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Autore: RosenQuartz    23/12/2011    1 recensioni
Si pose a sedere respirando affannosamente e con fatica tentò di chiedere aiuto, ma dalla sua bocca non uscivano che rantoli e suoni sconnessi, troppo deboli perché qualcuno li udisse. Tentò di alzarsi in piedi, ma proprio in quell’istante una stilettata di dolore lo colpì al petto con forza costringendolo a tornare sdraiato. Chiuse gli occhi con forza e strinse i denti mentre una seconda fitta ancora più dolorosa lo colpiva senza pietà. Avrebbe urlato se solo gli fosse rimasto il fiato per farlo, invece si artigliò il petto furiosamente tentando di acchiappare qualunque cosa gli stesse provocando quella sofferenza incredibile. Gli vennero in mente miriadi di creature spaventose con zanne e artigli appuntiti tanto simili a quelle che più volte aveva riprodotto con i suoi brillanti colori, feroci abbastanza da ardire a colpirlo in quel modo al riparo nel dormitorio.
Questa storia ha partecipato all' "Aspettando Pottermore Contest" indetto da Wynne_Sabia e SeleneLightwood sul forum di EFP classificandosi sesta.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Tassorosso, Tosca Tassorosso
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Il coraggio di un frate grasso






 
 
 
 
Nessuno che avesse mai avuto modo di incontrare Felix Fox avrebbe rischiato di definirlo coraggioso. Nessuna sorpresa, dunque, che il suo peggiore incubo per tutta l’adolescenza fosse stato rappresentato dalla Foresta Proibita, con i suoi contorni che si stagliavano con forza sulla volta celeste, così buia da far impallidire la notte più nera. Per tentare inutilmente di sfuggirle, fin da bambino aveva adottato il castello come rifugio segreto, concedendosi qualche gita all’aperto solo in occasione di giornate estremamente soleggiate in cui la Foresta non poteva fare più paura di un’ombra lontana.
Giorno dopo giorno, mentre i suoi compagni si rincorrevano sul prato, Felix trascorreva il proprio tempo chiuso nella biblioteca accanto ad una grande finestra intento a leggere e copiare pesanti tomi. Benché fosse un mago, infatti, non aveva mai avuto grande interesse per le materie che invece affascinavano tutti i suoi compagni. Non riusciva a comprendere la loro euforia nel momento in cui riuscivano a padroneggiare un nuovo incantesimo. Al contrario, ciò che realmente lo affascinava erano le parole stesse, più magiche di qualsiasi bacchetta e più affascinanti e nocive di qualsiasi maledizione. Erano le parole ciò a cui si era votato, quelle espresse in un inchiostro tanto lucido e brillante da farle risultare piene di vita.  
Quando al sesto anno gli era stato concesso di scegliere quali materie frequentare fino agli esami, con sprezzo del pericolo aveva deciso di mantenere Cura delle Creature Magiche, pur promettendosi di cercare ad ogni lezione una scusa per lasciare ai suoi compagni l’onore di interagire direttamente con le creature. Lui sarebbe rimasto in un angolo, un rotolo di pergamena sulle gambe e una sottile piuma nella mano, raccogliendo tutta la concentrazione di cui era capace per riprodurre con carta e inchiostro il meraviglioso mondo che gli si parava davanti.
 

