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Autore: sakura_hikaru    26/12/2011    1 recensioni
Prima classificata al contest "Se lo dice lui..." indetto nel forum di Efp.
Il primo ... e il secondo, nonché il terzo incontro tra Aiolia e Seiya, in terra di Grecia. Non esattamente un inizio esaltante. Soprattutto quando, a far da galeotti, sono i ricordi.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Leo Aiolia, Pegasus Seiya
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo della storia: Forget me not
Nickname sul forum: Sakurachan79
Nickname su EFP: sakura_hikaru
Fandom: Saint Seiya
Frase scelta: “Quando un uomo ha grossi problemi dovrebbe rivolgersi a un bambino; sono loro, in un modo o nell’altro, a possedere il sogno e la libertà.” (Dostoevskij)
Rating: G
Genere: Missing moment, angst, malinconico
Avvertimenti: Uh, proprio nessuno.
Introduzione ed eventuali note dell'autore: è tutto nato per caso, come al solito. L'idea iniziale era totalmente diversa. Poi, sotto la doccia, è venuto fuori questo. Il primo ... e il secondo, nonché il terzo incontro tra Aiolia e Seiya, in terra di Grecia. Non esattamente un inizio esaltante. Soprattutto quando, a far da galeotti, sono i ricordi.

 

 

Se ne stava appollaiato su uno sperone di roccia, a picco sul mare e graffiato da un vento secco e fresco, troppo fresco anche per le correnti del Mediterraneo: gambe strette, quasi fuse con il suo stesso corpicino, viso affondato in ginocchia spigolose e costellate di sbucciature, il bambino tremava, affondava i grandi occhi castani in un mare scuro come il metallo e tirava su col naso, rumorosamente e teneramente come solo i bambini sanno fare.

Che fosse scappato lo si poteva intuire dall'ora del giorno e da una certa irrequietezza nel battito del suo cuore, guardingo e agitato come un gattino nel proprio nascondiglio: le lacrime, quelle, si erano asciugate da tempo per colpa del vento. E si erano forse prosciugate perché, alla sua tenera età, ne aveva forse versate troppe per troppi ingiusti motivi.

E il vento soffiava, ancora, inesorabile, e portava la voce del mare ed il suo profumo di antica salsedine e tanti, troppi segreti celati tra anfratti e fondali ancora inesplorati, troppe storie, troppi destini a lui legati.

Non c'era nulla di giusto, nulla. Lui si trovava lì, in quel posto lontano da casa – ma dov'era rimasta casa? – e non c'era nessuno con lui. E la sua sensei ... le assomigliava. Così tanto. Ma era così diversa. Era severa e seria e non ammetteva mai scuse. E non smetteva mai di rimproverarlo per ogni cosa, anche quando non si stava allenando.

Però era così simile ... i capelli sembravano morbidi come i suoi ed avevano quel delicato color castano misto a rosso che, quando il sole calava affondando nell'acqua, parevano diventare vivi come fiammelle.

Ma non aveva il suo sorriso, né lo sguardo dolce. La sensei era dura, come il terreno dove si allenava. Seika-oneesan era morbida e profumata ...

Il tremolio aumentò e anche il singhiozzo si fece strada impietoso nella sua gola, trasformando quel pianto in una specie di gnaulio convulso e confuso. Era troppo difficile smettere, perchè era troppo facile darvi inizio.

Non ricordava. Non lo ricordava proprio per niente. Una cosa così semplice, tanto semplice da essere perfetta, unica, inimitabile. Eppure labile, labile come le parole gettate al vento.

Quando sarebbe stato il giorno in cui sarebbe tornato da lei? Quanti mesi o, forse, anni sarebbero trascorsi ...? E fino ad allora?

Cos'avrebbe perduto ancora? Avrebbe dimenticato quella sfumatura di grigio che aveva negli occhi? E il colore dei suoi capelli quando il sole tramontava, in piena estate? E la sua voce dolce e materna, anche quando lo sgridava?

E quando ... quando avrebbe dimenticato il suo viso?

Odiava quel posto. Odiava il fatto che non aveva amici ... odiava Kido che l'aveva mandato lì, con quella promessa. Ma lui l'avrebbe mantenuta, avrebbe rivisto sua sorella. Doveva mantenere quella promessa.

Il bambino strinse i pugni con rabbia e testardaggine, affondando gli occhi nel blu, cercando di penetrarlo come se, in quel modo, potesse vendicare la propria immensa tristezza.

Poi, alle sue spalle, giunse una presenza, silenziosa e ... grande in qualche maniera.

Il piccolo Seiya si ripulì in fretta e furia il viso prima di voltarsi con una smorfia e gli occhi saettanti un timore ancora incerto, non ancora allenato per incutere davvero paura.

Chi era?

Non l'aveva mai visto lì, al Santuario, non ancora. E dire che ...era sicuro che se lo sarebbe ricordato. Lui era ... diverso.

Si guardarono per un attimo in silenzio, i grandi occhi verdi dello sconosciuto sembrarono scrutarlo con un interesse troppo spiccato per non rendere il bambino ancora più ritroso e selvatico.

“Che c'è?!”.

Un'esclamazione che creò un certo scompiglio nell'atteggiamento del nuovo arrivato che irrigidì la schiena, si morse le labbra ed arrossì lievemente.

“Tu sei ... Seiya?”.

