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Autore: Unknown Amos    25/12/2011    4 recensioni
A cosa serve una grande profondità di campo se non c'è un'adeguata profondità di sentimento?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Matthew Bellamy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 [Sì, lo so: e che c'entra 'sta melensaggine dopo la mia precedente "Space Dementia"? Che ne è stato del tuo accanito sentimento da BellDommer? 

No, non rinnego nulla.

Questa storia è nata prima che io riuscissi a comprendere a fondo il sentimento che lega Dom a Matt e viceversa, ho anche pensato di non pubblicare questa mia considerato che ritengo molto più giusto vedere il batterista col mio amato Bellamy piuttosto che unire quest'ultimo con la solita sculatissima fan, ma ho giurato solennemente che "Dicembre  - Masochismo e Sentimento"  avrebbe trovato la luce del sole e così ho fatto.

Amo troppo il nevrastenico personaggio di Blew per cestinarlo così miseramente, mi auguro con tutto il cuore che chi mi conosce per il poco dei miei precedenti scritti ora non provi solo biasimo e disgusto nei miei confronti, sopportatemi fino alla fine.]

Capitolo 1.

A Lui, che mi ha creato. Che può chiamarsi Gesù, Alla, Bhudda, Dio...o con qualsiasi altro appellativo vogliate dargli ma che certamente c'è. Magari non su una nuvoletta da spot Lavazza, ma qualcuno che m'ha portato sul Pianeta Azzurro esiste.

E se magari esaudisse la mia petulante -presumo che oramai per Lui sia così - richiesta sarei molto felice..

 

A me, perché sono certa che sarò abbastanza risoluta da mantenere ciò che mi sono promessa.

 

A i miei tre salvatori. Il mio Nirvana a portata di mano che però, al momento, ha bisogno del mio aiuto.

 

E a Te, che ti stai dimostrando così coraggiosa/o da leggere il mio lavoro perché tutti i tuoi sogni, tuoi desideri nascosti e le tue preghiere segrete si realizzino.

 

Tra l'essere masochisti e l'essere stupidi c'è Matthew Bellamy di mezzo.

 

 

 

Mentre scrivo, il mio occhio viene attratto dal semplice anello infilato al mio dito. È ancora lì, e semplicemente per ribadire quanto io speri in una promessa, quella promessa. Quanto mi nutri nell'illusione e nella speranza che grazie a quell'oggetto mi sia presa una parte di lui. Un passaggio per il suo mondo.

Se in questo momento, cari lettori, mi chiedeste dove si trovi Matthew Bellamy , in che luogo o in che tempo, non saprei dirvelo. Non sono una brava scrittrice, non abbastanza.

Il mio linguaggio, le mie introspezioni non sono abbastanza profonde per spiegarvi bene ogni passaggio, ogni emozione, ogni sfumatura di lui. Ma ci proverò.

Sono solo me stessa. Me stessa e quella piccola parte di Matthew che si è depositata nella parte più profonda del mio cuore.

È per questo che vi chiedo d'esser pazienti, di avere fiducia nel tempo e che tutto verrà svelato.

Se scrivo tutto ciò, mi ripeto continuamente, anche per me ci saranno nuovi cambiamenti, qualcosa di bello o di sbagliato nessuno può dirlo.

Scrivere del mio miracolo potrebbe aiutarmi a portare alla luce spiegazioni alla mia attuale situazione. Variabili inaspettate, soluzioni a sorpresa. Una specie di autoanalisi che mi suggerisca per quale ragione sono sola da cinque ore aspettando che dopo non so quanto tempo d'assenza lui si faccia vivo.

Il destino è ancora lì, ben annodato al mio anulare sotto l'accattivante forma di un anello. L'ennesima catena che mi stritola a lui, maledetto chitarrista.

Il risultato, l'effetto che quest'oggetto ha prodotto, è ancora in evoluzione, pronto a progredirsi in un miliardo di rami, modi e mezzi anche ora che sto scrivendo seduta su una squallida poltroncina di Heatrow.

 

Se mi sopporterete per un po' di tempo scopriremmo insieme ciò che mi attende.

Una storia impone una sinestesia con chi la legge. Uno scambio di conoscenze, amori, glorie e dolori. C'è qui la conoscenza? E la gloria? C'è anche una Storia?

