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Autore: Vivien L    26/12/2011    5 recensioni
Un nuovo amore arriva e rovescia tutto con un gesto della mano.
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Un amore dannato. Un odio profondo. Una passione intensa. Una maledizione che minaccia la vita dei protagonisti. Richard Connor, sesto Duca di Chaplam, non è disposto a lasciarsi incantare dai grandi occhi azzurri di Belle; non dalla sua bellezza, né dal suo spirito indomito e ribelle. Ma Richard sa che Belle è la donna a lui destinata, e che il destino è una forza che neanche il più potente degli uomini riuscirebbe a contrastare.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga Connor'
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Capitolo 2





L'amore, essendo l'esperienza sconvolgente del nulla, dimostra di esistere solo se muore e dunque deve sparire, annullarsi, per testimoniare di esserci davvero stato.

-L'amore nuovo-






I suoi occhi fiammeggianti di furia m'inchiodarono sul posto.
Una ciocca di capelli corvini, così simili ai miei, gli solcava la fronte, le labbra strette in una smorfia sprezzante, le narici frementi d'indignazione. Un moto di paura mi sopraffò. Non riuscivo a muovermi, ero paralizzata, la mente che esplorava una vasta gamma di conseguenze provocate dal mio folle, insensato gesto. Maledii la mia incoscienza: com'ero potuta essere così avventata da intrufolarmi negli appartamenti del Barone? Con che coraggio avevo frugato fra le sue cose, violando la sua intimità, impicciandomi di affari che non mi riguardavano? Tutto per una stupida scommessa, tutto perché non avevo il coraggio di contrariare il mio migliore amico, l'unica persona che mi era vicina, che sembrava capirmi e apprezzarmi per ciò che ero. Imprecai silenziosamente, stringendo le mani a pugno, tentando di nascondere il ciuffo di capelli di cui mi ero appropriata. Per un attimo pensai di lasciarlo andare, di lasciarlo cadere sul pavimento, ma neanche l'inquietante presenza del Barone riuscì a scacciare dai miei pensieri l'immagine del volto deluso di Magnus, della sua espressione contrariata, delle prese in giro di cui sarei stata vittima.
Richard mi afferrò per le spalle, scuotendomi come una bambola di pezza. Mi costrinse a barcollare in avanti, ignorando il mio gemito terrorizzato.  Il sudore iniziò a bagnarmi la fronte, le mani tremanti si accostarono alle sue, implorandolo di lasciarmi andare.
«Posso sapere che cosa ci fai qui, ragazzina?» la sua voce era cupa, ombrosa. Rabbrividii, sentendomi così piccola in confronto a lui, così insignificante. Era una sensazione che conoscevo bene: Annabelle senza cognome non era degna di rispetto, di comprensione, di considerazione. Nessuno voleva avere a che fare con me, la figlia di una sgualdrina, una bastarda, rifiutata dai suoi genitori, dalla vita, dallo stesso destino. Ma il Barone riusciva a farmi sentire ancora più misera degli sguardi sprezzanti dei contadini, dei mormorii indignati che mi seguivano quando mi avventuravo in paese, dei risolini affettati dei figli delle sguattere.
«Io... non stavo rubando, lo giuro» presi fiato «Lo giuro, non...»
Alzò un sopracciglio, squadrandomi con aria indagatrice.
«No?» ghignò «Non ricordavo di averti dato il permesso d'intrufolarti nelle mie stanze»  mi lanciò un'occhiata intensa.
Nella profondità dei suoi occhi azzurri scorsi una scintilla di qualcosa che non seppi decifrare: rabbia, paura, indignazione?
