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Autore: Dorothy257    27/12/2011    0 recensioni
[...]Senza pensarci ulteriormente gli presi la mano e mi lasciai trascinare al centro della pista da ballo gremita di ragazzi intenti a mostrare la loro bravura a ballare un Boogie-woogie che la piccola orchestra aveva da poco cominciato ad intonare. Mi feci ben presto prendere dal ritmo della musica, ben felice di quel minimo contatto fisico[...]Durante il tragitto per tornare a casa mi parve di essere seguita; mi voltai un paio di volte ma non vidi nessuno, eppure lui era lì, lo sentivo; mi sembrava quasi di vedere i suoi occhi brillare nell’oscurità della notte.[...]
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Ricordi in bianco e nero.





Era una piovosa Domenica di Marzo, il vento soffiava forte e le grosse gocce di pioggia si infrangevano violentemente contro i vetri delle finestre. Avevo deciso di scendere in cantina per mettere un po’ in ordine, erano anni che non lo facevo. Cominciai a guardarmi intorno tra gli scaffali pieni di bottiglie di vino, la puzza di vecchio che pizzicava il naso e l’opprimente confusione di cianfrusaglie e scatole enormi. Ne notai una più piccola, molto più piccola, nascosta da strati di polvere e con un’impercettibile scritta sul coperchio. Appena la presi in mano tutto mi tornò alla mente; le mani cominciarono a tremare e dovetti deglutire un paio di volte prima di tornare a respirare normalmente.
Salii in casa e non aspettai nemmeno di arrivare alla sala da pranzo per sedermi comodamente su una sedia, mi inginocchiai lì, sull’enorme tappeto persiano davanti all’ingresso. Presi un respiro profondo e lentamente sollevai il coperchio. Come mi aspettavo era tutto al proprio posto: due foto in bianco e nero, un biglietto del cinema ed una trentina di bigliettini stropicciati ed ingialliti dal tempo. Subito un vortice di ricordi mi avvolse facendomi girare la testa, e nel suo turbinio, come un flashback, mi riportò anni addietro.
Ero ringiovanita di una quarantina d’anni; ricordai quella sera senza luna della prima metà degli anni Cinquanta quando i giovani si divertivano nelle numerose sale da ballo in città, occasionalmente aperte a quell’ora per dei festeggiamenti che sarebbero durati due giorni. Io, poco più che ventenne, non ero da meno.
Si era da qualche settimana sparsa in giro la notizia dell’arrivo in paese di alcuni cadetti della marina militare in licenza temporanea, ma mai mi sarei aspettata di trovarmeli davanti proprio quella sera. La porta della sala da ballo si spalancò, tre ragazzi entrarono seguiti da un leggero venticello quasi estivo profumato di fiori e brezza marina. Sotto l’occhio attento delle persone presenti che si erano voltate a guardare, avanzarono fino alla pista. Indossavano la divisa da riposo, di un bianco candido che faceva risaltare le loro braccia muscolose ed abbronzate da un sole dell’altro emisfero.
Uno di loro, il più giovane, si diresse verso il tavolo dove io e le mie amiche, tra un ballo e l’altro, ci sedevamo per riposare. Con voce affabile e gentile mi chiese guardandomi negli occhi: « Mi concede questo ballo, signorina?». Non avevo mai visto degli occhi così belli, di un verde intenso, come quello degli ulivi, erano magnetici. Dovetti staccarmi a forza da quella visione e riprendere pieno controllo di me stessa prima di rispondere.
«Mi scusi ma io non ballo mai con gli sconosciuti.»
«Non c’è problema, sono Sebastiano Aurelio, e come credo possa aver ben notato, sono un cadetto della marina militare in licenza, ma ecco che sta per terminare questa canzone, sarà meglio sbrigarci se non vogliamo perdere i posti migliori.» e mi tese la mano sorridendo. Di nuovo il suo sguardo. Non potevo rifiutare. Senza pensarci ulteriormente gli presi la mano e mi lasciai trascinare al centro della pista da ballo gremita di ragazzi intenti a mostrare la loro bravura a ballare un Boogie-woogie che la piccola orchestra aveva da poco cominciato ad intonare. Mi feci ben presto prendere dal ritmo della musica, ben felice di quel minimo contatto fisico, ma lo scalpiccio dei piedi mi rimbombava nella testa. Il cadetto Sebastiano Aurelio, con un breve cenno del capo, chiese di cambiare melodia all’orchestra, che passò a suonare un lento Walzer. Senza quasi accorgermene mi sentii sorreggere da robuste braccia e la stanza attorno a me prese a girare. Una, due, quel contatto mi faceva formicolare le mani, cinque, dieci giravolte, e fui costretta di nuovo a guardarlo negli occhi, quanto erano belli?
Il flash di una macchina fotografica mi fece rinsavire. Erano già le nove.
«Oh come è tardi! Devo tornare a casa.»
«Di già? Lasci almeno che la accompagni.»
«No mi dispiace.», e me ne andai con lo sguardo basso.
Era possibile innamorarsi di una persona solo per averla guardata negli occhi?