Il bambino strabuzzò ancor di più gli occhi ritraendosi sul lato e mettendo abbondanti centimetri tra lui e quel ragazzo assurdo che sapeva il suo nome ed era... no, c'era qualcosa che non andava in lui. Ma non riusciva a capire cosa.

“Non devi scappare, non ti faccio niente”.

Eppure lo straniero aveva un che di aria truce e la sua voce era profonda e severa.

“Come faccio a sapere che non mi fai niente?! E poi ... come fai a sapere il mio nome?”.

E ad ogni domanda agguerrita, seguiva uno sguardo sempre più simile a quello di un animaletto in gabbia. E una manciata di centimetri di terreno guadagnati sullo sconosciuto.

“E' stata la tua insegnante a dirmelo ...”.

Non è che la notizia lo rincuorasse molto: era scappato dagli allenamenti e chissà cosa si sarebbe dovuto aspettare dalla sensei. Un po' ci aveva pensato, quando era corso via, ma non è che gli importasse davvero della punizione che avrebbe dovuto subire: le punizioni erano tutte uguali, facevano sempre male e non insegnavano mai nulla.

“Ora non voglio tornare ... anche se si arrabbia, io non voglio ...”.

Seiya tornò a stringere a sé le gambe, a protezione dal mondo e anche da quello strano tipo che sembrava non volerlo lasciare in pace: anzi, per disperazione sua, questi si sedette addirittura accanto a lui, con un'insopportabile faccia tosta.

Rabbia e frustrazione montarono nel piccolo giapponese che si fece rosso in viso, con la ferma intenzione di sbottare in qualcosa di ancora non ben definito, ma di assolutamente forte.

“Non sono venuto per portarti via. Il tuo ritorno dipende tutto da te”.

Occhi verdi, sopracciglia forti e una massa vivace di riccioli dorati, indomabili più della sua chioma sconclusionata. Sembrava un adulto, ma in realtà non avrà avuto molti più anni di Seiya: non era un bambino, ma c'era qualcosa che ... c'era un qualcosa nello sconosciuto che il bambino non riusciva a spiegarsi. Era sfuggente. O forse era un adulto, come uno di quegli adulti tanto bravi da ingannare l'avversario; la sensei gliene aveva parlato.

Quindi, forse, era una persona più pericolosa di quanto non sembrasse.

Ancora una volta, si ritrasse, spingendosi pericolosamente verso il limite della roccia.

“E' meglio che ti fermi ora. Se non vuoi cadere tra i flutti del Mediterraneo” come punto da un'ape, Seiya si bloccò su se stesso, girando lentamente lo sguardo alle sue spalle ... e poi giù nel blu notte del mare. Ingollò e lo straniero sospirò. “Sono solo qui a vedere il mare. Non per spaventare i bambini”.

Che adulto ... assurdo. Non parlavano così, non ti confondevano. Erano sempre chiari e diretti e non dicevano frasi simili. Assurde.

“Perché guardare il mare da qui?.

Tanto valeva fare l'impertinente e vedere come reagiva lo sconosciuto.

“E tu, perché?”.

Gli occhi verdi, quegli occhi intensi e un po' duri, parvero trapassarlo da parte a parte, mentre il bambino manteneva lo sguardo – o, almeno, tentava di farlo. La mascella del bimbo si contrasse, un po' arrabbiato un po' intristito.

“Qui non mi da fastidio nessuno”. Seiya arricciò le labbra, mentre parte del viso si nascondeva ancora dietro le ginocchia. “E posso pensare a casa e ... a Seika-oneesan ...”.

Era solitudine quella, il ragazzo la conosceva bene. Fin troppo. Ma la solitudine a un guerriero, o futuro che fosse, era forse la peggiore delle malattie.

“Ricordare ciò che abbiamo lasciato può essere la nostra rovina. L'oblio rende tutto più semplice ...”.

Amaro, come un adulto che non crede più nella vita. Non crede più nella speranza.

Seiya non amava quel tipo di persone.

“IO NON VOGLIO DIMENTICARE!” urlò allo straniero e al vento che catturò la sua voce portandola in alto, sopra le loro teste. Il suo viso arrossato ricadde e le labbra si chiusero testarde e amareggiate. “Io ... non voglio dimenticarla ...”.

Solo i bambini sapevano essere così testardi. Infervorasi per una tale cosa, che senso aveva? L'oblio poteva giungere anche non richiesto. La vita cancellava e registrava ... e cancellava ancora, perché non c'era spazio per tutto. Il cuore, la mente ... sapevano essere luoghi angusti.

E certi ricordi, certi visi, non meritavano nemmeno lo sprazzo di un momento.

“Fai pure, allora. Spero che tu non soffra troppo”.

“Io non soffro”.

Un sospiro e il ragazzo si alzò dal proprio posto, scuotendo la testa. I bambini erano proprio i peggiori: preferivano mentire, stare male, andare avanti, cocciutamente, anche contro un muro. Non vedevano che ciò che desideravano e finivano per scontrarsi con la realtà. Con i peggiori risultati.

E il dolore risultava molto più grande di loro.

Volse le spalle al bambino e si allontanò di qualche passo, prima di fermarsi.

“Torna da Marin, ti starà aspettando”.

Uno sbuffo, nessuna risposta venne da quel bambino e il ragazzo si allontanò, insolitamente irritato da qualcosa che non lo riguardava affatto.

