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Autore: MaTiSsE    27/12/2011    1 recensioni
Storia di un marito infedele. E della sua moglie succube.
Dolce.
Ubbidiente.
O forse no?
La storia partecipa al contest "From the video to the fiction" indetto ha hhhhavoc sul forum di Efp.
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al contest "From the video to the fiction" indetto da hhhavoc sul forum di Efp.
Il contest prevedeva di scrivere una storia prendendo spunto da un video musicale a propria scelta (attenzione: dal video e non dalla canzone) ed io ho optato per "Angie", il video di un gruppo che amo oltre me stessa (chi mi conosce lo sa bene), ossia i Verdena. 
Qui il link al video:
 
http://www.youtube.com/watch?v=98xspMXeWAw
 
Vi consiglio di guardarlo per capirne qualcosa del racconto! :)
Buona lettura.
Matisse.
 








 
 
A Marina ed Elisa che non mi fanno mai mancare il loro supporto.
Grazie, vi voglio bene.
Ed ai Verdena, con tutto il mio amore...
Perché sappiate quanto siete importanti per me. 
O, forse, lo sapete già.
 
 


 
 
 





 
Angelica
 
 













 
 
"Mi sto terribilmente annoiando, Signora mia..." - Avevo borbottato soltanto un'ora prima, scivolando in uno di quei seducenti sonnellini del dopo pranzo. Quelli da cui era davvero impossibile sottrarsi specie se il sole del primo pomeriggio seguitava a battere così crudelmente sulle palpebre stanche mentre il cicaleccio dei vicini produceva un'originale ritmica in grado di conciliare il riposo. 
In realtà, neanche avevo provato a resistervi: del resto, l'avevo avvisata Angelica che quella gita sul Mississippi si sarebbe rivelata tutt'altro che una buona idea. Una faccenda da coniugi rinsecchiti e piuttosto in là con gli anni, non certo un passatempo adatto a due creature nel fiore della gioventù come noi. A dirla tutta, avevo in mente altre idee per trascorrere quel nostro secondo anniversario di nozze.
 
Sì, esattamente: Angelica era mia moglie. La mia Signora, com'ero solito chiamarla. 
Ed era anche un tipo diffidente, la mia piccola Angie. Diceva sempre che non credeva alle mie promesse, poiché sapeva di per certo ch'io fossi una creatura furba cui piaceva recitare  infime bugie.
"Tu ami qualsiasi donna, non soltanto me. Ed un giorno smetterai di farlo. Un giorno non mi vorrai più ed io ti ucciderò." - Ripeteva spesso. Io ridevo di quella sua minaccia: non aveva torto, in fondo. Non l'avrei amata tutta la vita. L'Amore non è mai per sempre. Lo sapevo io e lo sapeva anche lei. Ma aveva l'abitudine di sussurrarmi quelle tenere intimidazioni baciandomi nel cuore della notte e dunque ero io, piuttosto, a non credere alle sue tesi apocalittiche. A quelle promesse di morte. 
Angelica era troppo dolce ed ingenua per far del male a qualcuno. Figurarsi a me.
In ogni caso nessun'altra era importante quanto lei ai miei occhi e, per dimostrarglielo, seguitavo ad accontentarla in ogni suo capriccio. Ogni sua richiesta era un ordine: tutto, pur di renderla felice. Del resto, avevo troppo da farmi perdonare. 
In quell'occasione, per esempio, Angelica aveva espresso il desiderio di avventurarsi in una gita sul Mississippi: un goffo tentativo, il suo, di rimembrare i candidi pomeriggi d'estate della sua infanzia, allorché gli augusti genitori accompagnavano lei ed il fratello Andreas a giocare sulla riva del fiume. Desiderava rammentare il periodo più sereno della sua vita. Desiderava farlo il giorno del nostro anniversario, ovviamente.
 
Piccola, stravagante Angelica!
 
E dunque avevo acconsentito al suo capriccio. Ecco il motivo per cui,  in quel giorno che avrebbe dovuto esser di festa per noi giovani sposi, anziché celebrare suddetta ricorrenza con una ricca cena e una lunga permanenza a due fra candide lenzuola, mi ero ritrovato schiacciato fra baffuti signori e noiose dame di medio – alta borghesia su di un battello vestito a festa.
 