 
Al termine di Hogwarts, non gli ci volle molto per rendersi conto che le poche e divergenti materie che aveva seguito gli sarebbero servite a ben poco per trovare un lavoro che gli potesse consentire di sostentarsi.
Poi, quasi come una manna dal cielo, giunse l’ordine di cattura delle streghe e tutto il mondo magico ne fu sconvolto. C’era sempre stato ribrezzo e paura nei confronti della Magia da parte dei Babbani, ma a causa di una serie di incidenti che si erano verificati a poca distanza gli uni dagli altri, la diffidenza crebbe più velocemente dell’esecuzione di una qualsiasi Trasfigurazione, fino a tramutarsi in odio puro.
Benché spaventato, Felix ringraziò tutte le entità superiori esistenti per questo colpo di fortuna che costrinse la popolazione magica all’integrazione fra Babbani e all’abbandono dei propri poteri. Finalmente, nessuno avrebbe più potuto denigrarlo apertamente per la sua scarsa abilità negli Incantesimi e lui avrebbe potuto dedicare la propria vita a ciò che più amava senza per questo dovere spiegazioni a nessuno.
Pur essendo figlio di Maghi, infatti, Felix conosceva alla perfezione il mondo Babbano ed era a conoscenza che solo in uno di quelli che chiamavano “monasteri” avrebbe potuto trascorrere una vita serena. Grandi spazi pieni di luce e serenità interiore erano sempre stati i suoi obiettivi fondamentali. Non era mai andato matto per la vita di comunità, essendo schivo e ritroso per natura, ma la riteneva un giusto prezzo per un posto in cui il suo terrore per il buio e buona parte delle creature che infestavano il mondo potessero essere celate senza difficoltà.
Aveva amato tanto Hogwarts anche perché in una scuola così grande non era difficile per uno studente scomparire per ore intere senza che nessuno lo venisse a sapere. Gli insegnanti non avrebbero avuto tempo da perdere per queste sciocchezze e gli studenti disponevano di un numero di compagni con cui passare il tempo più che sufficiente. Ecco quello che gli serviva: un grande monastero dove trascorrere la propria vita nella quiete assoluta.
La clandestinità dei maghi e una certa tenacia che si andava rafforzando in lui nel corso del tempo fecero in modo che non gli ci volesse molto tempo per raggiungere il suo obiettivo e, una volta realizzato, abbandonarvisi completamente.
 

 
Il monastero era posizionato su un colle in mezzo alla campagna, circondato per miglia e miglia da ampi spazi verdi: un unicum nel panorama sassone, famoso per le sue foreste che si estendevano a perdita d’occhio. Al suo interno, la biblioteca e la sala da pranzo rappresentavano i due spazi più ampi. Inutile dire che la natura del giovane frate lo inducesse a fare la spola tra l’una e l’altra diverse volte al giorno. Sebbene all’esterno i confratelli, infatti, propugnassero la frugalità e la semplicità, all’interno del monastero non erano poi molti quelli che riuscivano a portare avanti quei pochi precetti. Molti di loro erano figli di famiglie di alto lignaggio che li avevano avviati alla vita clericale al solo scopo di non trovarsi a dividere il proprio patrimonio tra più eredi. Perciò, per tutti costoro risultava alquanto arduo abbandonare le vecchie abitudini, tanto che spesso si ritrovavano a sottrarre poche porzioni di cibo dalla dispensa con l’aiuto dei frati addetti alla cucina. Felix, che aveva sempre avuto amore per il buon cibo, unico consolatore durante le notti buie e tempestose a Hogwarts, acquisì anche quello per il vino scuro e corposo, che riscaldava il corpo e allontanava i pensieri indesiderati dalla mente.
 
 

Gli anni trascorsero sereni per Felix che mise a frutto la propria abilità ed esperienza di scrittore e miniatore divenendo uno dei più abili del monastero. Si raccontava in giro che nessuno fosse mai stato in grado di rendere i colori così lucenti. Alcuni addirittura sussurravano che i suoi pigmenti fossero in realtà polveri magiche da lui prodotte nel segreto della sua cella. Ma erano solo voci e nessuno di coloro che le diffondeva avrebbe mai potuto immaginare che la spiegazione di tutto fosse nel sangue del giovane frate grasso dall’apparenza innocua, un sangue i cui poteri repressi, in mancanza di una bacchetta, si erano adattati ad esprimersi usando come unico conduttore quell’inchiostro così comune.
 

 
La fama e la vita quieta che ormai conduceva resero Felix sempre più bonario e sempre meno refrattario all’ambiente circostante. Non era inusuale vederlo girare per il monastero con un gran sorriso e le guance rubizze, sempre più in carne della volta precedente. In pochi decenni, prese talmente tanto peso che i suoi confratelli iniziarono a preoccuparsi per la sua salute, riconoscendo le sue abitudini come un attentato alla stessa. Si erano resi conto che i suoi movimenti fossero divenuti di anno in anno meno scattanti, troppo perché il tutto potesse essere riferito al mero avanzamento della vecchiaia.
Una notte, Felix si trovava nella sua cella, steso sul suo giaciglio, in attesa che il sonno prendesse il sopravvento, quando all’improvviso si sentì mozzare il respiro. Si pose a sedere respirando affannosamente e con fatica tentò di chiedere aiuto, ma dalla sua bocca non uscivano che rantoli e suoni sconnessi, troppo deboli perché qualcuno li udisse. Tentò di alzarsi in piedi, ma proprio in quell’istante una stilettata di dolore lo colpì al petto con forza costringendolo a tornare sdraiato. Chiuse gli occhi con forza e strinse i denti mentre una seconda fitta ancora più dolorosa lo colpiva senza pietà. Avrebbe urlato se solo gli fosse rimasto il fiato per farlo, invece si artigliò il petto furiosamente tentando di acchiappare qualunque cosa gli stesse provocando quella sofferenza incredibile. Gli vennero in mente miriadi di creature spaventose con zanne e artigli appuntiti tanto simili a quelle che più volte aveva riprodotto con i suoi brillanti colori, feroci abbastanza da ardire a colpirlo in quel modo al riparo nel dormitorio.
Improvvisamente, così come era piombato, il dolore si dissolse.
 