 

*

Aiolia aveva imparato da tempo a dimenticare: era un processo così semplice, l'essere umano sembrava quasi predisposto a farlo, ogni volta che il momento pareva propizio o, semplicemente, utile. La storia stessa era costellata da 'dimenticanze', lunghi oblii, occultamenti più o meno consapevoli. Lui non faceva certo eccezione.

Quando si apprende sulla propria pelle l'onta della vergogna, il peso del dolore e della sopraffazione tutto il resto perde di valore. Anzi, la perdita di memoria riesce ad essere un dolce e salvifico lenitivo.

Un letto vuoto rimane tale, una sedia in più può essere messa in un angolo. I vestiti cacciati in una cesta, assieme ad ogni oggetto, ogni piccolo particolare che vi ha legati a qualcuno che non volete più ricordare.

I ricordi sono i più difficili da cacciare: si annidano nei posti più impensabili, saltano fuori nell'attimo esatto in cui pensi di esserne guarito e si infilano nella tua testa, serpeggiando echi di tempi che furono ma che non devono – e non possono – più essere.

Sono fantasmi che infestano ogni dove e riescono anche a solidificarsi davanti ai tuoi occhi perchè non sei stato abbastanza attento.

Era difficile per il giovane Aiolia addormentarsi quella sera.

Serpeggiava nella sua mente quel qualcosa che lui rifiutava, ma, fino a quel momento, non era riuscito a dar nome a quel tarlo fastidioso. Batteva come un dolore sordo tra le costole, abbastanza debole da non farlo piangere, abbastanza forte da graffiare il petto come un gattino impudente.

Sdraiato sul letto, ascoltava il rullare del mare accompagnare il respiro del vento, come in una melodia ripetitiva ed angosciosa: parevano divertirsi, in un calderone assonante di richiami e incitazioni.

Come i fantasmi, come le ombre che da piccolo lo terrorizzavano e allora doveva trovare conforto nelle sue braccia. Perché solo in quel luogo riusciva a ritrovare la pace e la paura si dissolveva tra le parole di una storia o nel riso provocato dal solletico...

Era proprio patetico pensarci, inutile. Com'era inutile ricordare.

Tornavano solo i fantasmi a inquietare e la paura a prendere possesso del cuore, fino al mattino.

“Ma cosa sto facendo ...”.

Sussurrava a se stesso e alla memoria tornava il suono della sua risata, le sue parole dolci e mai troppo severe ... ma tornavano anche le voci odiose, il dolore delle ferite provocati da sassi e sberleffi e odio, odio. Tanto odio che sembrava non potesse essercene mai abbastanza. Dentro e fuori da lui.

Il ragazzo si alzò all'improvviso a sedere, gocce di sudore scesero lungo le guance e il collo; tremando senza ragione apparente, si mise in piedi e andò a bagnare il viso, perché tutto stava prendendo contorni sfocati. Ogni cosa, intorno a lui, sembrava farsi fantasma di un passato inaccettabile.

La luce sbeffeggiante della luna illuminava la notte e si intrufolava in ogni anfratto, andando ad illuminare cose che dovevano rimanere taciute, nascoste.

Aiolia, capo chino sul catino colmo d'acqua, respirava a fatica: passò una mano sugli occhi chiusi, come a voler togliere un'inutile patina, e rialzò lo sguardo su un piccolo specchio lì vicino.

Fu un solo istante, ma lo vide. Riflesso nella luce della luna, lo guardava con un sorriso mesto e la sua bocca sembrava sussurrare parole mute. Era un fantasma, un ricordo del passato. Ed era così prepotentemente simile a lui.

Colto da rabbia, scagliò lo specchio a terra, mandandolo in frantumi: ma ancora, nella sua mente, i suoi occhi, scuri come la notte, lo trafiggevano impietosi. Voleva chiuderli, voleva renderli ciechi a tutto ... ma era possibile renderli ciechi anche ai ricordi?

“Cosa vuoi da me?”.

Perché lo perseguitava dopo tutto quel tempo? Aveva sofferto, aveva ripudiato, odiato ... era rimasto solo. Tutto quello non bastava? La sua solitudine non era prova di ciò che gli aveva fatto? La vergogna non era onta abbastanza grande perché quello spirito deviato riposasse finalmente in pace?!

Ma vi era pace per i traditori?

 

*

Un altro giorno, un altro incontro.

Sempre quello sperone di roccia, nella medesima ora del giorno, richiamato più da uno strano istinto che dalla richiesta di un'amica. Gli sembrava di rivedere la stessa scena, riusciva a prospettare anche la stessa riuscita.

Un bambino, questo Seiya, seduto caparbiamente da solo, chino su se stesso, forse sui suoi stessi pensieri. Da solo, immerso nel freddo colore di un tramonto invernale. Era un deja-vu troppo forte perché non significasse ben altro nella sua mente.

Stavolta il figurino si voltò verso di lui quand'era ancora a diversi metri da lui, come una preda che fiuta il proprio predatore, al minimo cenno di un movimento.

C'era qualcosa di diverso nell'aura che lo circondava, come se qualcosa mancasse ... e appena il bambino si voltò verso di lui, capì cos'era successo. Ci fu un lungo scambio di sguardi, prima che uno di loro aprisse bocca.

“Io non ho fatto niente! Sono stati loro ...” la bocca si muoveva e, ogni volta, una smorfia di dolore ne contorceva i movimenti, mentre i tagli sulle labbra sanguinavano, diventando, a poco a poco, violetti. “Sono stati loro ...”. E quegli occhietti, segnati dalla stanchezza e dalla tristezza, cominciarono di nuovo a riempirsi di lacrime.