Guardò i miei piedi nudi, laceri e sporchi, salendo sul mio abito sgualcito, macchiato d'erba e fuliggine, sulle mie mani ruvide, piene di calli e duroni, sullo stretto scollo del corpetto rovinato da anni di rammendi e cuciture.
Aggrottò la fronte, perplesso, e un silenzio agitato scese su di noi. Le sue dita indugiarono sulle mie, avvolgendole in una presa ferrea. Il calore della sua pelle mi fece fremere; avvampai, smarrita, tentando di arretrare, di non lasciarmi sopraffare dalla prepotente dolcezza del suo profumo, che sapeva di menta e tabacco e aria pulita. Una fragranza nuova, inaspettata e inebriante. Ero ipnotizzata dalla durezza del suo sguardo, dalla forza delle sue braccia che mi stringevano a sé, dalla determinazione che modellava i suoi lineamenti. I suoi occhi scesero sulla mia mano sinistra, quella che avevo nascosto dietro la schiena.
Quella in cui stringevo il ciuffo di capelli che gli avevo rubato. 
Mi divincolai, inorridita, e lui me lo permise. Arretrai, sperando che la mia riluttanza lo annoiasse, convincendolo a lasciarmi andare. Il Barone era noto per i suoi scatti di rabbia, per il suo carattere ostinato e irremovibile. Nei confronti di tutti tranne che di se stesso, considerando le voci che circolavano sul suo conto: era un dissoluto, proprietario di numerose case di gioco, guardava gli altri dall'alto in basso, testardemente convinto di essere l'uomo più illuminato d'Irlanda.
Si diceva che, in uno dei suoi numerosi eccessi d'ira, avesse ucciso la prima moglie, tale Scarlett Patchett, e con lei il figlio che portava in grembo. Non sapevo se credere a queste voci: nonostante tutto, non riuscivo a immaginare Richard Connor nei panni di un assassino.
«Cos'hai lì?»  indicando con un cenno del capo la mano che tenevo nascosta dietro la schiena. La sua voce mi colse di sorpresa, sobbalzai. Le mie guance divennero scarlatte. Maledii ancora una volta la mia arroganza: come avevo potuto essere così sciocca da...
«Sto parlando con te, maledizione!»  i suoi occhi, adesso, erano socchiusi in un'espressione irata. Un brivido gelido mi scosse tutta.
«Non è nulla. Io non ho...»
«Voglio sapere perché sei qui» 
ringhiò. Un lampo d'odio illuminò il suo sguardo. Non riuscii a spiegarmi il perché di tanto fervore; la consapevolezza che quell'uomo bello e irraggiungibile mi detestasse mi causò una fitta di disappunto allo stomaco.
«Non volevo rubare, ve lo giuro»
«Signore»  mi corresse con voce sferzante, corrosa da rabbia e risentimento. Spalancai gli occhi.
«Cosa...»  
«Sono il tuo Signore, esigo rispetto e considerazione. Tua nonna non ti ha insegnato l'educazione, bambina? Non ti ha detto come rivolgerti ai tuoi superiori?»
Cercai di trattenere la rabbia nascondendomi dietro una maschera di affettata compostezza.
«Non stavo rubando, Signore»  il mio tono questa volta era serio, rispettoso, talmente compìto che il Barone intuì l'ironia che trasudava dalle mie parole. Un moto di irritazione gli fece tendere la mascella.
«Fammi vedere cosa nascondi»  ordinò.
Scossi il capo, risoluta «Io... vi prego. Signore, giuro che non stavo rubando. Non ho fatto nulla di male. Lasciatemi andare e...»
La sua risata sferzò l'aria, uno strano scintillio gli oscurò il volto «Che io sia dannato se ti permetterò di uscire da questa casa prima di sapere il motivo per cui sei qui» sbottò.
Mosse un passo in avanti, ignorando il mio debole ritrarmi. Sentii la schiena addossarsi alle gelide pareti della camera e rabbrividii. Iniziai persino a pensare che il Barone mi avrebbe uccisa, perché l'odio che sfigurava la sua espressione era tanto incomprensibile quanto terrificante.
«Dimmi cosa nascondi dietro la schiena»  sillabò.
