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Autore: Yoshiko    09/08/2006    14 recensioni
Come può, una semplice partita di calcio, un incontro amichevole fra la nazionale giapponese e i migliori giocatori provenienti da tutte le squadre del mondo, trasformarsi in una questione di vita o di morte? Con un capitano infortunato e la minaccia di un folle, la nazionale nipponica sarà in grado di uscire vittoriosa anche questa volta?
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Leaves Time
Personalmente non amo le introduzioni quindi cercherò di essere breve ed essenziale. Per la trama di questa ff (cioè per l’incontro della sua parte centrale) ho preso spunto dalla partita di uno speciale di Capitan Tsubasa (manga) pubblicato in Giappone. Tutti i personaggi non originali di questa storia sono naturalmente © di Takahashi Yoichi.


1. Un brutto presentimento
 

Pronto per uscire di casa, la borsa già accantonata davanti alla porta, Holly tornò zoppicando ad affacciarsi alla finestra del salotto che dava sul giardino e da cui poteva vedere il vialetto d’ingresso e la strada. Strinse i denti ad ogni passo perché la caviglia gli faceva un male cane. Maledetta partita contro la Corea del Sud! Maledetto portiere che gli era finito sul piede provocandogli una distorsione tanto banale quanto dolorosa. Nonostante i sedativi di cui si era imbottito per tutto il giorno in vista dell’incontro della serata, sentiva fitte lancinanti pulsargli fin nel cervello. Non si era fatto niente di grave, se avesse lasciato il piede a riposo sarebbe guarito in una settimana, ma accidenti quanto faceva male! Dubitava seriamente di riuscire scendere in campo tra poche ore: a parte la sofferenza non proprio sopportabile, avrebbe finito per intralciare gli altri. Sapeva che se avesse giocato i compagni gli avrebbero inevitabilmente passato la palla e lui non era sicuro né di poter correre fino alla porta né tanto meno di segnare. La partita di quella sera era solo un'amichevole e non era importante che vincessero o meno. Forse alla fine avrebbe davvero dato ascolto alla vocina che in un angolo della testa gli vietava tassativamente di entrare in campo.

Del resto anche il mister del Barçelona gli aveva consigliato-ordinato di non peggiorare la situazione della sua preziosa caviglia (testuali parole), indispensabile agli incontri della Lega spagnola. Holly scosse la testa sconsolato e lanciò di nuovo un’occhiata al vialetto. Nonostante tutto aveva cocciutamente preparato la borsa ficcandoci dentro la divisa e tutto l’occorrente. E l’avrebbe portata con sé. Se i medicinali funzionavano (come il dottore gli aveva assicurato quella mattina) avrebbe tentato di entrare in campo per una decina di minuti. Pochi ma buoni, sperava. Si rese conto che nel giro di pochi istanti aveva già rinunciato a dare ascolto alla voce della ragione. La voglia di giocare era troppa, una partita così non sarebbe più ricapitata.
Tornò ad osservare il selciato del vialetto, fin sulla strada. Possibile che Patty non fosse ancora lì? Era uscita da più di un’ora promettendogli che sarebbe tornata in tempo per andare allo stadio con lui e assicurandolo, se non avesse fatto in tempo, che lo avrebbe avvertito e raggiunto più tardi. I giorni che la ragazza poteva passare con la famiglia erano così pochi che ogni volta che tornavano in Giappone cercava stare con i suoi genitori il più possibile. Gettò un’occhiata preoccupata all’orologio. Erano le cinque e mezza e tra pochi istanti Benji e Tom sarebbero passati a prenderli per portarli a Tōkyō. Dove accidenti era finita? Perché non chiamava per avvisarlo che avrebbe tardato?
Si guardò intorno alla ricerca del cellulare, deciso a telefonarle. Lo individuò sul divano, lo recuperò e riesumò il numero di Patty dalle ultime chiamate effettuate. Attese qualche istante e chissà dove il telefonino della ragazza cominciò a squillare. Uno… due… tre… quattro… lo lasciò suonare finché non cadde la linea. Patty non aveva risposto. Che fosse nell’autobus e non l’avesse sentito? Se era in ritardo perché non chiamava? Scosse la testa e decise di riprovare, poi udì una macchina fermarsi davanti casa e i passi di qualcuno sul selciato del vialetto. Suonarono alla porta, Holly interruppe la chiamata e zoppicò fino all’ingresso. Quando aprì si trovò davanti il volto di Tom, l’espressione tesa e preoccupata.
