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Autore: MystOfTheStars    23/12/2011    5 recensioni
[[Fanfiction scritta per il prompt-athon 2011 su hetafic_it @ LJ. Ho giocato liberamente con l'ambientazione Gakuen e con i personaggi in versione Nyotalia, soprattutto per cimentarmi in una delle versioni che preferisco della GerIta, ovvero ItaliaXfem!Germania~ Altri pairing: het!Spamano, triangolo fem!Prussia/male!Ungheria/fem!Austria]]
Luise è un'adolescente decisa, ma un po' insicura del suo aspetto, timida ed impacciata soprattutto nei confronti dell'altro sesso. Questo è il suo primo giorno di scuola nel liceo frequentato anche dalla sorella più grande, che, al contrario di lei, è l'apoteosi della sicurezza di sé e dell'estroversione. Al di sotto dell'apparenza impeccabile della sua divisa inamidata, Luise spera di non fare figuracce, e, soprattutto, che nessun ragazzo le si avvicini troppo. Ma poi... arriva Feliciano!
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
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Titolo: A wish for something more, capitolo I
Prompt: pacchetto sogni, speranza.
Personaggi: Luise (fem!Germania), Feliciano (Italia), Julchen (fem!Prussia), Sophia (fem!Austria), Lavinia (fem!Romano), Antonio (Spagna), Francis (Francia), Gary (male!Ungheria), vari ed eventuali - in questo capitolo: Luise, Julchen, Sophia, il sig. Weilschmidt
Pairing: principalmente GerIta, un po' di Spamano, triangolo Prussia/Austria/Ungheria
Rating: PG, direi
Genere: fluff, romantico
Avvertenze: Gakuen AU, genderbent di molti personaggi, praticamente solo coppie eterosessuali
Riassunto: Luise è un'adolescente decisa, ma un po' insicura del suo aspetto, timida ed impacciata soprattutto nei confronti dell'altro sesso. Questo è il suo primo giorno di scuola nel liceo frequentato anche dalla sorella più grande, che, al contrario di lei, è l'apoteosi della sicurezza di sé e dell'estroversione. Al di sotto dell'apparenza impeccabile della sua divisa inamidata, Luise spera di non fare figuracce, e, soprattutto, che nessun ragazzo le si avvicini troppo. Ma poi...
Beta: Yuki Delleran
Note: partecipa all'Hetalia prompt-athon 2011 su hetafic_it @ LiveJournal // il titolo viene dall'omonima canzone di Amy MacDonald. L'ho sempre associata alla GerIta :D





“...e questo cosa significa?”

