NB: Ladies and gentlemen, eccomi qua! Queste sarebbe dovuto essere il regalo per la Befana, ma volevo rendervi partecipi prima! In questa FF ci ho messo davvero tutto quello che avevo nell'anima, è stato quasi come se la mia anima vomitasse a getto continuo, il mio corpo è ancora sconvolto! Spero che abbiate un po' di tempo per recensirmi e come sempre sono apertissima alle critiche!
Enjoy! 




Life


Aprì  lentamente il cassetto della mia scrivania, sì quel cassetto. Il gentile cigolio preannunciava l'amaro sapore che mi avrebbe inorridito le papille gustative. Guardai la bottiglia, la trapassai con lo sguardo; sì, in quel giorno potevo, in quel giorno avrei potuto fare qualsiasi cosa. Con un dolore che mi attanagliava il cuore come un trappola per orsi, versai l’amato/odiato liquido nel bicchiere e con infantile velocità lo buttai giù per l’esofago che bruciò al solo contatto. Con il bicchiere ancora a mezz’aria sentì un lieve colpo sulla porta del mio ufficio, che non mi ricordava nessuna delle bussate che conoscevo: “Entra!” dissi con una strana determinazione, che ancora non avevo avuto modo di sentire, quel giorno.
Mi ritrovai di fronte l’affascinante sagoma del mio consulente che veniva a passo deciso verso la mia scrivania; sul suo viso era dipinta una strana espressione, l’avevo vista raramente, ma solo in quel momento mi sentì completamente compresa nel mio dolore: per l’intero giorno ero stata sbattuta contro visi pieni di ipocrisia e di finta comprensione; ma un solo suo sguardo mi aveva ricordato che non ero la sola a soffrire in quel giorno.
Sorrise, silenziosamente prese la mia mano e mi condusse davanti a lui; quando ci ritrovammo ad un respiro di distanza mi appoggiò la mano sul suo petto e trattenne il respiro: sentì il suo cuore che si infrangeva sulle sterno come onde sugli scogli, ancora e ancora e ancora. Poi riprese fiato: “Sentito?! Hai presente quell’incessante martellio?! Bè quello è ciò che differenzia dai cadaveri che vediamo ogni giorno e si chiama vita” Mi disse con una tenerezza nella voce, che anche volendo non avrei mai potuto attribuire a lui “E’ un dono, fanne buon uso.” Concluse, lasciando che trapelassero tutte le parole a cui, se fossero state dette  da un’altra persona, non avrei dato nessun peso.
“E’ quasi ironico che queste cose me le dica tu, non credi?!” Chiesi facendo riferimento ai suoi due angeli,
“E’ proprio perché te lo dico io che dovresti preoccuparti!” Rispose con un sorriso amaro, poi, quasi come si fosse reso conto solo in quel momento dell’esile distanza che ci separava, si allontanò goffamente: quasi inciampò per ritrarsi.
Puntai gli occhi sul pavimento: “Stai scappando, di nuovo” dissi in un sussurro, tentando di ritrovare Patrick, cacciando Jane. Lui mi prese tra le sue braccia, come da piccoli si prende tra le mani un uccellino con un ala spezzata, come se fossi una cosa preziosa da non rompere; mentre le mie unghie tentavano con forza di piantarsi nel tessuto della sua giaccia, in modo che non mi lasciasse.
Mi accarezzò dolcemente i capelli, fin quando non mi fui calmata; poi prese distanza da me, alzò con due dita il mio viso che era ancora inclinato verso il basso, per far aspirare interamente il suo profumo: “La morte di tua madre non è stata colpa tua, l’omicidio di mia moglie e mia figlia, invece, è stato a causa mia. Semplicemente è questo che distrugge quella fragile ironia. La tua vita è un dono, la mia una punizione.” Concluse, lasciandomi  assaporare il calore perduto di un abbraccio sciolto.