Il ragazzo sospirò, scuotendo la testa: avrebbe dovuto capirlo, a vederlo così piccolo. Non era un mondo per dei bambini, non era un mondo per deboli. E Seiya, certamente, rientrava in entrambe le categorie. Anche lui, un tempo, era stato piccolo. Forse non così indifeso, ma sicuramente ... anche la sua infanzia non era stata semplice. Dopo.

“Mi spiace ...”.

Il ragazzo sussultò a sentire quelle parole provenire dalle sue stesse labbra: dispiacere, tristezza, rabbia. Erano tutti sentimenti ormai lontani, appartenenti a un altro mondo, a un'altra vita. Non avrebbe dovuto dirle, non avevano senso, anzi, finivano per essere dannose. Cercare di lenire una ferita che non guarirà mai, perché ...?!

Ci fu un lungo istante di silenzio, gli occhi nocciola di Seiya si fecero fessura, poi, tra le lacrime, persero un poco di diffidenza ed il viso si chinò nuovamente sulle mani strette a pugno. “Non sei stato tu a picchiarmi ...”.

“Devi imparare a difenderti ...”.

“So cosa devo fare! E anche se erano in tre ... avrei dovuto fare di più ...”.

Oh, Atena. Gli sembrava di sentire la voce arrabbiata di un bambino di molti anni prima ... ma lui non poteva difendersi, in realtà, non ne aveva nemmeno il diritto.

“Il dolore, a volte, ci frena”.

I grandi occhi dal taglio orientale si voltarono, fulminei e infiammati, lanciando dardi di pura rabbia e rancore.

“Non è il dolore! Non è quello!”.

Era un bambino, piccolino e abbastanza minuto per la sua età. Eppure, in quel momento, l'energia che sprigionava ne faceva la perfetta immagine di una fiera pronta ad attaccare: era forte e fiero, anche se ancora non lo sapeva. Ma gli occhi parlavano per lui, completamente.

Già, però il dolore era qualcosa di concreto, tangibile. E prima che scomparisse, se scompariva, c'era bisogno di tempo. E le ferite lasciavano cicatrici indelebili, sempre.

Il giovane Aiolia si ritrovò in ginocchio di fronte a quel mucchietto di lacrime e polvere e troppo sangue perché fosse solo il gioco andato storto di un bambino. Guardò quel campo di battaglia di graffi e contusioni e non furono solo sospiri a scuoterlo ma anche un moto di rabbia.

Quando c'era lui, cose simili non erano mai successe.

Ma erano altri tempi e altre bugie. C'era qualcosa di profondamente sbagliato in quell'epoca di carezze e dolce severità ... tutto pareva perfetto, tutto pareva felice.

Ma era solo finta apparenza, una sola grande menzogna.

Il ragazzo prese una delle manine del bambino tra le sue ed esaminò i brutti tagli che ancora timidamente fiottavano sangue e le tumefazioni dai colori ormai tendenti al violaceo: qualunque bambino avrebbe urlato ai quattro venti il suo dolore, incapace di trattenere qualcosa di così insopportabile per un piccolo corpo. Eppure, a muso duro, con la mascella contratta per la testardaggine e solo piccole lacrime amare, questo giovane Seiya sembrava voler sfidare tutti, ma soprattutto se stesso.

La prima battaglia era contro se stessi ... e se si soccombeva al proprio dolore, il Santuario non dava spazio al perdono.

“Che cosa fai?!”.

Ecco nuovamente la vocina da animale in gabbia, l'espressione che, anche senza guardarla, Aiolia riusciva ben a visualizzare nella sua testa: costernazione, vergogna, ritrosia, dolore e rabbia, sempre tanta, sempre troppa.

“Guardo le ferite che hai”.

Seiya, a quel punto, tentò di strappare la propria mano da quella presa stranamente calma e piena di tepore: era una sensazione che temeva di provare, soprattutto in quel momento dove la debolezza sembrava farla da padrona. Ma la stretta del ragazzo era forte e il bambino si ritrovò ancora più vicino a lui, suo malgrado, mentre una folata di vento passava su di loro e un odore di casa si faceva strada tra i sensi del piccolo giapponese.

Subito egli si irrigidì sul posto come un pezzo di legno ed inevitabile, come un fulmine in un temporale, l'imbarazzo si trasformò in una timidezza inaspettata: c'era l'odore più buono del mondo, l'odore della sua neesan. E quel ragazzo aveva lo stesso odore... quello che aveva temuto di perdere, l'aveva ritrovato così in uno sconosciuto.

“Se tiri ancora, le tue ferite si apriranno di più...”. Gli occhi grigio verdi del ragazzo si alzarono sul bambino, un'espressione priva di sorriso, ma non priva di una certa, strana, incomprensibile tenerezza. “Non sono troppo profonde, però ...”. Le parole di Aiolia si fermarono quando videro il bambino con quello sguardo, diverso ma ugualmente intenso.”Che succede?”.

Seiya sembrò sul punto di parlare, ma abbassò lo sguardo sulle mani che lo tenevano e scosse la testa carico di una timidezza che non era da lui: avrebbe voluto fidarsi del ragazzo, ma si sentiva combattuto e la fiducia in chi lo circondava aveva anche vacillato ultimamente. Che cosa avrebbe risposto a quel suo pensiero tanto strano e ... infantile?