Una storia immensa nella sua sterminata piccolezza. Una storia minuscola di cuori e vari masochismi, di musica e di vita, di ciò che ha fatto – che ho fatto .

 

Non perderò tempo a descrivere accadimenti inutili.

Convivere per tre mesi fianco a fianco con un uomo come lui, come Matt, mi ha insegnato soprattutto che la schiettezza è necessaria.

Potrei scrivere del terrore che mi attanagliava lo stomaco quando varcai la soglia dell'albergo dove i Muse e il loro manager alloggiavano. Descrivere battito per battito l'esplosione di note che mi hanno squartato lo spirito quando ho stretto la sua mano. Le risate di Dominic e il caldo saluto di Chris quando con uno stupefatto concierge alle spalle mi hanno accolta come la loro nuova fotografa. Ma salterò tutto.

 

Vi basti sapere che per qualche meraviglioso miracolo, un pallido pomeriggio di settembre mentre rientravo nello studio fotografico dove lavoravo – la nuova copia di The Resistance in borsa – il mio capo mi comunicò che ero stata scelta per diventare la fotografa ufficiale dei Muse durante il loro tour europeo.

 

Lo avrei preso io quell'incarico ma avevo già dato il mio nome per la campagna pubblicitaria di un noto profumo.” Aveva biascicato il Boss “Se accetti io potrò finalmente far finire il tuo praticantato e tu smetterai di immortalare segnali autostradali per qualche insignificante articolo di Vogue.”

La mia risposta fu uno scontato quanto mugolato “sì”. Verso originale quanto la scelta di iniziare la mia storia dal principio, un'opzione banale ma senz'altro ordinata.

E l'ordine è un elemento di cui ho imparato a fare a meno a mie spese.

Quindi, cari lettori, non sono pronta ad espropriarvi del privilegio di una narrazione cronologicamente corretta.

Per temi e linguaggio non sono io a dover stabilire la mia precisione e abilità, questo starà voi quando mi toglierò l'anello che mi soffoca l'anulare destro e scriverò la parola “Fine” al mio turbolento passato.

 

 

Era l'aeroporto di Heatrow, era fine ottobre e faceva un freddo boia.

Non ricordavo neppure come mi chiamassi, né a che ora avessi l'aereo, né qualsiasi altra nozione che non superasse i quattro caratteri d'impegno e lunghezza.

Exogenesis risuonava suadente nella mia testa dalle tre del mattino e mi bastava quella.

Giusto qualche goccia di caffè, una stilografica ed ero pronta. A parte una fastidiosa nausea attribuibile al nervoso.

Ora esco.”Avevo detto sicura, aprendo la porta di casa.

Ti accompagno” Aveva proposto cauta Tori, la mia infallibile migliore amica.

Non è necessario. Posso farcela anche da sola.”

No non puoi.”

Si che posso.”

Se ti dico che non ci arriveresti non mi invento nulla.”

E perché?”

Perché ad esempio stai entrando nello sgabuzzino delle scope.”

Ah.”

Ah!”

 

Il frastuono della pioggia che si scaglia sul parabrezza, miliardi di goccioline che esplodono contro ogni superficie.

Aprii l'ombrello. Il rumore di una portiera che sbatte, i passi assonnati di Tori. I riccioli rossi che sfidavano l'umidità.

Era bellissima. Come poteva esserlo dopo avermi sopportato in un una nottata di infame insonnia, lo sapeva solo lei.

Io ero irreparabilmente disordinata. La pelle bianca, gli occhi grigi sgranati e una cascata di capelli castani che si infilavano ovunque. Perfettamente improponibile anche attraverso il riflesso del finestrino di una quattroruote sfasciata.

Li taglierò prima o poi.

 

Ora puoi lasciarmi.” Aggiunsi notando che la fedele compagna non accennava a risalire su quel mezzo anfibio per sopravvissuti che chiamavamo Jeep, anzi aveva iniziato a camminare davanti a me brandendo il mio trolley per farsi spazio fra le frotte di viaggiatori bagnati.

Non ci penso proprio. C'è caso che ti imbarcheresti per Brasilia anziché Helsinki.”

Non credo faccia poi tanta differenza. Basta che ci siano loro.” Sospirai. “Ammettilo. Lo fai solo perché vuoi incontrarli.”

NO! Assolutamente! Il mio è un aiuto disinteressato.”

