SILENCE
Il
silenzio è qualcosa di prezioso. Il silenzio è qualcosa di raro. Quante volte
in una giornata riuscite a sentire il solo silenzio? Quante volte riuscite ad
assaporarne l’unicità? Quante volte ne avete realmente apprezzato il
significato…
Il silenzio
è vita, il silenzio è natura, il silenzio è verità. Ma soprattutto il silenzio
è parola. Quante cose si sono dette senza nemmeno aver aperto bocca.
E
molto spesso il silenzio può dire tutto senza dire niente.
24
Dicembre. E’ scattata l’ora d’oro. Sono le otto del mattino di una freddissima
Vigilia di Natale. E’ l’ultimo giorno prima del Giorno, prima di quel giorno
che aspettano tutti, piccoli e grandi. E come non si può non amare il Natale.
E’ un giorno in cui tutti i dissapori, tutti i pensieri negativi, tutti i
dolori trascorsi in un intero anno svaniscono e rimane solo la voglia di stare
insieme, di sedersi ad una lunga tavola di possente legno per posarvi tutte le
pietanze preparate appositamente dalle persone che ci amano e che noi amiamo.
E’ un
giorno di festa, è l’unico giorno che aspetti sveglio per tutta la notte,
chiedendoti ossessionatamente cosa ci sarà quest’anno sotto all’albero ad
aspettarti, sperando di trovare ciò che hai chiesto, ciò che hai desiderato a
lungo ma sapendo allo stesso tempo che in ogni caso sarà bellissimo comunque.
Ma
oggi non è Natale, oggi è la Vigilia. Oggi è l’ultimo momento per comprare i
regali mancanti, l’ultimo giorno di corse fra strade affollate e negozi senza
ossigeno. Ormai è la tradizione che lo richiede. I regali si fanno sempre
all’ultimo.
E’
Sabato ma Usagi ha comunque messo la sveglia alle otto in punto. Troppi impegni
l’avevano costretta a rimandare gli acquisti, di giorno in giorno, fino a
ritrovarsi alle fatidiche 24 ore prima senza aver incartato nemmeno un
pacchetto.
Si
alzò di colpo, il frastuono della sveglia era davvero insopportabile. Era
convinta di aver messo la modalità “playlist” e di svegliarsi col dolce suono
delle sue musiche preferite. E invece la sera prima aveva cliccato troppe volte
sulla radio sveglia impostando quel suono così fastidioso da spingerla a
staccare la spina per non sentirlo più.
Il
solo pensare di mettere i piedi fuori dal letto la raggelava. Da sotto il
morbido piumone bianco, la voglia di alzarsi e vestirsi svaniva sempre di più.
Ma doveva farlo, doveva alzarsi, non poteva essere l’unica a non aver preso
niente.
Sbuffò,
serpeggiando fuori dalla coperta ma stringendola fra le mani ugualmente, come
se in quel modo la sensazione di calore la seguisse. Si affacciò alla finestra
nella speranza di vedere ciò che aveva sognato tutta la notte. Aprì di colpo la
tenda, strizzando gli occhi ed aprendoli tutto d’un tratto, per dare più valore
a quella sorpresa. Ma l’espressione del suo volto cambiò in pochi secondi.
Se l’era
immaginata così intensamente, la neve. La voleva così tanto. Ma il giardino era
pulito, con qualche foglia qua e la a macchiarlo di arancione. Nessun segno di
bianco, nessun fiocco, niente. Quell’ingrediente che rendeva praticamente
perfetto il suo Natale, mancava. Non che questo le togliesse lo spirito
natalizio ma, in fondo, lo si spera sempre.
Alzò
le spalle, togliendosi finalmente la coperta di dosso. Una doccia calda, più
per riprendersi dal freddo improvviso che per svegliarsi completamente, un paio
di calde calze marrone cioccolato con tanto di parigine al di sopra delle
stesse, un lungo vestito più o meno dello stesso colore ed il cappotto beige chiaro, arricchito dai quattro bottoni
tondi che s’innestavano con un pezzettino di legno stile Montgomery, da
abbinare con sciarpa e cappello color panna. Era pronta.
Scese
velocemente le scale, notando di sfuggita mamma e papà seduti a tavola con una
tazza di caffè fra le mani e qualche brioche al centro del tavolo. Superò in
fretta l’entrata della cucina, vedendo però di sfuggita quei morbidi croissant
al burro con gocce di crema che trasbordavano dalle pieghe croccanti. Si fermò.
“Usagi,
non fai colazione?” chiese la mamma, allungandole il piatto di brioche. Usagi
le guardò con gola, voglia, ammirazione.
“A
dir la verità sono in ritardo, devo fare un sacco di cose” rispose, mantenendo
gli occhi fissi su quel castello di calorie che l’attirava sempre di più “ma
posso sempre mangiarle per strada, no?” sorrise, afferrando una brioche, la più
grande a dire il vero, e correndo fuori casa, emettendo un lontano ciao dalla
porta d’ingresso.