Luise lanciò un'occhiata alla sorella, che la osservava con aria incuriosita, appoggiata scompostamente allo stipite della porta, ma non le rispose. Gli occhi azzurri della ragazza tornarono, critici, al suo riflesso nello specchio. C'era qualcosa che non andava? La camicia era perfettamente abbottonata, le bretelle della gonna della lunghezza giusta, perfettamente pari... Certo, quella divisa avrebbe potuto essere più lunga, ma questo non era qualcosa a cui Luise potesse rimediare.
“Intendo quello!” Julchen storse la bocca, puntando un indice accusatore in direzione della sorella. Luise le rivolse uno sguardo interrogativo.
“Quei capelli! Perché mai?!” ribadì la maggiore, con un sospiro esasperato.
“Oh. Questi.” La sua mano dell'altra corse involontariamente alle ciocche corte che le ricoprivano la nuca. Era un gesto che aveva ripetuto spesso, dalla sera prima; non si era ancora abituata al taglio nuovo, e si meravigliava ogni volta che le sue dita non incontravano le lunghe ciocche bionde che, fino al giorno prima, le scendevano morbidamente lungo il collo.
Si strinse nelle spalle, tornando ad aggiustarsi la cravatta della divisa con precisione millimetrica.
“Erano troppo appariscenti. Inoltre, poco pratici. Ho intenzione di iscrivermi a un club sportivo, e di andare in palestra per conto mio, quindi ho pensato che un taglio corto sarebbe stato la soluzione ideale.” commentò semplicemente.
Dalla soglia, Julchen la osservava allibita.
“...troppo appariscenti!? Lieschen*, ma cosa sei, un maschiaccio?! Ora, mi rendo conto che tu non voglia farti crescere una magnifica capigliatura come la mia... del resto, non tutti possono portarla con così tanta disinvoltura come la sottoscritta, modestamente – anzi, ma che dico, che modestia e modestia?!” La maggiore ridacchiò, le dita curate che pettinavano una lunga, lunghissima ciocca di capelli candidi. Lisci e luminosi, le cadevano morbidamente attorno alla vita, ed erano uno dei tanti – troppi – vanti della sorella. “Ma insomma! Avevi quei bei capelli dorati! Ora mi chiederanno tutti se ho un fratellino, invece che una sorellina, kesesese!”
Luise arrossì, voltando le spalle a Julchen e andando a prendere la cartella. Tanto per cominciare, detestava essere chiamata con quel nomignolo. “Luisella”, “Lisetta”, “Luisina”... seriamente?! Non aveva niente di “ino”, Gott!
In più, era consapevole di somigliare ad un ragazzo, con quel taglio; del resto, lo aveva fatto apposta.
In cuor suo, sperava che quelle ciocche corte, combinate alla sua altezza e alla sua costituzione robusta, sviassero l'attenzione dal suo petto prosperoso e dalle sue lunghe gambe che, ai suoi occhi, la gonna dell'uniforme scolastica lasciava decisamente troppo scoperte. Era ancora una volta colpa della sua altezza? Forse le ragazze più basse non avevano questo problema.
Si allacciò i bottoni della giacca, decidendo che non l'avrebbe tolta, una volta a scuola. Al di sotto, la camicia bianca era troppo tirata sul petto e sottolineava impietosamente il suo seno prosperoso. Luise si sentiva già arrossire all'idea degli sguardi che si sarebbero posati su di lei. Che cosa aveva fatto di male, perché madre natura la dotasse di tutto quell'armamentario scomodo?

Julchen la osservò senza parlare. Da sorella più grande, poteva intuire vagamente cosa passasse nella mente della sua sorellina – sorellina, poi. Luise era più alta, ed aveva due taglie di reggiseno e qualche numero di scarpe in più di lei. Eh, i tempi in cui lei le passava le magliette e la biancheria smesse erano finiti... da più di qualche anno, ja.
Eppure, a vederla così preoccupata, la mattina del suo primo giorno di liceo, a Julchen faceva tenerezza.
“Kesesesese! Lieschen, non è che se anche ti tagli i capelli gli altri non ti sbaveranno dietro, sai? Del resto, sei la sorella della qui presente magnificenza! Solo questo porterà tutti ad adorarti incondizionatamente!”
Luise arrossì vistosamente, uscendo dalla camera senza degnare la sorella di uno sguardo.
“Ma non ti preoccupare!!! Ci penso io a salvarti dai molestatori! Se c'è qualcuno che ti infastidisce, lo dici alla sorellona, e ci pensa lei, capito?” continuò Julchen, inseguendo la sorella per il corridoio.
Luise annuì impercettibilmente, scendendo al piano di sotto, dove il padre le stava aspettando. Fuori, l'auto era già accesa, carica dei loro bagagli per il semestre.
“Siete pronte, ragazze?”
Ja, Vati! Magnificamente in forma!” rispose Julchen, saltando gli ultimi due gradini e uscendo di volata dalla porta.