 
Quando Felix si decise ad aprire gli occhi, rimase abbagliato. Intorno a lui, solo bianco e silenzio: un bianco luminoso e inquietante che nessuna tavolozza, persino la più magica, sarebbe mai stata in grado di riprodurre e che lo avvolgeva interamente.
Rivolse lo sguardo su di sé e vide che la pesante veste di tela che caratterizzava il suo ordine era scomparsa. Al suo posto nulla tranne la stessa pelle rosea e flaccida del frate. Non riusciva a capire dove fosse, quando d’improvviso lo realizzò. Era in un sogno, o un incubo. Ecco perché tutto quel dolore. Ma anche quello era sparito, riconobbe esultante. Si guardò il petto mentre le mani lo tastavano alla ricerca di qualche segno che testimoniasse la sofferenza che aveva appena patito, ma non trovò nulla.
Siamo in un sogno, dopotutto, pensò.
Ma mentre questa spiegazione gli si presentava alla mente, non poté fare a meno di sentirla inadeguata. Aggrottò la fronte e alzò gli occhi ancora una volta rimanendo a bocca aperta. Di fronte a lui una donna di mezza età dal fascino indiscutibile gli porgeva una tonaca da frate. Alla vista del rossore che imporporava le guance di Felix per l’imbarazzo, la donna ridacchiò e si portò una mano alla bocca per nascondere il gesto. Fece qualche passo verso di lui e gli allungò la tonaca che Felix prese con un mezzo sorriso di ringraziamento. La donna rispose con un breve cenno del capo e si voltò per allontanarsi di qualche metro. Rimessosi i propri panni, l’uomo si sentì subito a proprio agio e raggiunse la donna ponendosi al suo fianco. Fu in quel momento, osservandola di profilo, che si rese conto di chi fosse in realtà.
Lei si voltò verso di lui e sorrise annuendo come se avesse perfettamente compreso i suoi pensieri.
«Che cosa vedi?» gli chiese piegando elegantemente la testa da un lato.
A quelle parole Felix notò che intorno a loro qualcosa era cambiato. Si intravedevano i contorni di una grande sala da pranzo con quattro enormi tavoli di legno massiccio e uno stendardo al di sopra di ognuno di essi. Un sorriso nostalgico gli increspò le labbra. «Siamo nella Sala Grande di Hogwarts.»
«Perché tanto triste?»
Il frate sospirò. «Non saprei dirlo.»
«Oh, sì che lo sai, ma non hai il coraggio di ammetterlo a te stesso.»
«Perché credi di conoscermi così bene?» ribatté stizzendosi per quell’analisi così accurata.
«Perché tempo fa ti ho scelto tra i miei studenti e non avrei potuto fare scelta migliore. Sei gentile, timido e leale. Hai indirizzato la tua vita a ciò che davvero desideravi e questo ti fa onore.»
Felix arrossì. «Non è andata proprio così» ammise.
«No?» domandò Tosca Tassorosso fingendosi sinceramente stupita.
Il frate scosse la testa. «Non sono coraggioso e tutto ciò che ho fatto nella mia vita è stato nascondermi da ciò di cui avevo paura.»
Subito dopo averlo detto, si sentì meglio, come se un peso che l’aveva schiacciato fino a quel momento si fosse improvvisamente dissolto. Allo stesso tempo, però, non poté fare a meno di rimproverarsi per aver rivelato così tanto di se stesso.
«Non ho mai cercato il coraggio tra gli studenti della mia Casa: ritengo che sia una qualità troppo sopravvalutata. Ma non dirlo troppo in giro quando tornerai di là: i pupilli di Godric non sarebbero in grado di accettarlo» replicò con una mezza risatina che le imporporò le guance.
Felix sorrise con lei tentando di mascherare un sospiro di sollievo. Ha detto che sarebbe tornato, dunque davvero stava vivendo un sogno?
«No» rispose la direttrice alla domanda che lui aveva formulato solo nella propria mente. «O meglio, dipende da come vuoi intenderlo» si affrettò a precisare. «Ti sentiresti meno vivo in questo momento se ti convincessi del fatto che sei morto?»
La domanda lo colpì come una pugnalata, ma non poté non ammettere che avesse ragione.
«Cosa devo fare allora?»
«Quello che vuoi. Non sarò certo io a guidarti questa volta, ma un indizio posso dartelo.»