La
sua casa era situata in una zona piuttosto residenziale. Non c’erano negozi li
vicino, ma solo tante case a schiera, l’una vicina all’altra, ognuna con un
addobbo tutto suo. Era così bello vedere come le persone tenessero a rendere
tutto a tema, come la bellezza del Natale fosse anche quella, decorare casa con
oggetti e luci pensate esclusivamente per quel giorno magico. Avrebbe voluto
osservare ogni particolare di quelle porte, ogni luce di quei giardini, ma
sentì in lontananza il rintocco dell’orologio vicino alla Chiesa cittadina.
Usagi
sapeva che suonava ogni ora. Controllò il cellulare, stupendosi dell’orario
“Già le nove!!” urlò, impanicata “devo muovermi o non farò mai in tempo” disse
a se stessa, afferrando dalla borsa la lunga lista di regali che si era segnata
man mano che le idee le frullavano nella testa.
Arrivata
finalmente in centro notò come i suoi timori si concretizzavano di fronte a
lei. Le strade era completamente stracolme di gente, tutti i negozi, di
vestiti, di giocattoli, di elettronica, persino di alimentari, pieni,
invivibili, irrespirabili. Se inizialmente la paura era quella di non farcela
ad acquistare tutti i regali, in quel momento era proprio quella di entrare in
uno di quei negozi. E le persone correvano, si spingevano l’un l’altro per
accaparrarsi quell’ultimo capo, o quell’ultimo libro di quello scrittore così
famoso che però nessuno conosceva in realtà.
Guardò
nuovamente il foglio degli appunti. Doveva fare un programma, doveva capire
dove avrebbe potuto prendere più regali nello stesso momento. Tuttavia la
risposta era abbastanza ovvia.
“Centro
commerciale” bisbigliò tra se e se, quasi sconfitta all’idea che presto o tardi
sarebbe stata schiacciata da quegli assettati di pacchetti natalizi.
“Ok, da
dove posso iniziare” pensò. Il primo regalo sarebbe stato quello più semplice,
quello più sicuro, più azzeccato “Si, andrò a prendere il regalo per Mamoru,
quel cd che voleva tanto”.
S’intrufolò
nella marmaglia, facendosi spazio come poteva fra i gruppi di famiglie felici
che si fermavano davanti ad ogni vetrina senza poi prendere niente. Spesso
camminava un po’ piegata, voleva sfruttare la statura leggermente più bassa di
quelli che la circondavano, così da sgattaiolare veloce con più facilità.
Il
negozio di dischi era proprio davanti alla libreria, forse in quel momento non
era neanche così affollato come pensava. Il momento era perfetto.
Entrò
dalle porte scorrevoli, sentendo l’aria calda rimbalzarle addosso. La
differenza di temperatura tra dentro e fuori era davvero esagerata, il modo
migliore per prendersi un raffreddore insomma, senza contare tutti i batteri
che vivaci svolazzavano nell’aria.
Il cd
che cercava era di un compositore russo, uno parecchio conosciuto in Europa, e
nel mondo francamente, ma che lei aveva quasi difficoltà a pronunciarne il
nome. Cominciava con la “T” e a quanto si ricordava la copertina era di un blu
scuro.
Camminò
con lo sguardo all’insù, alla ricerca di quella lettera, riflettendo nel
frattempo come riuscissero a catalogare perfettamente tutti gli autori del
globo. Finalmente lo trovò. Lo scaffale era uno degli ultimi ed il suo nome era
segnato da un grande cartellone li in fianco. A quanto pare quello stesso
giorno, dall’altra parte dell’emisfero, ci sarebbe stata la rappresentazione di
un balletto classico sulle note di quello stesso autore alla Julliard di New
York. E proprio per questo motivo gli era stato riservato uno scaffale intero,
con nuova edizione “gold” in doppio disco.
Usagi
osservò attentamente quel cartellone e capì che quell’evento sommato alla sua
notorietà poteva voler dire solo una cosa. Il disco sarebbe andato a ruba.
Alzò
gli occhi verso lo scaffale, consolandosi all’istante nel vedere che era
rimasto un solo cd. Allungò svelta il braccio per afferrarlo ma pochi secondi
prima di toccarne la plastica trasparente se lo vide sfuggire via. Si
pietrificò, voltandosi verso destra.
Un
ragazzo alquanto strano teneva il cd fra le mani, leggendone i brani ma
soprattutto il prezzo riportatovi sopra. Era alto, con lunghi capelli nero
pece. La rabbia crebbe in lei furiosa. Se non avesse preso quel cd sarebbe
stata punto e a capo, avrebbe dovuto farsi venire in mente altre idee che
sarebbero state in ogni caso scarse in confronto a quel regalo. Il suo Mamoru
voleva quel cd, lei voleva quel cd. Respirò profondamente, facendosi coraggio.
“Ehm,
scusa” disse, inclinando il capo per farsi vedere, per distrarlo da quella
lettura “scusami, non vorrei essere maleducata ma quel cd è mio”.
Il
ragazzo distolse gli occhi dalla copertina, si tolse gli occhiali da sole che
inspiegabilmente indossava in un luogo chiuso e la fissò negli occhi.