Non gli importava che fosse infantile ... ai suoi occhi era importante. Ma a quello degli altri? Questo ragazzo gli aveva detto che dimenticare chi si voleva bene rendeva tutto più facile. Ma faceva male anche solo il pensiero di dimenticare. L'oblio non faceva parte del suo DNA ... lui diceva che era più facile dimenticare. Per Seiya dimenticare era impossibile ed era un dolore che non voleva sopportare.

Il ragazzo, nel frattempo, era tornato a guardare le ferite, giungendo alla risoluzione più ovvia e veloce. Seiya era ancora troppo inesperto per capire cosa sarebbe successo; o l'avrebbe imputato al fatto che al Santuario tutto poteva succedere. E la cosa aveva un che di comico.

“Ora rimani fermo e non fiatare”.

Gli occhietti di Seiya si rialzarono vispi e curiosi.

“Cosa? Perché?”. Uno sguardo deciso e anche un poco spazientito del ragazzo fece mordere la lingua al bambino, quasi. “Non so nemmeno il tuo nome, io”.

“E' Aiolia. Contento?”.

“E chi sei? Perché sei qui?”.

Era inevitabile per il piccolo lasciarsi trasportare dalla famigliarità ... quel ragazzo sembrava richiamarla in maniera ossessiva.

“Lo sai che parli troppo?”. Un sospiro, poi gli occhi blu del ragazzo si fissarono in quelli del bambino, senza ombre e tentennamenti. “Sono solo uno che vive qui e conosce Marin”.

Le stranezze dei grandi...

Seiya tentò nuovamente si muoversi, ma gli fu impossibile farlo con quelle due mani inflessibili che non lo lasciavano. Erano testarde, come gli occhi che cadevano su di lui a tratti.

“Ti ha chiesto lei di venire? Io me la so cavare ...”.

La voce del bambino finì per sciogliersi nel vento quando, dal nulla, comparve tra le mani del ragazzo una strana nuvola dorata: si muoveva con le sue mani che, leggere e attente, sfioravano la sua pelle.

La bocca di Seiya si aprì per esclamare sorpresa o, forse, domande. Ma i graffi scomparivano e le tumefazioni perdevano il violetto e tornavano a colorarsi delle sua pelle abbronzata. E ciò che più importava, il dolore stava scomparendo.

Era magia quella. Anche ad occhi inesperti come i suoi, quello non poteva sfuggire.

“Sei un ... mago?”.

La domanda era così innocente e curiosa e, in quel momento, l'espressione del bambino era tenera come doveva essere su un viso così giovane che Aiolia non riuscì a trattenere una risata che tentò, inutilmente, di nascondere dietro un pugno.

“Perchè ... ridi?!” ed ecco le labbra di Seiya si arricciavano in una smorfia imbarazzata, quasi risentita: non aveva detto niente di male o di strano ... le sue sensazioni non erano mai state così chiare. “Non sei un mago?”.

Dietro al pugno, gli occhi vispi e divertiti di Aiolia guardarono a lungo, senza una parola, il bambino: aveva dimenticato come potesse essere innocente un bambino. Teneri, fiduciosi, spiazzanti: non c'erano malizia o doppi fini, le emozioni erano complete e sincere.

“Non proprio, Seiya ...”.

Sentiva la pelle tesa sotto il sorriso e gli pareva fosse trascorso molto tempo dall'ultima volta che aveva sentito, su di sé, un tale cambiamento.

Che strano ... credeva quella notte di aver dimenticato molte cose, e invece ...

“E allora chi sei Aiolia?”.

Curioso, testardo, volitivo. Ecco che veniva fuori la personcina di Seiya. Aiolia non poteva negare a se stesso che non fosse interessante: c'era qualcosa di intrinsecamente intrigante in quella testolina vispa che era impossibile provare antipatia per lui.

“Chi lo sa ...”.

E dalle mani dorate del ragazzo la luce si spense, lasciando dietro di sé solo una toga un po' sporca e rovinata: la pelle del bimbo, già segnata in alcuni punti da vecchie cicatrici, era ora pulita e priva di dolore. Ora Seiya aveva solo l'aria di un bimbo pestifero cui piaceva scatenarsi all'aria aperta e ridere fino a rimanere senza fiato.

Ecco che le labbra del bambino si arricciavano ancora, più spiccatamente, e le guancette si gonfiavano, mentre il visetto si muoveva in avanti, con fare deciso, verso il viso del ragazzo.

“Per me lo sei, anche se non me lo vuoi dire!” poi, tirandosi ancora un poco indietro, con fare stupito e ammirato alzò le braccia, girandole in tutte le direzioni; si tastò il torace ed il viso e la sorpresa si faceva sempre più grande, assieme al sorriso. Gli occhi nocciola si alzarono verso quelli blu del ragazzo e una mano andò a sfregare timidamente il naso, come in un gesto d'abitudine. Aiolia lo vide poi arrossire, prima di tornare a parlare. “Sei un mago gentile ...”.

 

Aiolos è un ragazzo gentile ... sei fortunato ... hai un fratello esemplare ... diventerai come lui, un giorno ...

 

E, stavolta, fu la mascella di Aiolia a contrarsi e il suo sguardo si indurì un poco, mentre l'aria attorno a lui si faceva, all'improvviso, più tesa e gelida.

“Faccio solo ciò che è giusto fare ...”.

