Anime & Manga > D.Gray Man
Ricorda la storia  |      
Autore: su_dama    23/12/2011    1 recensioni
Lenalee ricorda certe cose di Kanda. Lui cosa ricorda di lei?
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lenalee Lee, Yu Kanda
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
NdA: Per chi ha bisogno del tocco della mano di qualcuno.
NdT: Questa storia è stata scritta prima che uscisse l'arco di Kanda, pertanto potrebbero esserci delle piccole deviazioni dal canon. La visione d'insieme, però, è corretta, a mio modo di vedere :)



La torre ~ The Tower




Stanno discutendo dello Stato della Chiesa, perché Lenalee la chiama chiesa, l’edificio in cui entrano, perché è più grande di una cappella, o di un tempio, o di un santuario di vario genere. Non le sono mai piaciute particolarmente le chiese, le cappelle, i templi, o i santuari in sé; le ha amate per ciò che rappresentano. Non per le vetrate colorate o per gli archi trascendentali, né per i granelli visibili nei raggi solari che li attraversano. Semplicemente, adora come entrandoci, a qualunque ora del giorno, riesca a tranquillizzarsi.

Pace dai giorni del suo passato in cui c’erano bavagli.

È una pace che, da dentro di lei, si propaga fino alle ali di Kanda, che regge i loro soprabiti bagnati. Li posa piano su un banco. Rimane in piedi, e fissa il crocifisso sulla parete spaziosa davanti a loro; non è molto grande, un po’ come loro. La pioggia li ha condotti sin qui. Hanno solo l’altare e se stessi.

« Piove fortissimo » commenta lei. « Kanda, hai sentito il tuono? »

Lui si volta verso di lei; il suo volto è umido, la frangetta gli si è appiccicata alla fronte.

« Dovresti asciugarti. Se ti buschi un raffreddore poi mi sento in colpa. »

« Tu ti senti sempre in colpa » le dice.

« Ne ho tutto il diritto. Sei mio amico. »

Qualche rapido passo e si mette dritta accanto a lui. Si genuflette, e lui scuote la testa. Il cuore martella, le fa vibrare le gocce sulle punte dei capelli. Si abbraccia perché oggi questa chiesa è vuota, vuota, e vecchia, e consumata. Con la tempesta non ci sono raggi di sole, e non può quindi generarsi il calore che porta alla pace. Cerca un caminetto con gli occhi.

Lenalee se la ricorda l’ultima volta che è rimasta sola con Kanda: lui stava bevendo il tè, e lei si era unita a lui. Sembra che sia sempre lei a unirsi a lui; ma quando era piccola, era lui ad andare da lei, e a portarle i dolcetti-con-tanto-affetto che Jerry preparava per lei. Kanda non li mangiava mai. Le dava qualche pacca sulla spalla, lei succhiava un lecca-lecca alla ciliegia, schioccando le labbra rese appiccicose, e lui le dava qualche altra pacca sulla spalla. Era come se se lo meritasse. Ogni tanto lui mormorava parole solo per le sue orecchie, le diceva che non era tutto così brutto come credeva lei; che avrebbe dovuto cominciare a respirare invece di trattenere il fiato per il resto dell’eternità.

Aveva funzionato, e con lui respirare era facile. E c’è stato un tempo in cui lui le posava un petalo sul cuscino, in infermeria, e annuiva, e le diceva che era lei in miniatura, e che le avrebbe portato un fiore intero non appena si fosse ripresa. Poi veniva cacciato a calci dall’infermiera.

Nel presente, accarezza l’arazzo che copre lo spicchio di muro alla sua destra. E alto, più di loro due messi insieme.

Un tempo, Kanda cominciava le cose e le finiva in fretta, come se lei si meritasse lui, ma lui non si meritasse lei. Le portava quei dolci e regalini e faceva gesti piccolissimi che chiunque altro non avrebbe notato pur avendoli sotto il naso. Aveva iniziato ad attendere con ansia la pacca sulla spalla che le faceva venire sonno, un po’ come quando Komui la faceva mezzo ridacchiare e mezzo piangere ogni volta che giocava con le sue ciocche e diceva che era identica alla mamma, con tutti quei capelli.

Adesso sono corti. Se li riavvia dietro l’orecchio e abbandona l’arazzo.

Kanda. Lui era. Lui era un ragazzo che la prendeva per mano, a malincuore; che gliela lasciava, a malincuore. Tante volte gliel’aveva tenuta per un secondo di più. C’è sempre stato quel languido momento in cui lei aveva sentito che non sarebbe impazzita. Con lui.

« Qualcuno ha fatto una scritta blasfema » dice lui, il tono vagamente divertito.

Lei si volta e si acciglia.

« Cosa dice? »

« È solo un disegno osceno. »

Lei accorre di nuovo al suo fianco, spalancando la mascella per la volgarità.

« Buon Dio, ma è disgu- » Rimedia all’errore con un’espressione angelica. « Ma è interessante, intendevo. »

« Non preoccuparti. Non sono offeso. Sei una ragazza » la rassicura, con semplicità.