Allora accetta il mio di consiglio senza doppi fini: sali su quel treruote- e -un -pezzetto, vira per Totternam Court Road e sparisci.”

Mi mancherai”

La buttò lì, l'infingarda. Come se separarci per tre mesi per me fosse più facile solamente perché avrei inseguito un noto trio musicale del Devon lungo il vecchio continente.

Anche te, Tori.”

Non metterti nei guai, Blew.”

Ghignai.

Lo sai che non posso promettertelo questo, vero?”

Purtroppo sì.” Tori incurvò le labbra sottili in un sorriso premuroso. “Allora non innamorarti.”

Sono già innamorata.”Sospirai.

Le immagini di una dozzina di concerti, le note di una Manson, i palloni di Hullabaloo, l'azzurro dei suoi occhi. Tutto questo si rincorse dietro quelle parole, un grumo di emozioni separato solo da degli abbaglianti flash che illuminavano il viale dei miei ricordi.

 

Sei cotta dell'artista-Matt, non dell'uomo. Ho sempre ammirato la tua capacità di saper scindere l'arte dalla vita di chi la fa... non mi cascare proprio dove sei ferrata. Puoi promettermelo?”

Risi, amara.

Anche su questo sai che non ne sarò capace.”

Ti farai male, molto male.”

Non mi stava biasimando,Tori. La sua era solo una constatazione.

Sono masochista, sai anche questo.”

Allora divertiti, fottutissima testa calda” Concluse con un nuovo sorriso abbracciandomi.“Divertiti come puoi. Basta che uno di questi giorni non mi chiamino per riconoscere il tuo cadavere.”

Su questo posso darti più garanzie.”

Sai come fare a trovarmi, ora vado.” Disse rimanendo ferma immobile fra le mie braccia.

Vai.”

Vado...”

Fece qualche passo indietro.

Coraggio!”

Divertiti!” Ripeté ululando prima di venir investita da una di quegli eserciti di turisti asiatici che ci sono ovunque e sono il modo migliore per sfumare una scena.

 

 

Ora stava a me.

Mi appoggiai stanca alla porta.

Una lieve condensa appannò il cristallo.

Divertiti.

Oh sì, se mi sarei divertita.

 

 

Oltre la porta, in una di quelle sale d'attesa post-check in, c'era Matt. Seduto occupando due allegre poltroncine di plastica rossa, si divertiva a fissare una pianta rampicante posata in un angolo.

Chissà cosa vedeva. Di sicuro non il vegetale semi-appassito che guardavo io.

 

Restai così. Appesa al vetro.

Sembrava di essere finita dentro una delle foto che riempivano le pareti della mia stanza. Una luce biancastra alle spalle, una situazione piuttosto banale e poi lui, Matthew. Accovacciato in lontananza mentre bucava un edera con lo sguardo azzurrino.

Non resistetti alla deformazione professionale e ancor prima di entrare estrassi la fida reflex dalla custodia.

 

Nel mentre mi sentii chiamare. Una voce oscena, strascicata.

Orribile per quel suo modo di estrarmi a forza dalla pacata aura di beatitudine nella quale stavo annegando piacevolmente.

Blew!”

E il proprietario – se possibile – era ancora peggio.

Aaron.” Deglutii gelida.

Un metro e novantacinque di pura boria inscatolata da un fisico statuario e da due occhi neri come una pozza di petrolio.

Che ci fai tu qui?”

Quello che cazzo mi pare.” Carino, educato come sempre. “Potrei farti la stessa domanda.”

Otterresti la stessa risposta.”

 

Credo che quella fosse la prima volta che avevamo una conversazione di più di tre battute che restasse nei limiti dell'umana convivenza. Né violenza, né sesso.

Sei in partenza?” Chiese tagliando a metà la distanza che ci separava.

No. Mi piace andare negli aeroporti prima che il sole sorga.”

Vedo che il sarcasmo non l'hai perso...”

Indietreggiai automaticamente quando fece aderire la sua mano proprio sopra la mia spalla.

Lasciami andare.” Intimai.

...Vediamo se anche una tua certa piacevole abilità non si è consumata col tempo...”

Il suo fiato caldo mi sbatteva in faccia con poca delicatezza.

Lasciami!” Ripetei mentre tiravo pugni su ogni singola parte del suo corpo che ora si era fatta particolarmente vicina.