Come una piccola spugna – come ogni bambino – Seiya percepì il repentino cambio d'umore e non riuscì ad evitare un moto di sorpresa e timore che lo indusse, piano piano, a ritrarsi.

 

Sei solo il fratello di un traditore! Come pensi di riparare a ciò che ha fatto? Dovrai pagare a lungo il prezzo della sua vita menzognera ...

 

Lui non era suo fratello. Aiolia non era Aiolos. Così come Aiolos non era Aiolia. Erano così diversi, così distanti.

Non aveva niente a che spartire con un traditore. Lui era fedele, sempre alla Dea. Lui era retto ed era giusto. Non vi erano dubbi nel suo operato, nella sua fiducia.

Per questo doveva dimenticarlo. Perché il suo gesto era così rivoltante e terribile che il solo pensiero annebbiava la mente. Dimenticare rendeva tutto più chiaro, più giusto, più vero.

“Dovresti tornare da Marin, ora ...”.

Rialzarsi in piedi, drizzare spalle e sguardo verso il prossimo potevano rivelarsi i gesti più difficili da fare, anche dopo tutti quegli anni. Ma le gambe avevano imparato a non tremare e la schiena a contrastare la durezza del vento senza piegarsi mai e, così, lasciò alle proprie spalle Seiya, soggiogato da troppi ricordi, troppe voci.

Una mano, improvvisa e non calcolata, si allungò veloce, aggrappandosi stretta e un poco tremante alla sua casacca bianca.

“Grazie! Io ... ecco ... grazie ...”.

La voce tentennante e intimorita del bambino scosse i pensieri torbidi del ragazzo e la testa bionda finì per voltarsi verso il piccolo orientale: pareva aggrappato a lui, come se non volesse vederlo andar via ...?

Il cuore di Aiolia parve allentarsi a quel gesto tanto famigliare: la mano, caparbiamente aggrappata a lui, gli trasmetteva solitudine, malinconia ... era come se lo pregasse di non lasciarlo, anche se conosceva già la risposta.

“Cosa succede?” chiese in un soffio al bambino.

Quest'ultimo mugugnò, vinto da una naturale timidezza, perché non era da lui tutta quella cascata di emozioni. Ma in una terra straniera, dove tutto ti è avverso, il gesto gentile di qualcuno era un dono prezioso da custodire. E questo Aiolia sapeva anche ridere e sorridere ... e anche essere severo e triste. Era ciò che di più vero e genuino Seiya ricordava negli ultimi mesi.

“Scusa ...”.

La mano si staccò, improvvisa: il bambino avrebbe voluto credere a quel viso, ad un cuore aperto e gentile, ma sentiva bruciare su di sé l'incertezza, forse il ragazzo poteva arrabbiarsi, anzi già sembrava esserlo e Seiya non poteva pensare di perdere anche l'unica persona che pareva dargli del conforto.

E ora cos'era quello sguardo? Sconfitto, intimorito e arrendevole... la mano che l'aveva abbandonato gli aveva trasmesso un senso di fiducia e aspettativa tali che gli parve di ripiombare indietro nel tempo.

Sentì il proprio capo attraversato da una carezza calda, gentile e forte. Le dita lunghe e decise sembravano giocare con le ciocche e disegnavano le rose del capo con la precisione di un artista del disegno. Era una mano speciale. Era protettiva e famigliare.

Occhi nocciola e occhi azzurri si spalancarono, gli uni negli altri, prede di sogni e di emozioni fin troppo reali per non prenderli alla sprovvista.

La mano di Aiolia si allontanò dal capo di Seiya e voltò definitivamente le spalle al bambino, prima di fare ancora qualcosa di cui si sarebbe certamente pentito; sottecchi, Seiya abbassò il capo, mordicchiandosi le labbra in cerca di una risposta.

Ricordi seppelliti da tempo e dimenticanza riuscivano a trapassare barriere inconcepibili e a penetrare in menti che, affannose, vagavano alla ricerca di tesori abbandonati o perduti.

Niente era per sempre, certo. Ma nemmeno l'oblio.

 

*

Fratellone ...”.

Gli occhi guizzanti e vispi di un piccolo Aiolia guardavano con aria adorante il fratello Aiolos, accucciato di fronte a lui mentre lavava un piccolo taglio che il bambino si era procurato giocando. Così piccolo, com'era ancora giovane suo fratello ... così giovane da avere ancora l'aria deliziata di un fanciullo innocente.

Dimmi Aiolia ...”.

Una mano a lenire la zona colpita, l'altra a scompigliare lievemente la biondissima e selvatica chioma del bambino, Aiolos lo guardò dritto negli occhi con la sincerità e la calda attenzione che rendevano il loro rapporto, a tratti, esclusivo.

Perché fai ... quello?” e, con una mano, il bimbo indicò la mano del fratello, poggiata sul suo capo. “Lo fai sempre ...”.

Gli occhioni blu sbatterono, riflettendosi in quelli verdi di fronte a lui che, ora scrutavano il suo viso dubbiosi.

Non ti piace ... Aiolia?”.

La voce del bimbo più piccolo esplose come un fulmine tra le rocce dei quel luogo, essiccate dal caldo.

No, fratellone! A me piace tantissimo!”.