-Siete pronti?- il ragazzo si guardò intorno alla ricerca dell’amica.
-Io sì, ma Patty non è ancora rientrata.-
-Ci raggiunge più tardi?-
-Veramente doveva venire con noi…- Holly scosse la testa -Non capisco che accidenti di fine abbia fatto…-
-Sarà rimasta bloccata nel traffico. C’è un casino tremendo.-
Holly afferrò la borsa, sapendo che non potevano perdere neanche un minuto.
-Ho provato a chiamarla ma al cellulare non risponde.- tirò fuori dalla tasca le chiavi di casa e dopo essersi gettato un’ultima occhiata intorno per controllare di aver spento tutte le luci, chiuse la porta con due mandate e seguì Tom fino alla macchina di Benji.
-Patty non viene?- gli chiese anche lui quando aprì lo sportello e poggiò la borsa a terra, dietro il sedile di Price.
Holly si infilò dentro e richiuse la portiera.
-Sì, doveva venire con noi ma non è ancora rientrata.-
Benji diede gas e partì.
-Ci raggiungerà a Saitama?-
-Immagino di sì.-
-Come sta la caviglia?- si preoccupò Tom seduto davanti.
-Non bene. Mi fa male.-
Benji gli lanciò un’occhiata attraverso lo specchietto retrovisore.
-Non potevi farti dare qualcosa?-
-Ho preso tanta di quella roba che in teoria non dovrei sentir più neanche la gamba…-
-Pensi di giocare?-
-Non lo so. Ne riparleremo allo stadio se e quando gli antidolorifici faranno effetto.- Holly osservò fuori del finestrino le villette di Fujisawa che scorrevano veloci oltre il vetro  -Notizie degli altri?-
-Ho chiamato Julian.- Tom si volse a guardarlo -È già allo stadio.-
-Solo?-
-No, c’è Amy con lui.-
-Nessun altro?-
-Philip e Jenny gironzolano per Tōkyō da stamattina. Ed, Mark e Danny li hanno raggiunti e ora sono tutti a Saitama. Clifford e Sandy dovrebbero arrivare a momenti e Bruce è sulla strada. Degli altri già sai. Chi manca?-
-Patty.- sbuffò Holly frugandosi nelle tasche, riacchiappando il cellulare e componendo il numero della ragazza.
-Sarà scappata con un altro.- buttò lì Benji, fermandosi ad un semaforo e sospirando seccato -Quando si decideranno a fare una superstrada? Non si può perdere tutto questo tempo a girare tra le case!-
Tom alzò gli occhi al cielo, sentendolo ormai lamentarsi già da un po’. Sopportò stoicamente, perché il nervosismo del portiere era più che giustificato. A parte il fatto che era vero, per raggiungere la capitale da Fujisawa ci voleva più di un’ora anche se Tōkyō distava soltanto una quarantina di chilometri, la cosa peggiore era che quella partita organizzata da un mister (Gamo) sempre più megalomane, stava logorando i nervi a tutti da più di due mesi. Più o meno cioè da quando Marshall li aveva avvertiti che avrebbero giocato (il Giappone) contro il resto del mondo. Lì per lì i ragazzi non avevano neanche capito il senso della mail che tutti i componenti della nazionale avevano ricevuto lo stesso giorno e alla stessa ora. Ne era seguito un giro di telefonate nazionali e intercontinentali, scettiche e incredule e alla fine i ragazzi avevano trovato la spiegazione nel comunicato stampa che Gamo, per rispondere a tutti senza dover sprecare una riga di suo, aveva faxato ai convocati. Quando il progetto si era chiarito, finalmente era apparso in tutta la sua assurdità. “Stiamo giocando alla playstation?” era stata la domanda sensata di Mark. E non s’era sbagliato di tanto.
Le regole erano queste: primo, gli unici due giocatori che potevano e dovevano scendere in campo per tutta la durata dell’incontro erano i capitani di entrambe le squadre (Holly non si era ancora infortunato); secondo, le formazioni del primo e del secondo tempo sarebbero state estratte a sorte poco prima dell’inizio dell’incontro tra la selezione dei convocati, la maggior parte dei quali di solito restava in panchina come riserva. Questo aveva reso impossibile organizzare gli schemi di gioco (a che pro allenarsi insieme a questo punto?) per cui era più che certo che gli avversari li avrebbero fatti a pezzi nonostante gli allenamenti massacranti a cui si erano sottoposti ciascuno nella propria squadra. Ma allora (ed era la domanda silenziosa o espressa che era passata sicuramente più di una volta nella mente o sulla bocca dei ragazzi), invece di fare quella terribile figura davanti al resto del mondo, perché non fissare la solita formazione e giocare contro l’Italia, la Francia, il Brasile, la Cina, la Tailandia, la Germania, l’Argentina… insomma, contro tutte le squadre ma una alla volta e con i titolari?