« Kanda, credo di sapere cos’è. È, uhm » dichiara, perdendo la voce.

« È disegnato col sangue. »

« Ma certo, ecco cos’è. »

Lui le dà un’occhiata (quell’espressione sconcertata che le fa venire voglia di ridere), e attorno al naso e alle orecchie gli compare un leggero rossore appena discernibile. Le fa segno di indietreggiare dal graffito del pene sull’altare.

« Chi potrebbe essere stato? »

« Forse Lavi » risponde lui. Percepisce le sue labbra arricciarsi.

« Kanda! »

Lui solleva le sopracciglia, l’acqua che asciugandosi gli lascia delle scie lungo gli zigomi, dov’è rimasto lo sporco di prima.

« Kanda, sappiamo tutti Lavi non lo disegnerebbe mai. Lui disegnerebbe delle tette » aggiunge, una risata trattenuta in gola.

Lo vede chiudere gli occhi per un attimo per celare il proprio divertimento. Salta giù dai gradini dell’altare e lo aspetta. I tacchi dell’Innocence percuotono le assi; potrebbe perforarli anche solo per la sensazione di potere che le dà il mero pensiero. Si sente di colpo disertata e si abbraccia di nuovo.

« Lo senti anche tu? »

« Sì » risponde, guardandosi attorno, e poi verso il soffitto. Sulla sinistra c’è un’entrata. « Guarda. »

Lei guarda.

« Lenalee, resta qui. »

« No, vengo con te. »

« No, resta qui. »

« Kanda? Cos’è? »

È abbastanza sicura di sapere da cosa sia provocata quella sensazione, e non crede che sia quello che pensa lui, ovvero la torre alla loro sinistra, le scale che portano al campanile. Lei la attribuisce a tutta la chiesa. A entrambi sfugge qualcosa.

Si trovano in una città con una chiesa sul limitare a ovest, con una torre e una campana nella torre. Da fuori l’aveva solo intravista. (L’ovest è come la fine dei giorni.)

La tempesta infuria sempre più fragorosa e drammatica; i tuoni scuotono la sua voce, al punto che è costretta a girarsi verso i banchi vuoti, paranoica, a metà frase. Non ha paura. I tuoni non la spaventano; sono le persone a spaventarla, le persone che l’abbandonano.

« Ehi, Kanda, aspettami. »

Lo sente sospirare fra sé e sé mentre lui inizia a salire le scale, pallide e grigie, come quelle di un castello. Le loro voci rimbombano. Il tuono rimbomba assieme ad esse. E ci sono fulmini che fischiano e li chiamano dal corridoio, schegge di luce elettrica che le illuminano la radice degli occhi. Forse i rumori sono amplificati dalla campana. Ancora, si sente stranamente disertata.

« Kanda, lassù c’è qualcosa » sussurra.

« Già. »

Lui si trascina per la scalinata come un fantasma, Mugen sguainata e puntata bassa, verso la torre, che risplende nella desolazione dell’occasione.

Le viene in mente una cosa spaventosa, ma finge di stare bene. La pioggia le era finita negli occhi, legandole le ciglia come una ragnatela, tanto che vede e guarda le cose in contraddizione, tanto che non è per paranoia se vede e guarda di tutto e di più. Ora la vedi, ora non la vedi più.

Perché lui sale, lei lo segue. Lenalee lo segue come se alle palle dei piedi avesse aria, e sta attenta a non far cozzare fra loro gli anelli attorno alle caviglie, anche se solo ora si ricorda che cavolo, cavolo, non ha ancora invocato. E dire che l’aveva fatto presto durante la missione, conclusasi però ore fa e prima che venissero sorpresi dalla pioggia.

Più salgono più i rumori si diversificano, gradino dopo – ansia per lei, fame per lui – gradino. Lenalee, la sua consorte con i talloni di vento, se solo Kanda potesse cavalcarlo. Le fa segno di rimanere vicino al muro se proprio è tanto decisa ad andare con lui. Lei gli dà una botta sulla schiena per dirgli di smetterla di fare lo stronzo. Proseguono.

Spera che sia tutta una loro paranoia, che presto torneranno dal disegno al piano inferiore e lei riderà, oh, dai, alla fine fa ridere, è solo un pene (ha visto solo il pene di suo fratello nella vasca quando ancora facevano il bagno insieme, e i ricordi sono vaghi).

Anche se il disegno è fatto con sangue avvelenato.

E come cosa non fa tanto ridere.

Kanda la allarma con un brivido che non riesce a reprimere, specialmente per il modo in cui abbassa ancora di più la spada verso il pavimento, poi verso la cintura.

« È già successo » le dice, senza emozione.

Per un momento, le viene una voglia prepotente di costringerlo a rialzare la spada e puntarla verso la torre. Hanno superato la metà e ci sono quasi, quasi. Poi capisce.