In ogni caso non avevo partecipato alla gita col medesimo entusiasmo. Ecco perché, seduto su quella scomoda panchina del pontile e cullato dalla strana nenia strimpellata dai quattro suonatori di turno, mi ero abbandonato piuttosto facilmente a quel sonno senza sogni. Il tutto mentre Angelica, al mio fianco, continuava a farsi aria con un ventaglio piumato scambiando quattro chiacchiere con una cordiale signora di mezza età. Non mi ero curato minimamente della sua opinione né dell'idea che gli altri viaggiatori avrebbero potuto farsi di me di fronte ad un così maleducato atteggiamento. Tutt'altro: mi ero addirittura addormentato mentre il mio grassoccio vicino seguitava a parlarmi senza sosta. Mi ero addormentato anche a causa sua, in realtà.
 
 
Quando mi risvegliai ero solo. Diedi uno sguardo veloce al mio orologio da taschino calcolando il tempo del mio riposo: un'intera ora.
Con la lingua resa arida dal sonno, mi voltai sulla sinistra alla ricerca della mia sposa. Non la trovai.
Alla mia destra non c'era più traccia di quell'uomo che aveva cercato di raccontarmi dell'immensa fortuna procacciatasi vendendo pane e formaggi a prezzi ragionevoli presso i ricercatori di pepite d'oro in Colorado, sul finire del 1850. 
I musicisti avevano smesso di suonare, tra l'altro. Beh, a dirla tutta, guardandomi rapidamente in giro mi resi conto che non c'era proprio più...nessuno. Ero solo, seduto su di una scomoda panchina di un pontile desolato e su un battello...fermo nel bel mezzo del Mississippi.
 
"Per tutti i diavoli!...Angelica, amor mio? Angelica!"
 
Sbraitai inutilmente. Scattai dalla mia postazione, mi affacciai al parapetto, mi agitai muovendomi in lungo ed in largo sulle assi di legno del pavimento. Alla fin fine mi arresi, lisciandomi i baffi. Angelica non c'era. Gli altri viaggiatori neppure. Ero solo per davvero.
 
"Uhm.." - Bofonchiai perplesso. Trovavo assolutamente irritante sentirmi impossibilitato nel comprendere e gestire la situazione in cui mi ero, mio malgrado, invischiato. 
In ogni caso, non mi persi d'animo: in lontananza scorsi la scaletta che conduceva al piano inferiore. La raggiunsi in un balzo: magari avrei trovato qualcuno in grado di aiutarmi.
 
Tuttavia, scoprii a malincuore che anche il secondo pontile era disabitato. Almeno all'apparenza.
Che i viaggiatori si fossero decisi per una passeggiata sulla terra ferma? Ma no, non era possibile! Non eravamo neppure ancorati alla banchina! In effetti, non c'era alcuna banchina nei dintorni.
E dunque? Si erano gettati tutti quanti nelle scure acque del Mississippi? Di cosa si trattava, esattamente? Una divertente nuotata in compagnia? Un tentativo di suicidio collettivo?
 
Arrancai alla ricerca di una risposta alle mie congetture. Soprattutto, continuavo a domandarmi dove fosse finita la mia Angelica quand'ecco che, continuando a passeggiare ansiosamente, il mio occhio vigile registrò la presenza di una figurina scura accasciata su di un divanetto poco distante.
 
"Ma quella è..."
 
Miss 'O Connor. La giovane moglie di Sam 'O Connor, benestante (ed anzianotto) proprietario terriero della zona.
Le corsi incontro trafelato. La scoprii rannicchiata sulla spalliera del divanetto, il viso nascosto dal braccio sinistro e dalla chioma scura ed arruffata.
 
Jane 'O Connor era stata, in passato, un'altra deliziosa creatura sulla quale avevo messo gli occhi. Ovviamente mi dispiaceva pensare che non fosse troppo in forma.
La scossi più e più volte, agitato.
 
"Miss 'O Connor?"
 
Nessuna risposa. Continuai a chiamarla.
 
"Miss 'O Connor! Vi prego, svegliatevi."
"Uhm..." - Mugolò lei dall'altro lato. Sospirai sollevato: era viva, dunque!
 
"Sia ringraziato il Cielo, state bene...Vi siete semplicemente addormentata, Miss...?"
 
La voce mi morì in gola nel momento in cui la giovane si voltò nella mia direzione. 
 
Il viso appariva inverosimilmente ...gonfio. Qualche taglietto ed alcune escoriazioni le incorniciavano gli occhi languidi, le labbra screpolate. E quel suo colorito...verdognolo? Ecco, non mi sembrò propriamente in salute.
 