Scossi il capo, confusa, decisa a non rivelare il motivo per cui mi ero intrufolata nel maniero, conscia che non sarei stata l'unica a pagarne le conseguenze: Magnus si fidava di me, mi aveva accolta nella sua cerchia di amici e io non potevo tradirlo. Non lo avrei fatto.
Il mio diniego fece infuriare Connor.
Un sibilo roco abbandonò le sue labbra. Mi afferrò per le spalle, scuotendomi leggermente, ma io non cedetti. Scalciai, mi dibattei, urlai persino, lo colpii sul petto, ignorando il suo profumo che mi penetrava le narici, il rassicurante calore della sua pelle, la sua forza, la prepotenza con cui mi trascinò sul baldacchino e m'imprigionò i fianchi fra le sue grandi mani, immobilizzandomi.
Un singhiozzo attonito esplose nell'aria. M'impietrii, guardandolo con un misto d'odio e implorazione. Il cuore mi batteva all'impazzata nel petto, le guance bagnate di lacrime di disappunto, gli occhi fissi nei suoi, che all'improvviso si socchiusero, facendosi impenetrabili come la notte.
«Fammi vedere cos'hai in quella mano, maledizione!»
«Non stavo rubando!»  ripetei come un mantra «Lo giuro, Signore, io...»
«Fammi vedere»  le sue mani raccolsero le mie; erano calde, morbide e vellutate. Richard Connor non conosceva il significato della parola lavoro.
Quando mi aprì a forza le dita, sollevando con aria perplessa alcuni ciuffi di capelli corvini, una risata sarcastica gli scivolò fra le labbra.
«Cos'avevi intenzione di fare con questi?»  
Arrossii, imbarazzata.
«Io non.... non stavo...»
«Non stavi rubando»  ripeté Connor, annoiato «Questo lo avevo capito. Ciò non toglie che ti sei intrufolata negli appartamenti del tuo Signore senza il mio permesso. E che hai spulciato fra le mie cose.  Se vuoi che ti lasci andare» i suoi occhi scintillarono maliziosi «Devi prima dirmi perché eri qui e a cosa ti servono i miei capelli»
«Non posso...»
«Ora»  m'intimò minaccioso.
Presi un respiro profondo, guardandolo dubbiosa. Non volevo tradire Magnus, ma quali altre alternative avevo? Non potevo finire al patibolo per una simile sciocchezza!
Sospirai «I miei amici sostengono che voi siate uno stregone. Sì»  continuai prima che Connor potesse interrompermi «Dicono che avete ucciso vostra moglie e che vivete nel peccato, che è colpa vostra se a Chaplam la gente muore di fame. Io non ci credo»  borbottai, ricordando le risate di scherno dei miei compagni. Misi il broncio, e il Barone strinse le labbra spostando lo sguardo sulla finestra, come se all'improvviso il panorama del giardino fosse divenuto straordinariamente interessante
«Ma Magnus non voleva darmi ascolto, e mi ha costretta a intrufolarmi nelle vostre stanze e a rubarvi una ciocca di capelli. Solo così avrebbe potuto rivelare la vostra vera identità. Mi ha minacciata!»  piagnucolai, tentando di impietosirlo.
Serrò la mascella «Cosa ti ha detto?»  
«Che non sarebbe più stato mio amico»
Lo sentii ridere e lo guardai, incuriosita.
«Tu... tu non dovresti neanche...»  cominciò, ma poi s'interruppe, lasciando la frase in sospeso. Uno strano silenzio scese su di noi, e il Barone s'irrigidì. Il suo sguardo vagò lentamente sulla virginale scollatura del mio corpetto, e vidi una scintilla rancorosa illuminare il suo viso.
Pochi istanti dopo mi aveva di nuovo afferrata per le spalle. Confusa, lo vidi spingermi frettolosamente verso la porta, come se la mia presenza lo avesse disgustato al punto da non poterla sopportare un minuto di più.
 «Vattene»  disse con voce distorta dall'ira «E non osare mai più mettere piede in questo castello»  
Mi sbatté la porta in faccia, letteralmente.