L'uomo osservò Luise mentre questa seguiva la sorella in cortile, la schiena diritta ma il passo tranquillo. Un po' gli dispiaceva che la figlia si fosse tagliata quei bei boccoli dorati, che somigliavano tanto alla sua lunghissima, biondissima chioma - quando ancora non era rigata qua e là da strisce di bianco, almeno, ah. Ma sapeva anche che l'adolescenza era un periodo difficile, specialmente per due ragazze cresciute senza una madre. Per questo, quando Luise era tornata a casa dal parrucchiere quasi senza capelli, il padre si era limitato ad annuire. Pratici e sempre in ordine, eh? Poco ma sicuro, Luise era l'esatto contrario delle adolescenti frivole e truccate da circo che ogni tanto si vedevano in giro, e di questo il signor Weilschmidt non poteva che essere grato.
Certo, questo era un lato di sua figlia che egli apprezzava molto. Preferiva di gran lunga il suo fare pragmatico e rigoroso, piuttosto che quello superficiale di certe sue coetanee, ma spesso si chiedeva se quell'approccio così serio alla vita non fosse stato, in un certo senso, il risultato della carenza della figura materna a fare da esempio.
La madre di Luise e Julia era venuta a mancare quando entrambe le bambine erano ancora molto piccole, e questo aveva certamente influito sulla loro educazione, anche se il padre aveva sempre tentato il possibile per non far loro mancare nulla. Eppure, il signor Weilschmidt si domandava spesso se non aveva imposto loro un'educazione troppo spartana e rigida, poco femminile.
Julchen era venuta su spavalda e attaccabrighe, ma con un coraggio e una vitalità che la rendevano l'orgoglio di papà. Luise, invece, era rimasta più chiusa, quasi ad imitare al contrario l'evoluzione della sorella. Dove questa amava circondarsi di amichetti e programmare festicciole, l'altra preferiva rintanarsi nella sua stanza a leggere un libro; dove la prima si metteva a cantare a squarciagola su alcune delle più rumorose canzoni offerte dalla radio, l'altra collezionava CD di Bach o Beethoven per ascoltarseli in santa pace nei momenti di tranquillità.
Luise aveva sempre preferito giocare a pallone in giardino, piuttosto che in casa con le bambole, indossare jeans e felpe, piuttosto che certi abitini tutto pizzo che sembravano essere i preferiti delle sue coetanee. Poi, durante lo sviluppo, era cresciuta in altezza, ben più di quanto gli altri si aspettassero. Fisicamente somigliava al padre, su questo non c'era dubbio. Eppure, a parte la statura e la struttura ossea robusta, Luise aveva una pelle chiara, delicata, occhi blu dalle ciglia folte ed un modo di arrossire impunemente che la rendevano estremamente femminile. Fino al giorno prima, poi, quei morbidi boccoli che le circondavano il viso erano una cascata d'oro, una vera gioia per gli occhi.
Del resto, era per quello che li aveva tagliati. Non le servivano certo ulteriori motivi per attirare l'attenzione su di sé. Era una ragazza timida, Luise, un dettaglio strano per un carattere deciso e testardo come il suo. Aveva grande autodisciplina e parecchia pignoleria, anche con se stessa, eppure niente di questo la aiutava quando si trattava di relazionarsi al prossimo nella vita di tutti i giorni. Bastava che un paio di compagni di scuola la fissassero più del dovuto, che arrossiva impietosamente. Luise, dal canto suo, la considerava una maledizione: orgogliosa com'era, detestava sentirsi avvampare tutte le volte che la distanza tra lei e il prossimo veniva accorciata. Per questo, spesso, finiva per rispondere male a chi tentava di approcciarla, o a lanciare nei confronti dei suoi ammiratori qualche occhiata poco incoraggiante - per non dire spaventosa, a volte.
Luise lo sapeva, comunque: la parte dell'amante della compagnia e dell'amata dal pubblico era di sua sorella Julchen. Quanto a lei, preferiva starsene in disparte, rimediare ai pasticci che l'altra combinava, tenere la testa sulle spalle ed assicurarsi che la vita procedesse con ordine. E siccome amava le cose ordinate e la routine prevedibile, sperava che anche la nuova vita al liceo fosse destinata ad andare avanti nello stesso identico modo.