Lanciai un urlo sgraziato allorché la donna – non più splendida come ricordassi io – mi rivolse quel suo sguardo vacuo ed assolutamente terrificante. Nel medesimo istante Miss 'O Connor (o ciò che rimaneva di lei) si mosse sinuosamente, strisciando nella mia direzione con un'eleganza ed una disinvoltura tanto evidenti da apparire disgustose.
Balzai all'indietro, incerto, e per poco non inciampai nei miei stessi piedi, gridando ed imprecando per la seconda volta.
Lo spettro di Miss 'O Connor mi sogguardò con espressione persa e...felice? Sembrava deridesse il mio terrore. Ah no, non sembrava. Mi stava volutamente prendendo in giro. Quando digrignò i denti mostrando quella lingua scura e cisposa non trovai soluzione migliore che volgerle le spalle. E correre più lontano possibile a gambe levate.
 
Ritornai su per la scaletta in gran fretta, tanto velocemente che la sentii ondeggiare sotto i miei piedi con uno stridio metallico poco rassicurante. Sul pontile del piano superiore, verso la prua, scorsi due figure abbracciate.
Un uomo ed una donna. Sembrava fossero impegnati a ballare un lento.
In effetti, di sottofondo, mi sembrava di udire una sonata leggera Ma dov'erano i musicisti?
 
Riconobbi, in lontananza, il viso di Tom Robinson. 
Lavorava nel settore edile, il quarantenne Tom Robinson. Non aveva una moglie ma era certo del fascino che sapeva esercitare sulle donne. Io non ne ero altrettanto convinto.
In ogni caso, in quel momento di terrore, la sua faccia di normale essere umano – per quanto avesse potuto risultarmi sgradita nella vita di tutti i giorni – rappresentava quasi un'oasi nel deserto.
 
"Tom?" - Gridai alzando la mano, per farmi notare. - "TOM!"
Corsi nella sua direzione e per poco non scivolai con le mie scarpe buone sul pavimento lucido. - "Tom, mi riconoscete?? Sono Brian Jackson! Mi dovete ascoltare, è successo qualcosa di terribile alla moglie di 'O Connor!"
 
Gli arrivai ad una spanna di distanza e lui neanche si degnò di guardarmi. Era troppo impegnato nel tenere la sua dama tra le braccia. Neppure volteggiavano. Piuttosto si limitavano ad ondeggiare su se stessi.
 
"Tom!" - Urlai. Tentai di staccarlo dai fianchi della sua signora ma il braccio era granitico e praticamente impossibile da spostare – "Tom, maledizione! Seguitemi, è  accaduto qualcosa di terribile a Miss 'O Connor....Voi conoscete Miss 'O Connor, vero? In ogni caso, dovete aiutarmi! Bisogna cercare gli altri, avvisarli...Forse si sta diffondendo qualche strana malattia! Tom, mi state ascoltando??" 
 
Lo strattonai più del dovuto, furioso. 
Allora, Tom si decise finalmente ad alzare il viso dalla spalla della dama cui si accompagnava, guardandomi.
Evidentemente, lo avevo disturbato al punto tale da convincerlo a degnarmi di uno sguardo.
 
In realtà, sarebbe stato molto meglio se avesse continuato ad ignorarmi.
 
Mi mostrò la stessa, identica faccia deturpata di Miss 'O Connor.  E la medesima aria di...morte. 
Lo stesso sguardo vacuo ed infastidito. E poi i tagli, le ferite. Le suppurazioni.
E quei denti bianchissimi che risaltavano sulla pelle giallastra. 
 
Lo stomaco mi si contorse ed a stento trattenni un conato di vomito.
"Dio!" - Gridai. Il mio urlo si concluse, tuttavia, in una risata. Una risata che non mi apparteneva.
Nel medesimo istante, infatti, anche la seducente accompagnatrice di Tom si voltò scoprendo il suo sguardo ironico e mostruoso. Aveva le labbra violacee ed un rivolo di sangue le scorreva lungo il collo da un punto indefinito. Non conoscevo la sua identità e neanche m'interessava, in quel momento. 
 
Arretrai di nuovo, annaspando. Protesi le mani in avanti, in un involontario, stupidissimo tentativo di difesa. Incespicai, ruzzolai con il fondoschiena sul pavimento. Mi contorsi e continuai a muovermi come un granchio mentre i due ballerini, tenendosi per mano, avanzavano nella mia direzione, sogghignando con quel loro risolino indiavolato. Erano disgustosi.
 
"State lontano...Statemi lontano entrambi!" - Urlai prima di far leva sulle ginocchia e ricominciare a correre.
 
