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Autore: Snafu    23/12/2011    2 recensioni
Sento addosso gli occhi di sua moglie e il giudizio di mia madre.
Il peso dovuto al fatto che l’unica cosa che ricordi, sono io.
E soprattutto l’indistinguibile voglia di amarlo.
Ripensandoci meglio e tornando indietro nel tempo, non ho idea di come io mi sia infilata in questo casino.
Quindi andiamo per ordine...
Dedicata a una bambina che sta crescendo e a un’altra che non crescerà mai.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Roger Taylor, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Made in Hell Series'
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23 dicembre 1997, h. 21.00



E così finiva un’altra giornata di merda.
Uscita dalla metropolitana mi diressi subito a casa senza fare deviazioni.
«Sono tornata!» esclamai, chiudendo la porta alle mie spalle. Mi tolsi il cappotto e lo appesi all’attaccapanni.
Mio padre era seduto sul divano davanti al camino acceso e stava leggendo un libro. Aveva un paio di simpatiche pantofole che gli aveva regalato la mamma e una copertina addosso, neanche fosse stato un vecchio decrepito. Mi salutò con un cenno della mano.
«La mamma?» domandai.
«È al telefono con Mandy. Pare che abbia sbagliato a mandare il lavanderia il suo vestito per il meeting di domani ed è furibonda. Sai una cosa? Sono felice che tu ti sia trovata un lavoro per conto tuo e non ti sia messa a fare da assistente a lei: non avrei potuto sopportare di sentirvi litigare tutti i giorni a tutte le ore...»
Non che dove lavorassi io la situazione fosse migliore. Ero l’assistente di un pezzo piuttosto grosso della musica internazionale e non ero sicura che i suoi capricci potessero stare al pari con quelli di mia madre: effettivamente lei e Roger si assomigliavano parecchio in fatto di caratterino.
Sbuffai.
Avevo finito di litigare con lui pochi minuti prima e non avevo voglia di ricordarmene.
Roger Taylor, sì, il damerino batterista.
«Oh! La mia bambina!» strillò mia madre, come se non mi avesse vista per anni. Avevamo fatto colazione insieme. E poi non ero più tanto una bambina, ormai avevo vent’anni compiuti. Mi sentivo così forte, così grande, padrona del mondo. «Com’è andata a lav...» il telefono squillò di nuovo. «Se è Mandy giuro che l’ammazzo!» gridò, alzandosi nuovamente dal divano. «Pronto?» … «No, sono sua madre» … «Che cosa?» … «Va bene, allora. Arrivederci.»
«Che è successo?»
«Hanno chiamato dall’ospedale, qualcuno ha chiesto di te...»
«Chi?» balzai in piedi preoccupata.
«Non me l’ha saputo dire, pare che questo qualcuno abbia perso la memoria e l’unica cosa che continui a ripetere sia il tuo nome...»
«Mi fa piacere!» rise mio padre.

23 dicembre 1997, h. 21.30



Così mia madre mi accompagnò all’ospedale.
Mi sarei volentieri risparmiata la chiacchierata madre-figlia, ma che vogliamo farci? Mi stava facendo un favore, visto che io non ho la patente.
«Insomma, non c’è nessun ragazzo all’orizzonte?» domandò con l’aria da pettegola. Mi sembrava di sentirla parlare al telefono con una sua amica di vecchia data, quando chiacchieravano delle loro ex compagne di scuola.
Non c’era nessun ragazzo, nessun ragazzo fisso perlomeno, e di certo non sarebbe stata fiera di sapere che mi ero incontrata clandestinamente con un uomo sposato e con prole (numerosa) di quarantotto anni, quel pomeriggio. Quindi preferii tacere.
«No, nessuno mamma...»
«Ah, ascoltami, non ci credo! Sei una ragazza bellissima, tutta tua madre, coi capelli di tuo padre, ci dovrebbe essere la fila sotto il tuo balcone, cara la mia Giulietta!»
«Allora avresti dovuto chiamarmi Giulietta e non Sophie!» risi, mentre lei continuava lungo il suo tragitto.
«Beh, ma Sophie sta molto meglio con il tuo cognome!»

23 dicembre 1997, h. 22.00



Ci volle un’eternità per arrivare all’ospedale, le vie erano intasate, la gente tornava a casa dagli uffici e dallo shopping natalizio.
Una volta arrivate mia madre spiegò la situazione e ci indirizzarono in un reparto.
Parlammo con il primario, che ci fece strada verso la stanza.
«Il paziente adesso sta dormendo, ma identificarlo subito sarebbe veramente un’ottima cosa» disse.
Io e mia madre ci affacciammo sulla porta della piccola stanza e contemporaneamente dalle nostre bocche uscì un urletto strozzato, le nostre voci si rivelarono così simili, come effettivamente erano, i nostri pensieri ugualmente spaventati.
«Roger?!»





Desclaimers: I Queen non mi appartengono.
Note: Lo so che al momento non si capisce niente, ma ho deciso di strutturare questa storia in modo atemporale. Ho tentato in un’altra sezione con questa tecnica e non ha avuto molto successo (ndtutti: e allora perché la riusi? XD), quindi adesso voglio tentare qui. Quindi ripeto: i capitoli saranno pochi e non saranno in ordine cronologico.
Dedica: Alla mia secondogenita, a cui mi sono ispirata per Sophie... perché si sa, i secondogeniti sono sempre i preferiti <3
   
 
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