“Come
hai detto scusa?” chiese, in tono quasi sarcastico
“Il
cd” ripeté Usagi, segnandolo col dito “quel cd è mio”.
Il
ragazzo inarcò le sopracciglia, guardò nuovamente il cd e lo girò e rigirò come
a cercare qualcosa. Usagi lo osservava infastidita, il nervoso cresceva
incontrastato.
“Cosa
stai cercando?” chiese, acida
“Sto
cercando il tuo nome” rispose, continuando ad ispezionare la confezione come
una cavia da laboratorio
“Il
mio nome? Perché cerchi il mio nome?”
“Beh,
hai detto che il cd è tuo quindi ci sarà il tuo nome”.
Usagi
lo guardò stupita della risposta ma allo stesso tempo ancor più arrabbiata.
“Non
c’è il mio nome sopra e comunque non lo sai nemmeno quindi..”
“Già,
hai ragione! Io sono Seiya, piacere” disse, allungando la mano. Usagi la
strinse, sbuffando “Usagi”
“Avresti
dovuto dire piacere mio ma non importa. E’ stato bello conoscerti…Usagi” disse,
allontanandosi da lei, con il cd in tasca.
“Ehi
fermati! Ridammi il mio cd!”
“Non
è tuo, l’ho preso prima io quindi…”
“Si
lo so ma è un regalo per una persona speciale e questo è l’ultimo e se non me
lo dai non saprò che fare, devo ancora prendere altri regali e sono già in
crisi e…”. Usagi parlava a raffica, le parole le uscivano in modo insensato,
senza capire nemmeno lei ciò che stava dicendo “…insomma, ti prego, lasciami
quel cd”.
Seiya
tacque, riflettendoci su, capendo che quell’oggetto era davvero importante per
lei, capendo che ciò poteva sfruttarlo a suo vantaggio.
“Sai,
ho anch’io ancora molti regali da comprare” disse, furbamente
“E
allora?” chiese Usagi, senza capire dove volesse arrivare. Seiya distese la
mano, avvicinandole il cd “Se verrai con me a fare quest’ultimo shopping
natalizio, a fine giornata ti darò il cd”
“E se
invece non vengo?”. Seiya ritrasse la mano, riponendo nuovamente il cd in tasca
“beh, ti saluto” sorrise,
“Ma
questo è un ricatto!!!”
“La
vita non è perfetta, sai com’è! Allora?”. Usagi non rispose, incrociando le
braccia ed assumendo un atteggiamento imbronciato.
Seiya
scrollò le spalle, allontanandosi sempre di più, fino ad arrivare in cassa.
Tirò fuori il portafoglio, ma tenendo sempre lo sguardo fisso su di lei, che
inamovibile stava già pensando a cosa fare per risolvere il problema. Pagò il
disco ed uscì, coprendosi con la lunga sciarpa in cashmere nera. Si guardò un
po’ intorno, pensando alla prossima tappa da raggiungere.
“Aspetta!”.
Quel grido lo invitò a girarsi. Usagi gli stava correndo in contro, esattamente
come si aspettava facesse.
“E va
bene” rispose lei, aprendo la mano per farsi consegnare il cd
“Mi
dispiace” disse lui, afferrandogliela e chiudendola fra la sua “ti darò il cd
solo a fine giornata, così sarò sicuro che avrei rispettato il patto”
“Perché
vuoi a tutti i costi che venga con te?”
“Così
ci facciamo compagnia, no?”. Usagi tirò indietro la mano, sciogliendo la presa
da quella di Seiya e strofinandosela con l’altra per darsi un po’ di calore. Seiya sorrise e continuò a camminare in
direzione opposta ai negozi presi d’assalto dai compratori senza pietà.
“Da
che parte stai andando scusa?” domandò Usagi, vedendolo allontanarsi dal centro
città,
“Seguimi,
non preoccuparti” rispose lui, continuando a camminare.
Usagi
rifletté qualche secondo. Conosceva quel ragazzo da meno di un’ora ed era
bizzarramente legata a lui per uno stupido accordo che nemmeno pensava valesse
davvero la pena. Non solo, ora le chiedeva di seguirlo lontano dal fulcro della
città, lontano dalle persone, magari in un posto isolato dove nessuno avrebbe
potuto trovarla nel caso avesse cattive intenzioni. Fidarsi è bene, si. Ma non
fidarsi è meglio.
“Cosa
fai li impalata?”. La sua voce interruppe i suoi pensieri. Lo fissò negli
occhi, in quel blu talmente brillante e cupo allo stesso tempo da non riuscire
nemmeno a specchiarsi. La sua parte razionale le diceva di tornare in dietro,
fuggire via e lasciare perdere quello stupido cd. Ma una parte di lei, una più
profonda, più latente, le consigliava di seguirlo, la rassicurava con uno
strano ardore mai provato prima, le sussurrava quasi che sarebbe andato tutto
bene, che non c’era pericolo. E per quanto la paura la stesse avvolgendo nel
freddo più pungente…fece un passo avanti e lo affiancò.