Alle mie spalle, i passi dei miei inseguitori si fecero rapidi. Ripetuti. Mi venivano dietro ed io non sapevo dove andare. Al piano di sotto non me la sarei passata meglio, del resto, e lo spazio messo a disposizione da quel battello era piuttosto limitato per poter offrire una valida via di salvezza. Avrei potuto gettarmi nelle acque scure del Mississippi guadagnandomi, in ogni caso, la morte: non sapevo nuotare.
 
Cos'era quello, esattamente? Un incubo? Una maledizione?
Cos'avrei dovuto fare?
 
Ed inoltre...Perché tutto questo stava accadendo a me e perché alla mia...Angelica?
Angelica!
 
E lei dov'era finita, adesso?
 
"L'avranno divorata! Queste luride bestie cos'avranno fatto del suo povero, esile corpo?!" - Domandai piangendo. - "Dannazione! Le avevo detto che sarebbe stato meglio festeggiare a casa!"
 
Dietro di me i passi concitati sembravano amplificati. Quante di quelle creature assatanate mi stavano inseguendo? Il battello doveva dunque essere infestato! Mi parve persino che qualcosa – forse una di quelle orribili e viscide mani? - m' intrappolasse la  caviglia. Ma l'istinto di sopravvivenza prevalse e scalciai fino a liberarmene.
 
Ovviamente non me la cavai tanto a buon mercato.
Continuai a fuggire, infilandomi tra corridoi e salette. All'ennesimo angolo che svoltavo (ma quant'era diventato improvvisamente grande quel battello?) qualcosa mi afferrò violentemente per il bavero della giacca.
 
Urlai come posseduto, scalciando e dimenandomi. Non durò così a lungo: la cosa mi lanciò in terra con disprezzo.
E dunque presi ad agitarmi anche lì, sul pavimento, strisciando i gomiti sulle assi di legno e strappandomi i pantaloni buoni.
 
"Mostro! Va via! Lasciami, lasciami andare ti dico!"
 
L'orribile creatura – perché tale avrebbe dovuto essere certamente – che mi aveva catturato continuò a tacere. Mentre io seguitai a non guardarla in faccia coprendomi il viso con le mani: non avevo più coraggio per ritrovarmi ancora davanti quei volti cadaverici e disgustosi.  Dunque, se in quel momento fossi morto per mano sua non avrei mai conosciuto l'identità del mio carnefice. Poco male: spirando avrei ripensato alla mia Angelica, piuttosto, ed avrei incontrato il nostro Signore portandomi dietro il ricordo della sua bellezza eterea e felice.
 
Indietreggiai ancora, senza rialzarmi dal legno sottostante: ero troppo debole.
Ed ancora gridavo quando la cosa, di rimando, pronunciò il mio nome con irritato sarcasmo.
 
"Brian..."
"Va' via! Io..."
"Brian! Apri gli occhi, maledizione!"
 
Una voce familiare. Forse un tantino alterata, quasi riverberata. Ma pur sempre la sua.
 
Angelica.
 
Mi bloccai di colpo e, nello stesso istante, riaprii gli occhi.
 
Quei boccoli ramati, lunghi. Appena più scomposti di come ricordassi io.
Il medesimo abito color crema che aveva indossato quel mattino senza alcun imbarazzo, davanti ai miei occhi avidi del suo corpo. Lo stesso le cui pieghe avevo visto svolazzare nella calda brezza di fine Maggio sul pontile di quel  battello maledetto.
 
"Angelica, moglie mia!...Angelica, almeno tu quindi stai..."
 
Bene?
 
La nostra fede nuziale brillò sotto la luce di un improvviso raggio di sole. Luminosa risaltava su di un anulare dal colorito...verdastro. Deglutii timoroso. Compresi all'istante cosa mi attendesse ma non guardai subito nella direzione della mia sposa. O di ciò che di lei persisteva. 
In che modo avrei mai potuto accettarlo?
 
"Brian? Guardami."
"No. Non voglio."
"Sì, invece. Lo farai. E' un ordine."
 
Alzai una sola palpebra. Colsi un guizzo verde, un labbro gonfio e tumefatto. Violaceo. La richiusi subito.
 
"Che...che cosa ti hanno fatto? Cosa sei??" - Urlai nascondendo ancora il viso.
"Sono tua moglie."
"Buon Dio, no!"
 
Le mani raspose di Angelica scivolarono sui miei polsi. Con una forza che mi era sconosciuta – una forza non sua visto che la mia signora era sempre stata molto delicata – mi costrinse ad allontanare le mani dal volto, a guardarla bene in faccia.
 