-Quanto pensate che perderemo?- chiese Tom.
Benji si passò una mano sulla guancia.
-Senza Holly e contando che l’estrazione mi impedirà di essere tra i pali durante tutti e due i tempi (sempre che riesca a giocarne uno), se è Warner a sostituirmi per lo meno 6 o 7 a zero. Se è Alan tremo all’idea.-
-Speriamo bene.- sospirò Becker. Poi tornò a voltarsi indietro, per metà impacciato dalla cintura di sicurezza -Holly? Tu che dici?-
Il capitano mise via il cellulare, tanto Patty continuava a non rispondere.
-Se scendo in campo qualche goal vorrei provare a farlo e sono sicuro che Mark è della mia stessa idea. Non mi sembra il caso di partire già sconfitti.-
-Non penserai di vincere?!- il portiere gli dedicò un’occhiata scettica attraverso lo specchietto retrovisore.
-Quanto meno di perdere con dignità.- sbuffò Holly, premendo il tasto invio e portandosi il telefonino all’orecchio.
Benji gli lanciò un’occhiata incuriosita.
-Niente?-
-Niente.-
Fu il cellulare di Tom a squillare facendo sobbalzare Holly sul sedile.
“Tom? Ci siamo tutti…” era Philip “O meglio, mancate voi e gli altri di Fujisawa. Mica li avete visti?”
-No, ma credo che stiano arrivando. Bruce e Paul sono partiti prima di noi. Se non c’è traffico sulla strada tra poco saranno lì e se non lo troviamo neanche noi entro un’ora arriveremo a Saitama.-
“Va bene. A dopo.”
 
Si svegliò intirizzita e indolenzita. Socchiuse gli occhi e non vide niente. Li spalancò e si ritrovò nell’oscurità più completa. Sentiva freddo. Tentò di muoversi ma non ci riuscì. Era riversa su un pavimento gelido e umido, una benda sulla bocca le impediva quasi di respirare, le mani erano serrate dietro la schiena e legate intorno ai polsi, le gambe piegate erano bloccate alle caviglie da una corda che la stringeva troppo. Sentiva qualcuno parlare senza interruzione ma la testa le faceva male e non riusciva a distinguere le parole. Tentò di nuovo di guardarsi intorno. Stavolta riuscì a distinguere qualcosa, strizzando gli occhi poté mettere a fuoco ciò che la circondava. Si volse a fatica e dietro di lei scorse una luce azzurrina che si muoveva, cambiando d’intensità. Impiegò un tempo infinito per capire che stava fissando lo schermo di una televisione e gliene servì ancora un po’ per chiedersi cosa ci facesse una tv, accesa per giunta, in un posto come quello. Ma che posto era quello? Si guardò intorno e non riuscì a capirlo, sembrava soltanto molto freddo e molto buio. E se la tv non aveva nessuna ragione di trovarsi in lì, che ci faceva lei? Come c’era finita? Provò a ricordare ma le fitte alla testa le impedirono di concentrarsi. L’unica cosa che le tornò in mente fu il supermercato in cui era entrata per fare la spesa. Alla cassa c’era troppa gente e per paura di far tardi all’appuntamento con Tom e Benji aveva cambiato idea ed era uscita dopo aver riposto negli scaffali quel poco che aveva preso. Ma poi? Si sforzò di pensare e si rivide raggiungere la fermata dell’autobus. Cos’era successo poi? Non riuscì a riordinare le idee. Il dolore alla testa si fece insopportabile e premette la fronte contro il pavimento freddo in cerca di un po’ di sollievo, gli occhi serrati e le labbra socchiuse nel tentativo di respirare nonostante lo straccio che le copriva la bocca. Ricordò che mentre camminava lungo il marciapiede qualcuno le si era avvicinato chiedendole se fosse la fidanzata di Oliver Hutton. Cercò di sopportare le fitte, il disperato tentativo di ricostruire ciò che le era successo. Aveva risposto di sì senza pensarci un attimo e quando aveva voltato le spalle allo sconosciuto, si era sentita colpire violentemente sulla nuca. In un istante la vista le si era annebbiata e le gambe avevano ceduto senza che potesse farci niente. Aveva tentato di aggrapparsi a qualcosa, poi si era accasciata a terra. Delle voci si erano fatte vicine, le avevano chiesto se si sentisse male. Respirò profondamente un paio di volte, le tempie le pulsavano forte ma la voce di un uomo era stata più chiara delle altre.