Quando rientrai a casa ero ancora in uno stato di trance. La confusione si era impossessata dei miei pensieri. Perché il Barone mi odiava? Non poteva essere solo a causa dei miei sordidi natali. Gli abitanti del villaggio mi disprezzavano, certo, ma non avevano mai mostrato un tale risentimento, un così appassionato rifiuto della mia persona.
Nonna Marie mi accolse con un abbraccio caloroso.
«Belle! Oh, Belle, ero così preoccupata...»
Non riuscii a prestarle attenzione. Tremavo di ansia e paura e preoccupazione: se il Barone avesse deciso d'impiccarmi? Rabbrividii. Se...
«Ti ho aspettato per oltre un'ora, signorina»  disse con voce improvvisamente seria.
La scrutai, insospettita dalla sua espressione tesa, dalla smorfia inquieta in cui si erano piegate le sue labbra.
«Io... nonna, temo di aver... »  non riuscii a continuare. All'improvviso, una presenza che non avevo notato si palesò nel piccolo, malandato salotto. Era Padre Merrik, il vicario di Chaplam.
In altre circostanze sarei stata felice della sua venuta: Merrik era un uomo saggio e compìto, non era bigotto, non m' imputava le colpe dei miei genitori, mi aveva sempre trattata con gentilezza e sapevo, anche se la nonna non lo avrebbe mai ammesso, che era lui a pagare la mia istruzione. Ogni giorno un precetto veniva a farmi visita e mi insegnava a leggere, scrivere e comportarmi, ma i precetti erano costosi e Marie non avrebbe mai potuto permettersene uno: qualcun'altro se n'era dovuto assumere l'onere, e questo qualcuno era quasi sicuramente il vicario.
Tuttavia, la sua espressione dispiaciuta mi fece immobilizzare: sapevo che i miei sospetti stavano per divenire  realtà. Una fitta di dolore mi trafisse lo stomaco e fui costretta a piegarmi su me stessa, tentando di non stramazzare al suolo. Era successo, dunque. Il Barone aveva deciso la sua punizione. E aveva affidato a Merrik il compito di metterla in atto.
Forse sarei stata impiccata. Probabilmente mi avrebbero mandata via. Non sapevo cosa mi riservasse il futuro, ma il pensiero di allontanarmi da Marie era insopportabile.
«Devo andarmene, vero? Lui ha detto che devo lasciare Chaplam»  dissi con voce amara.
Merrik scrollò il capo, impietosito dalla mia espressione implorante «Il Barone non c'entra assolutamente nulla, bambina. Hai tredici anni, stai crescendo, è ora che trovi il tuo posto nel mondo. Sei una signorina, ormai, e prometti di diventare una grande bellezza: è giunto il momento che tu la smetta di avventurarti con quegli straccioni dei tuoi amici.  Abbiamo trovato un collegio che sarà felice di accoglierti e educarti ai dettami della cristianità e del savoir faire. Avrai una bella divisa, una camera accogliente, professori premurosi che ti insegneranno le meraviglie dell'arte, della letteratura, della matematica e del rammendo.»
«Dove...»  tremai, strinsi i denti e continuai: «Dov'è questo collegio?»
Le sue labbra si piegarono in un tremulo sorriso «In Inghilterra»
Il mondo parve crollarmi addosso. L'Inghilterra era il posto più infimo in cui potessero mandarmi. Quei bastardi inglesi, come li chiamava Magnus, erano persone fredde, crudeli e spietate, le loro terre aride e inquinate, non come le lussureggianti campagne irlandesi, le distese di girasoli e le scintillanti cascate, i boschi folti e pieni di vita, di leggende secolari, tradizioni che neanche il più violento degli invasori sarebbe riuscito a sradicare.
E io stavo per essere spedita in un luogo che non conoscevo, proprio come se fossi un pacco postale. Risi istericamente: per Richard Connor la mia vita non valeva più di quella di uno dei suoi cavalli. Cosa poteva importargliene se la punizione che mi aveva inflitto mi avrebbe gettata in un baratro d'infelicità?
Quando capii che le suppliche, i pianti e le invocazioni non sarebbero serviti a nulla, se non a peggiorare la situazione -sarei andata in Inghilterra, punto. Il Barone aveva deciso e io dovevo obbedire ai suoi ordini- mi rassegnai al mio destino.