"Per ciò che hai di più caro al mondo, apri quegli occhi o ti giuro che entro dieci secondi sarai un uomo morto. Per mano mia!"
 
Fui costretto, mio malgrado. E quando i miei occhi incontrarono i suoi, color fango – fango? Ma erano azzurri! - deglutii ripetutamente per impedirmi di urlare ancora.
 
Aveva le ciglia lunghe e ricurve questa nuova Angelica. Incorniciavano pupille scure e diaboliche.
Un taglio sanguinante sulla palpebra destra. Occhiaie brune e profonde che risaltavano crudeli su quel medesimo colorito verdognolo ormai familiare.
Il suo bel viso in decomposizione, ecco quel che vidi. Piangere mi venne spontaneo.
 
"Non frignare, Signor mio."
"Ma non sei più tu!"
 
Anche parlare mi venne spontaneo. Così come protestare. Strano.
 
"Quante sciocchezze!" - Sibilò lei di rimando, con voce metallica. Sgusciò lontano dal mio viso col medesimo scatto repentino e la stessa, languida disinvoltura che mi avevano fatto rabbrividire in Miss 'O Connor, mentre io me ne stetti lì impalato, a fremere sulle assi di legno di quel pavimento ormai familiare. - "Son io, certo che son io...Soltanto più...invecchiata!"
"Qua – quanto invecchiata?" - Balbettai.
"Invecchiata tanto da... essere morta." - Spiegò. - "Una morta ...vivente."
 
Un brivido mi trapassò la schiena. Tremai.
 
"Che...che è successo a voi tutti, Angelica?"
"Mph!" - Alzò le spalle, seccata. - "Che vuoi che ne sappia? Una specie di maledizione, forse? Non ne ho idea." - Anche nei modi non era più lei. La donna che avevo sposato era degna del nome delicato che portava, questi erano atteggiamenti troppo sgarbati per appartenerle. 
"Dunque... perché io invece..."
"Cosa...?"
"Perché sono ancora...normale?"
 
La furia che lessi nei suoi occhi mentre tornava ad avventarsi su di me, riuscì a terrorizzarmi molto più del suo aspetto. Impallidii cercando, nei dintorni, un appiglio cui aggrapparmi: toccare qualcosa di solido e reale mi regalava una vaga parvenza di sicurezza, mi permetteva di sperare ancora in una possibile salvezza. Tutto ciò che riuscii ad afferrare, tuttavia, fu una sedia poco distante. Si muoveva con me, ovviamente: addio illusione di sopravvivenza.
 
"Normale?!" - Sputò con rabbia - "....Tu non sei normale! Sei soltanto uno stupido umano borioso e superficiale! Io...io sono forte. E mille volte più intelligente! Allora, dimmi...Credi forse che tu, con quel bel faccino, sia migliore di me adesso? O pensi che Sarah Parker, soltanto perché non è salita su questo battello, abbia un aspetto più attraente del mio? Io posseggo molto, molto più di lei!"
 
Sarah Parker. Una delle sue più acerrime nemiche, ovviamente. Alcuni mesi prima tra me e quella ridente fanciulla c'era stata una conoscenza più o meno profonda: qualche bacio, l'ennesimo gioco di sguardi. E la sua risata che risuonava nell'oscurità di un salotto in una casa perbene, durante un ricevimento. Ma qualche stupido ficcanaso aveva fatto la spia ed Angelica era venuta a scoprire  particolari che avrebbe dovuto viceversa ignorare per il resto della propria esistenza. Da quel giorno Sarah era sparita dai miei orizzonti mentre era finita direttamente sulla lista nera di mia moglie.
 
"Angelica! Cosa c'entra Sarah Parker adesso?" - Mormorai disperatamente. Vidi sparire rapidamente dalla mia visuale la sua bocca digrignata e violacea. Ero frastornato, confuso e spaventato e, per un attimo, la vista mi abbandonò. Quando tornai a focalizzare il mondo intorno a me, ritrovai Angelica in piedi, poco lontano. Mi dava le spalle.
 
"Io ti ho salvato perché ancora ti riconosco. Gli altri ti avrebbero ucciso. Avrebbero fatto a pezzi il tuo corpo e l'avrebbero divorato senza pensarci su due volte."
"E tu perché ancora ci pensi?"
 
Ridacchiò, sadicamente.
 
"Perché io ti amo."
 