« No. »

« Sì. C’è puzza di morte. »

Ha lo sguardo fisso davanti a sé, riprende a camminare.

Gli afferra il braccio.

« Attento. »

La zittisce alzando la mano, e lei nota le unghie rovinate. Lei smette di mangiucchiarsi le unghie, e comincia lui. Vorrebbe picchiargli la mano per sollevare lo scudo del silenzio. Lenalee sa che è stupido, ma all’improvviso la infastidisce il suo bisogno ridicolo di farle da scudo, proteggerla e di mandarla via. È come suo fratello, solo peggio, perché Kanda un amico di lunga data che le ha regalato dei dolci e le ha dato delle pacche sulla spalla senza i legami di famiglia a costringerlo a questi obblighi. All’improvviso, è straordinariamente furiosa.

« Lenalee, non-! »

« È già successo, vero? » sbotta. « Perché…? »

Ma è impossibile interrogarlo. Corre sulle scale più in fretta di quanto lui non riesca a pronunciare il suo nome. Due gradini alla volta; le sue gambe sono guarite e le hanno restituito la sua bellezza. La sua rabbia si spande e si comprime in una sfera che scoppia e delude. Fa su e giù, in fiamme. Corre, corre verso una porta e la porta si apre e-

« Oh, Dio. »

Si allontana dalla porta aperta e raggiunge il cumulo di polvere sollevato dalla tempesta che danza nel vento. Quella parte del muro manca, bella grossa, il legno e la pietra si stanno sgretolando, le strutture metalliche, pezzi che le volano fino in viso: le ceneri, le ceneri ai suoi piedi. Il cuore non fa in tempo a cederle che Kanda è lì a dirle parole; in realtà le sta dicendo una cosa sola, ma la sta dicendo comunque A Lei.

« Non vuoi che ti protegga. Bene, fa un po’ come cazzo ti pare. »

È già stata qui. Sono già stati qui.

Lenalee toglie finalmente la punta della scarpa dal cumulo. Ha le gambe tutte sporche di quella roba. Il vento turbina attorno a loro, la tempesta infuria sopra, e così la campana di rame, tutta buia, una caramella nero puro, liquirizia. La spaventa così tanto che emette un suono che non dovrebbe fare proprio lei.

« Non è il vandalo » gli dice, calma.

Lui raccoglie i resti dei vestiti sparsi a terra. Kanda porta rispetto e ripone gli abiti sul cumulo, nero e bianco come la sua natura. È taciturno ma anche attento, come gli aveva intimato lei – comunque protettivo. Si dimentica la sua rabbia. Queste devono essere le ceneri del prete. Di qualcuno della chiesa. Qualcuno.

I tuoni e i fulmini.

« Gli Akuma devono, devono essere venuti qui, mentre noi eravamo lì, e… » Si domanda: "Chissà, li avremo persi per pochi minuti o è successo proprio adesso, mentre noi eravamo già nella chiesa? »

Annuisce fra sé, né spaventata né arrabbiata. Si accorge che con una mano si sta spazzando via la polvere dagli stinchi, lentamente. Le sensazioni sono ovattate.

Kanda ha rinfoderato Mugen, e le si avvicina con gli stivali che ora risuonano, sordi, più veloce di lei. Respira, è suo amico, e sta inspirando la sua insensibilità.

Lei si acciglia insieme a lui, che poi annuisce col capo.

« Tutto bene? »

« Certo. »

Le si mette accanto, le posa una mano sulla spalla. È brava nella sua pazienza, per quanto trovi difficile lasciargli toccare la sua spalla solo per darle una pacca. Era talmente tanto tempo che non lo faceva, che stava cominciando a dimenticarsi come ci si sentiva a essere consolata così, da lui. Lui dovrebbe essere privo di tenerezza. Lei ora dovrebbe essere forte.

« Kanda. Dobbiamo dirlo alle autorità. »

Le dà una pacca più ferma, tracciando come dei solchi con le punte delle dita attraverso la giacca.

Il vento suona la campana. Non si muove, malgrado i suoni che li circondano.

Pensa che, se l’arco di sostegno dovesse cadere, verrebbero schiacciati dalla campana. Manca poco. Potrebbe cadere e morirebbero anche loro. Le altre mura potrebbero crollargli addosso. Il vento e la pioggia potrebbero spingerle più giù. Oppure potrebbero morire come il prete, chiunque egli fosse, se il potere di Kanda si esaurisse e se Lenalee perdesse la sua voglia di vivere. Sono dei tali parassiti, tutti e due, in modi di cui non parlano. Però.

La mano di Kanda le sfiora il braccio e le cerca la mano, inserendosi nel pugno chiuso. Calore, le manda. La sua mano è un po’ umida e sporca di polvere, ma è una presa da calma-trova-il-tuo-ritmo. Gliela stringe, e stringendola vuole dirle, Respira, prima che i fulmini ci possano colpire.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > D.Gray Man / Vai alla pagina dell'autore: su_dama