Un breve sospiro di sollievo scosse il ragazzino, sempre un po' dubbioso sulle proprie capacità genitoriali: erano sempre stati assieme, da quando i genitori erano scomparsi. Aiolia era stato cresciuto da lui, un bambino solo di poco più grande. E spesso temeva di aver commesso tanti, troppi errori. Anche se il suo fratellino era l'immagine stessa della dolcezza e della forza. Ed era colui che gli strappava un sorriso ogni volta che lo guardava.

Però ... è ... è ...” la bocca del piccolino si richiuse, incerta. Era così difficile dire a parole cosa sentiva, cosa il suo cuore faceva ogni volta che quella mano carezzava il capo. “Più bello di tutto ...”.

Il giovane arciere si mosse abbassando ancor più lo sguardo verso il bimbo, cercando di capire dove quella testolina stesse remando ora: la trovava così spesso tra le nuvole, in mezzo ai campi e tra le risate dei ricordi di pomeriggi di giochi.

Di cosa, Aiolia?”.

La piccola bocca del bimbo si storse in un'espressione compunta e imbarazzata al contempo, gli occhi incollati al terreno sembravano voler scavare solchi alla ricerca delle parole più difficili della sua vita.

Del vento ... e del mare ... e del sole ...” poi la chioma bionda si scosse, nervosa. No, niente rendeva l'idea. “Sono felice. Sono il più felice del mondo quando il fratellone lo fa ... ma” e qui veniva la parte più difficile. “Non so perché lo fa ... e se non lo so ... non ... non capisco ...”.

Il ragazzino spalancò gli occhi vispi sul bimbo e arrossì vistosamente, per poi far ricadere la chioma scomposta sugli occhi, forse per nasconderli.

E' che ... lo faceva nostro padre ... e io ...” Aiolos ingollò qualcosa di indefinibile e ingombrante, prima di riprendere la parola. “Pensavo che farlo con te ... ti rendesse felice quanto rendeva felice me”. La testa bruna si scosse, una mano andò ad oscurare gli occhi, mentre il piccolo Aiolia ascoltava, rapito, quella confessione: il suo fratellone era una persona grande, era forte ed era sempre buono con lui. Aiolia ricordava lui, lui solo in tutti i giorni della sua vita: c'erano anche altre persone lì vicino a casa, ma il fratellone era la persona più bella e quella cui voleva più bene.

Ed ora, sentiva che gliene voleva ancora di più.

Aiolia è come il fratellone ora ... come il fratellone con papà ...”.

Un fulmine a ciel sereno. Un raggio di sole. L'abbraccio più caldo del mondo.

Era questo essere bambini. Era tutta sincerità e amore. E lui lo sapeva bene.

E non perché fosse ancora un bambino, quella parte di sé se ne era andata tempo prima.

Però c'era qualcuno che, ogni giorno, gli ricordava ciò che era importante ricordare. Ciò che si era lasciato alle spalle, per necessità, e che si rischiava di perdere, totalmente.

Una mano scese a carezzare il capo di Aiolia, mentre occhi blu e grandi si caricavano di commozione, una di quelle piccole cose che ancora non scompariva, ancora non si poteva dimenticare.

Anche io sono tanto felice...” la mano si mosse a disegnare ampie spirali tra i riccioli del fratellino, scendendo poi sulla nuca e attirando il bimbo nel proprio abbraccio.

 

Era così. Lui era lì per ricordare: chi era, chi era stato ... e nei suoi occhi riusciva quasi a scorgere chi sarebbe diventato. C'era la sua storia che, a volte come ombra, a volte come felicità, compariva tutto attorno, nei momenti più impensabili, e non abbandonava più.

Egli era il risultato della propria storia. E la sua storia era fatta anche di lui. Lui.

Volente o nolente, nel bene e nel male.

Ma Aiolia, l'Aiolia ragazzo, non sarebbe mai stato ciò che era senza essere stato anche quel bambino: fratello di un giovanissimo fratello, qualcuno che non riusciva a perdonare e a smettere d'odiare. Ma che non riusciva a dimenticare.

“L'oblio è un miraggio ... ma è anche un pericolo ...” si ritrovò a sussurrare Aiolia, abbandonato sul letto, mentre un raggio di luna illuminava squarci muri e pavimenti. “Dimenticare ... dimenticare anche ciò che era bello ... ricordare solamente l'odio e la rabbia ... presto non alimenterà più nulla. Presto dimenticherò anche il motivo per cui sono giunto a questo punto. E non voglio ...”.

 

*

E poi giunse una giornata fredda, una di quelle con il cielo limpido, che quasi ti accieca. Un cielo così bello che fa quasi male agli occhi e al cuore ... e ogni cosa si svela davanti al tuo viso come se fosse la prima volta.

Stavolta non era stato un rimprovero e nemmeno un tiro mancino di qualche compagno troppo grande o anziano: a farlo scendere lungo la cresta della collinetta fino a quell'ampio sperone a picco sul mare era stato l'istinto e, anche, lo strano desiderio di rivedere quel ragazzo.

Era perché gliela ricordava. In tante, troppe cose. Sapeva sorridere nella stessa maniera e gli occhi avevano la stessa sfumatura di azzurro che mutava con l'umore ... e l'odore.

Ah, l'odore. Come facevano ad avere lo stesso odore? Era lontano, così lontano da casa che nemmeno avrebbe saputo dire da che parte era venuto. E da che parte sarebbe potuto tornare indietro. La sua neesan era là, nel lontano Giappone, ma il suo odore inconfondibile fatto di calore e dolcezza lo ritrovava su quello sperone di roccia, tra i riccioli biondi di quello strano ragazzo.