Avrebbe dovuto rincuorarmi? Piuttosto, cominciai a sudar freddo: leggevo troppa crudele ironia nelle sue parole. Avrei avuto necessità di un bagno, di lì a poco, certamente. O, in alternativa, avrei dovuto farmela nelle braghe per la paura.
 
"Non è vero. Vuoi uccidermi anche tu." - Commentai convinto.
 
Angelica si voltò, muovendosi leggera e sinuosa nella mia direzione. Ebbi la sensazione che fosse ormai sprovvista di uno scheletro e delle articolazioni. Appariva, piuttosto, elegantemente scardinata, come se si fosse trattato di una medusa. Straordinarimanete questo particolare –  quantomeno su di lei – non mi causò disgusto o terrore. Evidentemente, la mia Angie sapeva portare  con estrema disinvoltura la sua nuova condizione di morte.
Si chinò su di me, fissandomi con quei suoi occhi scuri ed inquietanti. Stavolta non distolsi lo sguardo da lei ed alla fine, paradossalmente, finii col restarne assolutamente ipnotizzato per quanto terrificante potesse essere. O proprio per questo, forse.
 
"Non voglio ucciderti, stupido. L'avrei già fatto, credimi. Piuttosto, chiudendoti in questo sgabuzzino, ti ho concesso una possibilità. Se soltanto tu l'accettassi." - Commentò infine mestamente.
"Che dovrei fare?"
"Non puoi far nulla, in realtà. Tu hai paura di me."
"Non ne avresti al posto mio?"
"No, non ne avrei. Io ti amerei comunque. E ti amerei sempre. Anche adesso...non ti suggerisce nulla il tuo cuore? Nonostante ciò che...sono ora...Resti sempre il mio primo pensiero. Non potrei permetterti di morire così facilmente. Ti porto dentro di me. "
"Anche io..."
 
Avrei voluto dirle: anche io ti porto dentro di me. Ma era la verità? In quelle condizioni, soprattutto? Amavo Angelica, l'Angelica che era stata, che conoscevo io, che avevo sposato. E che avevo spogliato in tante notti vissute insieme in quei settecentotrenta giorni del nostro matrimonio.
E le avrei voluto sussurrare che le altre non erano state nulla, al confronto. Avevo scelto lei come compagna di vita, gli altri diversivi non avrebbero dovuto intaccare il nostro legame.
Il nostro precedente legame. Ma con quale coraggio avrei mai potuto rivolgere le medesime parole d'amore all'Angelica dalla carne morta che mi stava ora di fronte?
 
Tuttavia, quel mio primo accenno ed il tentennamento successivo dovettere destare profonda sorpresa in mia moglie. Nei suoi occhi scuri e terrificanti lessi prima turbamento, poi un guizzo di gioia ed infine un indicibile dolore quando comprese che non avrei mai terminato quella frase.
 
"Tu niente, Brian. Non ero importante per te prima, figurarsi quanto possa contare adesso." - Fece per alzarsi e qualcosa scattò dentro di me. Nè da viva né da morta Angelica avrebbe dovuto immaginare che io non l'avessi amata profondamente. Afferrai il suo braccio, affondando nella carne gelatinosa. Miracolosamente non vi badai e lei si fermò, non di certo perché avessi mostrato abbastanza forza per bloccarla. Soltanto perché lo desiderava, in realtà.
 
"Eri importante. Lo sei sempre stata."
"Mi hai tradita."
"Sono un uomo. Uno stupido uomo..."
"Ed un animale da letto."
"Anche quello. Soprattutto..."
 
Ridacchiò con me.
"Vorrei poterti dimostrare che...Non ti tradirò più, Angelica."
"E' troppo tardi per pensarci. Guarda quel che sono diventata."
"No, non è troppo tardi. A ben guardarti..." - Risposi inclinando il capo su di un lato - "...Sei sempre tu, la solita Angelica con le sue solite insicurezze..."
"Certe attitudini non scompaiono con la morte, Amor mio. E certe altre questioni di vita sì, invece. E' per questo che devo lasciarti andare, ora. Non è più tempo per noi. Non puoi stare con una come me. E devi allontanarti prima che l'istinto prenda il sopravvento."
 
Prima ch'io ti uccida.
 
"E quindi...?"
"Quindi va' via. Ti aiuterò a fuggire. Ma prima...ti chiedo un'ultima testimonianza del sentimento che dici di provare per me. Dopo sparirò perché l'amore è anche consentire all'altro di scegliere una strada diversa. E' comprendere quando non c'è più spazio per il noi."
 