“Posso
fidarmi di te?” chiese, un po’ sfacciatamente, senza riconoscersi in un certo
senso. Seiya le offrì il braccio per incrociarsi con il suo, ed il suo volto
s’illuminò di una qualche essenza sconosciuta ma pura nel suo essere così
dannatamente perfetta “Perché non dovresti fidarti scusa?”
“Perché
ti conosco da poco ecco perché! E’ una follia!” urlò, sbattendo i piedi a
terra. Seiya la fissò, divertito, attonito. Usagi non riusciva bene a leggere
le sue espressioni.
Si
avvicinò a lei, sfiorando con la bocca i suoi lisci capelli biondi.
“Allora
sii la mia follia” sussurrò, per poi ricomporsi e riprendere a camminare.
Il
cuore le batteva talmente forte che dovette porvi una mano sopra per
rallentarlo. Si avvicinò quegli esili ciuffi di capelli, sentendo ancora il suo
profumo. Le mani le tremavano talmente tanto da infonderle una profonda
adrenalina nel sangue. Ma non era il freddo. Era qualcosa di ancora più forte,
di più grande, più grande di lei. Quella era una follia, si. Eppure, l’amava
quella follia.
Corse
verso di lui per raggiungerlo, definitivamente questa volta.
Svoltarono
per vari viali, incrociando via periferiche e poco conosciute. Percorrevano
quelle classiche strade che vedi per la prima volta pur avendo vissuto in
quella città da tutta una vita. Usagi non aveva la minima idea di dove Seiya la
stesse portando. Controllava nervosamente l’orologio, ossessionata dalla
lancetta che quasi all’impazzata segnava sempre un’ora in più del momento
prima. Il tempo stringeva e lei non pensava altro che forse, dopotutto, di
tempo ne stava solo perdendo.
“Allora,
Usagi, per chi è questo cd per cui ti stai tanto dannando?”.
Usagi
ascoltò attentamente la domanda o meglio il tono in cui era stata posta. Era
curioso, certo, ma voleva anche rompere il ghiaccio che si era creato durante
il percorso.
“Per
il mio ragazzo” rispose lei, abbassando lo sguardo, sentendosi un po’
imbarazzata, in fondo non lo conosceva per niente.
“E da
quant’è che state insieme?” proseguì Seiya ma senza dare troppo peso alle sue
parole, sempre restando un po’ sulle sue.
“Un
paio d’anni ormai”
“E ti
trovi bene? Cioè è un bel rapporto?”
“Certo
che è un bel rapporto!” rispose scattante, come se fosse una cosa che dava per
ovvia “il nostro è un legame unico, indissolubile, predestinato”
“Predestinato
hai detto?”
“Si
proprio così, il nostro amore è destinato a durare in eterno”
“Quindi
credi nel destino da quanto ho capito..”
“Si,
credo nel destino!” affermò fiera “tu no?”
“Io
credo che siamo noi a costruirci la nostra vita, a decidere per noi stessi.
Credo che possiamo seguire sempre la stessa strada ma credo anche che la vita
ci pone davanti delle vie alternative, delle scorciatoie impreviste e sta a noi
decidere se prenderle o meno. Credo che siamo noi artefici del nostro futuro!”
“Con
questo cosa vorresti dire?”
“Sei
davvero sicura che il vostro amore sia legato da un destino indissolubile?...o
è quello che ti imponi di credere…!Non pensi che la vita sia imprevedibile, che
possa capitarti qualcosa di talmente eccezionale da farti ripensare a tutto, a
chi sei, cosa vorrai essere, con chi vorrai essere? Non credi che sarebbe tutto
troppo semplice se fosse già scritto…”.
Usagi
non rispose. Continuò a camminare a testa bassa, pensando a ciò che le aveva
detto, alle parole che aveva usato ma soprattutto cercando di capire perché non
le aveva ribattute a dovere.
E nel
suo costante riflettere non si accorse che Seiya si era fermato davanti ad una
piccola vetrina, in un angolo illuminato da due lampioni di nero bronzo stile
settecentesco posti ai lati del negozio.
Le
ampie finestre erano divise da parallele e perpendicolari di chiarissimo legno,
offuscate da spruzzate di finta neve che ne ricamavano i bordi come piccoli
cristalli di ghiaccio.
“Entriamo?”
chiese Seiya, aprendo la porta, anch’essa di legno ma un po’ più scuro rispetto
alle finestre. Usagi lo precedette, entrando in quel piccolo angolo di puro
calore. L’insegna dondolante segnava il nome del negozietto. “La città dei
sogni” lesse Usagi, guardandosi poi intorno a bocca aperta.
L’intero
locale era illuminato da sole candele poste in vecchi lampadari che scendevano
da travi in legno incastonate sul soffitto. Attorno a lei c’era di tutto,
qualunque tipo di oggetto, qualunque tipo di stile. Vecchi giocattoli in legno
sedevano su una parete tra cui un antico trenino a motore, un cavallo a dondolo
leggermente rovinato e dei soldatini di cera che le ricordarono molto la favola
del soldatino senza una gamba che s’innamora della ballerina dal tutù rosa
porcellino. In un’alta libreria erano posti i più bei libri di sempre, da
“Piccole Donne” a “Il Mago di Oz”, per poi passare a letture più pesanti ma di
ugual prestigio. Li dentro c’era davvero tutto, un mondo inesplorato in meno di
trenta metri quadri di superficie.