E lo strano ragazzo burbero aveva lo stesso tocco gentile di Seika-neesan e lui ... Seiya, davvero, non sapeva più che pensare.

Era felice che quel ricordo non fosse scomparso, che fosse ancora con lui: si sarebbe aggrappato ad ognuna di quelle piccole cose che rendevano i suoi giorni e, soprattutto, le sue notti meno lunghe, meno dolorose. Se la sua mente riusciva ad imprigionare il ricordo della neesan, allora ...

Un'improvvisa folata di vento freddo ed ecco di nuovo l'odore, il loro odore, avvicinarsi a lui.

“Sei scappato da Marin, oppure ...?”.

“Nessuna delle due cose. A dire il vero...” il bimbo strinse le mani attorno alla casacca e arricciò le labbra nervoso. Aiolia sospirò, incuriosito, mentre, senza una parola, si sedeva accanto al bambino. “Tu perché sei venuto?”.

Un sospiro e il ragazzo scosse la testa.

“Non si risponde a una domanda con una domanda”.

“Però sono tre giorni che vieni qui. E non c'è un perché ...”.

Il ragazzo alzò un sopracciglio, osservandolo con più attenzione.

“Beh, Marin...”.

“Solo il primo giorno” grandi occhi castani si puntarono testardi e volitivi in quelli del ragazzo greco. “E ieri? E oggi?!”.

Con un sospiro, una mano che scivolava tra i capelli, mentre la mente girava vorticosa, Aiolia gettò lo sguardo sul mare ai loro piedi.

“Hai dimenticato?”.

Seiya sbatté gli occhi, incerto.

“Dimenticato?.

“Quello che non volevi dimenticare ...”.

Il bambino sembrò trasalire, poi prese colore sulla guance e gettò lo sguardo a terra.

“L'ho ricordato ...” disse in un soffio, mentre le labbra di piegavano all'insù. “L'ho ricordato e ora non lo lascio più”.

“E ora ... cosa farai?”.

Non c'era rabbia, ripicca o durezza. Trasudava in quella domanda solo una certa curiosità.

“Ecco ...” le mani in grembo, gli occhi un po' alle onde, un po' alle nuvole in cielo, Seiya si sentiva un po' incerto, quasi intimorito da tutto quell'interesse. “Così posso andare avanti. E poi potrò vincere il cloth e ... tornare a casa dalla mia neesan ...”.

“Lo fai solo per lei?”.

“Certo! È la mia neesan ed è la mia famiglia! Mi han promesso che la rivedrò quando tornerò in Giappone ...”.

Aiolia sospirò, guardando l'aria ingenua ma combattiva che ardeva negli occhi del giovane Seiya: tutta quella grinta e quella forza d'animo erano stati, un tempo, anche i suoi. Ricordava perfettamente quel periodo. E anche la persona per la quale quella dedizione era portata agli estremi.

Si poteva davvero voler bene, fino a questo punto ...

Ma senza ombre era tutto più facile.

“Allora non avresti perso nulla, comunque. Se la rivedrai in futuro ...”.

“Se la perdo anche io mi perdo. Ed ho paura”. Sussurrate, poco al di sopra del rullare delle onde, giunsero le parole di Seiya, timorose, spaventate. “Se sono qui è solo per lei. E tornerò a casa solo per lei. Ma senza di lei io ... cosa potrei fare? Qui io non ho nessuno ...”.

Forse era per quello che quel bambino aveva attirato la sua attenzione: avevano un destino simile ma dai presupposti totalmente opposti l'uno all'altro.

“Tutti noi abbiamo paura di dimenticare, anche se ci sono volte che convivere con i ricordi è fin troppo difficile. Ci sono giorni in cui si desidera cancellarli, ma sono indissolubilmente intrecciati a quello che noi siamo e ci rimangono addosso, a volte come un vestito troppo piccolo ...”.

La testolina di Seiya si piegò d'un lato, con gli occhi pieni di blu e di confusione.

Poi, nuovamente all'improvviso, la mano del ragazzo si materializzò su quel groviglio castano che erano i capelli di Seiya e un sorriso, lieve e malinconico piegò le labbra del giovane Aiolia.

“Ma a volte essi ti salvano” e ti donano nuovo vigore. “Sanno essere ingombranti, ma ti tengono vivi” e vigili. Non dimenticherò, non dimenticherò più. Perchè la fiamma non si spenga. “Grazie”. Per avermi ricordato di ricordare.

“Per che cosa?”.

Uno sguardo, un sorriso e il ragazzo si alzo in piedi, lasciando sul capo di Seiya solo il ricordo del calore e tra le sue mani quello di un sogno.

E poi fu solo la schiena del ragazzo negli occhi del bambino, mentre scivolava via verso un tramonto dorato: imbevuto nel calore del sole morente, pareva quasi sciogliersi e scomparire, come una fiamma che veloce brucia e si consuma.

“La fiamma del nostro ricordo... che ci rende tanto simili eppure diversi ... ma ricorderemo perché questo ricordo ci guidi verso il nostro destino. Sempre”.

 

 

Forget me not as I look upon a child

Remember me as you remember love

Forget me not as you go on with your life

Forget me not when you feel joy as well as pain

Forget me not as life goes on

Forget me not for I will always be there

 

(trovata in rete, di Leeghann Durkes)

  
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