Profondamente colpito da quel discorso riconobbi in quella creatura mostruosa il lato romantico della donna che avevo amato. E che amavo ancora. Per cui acconsentii.
 
"Che prova?"
"Baciami. Ripugnante come sono. Baciami."
"Io che...?" 
 
Guardai le sue labbra tumefatte, aride. I denti bianchissimi, scintillanti sul fondo scuro del sangue che le colava dalla bocca. Le palpebre grandi, lacerate e quella sua pelle sgranata. La sfiorai appena, sconcertato, incapace di trovare una risposta, incapace di accettare quel suo nuovo viso.  Anche incapace di assecondarla, per una volta. 
E poi....poi accade. D'un tratto, in quegli occhi bui ed insoliti che mi fissavano, scorsi quel breve, tenerissimo luccichio di infantile speranza che aveva la mia Angelica quando mi pregava di portarla a bere la cioccolata calda alla caffetteria che amava tanto. E quel guizzo di dolorosa consapevolezza che sfoggiava quando perdonava per l'ennesima volta le mie marachelle. Diceva sempre che quella sarebbe stata l'ultima chance, che dopo mi avrebbe cacciato di casa. Poi però, quando tornavo da lei, mi accoglieva sempre come una mamma amorevole.
Non potevo ignorarlo. Non me la sentii: il mio cuore di marito infedele, innamorato e desolato non me lo consentì. Angelica sarebbe volata via da me, presto. Ed avrebbe rinunciato al nostro amore per il mio bene. Potevo negarle quell'ultimo desiderio? Potevo negarlo a me stesso?
 
E così trovai il coraggio: superai la ripugnanza, il terrore, l'impressione. Superai la  disperazione o forse mi aggrappai ad essa per vivere quell'istante surreale. Angelica chiuse gli occhi ed io feci lo stesso, mentre lei si avvicinava a me nel suo modo fin troppo veloce e dinoccolato. In sottofondo, colpi provenienti dalla porta mi indussero ad un sussulto: ci avevano trovato. Mi volevano. Le altre creature mostruose reclamavano il mio corpo ed il mio sangue per il loro lauto pranzo.
 
"Angelica...Loro...Loro..."
"Lasciali perdere. Non curartene. Pensa a me. Loro son diversi, non c'entrano con noi." - Ripetè trattenendo il mio viso tra le sua mani.
"Ma mi uccideranno..."
"Baciami Brian!" - Ripetè posando le sue labbra raspose sulle mie. Per un attimo rabbrividii ma cercai di controllarmi. Diviso tra il terrore per il destino che mi avrebbero riservato quelle creature infernali e l'involontario senso di disgusto nato da quel contatto faticavo a mantenere i nervi saldi. Avrei urlato per ore soltanto per sfuggire a quella follia. Intanto Angelica mi sembrava completamente presa dal momento. Non faceva altro che seguitare a ripetere il mio nome.
 
"Brian...Amor mio, Brian..."
"Angelica, io..." - Mormorai appena mentre la sua lingua ruvida cercava la mia.
"Brian....Brian....Brian..." - Invocò ancora. E ancora.
 
 
 
"Brian...Brian..."
"Non..."
"Brian! Per Amor del Cielo, puoi svegliarti? 
"Che...che cosa?!" - Saltai dalla sedia, nervosamente. Ero indolenzito, il collo mi doleva ed anche la testa mi girava un po'. Mi guardai intorno confuso: davanti a me si stagliavano le acque placide del Mississipi. La riva era vicina, ormai.
In sottofondo potevo udire le stessa sonata allegra che mi aveva accompagnato in quel lugubre sonno. La piccola orchestra suonava sul fondo della sala: il pianista mi dava le spalle. Ruotai appena lo sguardo, incontrando il faccione buffo del mio vicino famoso, quello che vendeva da mangiare in Colorado ai ricercatori d'oro. Improvvisamente lo trovai sublime. Gli sorrisi atterrito: ricambiò da sotto i baffi grigi. Qualche vecchia signora ciarlva in un angolo lontano del pontile. Udii persino la risata di un bambino: il battello era tornato a vivere. Ed io con lui.
 
"Brian?"
La voce calda e dolcissima che mi era familiare. Il cuore si riaccese di nuova speranza, mi saltellò nel petto come un saltimbanco.
Mi voltai di scatto ed incontrai gli occhi azzurri della mia Angelica.
 
"Angelica! Amor mio!" - Mi commossi – "Sei...tu sei? Oh...è stato soltanto un sogno, dunque?"
 