“Questo
posto è bellissimo” ammise entusiasta, osservando un tavolo bandito da piccoli
oggetti per l’arredamento della casa. Sapeva che avrebbe trovato tutto ciò di
cui aveva bisogno, un regalo per tutte le persone a cui voleva bene. E non
sarebbe stato un regalo come gli altri. Sarebbe stato un dono speciale.
“Sapevo
che ti sarebbe piaciuto!” esclamò Seiya, sicuro di se ma felice nello stesso
momento
“Ma
non c’è nessuno qua dentro” disse lei, cercando un responsabile del negozio
“Non c’è un commesso o un custode?”
“Ce
l’hai davanti a te” rispose Seiya sorridente, sedendosi sulla sedia a dondolo
accanto a lei.
“Sei
tu? Questo è tutto tuo?” domandò Usagi stupita all’inverosimile
“Esatto,
questo negozio è mio”
“Ma
come puoi avere tutte queste bellissime cose?”
“Sono
oggetti che ho raccolto negli anni, andando di città in città, tra i vari
mercatini e negozi di antiquariato”
“Sono
davvero meravigliosi” si complimentò Usagi, sfiorando delle vecchie pipe da
tabacco, poste in ordine di grandezza, dalla più piccola alla più grande.
“Questo
luogo racchiude una storia, ogni singolo oggetto ha un suo passato, guarda lei
ad esempio” disse afferrando la bambola di porcellana seduta su una sedia della
sua stessa grandezza “questa bambola l’ho trovata in un mercatino ai Giardini Tuileries,
Parigi”
“Parigi!!!”
ripeté affascinata Usagi, rapita già da quella storia così magica o che forse semplicemente
era lui a rendere tale “Si, Parigi. La donna che me l’ha venduta mi ha
raccontato che risale addirittura a poco dopo
“Che
storia triste…”
“Si.
Ma come vedi tutto ha una storia. Ora chiunque prenderà uno di questi oggetti
avrà la possibilità di scrivere il loro futuro”
“Sono
talmente belli è difficile decidere”
“Io
non ho fretta, scegli con calma”
“In
che senso? Stai dicendo che…”
“Sto
dicendo che puoi prendere ciò che ti serve per i regali che ti mancano”
“Ma
sono pezzi di antiquariato, varranno una fortuna non ho abbastanza soldi”
“Non
mi sembra di aver parlato di soldi”.
Usagi
rimase di stucco. Le stava davvero dando la possibilità di prendere ciò che
voleva a costo zero? Tutta la fatica per collezionare quei pezzi di passato per
poi darli via così, come poteva essere possibile? Le domande erano davvero
infinte.
“Seiya
io non posso accettare, davvero”
“Usagi
non farti problemi, prendi ciò che ti serve e fai presto ho una gran fame!”.
Usagi
sorrise, e in quel sorriso c’era molto più di un semplice grazie. Come poteva
farle battere il cuore così velocemente proprio non riusciva a capirlo.
Osservò
tutto con attenzione minuziosa. Trovò un simpatico candelabro per la mamma,
amava mettere le candele a tavola per le occasioni speciali, mentre quei
simpatici soldatini decise di prenderli per suo fratello e infine accartocciò
un whisky di vecchia data per il papà, faceva sempre bella figura quando
offriva un bicchierino dalla sua riserva personale ai clienti più importanti.
Degli originali orecchini attirarono la sua attenzione. Erano piccoli ed ognuno
di loro rappresentava un dolce, a forma di crostata, brioche, biscotto con
stelle zuccherate sopra. Ne prese quattro paia per le sue amiche più strette,
facendosi aiutare da Seiya con dei sacchettini rosso trasparente per
impacchettarli.
“Non
mi sembra vero di aver trovato un pensiero per tutti”
“Ora
possiamo andare a mangiare?”
“Sto
morendo di fame” rispose, mettendo ogni regalo in un ampia busta con chiusura
all’apice così da nascondere i fiocchi colorati per quando sarebbe rientrata a
casa. E in quel momento l’idea non l’alettava per niente.
Stava
uscendo dal negozio quando si fermò di scatto. Tornò indietro prendendo in
braccio quell’antica bambola di porcellana. Seiya la guardava con occhi
talmente colmi di tutto che nemmeno un granello di polvere vi avrebbe trovato
spazio.
“Isabelle…mi
dispiace lasciarla qui”
“Non
c’è motivo che rimanga sola” rispose lui, ponendole il cappello sulla testa
“portala via con te”. Usagi alzò lo sguardo, sprofondando per la prima volta
nel suo “Grazie” rispose, stringendola ancora di più.
