Penso sia la mia peggior robaccia che abbia mai scritto. Io la pubblico perché mi manca un bel po' di amor proprio. Buon Natale, gente! 

»M.Moody
 

Lo Specchio.

Il ragazzo dal volto logorato fissò il suo gemello muto attraverso lo specchio.

Gli occhi azzurri non erano più quelli vivaci di una volta: avevano un luccichio diverso, ormai, da parecchi anni.

Certo, le iridi erano sempre quelle limpide e profonde, ma avevano abbandonato la sua volontà e gioia di sorridere.

Adesso erano ferme e vitree, mentre osservavano con un misto di decisione e paura, il vetro.

No, paura, no. Ormai non aveva paura da anni.

O meglio, che cos'era la paura?

Non lo sapeva più.

Il suo sguardo vuoto si posò sulla cicatrice sulla guancia.

Rabbrividì.

Ricordava benissimo ancora il momento di quell'incidente.

I brividi.

Allora, forse, non era cambiato del tutto.

Forse c'era ancora speranza di salvarlo.

Forse sapeva cos'era ancora la paura.

Ma la felicità? Di questo, almeno, se lo ricordava?

Non lo sapeva più.

Ghignò. Forse solamente per scoprire la sua dentatura perfettamente bianca.

Era bello.

Era dannatamente bello.

Ne era cosciente.

Come Annabeth.

Come Kelli.

Come Thalia.

Thalia.

Chissà cosa faceva Thalia, adesso.

L'ultima volta che si erano visti, del resto, Thalia non era più quella di una volta.

Era dalla parte dei bastardi. Lo aveva tradito. Non lo appoggiava più.

Non lo voleva più.

Ma del resto, chi è che lo voleva?

Suo padre?

Ah, divertente.

Suo padre. Il re dei ladri. Il messaggero divino. Il dio onnipotente del menefreghismo.

Scoprì nuovamente i denti.

Forse, in fatto di astuzia, doveva ringraziare quell'idiota di Ermes.

E la casa numero undici. Quella del suo papà.

Doveva distruggerlo.

Il Campo.

Il Campo dei traditori.

Chirone.

Quell'essere che lo aveva sempre supportato e creduto in lui, si era rivelato falso come gli altri.

Nemmeno Annabeth lo capiva, ma perché?

Si ricordava ancora di come erano scappati da piccoli.

Davvero, avrebbero voluto una vita infernale come quella?!

Dove non potevano nemmeno respirare, al di fuori di quel tugurio di Campo, per poi essere selvaggiamente assassinati da qualche mostro divino!?

Era questa la vita che gli avevano propinato?

Perché nessuno lo capiva?

Perché dovevano vivere una vita ridotta?

Idioti.

Avrebbe plasmato il mondo a suo piacimento.

All'Ade tutti e tutto.

Il suo Signore lo avrebbe supportato.

Lo avrebbe stimato.

Lo avrebbe capito.

Lui sapeva che gli dei erano menefreghisti.

Guardava ancora lo specchio.

E Jackson era meglio di lui?

Col potere di Crono lo avrebbe distrutto.

Finalmente.

Rabbrividì.

Per un attimo si era dimenticato della sua missione.

« Addio » mormorò flebilmente.

Una voce, acuta e fastidiosa, lo riportò alla realtà.

« Luke, tesoro, è ora ».

Kelli, l'empusa, gli aveva ricordato il suo dovere.

Servire il Signore dei Titani.

« Adesso arrivo, empusa. Lasciami un attimo da solo » rispose sottolineando l' ultime due parole.

Come detto, il mostro acconsentì.

Luke Castellan, guardava il suo viso logorato, sebbene bellissimo, allo specchio.

Una lacrima amara gli rigò il viso.

« Presto vedrete » digrignò.

Con passo lento, uscì dalla stanza in cui si trovava.

Si asciugò la gota, il più fermamente possibile.

Arrivò a destinazione.

Una bara d'oro l'attendeva impaziente. E non solo quella.

« E' arrivata l'ora » si disse.

Così, il ragazzo dal bel viso, si stese all'interno di essa.

Dopo di che, serrò gli occhi.

In mente aveva il suo volto riflesso dallo specchio.

Un'altra lacrima gli bagnò il volto.

Addio Luke.