Sai cosa? Ci ho ripensato. Torniamo insieme.”

Schiantò un concetto così drammaticamente complesso e tanto sublime con una facilità tale che mi diede i brividi per il disgusto.

Vaffanculo Aaron.” Così, di cuore.

Sai... - mi schiacciò completamente contro il vetro freddo - ...Ti voglio.” Strisciò su quelle due parole lasciando una scia di libido su ogni superficie nell'arco di sei chilometri.

Mi fai schifo!” Gridai mentre provavo a tirargli un pugno sul naso di una perfezione innaturale. Ma con uno scatto felino mi bloccò entrambi i polsi stringendoli fra le due pinze ruvide che si ritrovava per mani.

Un anno e mezzo fa mi dicevi un altro tipo di cosette...”

Ero totalmente paralizzata. Il suo bollore che mi inchiodava lì fra il cristallo e la sua stazza.

Digrignai i denti pronta a qualsiasi cosa mentre lui provava ad avventarsi sulla mia bocca.

Chiusi gli occhi. Il terrore dell'ignoto che mi stava per soffocare.

 

Cosa succede qui?”

Aaron si staccò immediatamente.

Con i polsi che mi battevano all'impazzata mi voltai verso il mio prode salvatore e mai mi sarei aspettata di andarmi a scontrare con l'azzurro metallico dei suoi occhi.

Matt...?” Mormorai attonita.

Non era decisamente la situazione più adatta ma trattenni a stento un sorriso mentre mi prendevo la concessione di chiamarlo per nome. La felicità nel sapere che per una volta lo chiamavo sicura che mi avrebbe sentito, mi avrebbe guardato e rivolto uno dei suoi sorrisi sbiechi.

Subito mi raggiunse. Inaspettatamente.

E tu chi saresti, nanetto?” Abbaiò Aaron tentando di ricomporsi.

Matthew Bellamy” La maschera dell'aplomb.

Il gorilla restò spiazzato per qualche istante, il tempo di assimilare quanto appena ascoltato e sul volto vuoto si dipinse un espressione mista fra la sorpresa e la rabbia folle.

Blew, mi stai dicendo che tu mi hai lasciato per questo?”

Sentii ridere Matt accanto a me. Inspiegabile.

Non ho detto nulla. Non sto con Matt, lavoro per lui.”

Sei diventata una prostituta?”

Lo fulminai con lo sguardo e tanto per fare qualcosa mi accesi una sigaretta soffiandogli di dileguarsi in meno tempo possibile.

Modera i termini, amico.”

Se non fossi stata così intenta a trattenermi dallo schiaffeggiare Aaron e temere per l'incolumità del chitarrista avrei riso per lo strano tono che aveva usato. Pareva la versione umanizzata di Bugs Bunny.

Aaron, gira i tacchi.”

E perché dovrei?”

Perché non ho più nulla da dirti da almeno due settimane dopo ventiquattro mesi di litigi.”

Iniziare a spiattellare avvenimenti privati nel bel mezzo della sala d'aspetto di un aeroporto non era proprio il genere di cosa che mi piaceva fare. Se avessi potuto avrei rinchiuso il bruto in uno stanzino, avrei gettato la chiave e poi mi sarei sotterrata.

Avevo un po' di questioni in sospeso con quel ragazzo ma non era quello il momento per discuterne. Io stavo partendo.

Una fuga mascherata da obblighi professionali.

 

Non ero una persona da piazzata plateale. Preferivo silenzi gelidi ed eventuali conseguenti cadaveri pugnalati alle spalle.

Preferivo restare immobile mentre vedevo le crepe che mangiavano la solidità di una qualsiasi cosa. Non facevo nulla né per provare ad impedire un prevedibile crollo né per scappare.

Mentre i muri si accartocciavano rimanevo impassibile. Gli occhi che vedevano solo i piacevoli ricordi, troppo miopi per rendersi conto di quello che stava per accadere. E così capitava che concludessi una relazione senza nemmeno capire il vero motivo. E nella mia testa si accalcavano tante domande fasulle che si chiedevano come era possibile che tutto fosse andato distrutto; era una così bella casa, dov'erano le crepe?

Ma non puoi prevedere il crollo di un edificio studiando l'arredamento.