L'accademia era un enorme complesso di edifici, situato nell'estrema periferia cittadina. Comprendeva la scuola vera e propria, fornita di aule, laboratori e mense, una grande palestra, campi di pallavolo e calcio alternati da cortili verdi di aiuole e alberi, ed i due edifici gemelli che ospitavano i dormitori maschili e femminili, dove alloggiavano gli studenti di tutti e tre gli anni di corso.
La scuola era frequentata soprattutto da rampolli di famiglie benestanti e proveniente dall'estero, i cui genitori desideravano un'educazione di prima scelta e la possibilità di interazione con altri ragazzi nella loro stessa condizione: stranieri in suolo straniero, figli di imprenditori o commercianti che viaggiavano quasi costantemente. Anche per questo, la retta della scuola (parecchio elevata) comprendeva anche il vitto e l'alloggio. I ragazzi potevano essere tranquillamente parcheggiati in quella sede per tutta la durata dell'anno scolastico, senza che i genitori dovessero eccessivamente preoccuparsi di loro. Nel frattempo, entravano in contatto con il resto della giovane crème del mondo degli affari, rigorosamente internazionale. Quale modo migliore per cementare fin da subito future e proficue amicizie?
Da casa Weilschmidt, l'accademia distava poco meno di un paio d'ore d'auto. Erano partiti presto, e l'incontro di benvenuto sarebbe iniziato alle undici di mattina: le ragazze avrebbero avuto tutto il tempo di sistemare i bagagli nelle loro stanze e darsi un'occhiata intorno, una volta arrivate.
Il signor Weilschmidt le aiutò a portare le valigie fino al grande portone d'ingresso dell'accademia, dove stavano già sciamando frotte di studenti, con accodati qua e là parenti e genitori.
Mentre Julchen si sbracciava a salutare tutti, Luise stava zitta zitta, lievemente rossa in viso, apparentemente molto impegnata nell'arduo compito di piegare un fazzoletto per farlo entrare in tasca.
“Uhm... ho forse sbagliato qualcosa? Forse non avrei dovuto...?” fece il signor Weilschimidt, ravviandosi indietro i capelli, il tono pacato, ma con il malcelato timore di aver messo in imbarazzo la figlia. C'erano altri genitori, nei paraggi, ma sapeva che ogni tanto agli adolescenti dava fastidio farsi vedere mentre venivano accompagnati a scuola.
“Eh? Nein, Vati! Sei un papà magnifico ad aiutare le tue magnifiche figlie con le loro magnifiche valigie!” rispose Julchen, abbracciandolo d'impulso. “Ora dobbiamo andare, però! Lieschen ha molte cose da vedere ed imparare prima che inizino le lezioni, kesesesese!” fece, afferrando le maniglie delle sue borse.
J-ja, ich glaube's auch.” borbottò Luise, lanciando un'occhiataccia alla sorella per via del nomignolo.
Diede al padre un abbraccio veloce e lo salutò. Il signor Weilschmidt rimase ad osservare le due figlie mischiarsi agli altri studenti e poi, quando le vide sparire per la scalinata principale dell'edificio, infilò le mani in tasca e tornò all'auto.
Si chiese quanto sarebbero cambiate, quando sarebbero tornate a casa per le vacanze di Natale. Lo aveva già sperimentato con Julchen, in questi due anni: bastavano pochi mesi, per le trasformazioni profonde delle adolescenti.
Saperle a scuola insieme, comunque, gli dava un certo senso di sollievo. Da un lato, si augurava che Luise avrebbe saputo porre un freno all'irruenza di Julchen (che più di una volta aveva causato improvvise telefonate a casa e firme su assegni per la riparazione dei danni più disparati), ma, dall'altro, sperava che un po' di quell'estroversione contagiasse la sorella minore che, nonostante la sua altezza e il suo bell'aspetto, sembrava sempre cercare di far qualsiasi cosa per passare inosservata.