Felix annuì vigorosamente come ad esortarla, ricevendo in cambio un ennesimo dolce sorriso.
«Guarda dentro di te e cerca il tuo perché.»
«Il mio …?» domandò pensando di non aver capito bene.
Tosca allargò le braccia. «Perché morire se puoi continuare a vivere? E perché non morire al posto di vivere una blanda imitazione della vita?» chiese con una semplicità tale che pareva stesse chiedendo cosa avrebbe voluto mangiare il giorno seguente.
«La morte è buia» rispose Felix banalmente.
«Ti sembra buio questo posto?»
Il frate rifletté un attimo prima di rispondere. «Questo no, ma come so cosa potrebbe succedermi dopo? Hai detto di non aver mai cercato il coraggio, allora perché proprio adesso dovrei dimostrarlo?»
«Perché potrebbe essere la tua ultima occasione.»
Felix fece qualche passo fino a raggiungere una delle panche. Vi si sedette e incrociò le braccia. Tosca lo raggiunse e si pose accanto a lui.
«Sai» esordì l’uomo alzando lo sguardo verso la volta della sala, «ho sempre amato questo posto. Il suo odore e la sua familiarità mi hanno accompagnato per tutta la vita. Per tutti questi anni è stata l’unica certezza che mi ha sostenuto in ogni istante. Sapevo che, qualsiasi cosa fosse accaduta, sarei sempre appartenuto a questo mondo. E’ una bella consolazione sapere di essere scelti quando si è convinti di non essere niente di speciale.»
Tosca annuì mentre una lacrima le faceva capolino da un angolo dell’occhio.
Felix sciolse le braccia e posò le mani sulla panca ai lati dei suoi fianchi. «Eppure, sebbene mi abbia dato così tanto, non l’ho mai ringraziato abbastanza. Ne ho avuto paura sempre e mi sono nascosto. Sono scappato dalla vita fin dalla nascita. Mi sono nascosto da ciò che ero e da ciò che sarei potuto diventare e in questo modo ho negato me stesso. Ho cercato rifugio nel cibo e nel vino, nella luce del sole e nel verde dei prati. Ho visto le lettere e la pittura come un passatempo senza rendermi conto che fossero anche quelle un velo sulle mie capacità. Ho reso l’inchiostro un surrogato della mia bacchetta per paura che qualcuno potesse scoprire cosa fossi realmente.»
«Povero inchiostro» mormorò Tosca ironicamente scuotendo la testa, «ridotto a svolgere un ruolo che non è mai stato il proprio.»
«Sono stato un ingrato.»
«Verso l’inchiostro?»
«Verso di te» replicò lui guardandola negli occhi per un istante.
«E poi provasse Godric a dire che questo non è coraggio!»
Felix rise di cuore per la prima volta: adesso sapeva cosa fare. «Tu sei stata la prima a dare un senso alla mia vita dimostrando che avessi delle capacità che ero troppo stupido per vedere. Voglio essere come te, diventare fonte di coraggio e di ispirazione, dimostrare a tutti i ragazzi che credono di essere privi di importanza per il mondo che non è così. Tutti possono essere scelti e io voglio convincerli di questo.»
«Hai fatto la tua scelta, allora.»
Il frate annuì.
«Quella è la strada» lo informò la donna indicando con la mano una piccola porta di legno scuro comparsa chissà quando di fronte a loro.
Felix si alzò con tanta enfasi da barcollare. Tosca rise a quella scena portandosi una mano alla bocca come poco prima. «Non preoccuparti» lo rassicurò, «ti sentirai leggero come una piuma non appena la attraverserai. Mi duole dirti però che la massa non ti abbandonerà mai.»
Il frate rise con lei portandosi le mani sui fianchi. «Sarò il primo frate grasso a diventare un fantasma.»
«Di certo nessuno ti scambierà per qualcun altro.»
«Dovrò farci l’abitudine» ribatté il Frate Grasso prima di avviarsi verso la porta. Soltanto quando la aprì si voltò ricordando che non aveva ringraziato Tosca, ma lei era già svanita. Sbalordito, prese il coraggio a due mani e posò le dita sulla maniglia. Esitò solo un istante prima di attraversare la porta, giusto il tempo per permettere ad un sorriso gioioso di disegnarsi sul suo volto: un sorriso pieno di speranza e soddisfazione, di quelli che nulla, neanche il tempo, sarebbe in grado si intaccare.
 