-Mia moglie ha spesso dei capogiri… Ora la riporto a casa.-
Moglie? Quelle parole le risuonarono nella testa e lo stesso senso di incredulità che l’aveva attanagliata poco prima tornò a riaffacciarsi. Lei non era la moglie di nessuno e tanto meno di quello sconosciuto. Altre frasi avevano seguito quell’affermazione, ma lei non era stata in grado di replicare.
-È sicuro di non voler chiamare un’ambulanza?- aveva insistito la voce di una donna.
-Grazie, la mia macchina non è lontana.-
Si era sentita sollevare da terra e poi il buio più completo.
Cos’era successo? Chi era quell’uomo? E dove l’aveva portata? Aveva la gola riarsa e il bavaglio che le chiudeva la bocca sapeva di sporco e di polvere. Un conato di vomito la scosse e gli occhi le si riempirono di lacrime. Dov’era Holly?
Sentì il cellulare squillare e sussultò. Riconobbe la propria suoneria e si guardò intorno. Lo vide illuminarsi a pochi metri di distanza, abbandonato a terra sotto la televisione. Con un enorme sforzo cercò di trascinarsi fin là ma dopo neanche un metro lasciò perdere esausta.
Chiuse gli occhi e tornò a riflettere. Aveva visto lo sconosciuto in faccia? No, non ricordava i suoi lineamenti. Non aveva fatto in tempo a voltarsi. Di lui aveva sentito solo la voce che sicuramente non era di qualcuno che conosceva. E allora?
Il telefonino riprese a squillare e di nuovo Patty fece ogni sforzo possibile per riuscire a raggiungerlo. Coordinando i movimenti e strisciando come un verme, gli fu abbastanza vicina da veder comparire il nome di Holly sul display. Lui la stava cercando. Che ore erano? La partita era già cominciata? Era finita? Per quanto tempo era rimasta priva di sensi?
Quando il cellulare smise di suonare e la chiamata si interruppe, poté leggere l’ora. Le sei e tre quarti. Holly era già partito o la stava aspettando a casa? Se non l’aveva fatto e Benji era stato puntuale a quest’ora dovevano essere quasi arrivati a Saitama. Chissà se si era ricordato di prendere tutto… Un altro piccolo sforzo e raggiunse il telefonino. Lo guardò e si chiese per quale motivo avesse faticato tanto per arrivarci. Non soltanto non poteva rispondere, imbavagliata com’era, ma con le mani legate dietro la schiena non sarebbe riuscita neppure ad afferrarlo. Si diede dell’idiota. Appoggiò la fronte contro il suolo umidiccio e sporco e tentò di riprendere fiato. La televisione continuava imperterrita a trasmettere una pubblicità dopo l’altra, ricordando ogni tanto agli spettatori di mantenersi sintonizzati su quel canale poiché tra poco (un’ora e mezza circa) sarebbe stata trasmessa la “spettacolare partita che avrebbe visto scontrarsi (parole del presentatore) la generazione d’oro del calcio giapponese e quella altrettanto dorata di tutto il resto del mondo”.
Patty intravide l’immagine dello stadio di Saitama, davanti al quale i tifosi erano in fila per entrare. Vista la calca dovevano esser lì già da alcune ore. Sospirò. Anche lei avrebbe dovuto essere lì, a vedere quella partita assurda senza nessuna speranza di vittoria, a meno che la nazionale giapponese non si strafacesse prima di scendere in campo. Partita inutile e psicologicamente distruttiva. Da due mesi Holly quasi non riusciva a chiudere occhio e anche se era troppo intelligente per ammetterlo con se stesso e con gli atri, una piccola speranza di successo covava nel suo orgoglio, impedendogli di rassegnarsi ad un risultato che non sarebbe stato per niente favorevole. Questo almeno finché non s’era fatto male. A quel punto ogni speranza era stata infranta. A Bruce e a molti altri la preparazione pre-partita era andata molto meglio: sicuri di perdere, i ragazzi avevano seguito i duri allenamenti con più tranquillità e meno tensione. Si mosse cercando una posizione meno dolorosa e si chiede di nuovo per quale motivo fosse costretta ad assistere alla partita in quel modo e in quel posto orribile. Chi l’aveva portata lì? E soprattutto, perché?
   
 
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