Le due sorelle approdarono presto nell'ala femminile del dormitorio.
“Sono tre piani di camere. Io sto al secondo, tu sei al terzo. Niente maschietti sporchi e puzzolenti, in questi corridoi, kesesese~ quindi mi raccomando, i tuoi ragazzi introducili in camera di nascosto, okay? Se ti serve una mano per pianificare, chiedimi pure tutto!” spiegava Julchen, un sorriso malandrino sulle labbra.
“...Schwester. Una cosa del genere non accadrà mai.” si limitò a rispondere Luise, secca, mentre con lo sguardo scorreva con una certa ansia le targhette che riportavano i numero delle stanze. La sua camera era a quel piano, o così diceva il foglio, che però non svelava chi sarebbe stata la compagna di stanza. Sperava con tutta se stessa che si trattasse di qualcuno con cui la convivenza sarebbe potuta essere civile.
“Arrivate! Kesesesese! Chissà chi sarà la fortunata compagna di stanza della mia magnifica sorellina, eh?” esclamò, spalancando la porta senza nemmeno curarsi di bussare prima.
Guten Tag, signorina! Questo è il tuo giorno fortuna- urgh!” Julchen si fermò prima di finire la frase, il sorrisone trasformato in una smorfia di disgusto.
Preoccupata, Luise guardò nella stanza da sopra le spalle della sorella: cosa poteva aver visto, di tanto terribile?
“Julia Weilschmidt. Dimmi che hai sbagliato stanza.” rispose atona la ragazza in piedi accanto ad uno dei due letti.
La smorfia sul volto di Julchen si contorse.
“Sophia Edelstein, che orrida sorpresa. Per mia fortuna, abbiamo un piano di scale a separarci.”
“Spero sia abbastanza per non far arrivare alle mie narici il tuo puzzo di sudiciume, Weilschmidt.” fu la risposta.
Luise sollevò un sopracciglio, osservando lo scambio tra le due. Sophia Edelstein... aveva sentito Julchen fare quel nome, ogni tanto, sempre corredato da una vasta gamma di insulti, naturalmente.
“Vedi di non soffocare la mia sorellina con il tuo, di puzzo, mocciosa.” replicò Julchen, alzando il mento per osservare l'altra dall'alto in basso. Poi, decidendo che aveva degnato l'infima creatura di attenzioni sufficienti, tornò a voltarsi verso la sorella.
“Sei stata proprio sfigata, Lieschen. Ma non temere, dirò a Vati di mandarti un deodorante per ambiente. E possiamo chiedere al preside di spostarti di camera.”
Luise annaspò, imbarazzata. “Ma no, Schwester, credo...”
Prima di lasciarla finire, comunque, Julchen aveva già girato i tacchi e si era diretta verso le scale in fondo al corridoio.
“Ci vediamo in aula magna tra un'ora.” le urlò, poco prima di sparire giù per i gradini.
Luise sospirò. Si iniziava alla grande.
Es tut mir leid...” disse, finalmente entrando nella stanza con tutte le sue borse. Non sapeva che cosa mai avesse fatto a Julchen questa Sophia, per inimicarsela così tanto, ma era anche consapevole che, spesso, i comportamenti della sorella erano parecchio irrazionali.
L'aria della camera, comunque, non puzzava, anzi. C'era un piccolo vaso di fiori violetti, su una delle due scrivanie, che spandevano intorno un profumo sottile e gradevole.
Sophia, in ogni caso, non sembrava particolarmente interessata alle sue scuse, impegnata a disfare le valigie e a riporre attentamente i suoi abiti nel piccolo armadio in fondo al letto. Se non altro, pensò Luise osservandola, sembrava una persona molto ordinata, e questo deponeva a suo favore.
“Uhm, io sono... Luise Weilschmidt. Sono del primo anno. Piacere.” disse, allungando timidamente una mano, incerta su come comportarsi.
Sophia la squadrò per qualche istante, come chiedendosi se la “piccola” Weilschmidt avesse lo stesso odio dell'altra, nei suoi confronti. Per la ragazzona che era, però, sembrava di indole decisamente più quieta della sorella, valutò l'altra osservandola.
Alla fine, proprio quando Luise stava iniziando ad arrossire di nuovo, temendo di essersi messa in imbarazzo, le strinse la mano.
“Sophia Edelstein, terzo anno. Benvenuto a scuola.”
Il tono era serio, formale, ma se non altro non sembrava odiarla.
Luise la osservò ancora un po': aveva lunghi capelli scuri, pelle chiara, un neo sotto il labbro che le conferiva un'aria raffinata. Una ragazza graziosa, non troppo appariscente. Chissà, avrebbe potuto rivelarsi una buona compagna di stanza, o almeno lo sperava.
Ad un tratto, la vide tirare fuori un'enorme scatola piena di CD. Oh no, pensò Luise, musica. Che genere era? Dance? Techno? Hip-hop? Qualcosa di tremendamente fastidioso che l'altra avrebbe ascoltato tutti i giorni mentre lei tentava di studiare?
“...t-ti piace la musica, eh?” chiese, goffamente, in un'umile tentativo di conversazione, nonché nella speranza che quei CD non contenessero un inferno per le sue orecchie.
Sophia la guardò inespressiva.
Ja. Classica. Spero che ti vada bene e che tu non preferisca tutte quelle cose... uh... tunz tunz che si sentono in giro.” disse l'altra, sollevando un sopracciglio in aria di disapprovazione.
A Luise scappò una risatina di nervoso sollievo. “No, no, per carità. Amo la classica.”
Sophia, a sua volta, si concesse un minuscolo sorriso. “Bene. Suoni uno strumento?”
“Oh, no, io non.. non sono portata per queste cose, credo.” rispose Luise, passandosi le dita tra i capelli per sistemarsi dei riccioli che non c'erano più.
“Oh, è un peccato.” Sophia tornò a sistemare i dischi su una mensola sopra la scrivania, ma poi si voltò di nuovo verso l'altra ragazza. “C'è un bel club di musica, qui. Sono la presidentessa. Potresti iscriverti anche solo per provare uno strumento, se ti va.”
“Ah. Uhm. Magari.” Nel frattempo, Luise stava a sua volta impilando la sua biancheria nei cassetti dell'armadio. Sophia la osservava, intenta anch'ella a valutare il grado di ordine della neo-compagna di stanza. “Tu... cosa suoni?”
“Il pianoforte.”
Schön. Ne avevamo uno, a casa.” Luise piegò meticolosamente una serie di calzini bianchi e di mutande in tinta unita, guadagnandosi uno sguardo di approvazione da parte dell'altra. Conversazione, si disse Luise, devo continuare la conversazione! “E... ehm... quale compositore ami di più?”
“Chopin.” rispose Sophia, il tono lievemente meno formale di prima. “La sua musica...”

