essere suonata da seduti. L’esecutore (piper) suona la canna della melodia (chanter) poggiandola sulla coscia destra e muovendo le dita pressappoco come si fa con il flauto; i tre bordoni (canne che danno un suono fisso) sono tutti incastrati nello stesso blocco di legno e poggiano sulla stessa coscia, passando davanti alla pancia dell’esecutore. La sacca viene alimentata da un mantice legato in vita con una cinghia e azionato dal gomito destro e non quindi soffiando con la bocca; l'altro braccio é a contatto della sacca e regola la pressione dell’aria e l’intonazione, come in tutte le cornamuse.


-Origine: in gaelico Uille significa gomito e da qui il nome Uilleann pipes, di cui si comincia a parlare all’inizio del ‘700 come sostituta delle antiche cornamuse irlandesi, simili in tutto a quelle scozzesi, che vennero proibite dagli inglesi in questo periodo. Il nuovo strumento è più delicato, dolce, più ricco di suoni e ideale per ambienti chiusi e per accompagnare le danze; si pensa che derivi dalle cornamuse cortesi del ‘600 come la sordellina napoletana e la musette de cour dei musicisti della corte di Francia . Qualche studioso ritiene, però, che le Woollen pipes cui si riferisce Shakespeare, potrebbero essere proprio le Uilleann; in tal caso questo strumento sarebbe già presente nel ‘500, ma non si sa nulla di più preciso.
-Sviluppo: il primo metodo per suonarla fu pubblicato nel 1746 da John Geoghegan e lo strumento si diffuse ampiamente fino al periodo della grande emigrazione verso le Americhe e l’Oceania della metà dell’800 a causa della carestia. I fratelli Taylor, emigrati negli U.S.A., costruirono strumenti più sonori per le esibizioni in grandi spazi, allargando i fori e la sezione del chanter ed alzarono la tonalità a RE ( prima era SI bemolle, SI o DO ). Questi nuovi modelli si chiamarono concert pitch ( diapason da concerto), mentre i precedenti si definiscono flat pitch. Ai primi del ‘900 vi fu un nuovo boom di popolarità in Irlanda ed America, collegato anche all’orgoglio nazionalista; dopo un nuovo calo di popolarità di qualche decennio, avviene il grande revival degli anni ’50 e ’60 e via via fino ai nostri giorni in un crescendo di diffusione e apprezzamento di questo strumento, sicuramente anche grazie a grandi musicisti che hanno fatto conoscere la musica irlandese e le Uilleann pipes al mondo.
-I Pipers: una volta i pipers usavano molto queste varie tecniche per accompagnarsi da soli nel loro spostarsi da un luogo all'altro per intrattenere ascoltatori e danzatori in feste, ricorrenze solenni, matrimoni ecc...Ora si tende maggiormente ad usare lo strumento come solista ed affidandosi a chitarra, tastiera, arpa ecc...per l'accompagnamento, sfruttando così il suono estremamente espressivo del chanter e gli innumerevoli abbellimenti possibili. I migliori pipers sanno, comunque, fare virtuosismi con i regulators, specialmente ritmando i colpi di polso sulle leve e fornendo un accompagnamento ritmico-armonico di grande vivacità. Come si vede non c'è nessun'altra cornamusa che possa fare altrettanto. Ultimamente si è usata spesso la uilleann pipes in pubblicità, films (es. Braveheart , Titanic...) e dischi di genere pop e rock per il suo inconfondibile suono struggente ed evocativo, ma anche incisivo ed aggressivo, grazie alle possibilità dello "staccato" tagliente che possiede.


Angolo della Sadica Sanguinaria

Eccomi, per la prima volta in un’altra sezione dopo quella di Naruto, spero che sia piaciuta e che l’approfondimento sullo strumento sia stato gradito da qualcuno. ^.^
Sarò sincera, non so che dire…forse che mi sa che non tornerò in questa sezione molto presto, poiché ho davvero un problema nel dare dei nomi ai personaggi, e così si scopre il perché scrivo sempre su Naruto XD
Comunque sia ringrazio davvero di cuore chiunque mi commenti e legga questa storia, sperando che mi dia un suo parere.

Grazie a chi a letto ed ancor di più a chi lascerà una traccia commentando, dandomi il suo parere grazie infinite. Credo che questo sia tutto Arigato. Onorata di aver avuto anche voi come pubblico ^-^ statemi bene e ricordatevi di commentare XD bye xXx


P.S. Ogni riscontro di riferimenti alla realtà è puramente casuale. (tranne per il ritrovamento delle anfore a Belvedere avvenuto realmente e comunicato da un telegiornale nell'estate del 2010 se non erro)
  
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