Il mattino dopo Marie mi rammendò in tutta fretta l'unico vestito da viaggio che possedevo: nero, bordato da nastri di seta color zaffiro, accompagnato da una cuffietta di velo grigio e da un ombrello recuperato chissà dove.  Mi diede anche una lettera, raccomandandomi di aprirla solo quando fossi giunta a destinazione, mi strinse a sé per quelli che mi parvero secondi, e che invece si rivelarono ore. Poi mi fece fare colazione, mi prese la mano e mi portò fuori.
Tutto si svolse come a rallentatore: una carrozza nera si fermò davanti alla porta di casa. Marie mi prese in braccio, mi diede un bacio sulla guancia e mi fece accomodare sul sedile della vettura. Mi rannicchiai su me stessa, guardandola lottare contro le lacrime e la commozione, la paura e la nostalgia. Perché già mi mancava, nonostante non l'avessi ancora lasciata, ed ero certa che quegli stessi sentimenti avrebbero tormentato anche lei. 
Ero intontita, quasi non udii il suo saluto, il suo ti amo sussurrato. Tutto ciò che sapevo era che odiavo Richard Connor. Lo odiavo con tutta me stessa, e forse Magnus aveva ragione, Connor era davvero un figlio del demonio, gli piaceva seminare dolore nel mondo.
Una lacrima mi bagnò la pelle, strinsi i pugni.
In quel momento, una voce ansiosa s'intromise nel caos dei miei pensieri.
«Belle! Belle, dove stai andando? Belle!»
Era Magnus, correva così veloce che per un attimo pensai avrebbe tenuto il passo con la carrozza. Mi sporsi dal finestrino, guardandolo con occhi angosciati.
«Mi mandano via, Magn!»  urlai a mia volta, e le sue labbra si tesero in una smorfia incollerita.
«E' stato lui, vero? E' stato il Barone!»
Mi chiusi in un eloquente mutismo, e lui serrò la mascella.
«Gliela farò pagare, Belle, te lo giuro! E quando tornerai...»  la sua voce si faceva sempre più lontana. Lo stavo perdendo. Chissà quando ci saremmo rivisti...
Un singhiozzo sconsolato mi nacque nel petto.
Ora o mai più, pensai. Al diavolo la timidezza, non m'importava se Magnus avrebbe giudicato le mie parole roba da femminucce.
«Ti voglio bene, Magn!» urlai, e lui s'immobilizzò, sorpreso. Un dolce calore si accese nei suoi occhi.
Il cocchiere colpì i cavalli con il frustino, e la carrozza accelerò.
Continuai a guardare il viso di Magnus, che si faceva sempre più lontano e sfocato.
L'angoscia minacciava d'impadronirsi di me, ma un debole raggio di speranza mi fece fremere in un impeto di orgoglio misto a fiera determinazione.
Tornerò, pensai. Tornerò e riprenderò in mano la mia vita, i miei affetti, il mio futuro. Tornerò e Richard Connor si pentirà del male che mi ha fatto.























Babbo Natale quest'anno mi ha portato un regalo davvero gradito: l'ispirazione. Ed eccomi quindi a postare il terzo capitolo di Fuoco nero. Come vi avevo già anticipato, questi primi capitoli sono puramente introduttivi: dal prossimo entreremo nel cuore della vicenda. Ringrazio le cinque persone che hanno commentato lo scorso aggiornamento, chi segue, preferisce, ricorda e anche chi legge soltanto. Spero abbiate passato un buon Natale, pieno di risate e regali e persone che vi vogliono bene. :) Alla prossima, Elisa.








Mi dimentico sempre di farlo, ma ci tenevo a lasciarvi il link del mio profilo facebook. Se volete chiedermi l'amicizia sarò felicissima di accettarvi :)




Se invece volete cercarmi su altri social network, nella mia pagina autore troverete i miei profili twitter, tumblr, blogger e youtube.





Volete ricevere spoiler, anticipazioni e curiosità sulle mie storie? Volete sapere che aspetto hanno Annabelle e Richard, stare al passo con gli aggiornamenti, sapere a che punto sono con la stesura dei capitoli? Io e Matisse abbiamo creato questa paginetta in comune:











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