Uscirono
dalla Città dei Sogni, inoltrandosi nel boschetto davanti a loro dall’altra
parte della strada. Gli alberi attorno erano tutti sfumati di uno strano marron
glacè e di un forte arancio, le stradine sterrate contribuivano a far perdere
loro spesso l’equilibrio, costringendoli ogni tanto ad aggrapparsi l’uno
all’altro. Il vento soffiava leggerissimo alzando le molte foglie prigioniere
della spoglia terra sembrando che
volessero volteggiarli intorno.
“Dove
mi stai portando?” domandò Usagi, chiedendo a se stessa che cosa dovesse ancora
aspettarsi,
“Ci
siamo quasi” rispose lui, portandola in un’altra stretta via dove non c’era
altro che la natura, quella natura contenuta, che la città riusciva ad offrire.
Sentendone
il profumo da lontano, Usagi capì all’istante quale fosse la sua idea. Il
banchetto mobile con la tendina bianca a strisce rosse stava girando le sue
prime crepes alla nutella.
“Ci
vogliono proprio quelle crepes!”
“Un
po’ pesante come pranzo, non trovi?” disse Usagi, celando tuttavia la sua
natura irrefrenabilmente golosa.
“Abbiamo
bisogno di energie!” esclamò lui, passandole una calda crepes con zucchero a
velo.
“Energie
per cosa?” chiese, quasi preoccupata della risposta.
“Per
pattinare” sorrise lui, prendendola per il braccio e trascinandola poco
distante da la.
La
pista da pattinaggio era perfettamente levigata, i cittadini erano talmente
presi dagli ultimi acquisti da dimenticarsi della sua presenza, lasciandola
così, sola e dall’aspetto triste perché nessuno si divertiva nel danzarvi
sopra.
Seiya
aiutò Usagi ad allacciarsi i pattini, proprio non riusciva a far combaciare i
lacci nel loro posto, forse per sbadataggine, forse per nervosismo, nemmeno lei
ne era sicura. Ogni volta che le dita di Seiya sfioravano le sue qualcosa di
sconosciuto cresceva in lei e quel non sapere cosa fosse la terrorizzava. Ma
soprattutto ciò che la spaventava di più era che qualunque cosa fosse non
l’aveva mai provata prima. Nemmeno con il suo Mamoru.
“Bene
sei pronta!” esclamò felice Seiya, alzandosi da terra dopo averle perfettamente
allacciato i pattini “andiamo?” chiese, offrendogli la sua mano.
Usagi
tentennò. Il timore di cadere e fare una brutta figura era tanto. Il timore di
afferrargli la mano e provare di nuovo quella sensazione era anche di più.
Tuttavia era una bella sensazione. Gliela strinse, alzandosi a sua volta.
“Non
so pattinare” disse, volendo mettere le mani avanti nell’ipotesi di una caduta,
più certa che probabile
“Non preoccuparti”
rispose lui dolcemente “tieniti a me, ti insegno io! E poi non c’è nessuno, al
massimo cadiamo in due senza che ci vedano”.
Il
modo che aveva per risolvere qualsiasi problema, qualsiasi pensiero, era
davvero incredibile.
Camminando
in diagonale sul tappeto di moquette, raggiunsero la pista di ghiaccio.
Tenendosi stretto alle sbarre coperte da un lungo tendone giallo che la
circodavano, Seiya mise finalmente i piedi sul liscio ghiaccio, aiutando Usagi
a salire dopo di lui. Le gambe le tremavano vistosamente, non riusciva a
trovare l’equilibrio ma si sforzava di farlo al meglio.
“E’
più semplice di quanto pensi. Prima mandi avanti un piede, poi l’altro ancora”
“Prima
uno, poi l’altro” disse Usagi, mentre si muoveva goffamente sul ghiaccio, sempre
tenendosi ben attaccata al cappotto di Seiya che faceva i suoi stessi lenti
passi per non lasciarla indietro “Proprio così, brava!” si complimentò lui,
come fanno un po’ tutti quando cercano di infondere coraggio e fiducia in se
stessi.
“Adesso
rimani ferma qui, io vado un po’ avanti e tu mi raggiungi”
“Da
sola? Non posso farcela!”
“Si
che puoi, ne sono certo!” rispose, allontanandosi da lei e pattinando
all’indietro per non toglierle gli occhi di dosso. Si fermò a una decina di
metri di distanza, formando un piccolo cerchio con la punta d’acciaio dei
pattini.
“Io
ti aspetto qui!” sorrise, tenendo le braccia aperte come ad invitarla ad
avvicinarsi a lui.
Usagi
inspirò profondamente, voleva farcela, non voleva fare una brutta figura
davanti a lui, non pensava le importasse così tanto ma era cosi.
Iniziò
lentamente, prima un passo, poi l’altro, tenendo le braccia distese per tenersi
in equilibrio e la schiena leggermente curva. Uno, due, tre, quattro passi. Un
sorriso le si stampò sul viso. Ce la stava facendo, da sola. Seiya era sempre
più vicino e lei era sempre più sicura. Allungò la gamba per slanciarsi un po’
di più e dare velocità a quella andatura stile bradipo.
Era
quasi arrivata a destinazione quando scivolò con un piede, cadendo in avanti.
Ma non toccò mai la superficie ghiacciata.