Mentre parlavano e finivano di svuotare le valigie, Luise sentì la tensione allentarsi. Stava chiacchierando con la sua compagna di stanza! E questo, nonostante l'inizio burrascoso e le male parole della sorella. Decisamente, un inizio migliore di quello che aveva sperato.


Nel frattempo, al piano di sotto, Julchen stava traslocando alla rinfusa il contenuto della sua valigia all'interno del suo guardaroba. Sophia Edelstein...!!! Questo significava che le sarebbero venuti i conati di vomito tutte le volte fosse dovuta entrare in camera della sorella. Ma perché, perché?!
Richiuse le borse, e le lanciò con rabbia al di sopra dell'armadio, chiudendo le ante con una spallata.
...ma no, ehi. Non si sarebbe lasciata rovinare l'inizio del terzo anno di scuola da questo inconveniente!
Era il suo ultimo anno di liceo, e Julchen sperava che... macché sperare, kesesesese! Lei sapeva che sarebbe stato un anno magnifico, memorabile, anche più memorabile di quelli precedenti!
Si buttò sul letto con un tonfo. Ancora pochi minuti, e avrebbe potuto presentare la sua sorellina a tutti i suoi amici. Ridacchiò, pregustando il momento di gloria, e lanciando in aria il suo inseparabile pulcino di pelouches. Gilbird le rimpiombò sullo stomaco, e Julchen si rigirò a pancia in giù, posando l'animale sul cuscino: anche lui non vedeva l'ora di incontrare di nuovo i loro compagni di avventure.
Oh, Luise li avrebbe adorati.


~*~


*= Lieschen: diminutivo vezzeggiativo di Luise. Un po' antiquato, Julchen lo usa per prenderla in giro. Quel “sch” non si legge né come “lisce” ne come “lische”, ma non ho idea di come si chiami foneticamente il suono che ne viene fuori – ho trovato qui questa spiegazione: "ch sequenza di grafemi che corrisponde ad una fricativa velare sorda [x] dopo i fonemi /o/,/a/, /u/; il punto di articolazione diventa palatale [ç] dopo /i/ e /e/ e le vocali con la dieresi (si pronuncia più avanti nel palato, come dicono i tedeschi "come un gatto cattivo")"
J-ja, ich glaube's auch: Sì, lo credo anch'io.
Schwester: sorella.
Es tut mir leid: mi dispiace
Schön: bello
  
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