Ricordai il giorno successivo: tutto il paese era in festa; come ogni anno era stata allestita una fiera aperta per l’intera giornata, ma era soprattutto alla sera che diventava davvero imperdibile. Mi ci ero recata, stretta in un vestitino a fiori da poco comprato, insieme ai miei genitori ed alle mie due sorelle minori. Ferma ad osservare la merce in vendita su una bancarella, mi accorsi che la mia famiglia mi aveva lasciata indietro, ovunque guardassi non riuscivo a trovarli. Ma ecco qualcosa di familiare, quegli occhi verdi, accompagnati da quel sorriso, vennero verso di me.
«Signorina ci si rincontra!»
«A quanto pare.»
«Non faccia la scontrosa. Come si chiama?»
«Agatha, ma per favore, non mi dia del lei, mi mette in soggezione.»
«Come desideri. Pensi che durante la mia permanenza avremo altre occasioni per vederci?», di nuovo quel sorriso incantevole. Abbassai lo sguardo per nascondere un certo imbarazzo.
«Sono dispiaciuta ma devo tornare a cercare i miei genitori, arrivederci.», e me ne andai per la seconda volta senza che lui potesse replicare.
Durante il tragitto per tornare a casa mi parve di essere seguita; mi voltai un paio di volte ma non vidi nessuno, eppure lui era lì, lo sentivo; mi sembrava quasi di vedere i suoi occhi brillare nell’oscurità della notte.


Ricordai la sorpresa che il giorno seguente provai nell’aprire e leggere il primo dei tanti bigliettini che ci saremmo scritti da lì in poi. Mi chiedeva di rivederlo. Gli risposi un “no” secco e riposi il foglietto in quel buco nel muro che mi aveva indicato nella breve lettera. La mattina seguente ne trovai un altro, nello stesso posto. Questa volta mi supplicava di incontrarlo, dicendomi che sapeva che anche io lo desideravo: l’aveva letto nei miei occhi.
Inventai una scusa ed uscii. L’incontro fu breve; giusto il tempo di scambiare due parole e di strappare la promessa di un nuovo appuntamento per il giorno seguente. Fu così che trascorsi i primi due mesi della sua permanenza: a raccontare bugie per poter passare l’intero pomeriggio nascosta nei campi di grano a parlare e conoscere quel cadetto dagli occhi incantatori.
Ricordai quando, dopo due mesi e mezzo, mi portò al cinema, il biglietto ancora nella scatola. Ricordai quando durante la proiezione tentò di baciarmi un paio di volte senza successo. Ero già innamorata ed avrei sofferto alla sua partenza, non volevo complicare le cose.
Ricordai come qualche giorno dopo, immersi nel campo di grano e tra un morso e l’altro di frutta, non mantenni fede alla mia promessa: quello sguardo, quel sorriso, non resistetti, lo baciai.
Un bacio nuovo per entrambi.
Un bacio d’amore.
Un bacio alla ciliegia.

Ricordai gli altri due mesi passati assieme, gli ultimi, ed i baci che vennero; ricordai la sensazione di calore che mi faceva avvampare sulla pelle il suo sguardo, il senso di protezione che mi dava il suo abbraccio.
Ricordai quando, abbracciati nel campo mentre lui mi solleticava piacevolmente la pelle con una spiga di grano, giurammo di amarci per sempre, di rincontrarci. Infondo sapevamo mentire bene, soprattutto a noi stessi.
Ricordai quell’unica notte d’amore passata assieme sotto le stelle cadenti il giorno prima della sua partenza. Una notte piena di passione ma anche di tristezza perché ormai consapevoli di essere giunti all’ultima fermata di un bellissimo viaggio.
Ci salutammo così, senza rimpianti, con gli occhi velati da una leggera malinconia; il suo sguardo mi avvolse e mi riscaldò per l’ultima volta; ci salutammo così, per non rivederci mai più.
Quella storia d’amore fresca, giovanile, breve ma intensa era finita. Mi rimaneva però ancora la scatola e quella parola scritta sopra. Chiusi il coperchio, presi un pennarello e la ricalcai: Ricordi.
Ricordi lontani, ma che si riuscivano ancora a sfiorare con le dita di una mano.
Ricordi che non mi avrebbero mai abbandonata.
Ricordi in bianco e nero.


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N/A
Fatemi sapere cosa ne pensate, mi farebbe molto piacere. Baci.
  
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