Seiya
l’afferrò all’istante prima che potesse capitombolare a terra, prendendola per
entrambe le braccia. La tirò su, aiutandola a rimettersi con la schiena dritta
e tenendola stretta a se. Non erano mai stati così vicini da quando si erano
incontrati quella mattina di quello stesso giorno.
Si
fissarono negli occhi senza fiatare, la brutta figura nonostante l’impegno
l’aveva fatta comunque ma non era quello a cui stavano pensando in quel
momento. I loro occhi si stavano perdendo in domande a cui non riuscivano dare
risposta, in pensieri che condividevano senza averne idea.
“A
cosa stai pensando?” chiese lui, aspettando quella risposta tanto sconosciuta
quanto sicura.
“Non
riesco a capire” rispose Usagi, aderendo il petto con il suo, sentendo i
battiti del cuore accelerare ad ogni sua parola.
“Cosa?
Cosa non riesci a capire?”
“Non
capisco come può essere successo, come possa sentirmi così legata a te dato che
ci conosciamo da meno di ventiquattro ore” balbettò, non era convinta che
aprirsi in quel modo fosse la cosa giusta ma sentiva che non poteva farne a
meno.
“Forse…”
tentennò, senza concludere la frase. Lo sentiva, lui, sentiva la difficoltà nel
parlarle quando la guardava negli occhi.
“Forse
cosa?” insistette Usagi
“…forse
sono io la tua scorciatoia”.
Usagi
non rispose. Quella frase l’aveva presa d’assalto, quella frase l’aveva
stordita, quella frase l’aveva cambiata.
“Domani
è Natale” disse, senza inizialmente avere un nesso logico con quello che le
aveva detto “domani mi siederò a tavola con la mia famiglia, con i miei
amici…con il mio ragazzo. E’ così che deve essere, non ci sono strade
alternative. È così che deve essere”
“Usagi”
rispose lui, togliendole lentamente le mani dai fianchi ed appoggiandole sulle
sue guance cremisi “Non mi interessa cosa accadrà domani. Viviamo oggi”.
Non
le diede il tempo di fiatare. Le sue labbra già aderivano su quelle di Usagi
ancor prima che potesse dire qualsiasi cosa. Seiya le stringeva il viso con le
mani gelide che s’intorpidirono con il caldo eccezionale delle guance di Usagi
che rimase immobile, fino a socchiudere gli occhi, portare le braccia dietro al
collo di Seiya e lasciarsi in quel bacio senza un concreto perché. Sapeva che
stava sbagliando, che non era la cosa giusta da fare ma la voglia di stargli
vicino, la voglia di sentire la sua bocca incrociarsi in quel bacio, era più
grande di qualsiasi altro errore che potesse comprendere. Non riusciva a
staccarsi da lui, non riusciva a lasciarlo andare. Non sentiva niente se non il
desiderio di stare li.
Ma
poi qualcosa sentì. Qualcosa di freddo, qualcosa di piccolo. Lo sentirono
entrambi. Felici di quel bacio si guardarono negli occhi per poi rivolgerli a
cielo vedendo come i pomposi fiocchi di neve scendevano leggeri, circondandoli.
Abbracciati l’uno all’altro, Seiya e Usagi non riuscivano a levare lo sguardo
dal cielo. Il freddo percepito dal tocco dei cristalli innevati era compensato
dal calore dei loro corpi uniti.
L’atmosfera
era a dir poco perfetta, Usagi vedeva finalmente la neve che aveva desiderato,
che aveva sognato per quel Natale, che in cuor suo aveva previsto. Ciò che non
aveva previsto era stare abbracciata a quello che in ogni caso era
uno…sconosciuto. Già.
Aveva
passato l’intera giornata insieme a lui, lo aveva seguito, abbracciato…baciato.
Aveva baciato un ragazzo appena incontrato. Perché?
In
pochi secondi quell’atmosfera idilliaca si tramutò in un incubo. La razionalità
prese il sopravvento, non guardò più la neve scendere dal cielo, guardò lui,
guardò le sue mani attorno al suo collo, guardò la vicinanza che c’era fra i
loro visi, si guardò dentro, guardò se stessa e non si riconobbe, esattamente
come non conosceva lui.
Indietreggiò,
lasciandolo li, attonito dal suo comportamento, senza riuscir a capire cosa
stesse succedendo, perché avesse rotto quell’attimo di pura magia.
“Io…io
non posso” farfugliò Usagi, cercando di uscire dalla pista da pattinaggio “non
posso mi dispiace”
“Usagi,
aspetta!” urlò Seiya rincorrendola, ma Usagi si era già slacciata frettolosamente
i pattini.
“Usagi,
aspetta per favore!!” insistette Seiya
“Seiya
no!! E’ stato uno sbaglio, tutto quanto, io non dovrei nemmeno essere qui!”
“Non
è stato uno sbaglio! E se credi nel destino non pensi che sia stato proprio il
fato a farci incontrare? Non credi che non fosse una semplice coincidenza che
fosse rimasto un solo cd in quello scaffale?”.
Usagi
indugiò, era nella piena confusione.