Carezzai il suo bel volto, la pelle liscia e di porcellana. Le gote rosate, le labbra morbide e piene aperte in una "O" di meraviglia. Era di nuovo la mia Angelica. E la nostra fede brillava sul suo anulare candido e perfetto, di nuovo. Non avrei dovuto perderla e lei non sarebbe stata più costretta a lasciarmi andare per non uccidermi.
Lei era la solita Angelica di sempre. Io ero l'uomo più fortunato al mondo.
 
"Brian!" - Mi rimproverò. - "Come hai potuto addormentarti così, davanti a tutti? Che vergogna!"
"Perdonami amor mio, Signora mia!" - Mugolai baciandole il dorso della mano. Avvampò.
"Ma che ti prende?"
"Io t'amo!" - Esclamai allora. Una signora poco distante udì le mie parole e si voltò a guardarmi compiaciuta. - "Io t'amo, devi saperlo!"
"Sssh! Brian!" - Mi ammonì a voce più bassa. - "Certe cose vanno confessate nelll'intimità della propria casa. Non in mezzo a tutta questa gente!"
"No, no! Ti sbagli...Che tutti sappiano quanto t'amo e quanto sia l'uomo più fortunato del mondo! Non posso perderti, adesso l'ho capito...Non voglio perderti...Semmai dovesse accadere..."
"Non accadrà, lo sai." - Rispose infine seccata – "Nonostante tutto quel che mi combini non riuscirei a..."
"Starmi lontana? Vale lo stesso per me, amor mio...Ti prego di credermi. Non ti tradirò mai più..."
"Non dire sciocchezze, abbi pazienza..."
"Te lo prometto sulla mia stessa vita! Sarò l'uomo perfetto, il marito che hai sempre desiderato, non ti farò più penare...E' un giuramento, ti prego di credermi, amor mio!" - Sussurrai stringendole convulsamente le mani. La guardai negli occhi per un tempo infinitamente lungo ringraziando Dio di avermela restituita. Quell'incubo orribile era servito per aprirmi gli occhi e farmi comprendere che non avrei mai potuto vivere senza la mia Angelica accanto.
Angelica, dal canto suo, mi guardò di sottecchi, compiaciuta. - Vedremo – Aggiunse ridacchiando.
 
"Ti amo, mia Signora." - Pronunciai infine, ormai totalmente rincuorato, prendendo la mano di mia moglie tra le mie. Eravamo vicini alla terraferma ed Angelica si alzò lentamente, pronta per tornare a riva.
"Ti amo anche io. Ma adesso vieni, mio Signore..." - Rispose accondiscendente. Le servivano davvero poche parole pronunciate col cuore per tornare a sciogliersi ed esser mia. - "...Parleremo ancora a casa ed avremo tutta la notte davanti per amarci." - Promise infine.
Io sorrisi e le baciai il dorso della mano scoprendovi...un'orribile ferita. Come un taglio infettato, annerito ai bordi. La pelle intorno aveva assunto un colorito anomalo ed appariva ruvida. In un attimo, il ricordo di quell'incubo così recente, tornò prepotentemente ad invadere la mia mente e sussultai. Il ricordo della medesima carne macerata e repellente.
 
"Angelica!" - Urlai.
"Che c'è adesso, Brian?!"
"Quella...quella cos'è?" - Indicai la ferita purulenta con mano tremolante. Angelica guardò la zona incriminata con curiosa perplessità.
"Oh, questa maledetta ferita! Me la son procurata ieri in giardino. L'ho curata subito ma non vuol accennare a migliorare. Effettivamente fa male."
"Tu...!" - Esclamai alzandomi di scatto. Angelica mi guardò preoccupata, portandosi entrambe le mani in grembo. - "...Tu dovresti farti vedere da un bravo dottore! E' proprio quel che farai...!"
"Brian...Brian, calmati per favore! E' una sciocchezza!"
"Devi curarti! Tu non tornerai...Tu non puoi...Non..."
"Brian, Brian..."
 
Brian, Brian, Brian...
 
Quella voce suadente. Un'altra volta.
Mi accasciai sulla panchina, sconvolto. Intorno a me solo silenzio.
 
Ed allora lei si fece più vicina.
E guardandomi con i suoi occhi scuri, sussurrò languida:
 
"Di cosa ti preoccupi, Signor mio? Tanto l'hai detto tu...Mi amerai comunque. No?"
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
- FINE - 
 
 
 
 
 
   
 
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