 

Con Aaron non fu diverso da chi lo aveva preceduto. I primi dodici mesi si erano rincorsi con la melensa allegria di uno spot di cioccolatini e poi boh. Quello che era successo ancora oggi non mi è chiaro. Presumo che mi avesse tradito, che i suoi modi di una violenza estrema – peculiarità di cui m'ero prefigurata di combattere – alla fine avessero sovrastato l'attrazione che esercitava su di me.

A quel punto, quando l'intonaco aveva iniziato a venir giù che bastava uno sguardo, avevo deciso di lasciarlo.

Meglio tardi che mai. Fu il commento di Tori mentre evitavo di venir travolta da una frana di macerie.

Una feticista dell'ultimo minuto, ecco cos'ero.

 

Ma se non sbaglio sabato non m'è parso di aver litigato.”

 

Sabato. Che giorno era sabato?

 

Rimozione. Fenomeno psichico che comporta un allontanamento dalla coscienza di desideri, ricordi, pensieri e qualsiasi altra cosa che l'Io consideri dolorosi.

Desumo che - avendo preferito Jung a Freud – il mio tentativo di sotterrare gli avvenimenti risalenti a poco meno di una settimana prima mi potrebbe essere stato dettato anche da qualche colpa non mia. Magari avevo avuto qualche antenato che si era scopato/a il suo compagno senza alcuna motivazione logica e,dopo avergli ribadito la separazione, aveva rimosso il tutto.

Erano – sicuramente – tutti errori commessi da certi avi o dalla persona che ero nella mia vita precedente o anche colpa della Storia e della società, magari.

Inconscio collettivo, lo chiamano.

Scarica barile, lo definisco.

 

Mi sono già espressa su questa faccenda e non voglio tornare indietro.”

 

Evitai di guardare Matt.

Le ironie della vita: era riuscito ad infilarsi nell'unico aspetto della mia esistenza che non gli apparteneva.

Sì, perché per il resto: la fotografia, la scrittura, vari e sofferti pensieri, preghiere dimenticate... erano tutti – in un modo o nell'altro – collegati a lui.

O per lo meno alla parte che mi ero immaginata.

Parte” di egli che comprendeva ciò che ero riuscita ad interpretare attraverso i suoi occhi o tra le pagine della biografia, oppure fra i testi delle sue canzoni e fra le corde delle sue numerose Manson. Tutto questo confluiva in una sinestesia di pensieri discordanti ed accordi crescenti che andava a costruire il mio Matthew Bellamy.

Se poi il modello di cui ero follemente innamorata corrispondesse in effetti al soggetto reale, in quel momento, alle cinque di mattina, dopo essere scappata da una espansiva avanches di Aaron, non potevo saperlo.

Mi limitavo ad immaginare. Come d'altronde avevo sempre fatto.

 

Sei una gran puttana.” Sibilò prima di aver mandato in quel posto un basito Matt e di essersi imbucato in non so quale corridoio del terminal.

A volte posso sembrarlo, lo ammetto.” Chiosai amara.

 

Chi diamine era quello?”

Il mio ex.”

Sputai quelle parole mentre mi accartocciavo su una seggiola.

E frequenti certa gente?”

Non accadrà mai più.”

 

Se l'avessi potuto sapere. Se potessi aver avuto la possibilità di guardare quello che di lì a poco mi sarebbe accaduto gli avrei dato un'altra risposta.

Se avessi saputo che la violenza di Aaron era pericolosa quanto una molecola di vetro rotto paragonata all'iperbole di irrazionalità che inondava Matt, non sarei neppure salita su quell'aereo.

 

O magari sì, forse persino conoscendo prima ciò che mi poteva accadere avrei accettato quel compito.

 

Ad onor del vero, lo ammetto: nemmeno la certezza della morte sarebbe riuscita ad impedirmi di uscire quella notte, salutare Tori e lasciarmi affogare da Matthew Bellamy in un maremoto di incomprensione, lotta, musica, e amore.

 

Amore, poi.

Scrivo questa parola e subito si evocheranno nelle vostre menti stormi di colombe, baci rubati prima di un decollo, risse terminate con del sesso acrobatico.

Magari anche dediche, concerti personali, frasi ad effetto, duelli fra spasimanti.

Un'overdose di cliché atta solo a dipingere questo sentimento come l'apoteosi della libertà e di quella dolcezza che è solita mescolarsi insieme alla più concreta agitazione.