Il
rintocco del solito orologio le fece venire i brividi. Controllò l’ora, aveva
completamente perso la cognizione del tempo. Le
“E’
tardissimo, io devo andare, devo andare!!” disse, dandogli le spalle
“Ti
prego, dimmi che ti rivedrò…” disse Seiya, fermandola per il polso “posso
rivederti?”.
Usagi
lo fissò, senza però rispondere. Si sciolse dalla presa ed iniziò a camminare
freneticamente. Poi si fermò, guardando tutti i pacchetti regalo chiusi nella
borsa, regali che grazie a lui non avrebbe mai potuto fare.
Tornò
indietro, trovandolo ancora li, inamovibile nella sua delusione. Si avvicinò,
dandogli un esile bacio sulla guancia “Buon Natale, Seiya” disse, riprendendo
la sua corsa senza però tornare indietro questa volta.
“Buon
Natale, Usagi” rispose lui, vedendola ormai lontana.
Usagi
corse, pensando e ripensando a quello che era successo, a quanto aveva vissuto in
quella giornata, più di quanto avesse fatto nella sua vita fin’ora. Entro in
casa velocemente, sbattendo le scarpe all’entrata già inzuppatesi con la neve
fresca, per poi chiudersi in camera, distendersi sul pavimento e non muoversi
più da li.
“Usagi!
Usagi! Ti muovi a scendere!”. Usagi si alzò di colpo. Erano passate due ore dal
suo ritorno a casa ma quel colpo di sonno improvviso che l’aveva rapita portandola
nei posti più remoti dei sogni, era passato in un lampo.
Si
alzò da terra, risistemandosi i codini scompigliati e dandosi una pulita in
fretta e furia. Scese le scale, raggiungendo i suoi famigliari in salotto, già
seduti attorno ad una tavola imbandita di qualsiasi pietanza con al centro un
ampio centro tavola intrecciato con pezzi di legno e bacche rosse che
richiamavano i colori più puri del Natale.
Si
sedette al suo posto, l’unico rimasto vuoto, sforzando un sorriso come poteva. Non
era difficile capire come i suoi pensieri fossero rivolti altrove. Distribuite
le portate sui piatti perfettamente bianchi, Usagi si preparò ad iniziare la
cena della Vigilia ma non fece in tempo a dare un morso alla primissima tartina
che il campanello suonò, interrompendola. Non aveva la minima intenzione di
alzarsi per andare a vedere chi fosse ma tutti guardavano solo lei,
costringendola quasi implicitamente.
Sospirò
e dopo aver strisciato la sedia rumorosamente, tanto per farne capire lo
sforzo, andò alla porta, aprendola all’istante. Ma non c’era nessuno davanti a
lei, solo il freddo che entrava svelto ed indesiderato. Fece qualche passo
avanti per guardarsi intorno e capire se fosse uno scherzo o meno. Ma quando
urtò qualcosa col piede capì che era tutt’altro.
S’inginocchiò,
raccogliendo il cd posto all’entrata. Il cuore iniziò a palpitare celermente,
il respiro a mala pena l’aiutava a stare in piedi. Guardò quel cd, quello che
voleva tanto, quello per cui si era battuta per tutta la giornata. Poi guardò a
destra e a sinistra, lasciando cadere il cd a terra. Non lo voleva più. Ciò che
voleva aveva un’importanza molto più grande di quanto s’aspettasse.
Prese
il cappotto appeso dietro alla porta ed uscì, lasciando perdere ciò che
avrebbero pensato i suoi genitori non vedendola tornare. La razionalità l’aveva
abbandonata. Ora c’era solo il cuore.
Corse
in fretta verso la strada principale, sapeva che non poteva essere andato
troppo lontano.
Poi
lo vide. Camminava solo a testa bassa e mani dentro le tasche come un uomo che
ha perso tutto, come un uomo che si è arreso, che non ha più speranze.
Non
servì chiamarlo. Lui si fermò, percependo chissà cosa dentro di lui, per poi
voltarsi e vederla li, davanti, a pochi metri di distanza.
Non
dissero nulla, non fecero nulla, rimasero solo li, fermi, a guardarsi. Fra di
loro non c’era altro che il silenzio, un eterno silenzio circondato dai rumori cittadini
delle auto e dalle campanelle appese alle porte dei negozi che finalmente si
accingevano a chiudersi per un lungo riposo. Ma quei rumori loro non li
sentivano, si erano perfettamente isolati nel silenzio delle loro parole che
venivano trasmesse con il semplice sguardo.
Non
serviva parlare, non serviva fare alcun gesto, si stavano capendo già così, si
sentivano già così, come non si erano mai sentiti in tutta la giornata. In quel
momento stavano ascoltando qualcosa che va al di là di qualsiasi frase detta,
al di là di qualsiasi cenno inviato. Si stavano dicendo tutto ciò che c’era da
dire.
E nel
silenzio di quel immane momento, Usagi lo fissò.
E nel
silenzio di quel giorno senza tempo, Seiya la fissò.
E nel
silenzio di quell’attimo di vita…Usagi rispose.
The end