 
 
 
 
 







Ed ecco il fantastico giudizio delle nostre due splendide giudicie:
 
Sesta Classificata:

Fata Blu – Il coraggio di un frate grasso

Parte di Wynne_Sabia:

Grammatica: 9,7/10
- 0,3 punti per quello che credo sia un errore di distrazione: “Un rotolo di pergamena sulle gambe e una sottile piuma nell'altra” immagino che la frase originale prevedesse il rotolo di pergamena in una mano e la piuma nell'altra, ma cambiando la prima parte devi aver scordato la seconda.
Stile e Lessico: 10/10
Il tuo stile mi è piaciuto, parecchio. Si tratta di una Shot molto lunga, che con uno stile sbagliato potrebbe risultare noiosa, ma nel tuo caso no. E' scorrevole, dotato di un lessico completo e mai ripetitivo, uno stile che invoglia il lettore a proseguire nella lettura. Sei riuscita ad inserire l'intera vita di una persona in una sola storia senza farlo sembrare una specie di pallido riassunto e questa è una qualità apprezzabile, direi.
Gradimento personale: 4,8/5
Mi è piaciuta, sì, ma non mi ha lasciata a bocca aperta. Si tratta di gradimento personale, appunto, e personalmente io preferisco una storia che racconti anche solo un attimo in tutta la sua intensità, piuttosto che una vita intera. La parte che più mi è piaciuta è il finale, non so cosa potrà dire Selene nella sua parte di giudizio della tua Tosca, ma io l'ho davvero adorata! Complimenti cara :)
Rispetto regole: 3/3


Parte di SeleneLightwood:

Originalità: 9,5/10
Che dire? La storia è estremamente originale – figuriamoci se qualcuno aveva mai pensato a scrivere una cosa del genere!! Mi è particolarmente piaciuto il punto in cui descrive la sua vita al monastero e la citazione del suo lavoro con le miniature. Molto originale! L’unica pecca è il solito incontro post-mortem con un personaggio importante: la scena è di per sé originale, ma come concetto/espediente è visto e rivisto. Per il resto, originalissima, complimenti!
Caratterizzazione: 9/10
La caratterizzazione mi è piaciuta molto, complimenti! Il frate grasso era un personaggio molto difficile da inquadrare e tu ci sei riuscita davvero bene.
Però l’unica cosa che stona è che io lo immaginavo più “bonaccione”. Grasso e flaccido si, pauroso magari anche (e quella parte mi è piaciuta molto), ma forse lo immaginavo più disponibile ad aiutare il prossimo, piuttosto che volenteroso di chiudersi in un monastero.
Per quanto riguarda Tosca la immaginavo più imperfetta, ma di questi due personaggi è difficile stabilire una caratterizzazione vera: posso solo dirti se sono verosimili o meno, visto che la Rowling non ci fa il piacere di scriverlo.
Per essere un ex tassorosso, comunque, mi è parso un po’ troppo solitario, tutto qui.
Utilizzo del prompt: 2,5/3
Il prompt non è proprio presentissimo ma c’è quindi complimenti!
Gradimento personale: 4/5
C’erano delle stonature nella caratterizzazione e nell’originalità che magari l’hanno un po’ penalizzata, ma nel complesso mi è piaciuta. Brava!



Utilizzo del pacchetto completo: 2/2

Pacchetto Bonus: 0/2



Totale: 54,5/60

 

   
 
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