 

Se questo è l'Amore allora posso dirvi subito che non c'è mai stato fra me e Matt, né mai ci sarà conoscendolo. Conoscendomi.

Non c'è libertà negli occhi innamorati di Matt quando ti guarda.

Il sentimento che può unirti a lui non è rosso ma blu – come i suoi occhi – che sfuma drammaticamente nel nero pece.

Non ci sono aeroporti né decolli, solo ritardi, partenze annullate e, se va bene, turbolenze. Non ci sono canzoni.

C'è solo una catena, una sublime corda che stritola ogni giorno di più. Ogni secondo un anello si aggiunge a questa dandoti l'illusione di essere liberà quando in realtà sei solo sotto un guinzaglio piuttosto lungo.

Ma non sono nessuno per negare che ci sia della bellezza intrinseca in tutto ciò, non sono nessuno per negare che non ci sia felicità, che io non abbia mai provato serenità e piacere con lui.

Sarei una bugiarda se mentissi su questo ed infatti non lo faccio; sono solita illudere me stessa, non gli altri. Come quella mattina d'ottobre quando sapevo tutto questo e salii comunque su quel maledetto Air-Bus.

Sono masochista, mica scema.

 

Pink Ego Box.


Ebbene sì, se siete arrivati a leggere fino a qui vuol dire che non sono poi così pessima, o almeno mi auguro.

Questo è solo il primo capitolo della mia prima long che mi auguro terminerò entro l'uscita del loro nuovo neonato (Ottobre 2012) è divertente pensare che questo scritto che desumo infrangerà tutti e dodici i comandamenti sia nato come suggello ad una preghiera.

Ho un rapporto piuttosto conflittuale con la religione, il solo parlarne mi crea una catena di sensi di colpa e qualche altro strano giochetto psicotico. Credo di rivolgermi al Creatore solo quando mi sento completamente abbandonata e impaurita.

Secondo ciò che mi hanno detto in cinque anni di scuola cattolica (che mi ha procurato solo danni) in teoria un credente dovrebbe anche parlare al Signore per ringraziarlo. (Una mia vecchia “maestra” -abusiamo del termine, va...- mi disse anche che Dio non ha bisogno di noi, ma questa è un'altra storia).

Quindi, tornando al discorso principale, in teoria il mio comportamento sarebbe errato e anche il fatto che non mi confessi da parecchio tempo costituisce un piccolo fattore di probabile indisponenza del Signore nei miei confronti.

Ma perché vi sto parlando dei miei problemi spirituali, vi chiederete voi?

Uno perché sono abituata a scrivere tutti i miei deliri mentali (può aiutare, dicunt), due perché mi sono riproposta di scrivere questa storia a mo' di fioretto in cambio che il Dio che ci ha creato (che voi potrete identificare con l'entità sovrannaturale che più trovate giusta per voi) esaudisca una mia preghiera.

Per “scaramanzia” (religione e scaramanzia?... ve l'ho detto che è una relazione complessa! Nda) preferisco non svelarla, ma tranquillizzatevi non voglio né una Mercedes Benz, né una TV a colori (sì, è una citazione).

Quindi questa storia nasce prima da un'idea che ha viaggiato spesso per la mia mente e poi diventa una promessa, un qualcosa in più che spero mi leghi con Chi mi ha spedito qui in Terra a deliziarvi/ tormentarmi con le mie nevrotiche storie.

E così verso le undici e dieci di notte del 14/09/2011 mi sono riproposta -in un luogo non proprio “spirituale”- che avrei pubblicato questa storia, conclusa o no, sotto dicembre.

Spero, cari lettori e care lettrici, che non vi siate scioccati da questo inusuale primo capitolo e che vogliate andare avanti nella lettura.

So bene che questo (Long Fic col pairing Nuovo Personaggio/Membro della band) non è un genere particolarmnte apprezzato in questa sezione ma spero ugualmente che gradirete anche se io stessa sono piuttosto scettica.

Disgraziatamente (o per fortuna) da quando ho pensato a questa storia, ho iniziato a sciverla, l'ho ricorretta dodici milioni di volte ad oggi è passato un quarto di secolo e sono musericamente cambiata,  fate vobis.


Cheers,

Pau.


   
 
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