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Autore: C r i s    27/12/2011    6 recensioni
Si sa, le vacanze di Natale le accostiamo facilmente alla neve e spesso, chi non ha modo di vedersela cadere sotto la punta del proprio naso, va a cercarsela.
Lo stesso accade con i nostri amici d'avventura. Li ricordate? Melanie, Adam, Brian, Megan - e chi più ne ha più ne metta - tornano (dopo un anno di pausa per la scrittrice, a distanza di cinque anni invece per loro) con un'avvincente giornata che preannuncia l'inizio di vacanze del tutto infuocate. E no, questa volta non mi riferisco a nessun doppio senso a sfondo rosso!
Buon Natale, seppur in ritardo, dai personaggi de 'Il decalogo del sesso'.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il decalogo del sesso'
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Note iniziali:
Si annuncia al gentile lettore che nessun personaggio è responsabile delle parole create dall'autrice, nè tantomeno del papiro fuoriuscito dalla sua testa.
Inoltre, ognuno di loro augura un felice Natale e un meraviglioso anno nuovo, all'insegna della felicità e dei buoni propositi - chi puntualmente infranti, chi orgogliosamente rispettati - che neppure loro stessi, detto in confidenza, rispetteranno.

 


Let it snow.



 

 

 

Neve.
Uno strato bianco, infinito, che offusca la vista e stimola il precario autocontrollo a cedere.
Per i cani tutto è più facile, si rotolerebbero persino nella carta igienica.
Ecco, vorrei rinascere nelle vesti di un cane, anche se, probabilmente, morirei d’ipotermia, se mi rotolassi nella neve. E non solo nelle vesti di un cane.
«A furia di guardarla, si scioglierà».
Alzo lo sguardo, trattenendomi dallo sbuffare. Sbuffi sempre, Melanie?, sono certa che di qui a poco me lo dirà, non sa tenersi nulla per sé, o almeno non più. A dire il vero, soltanto se riguarda il mio pessimo carattere, quasi le offese le spacciasse per complimenti.
Che generoso.
«Con questo freddo, neppure se il sole si avvicinasse, si scioglierebbe», incrocio le braccia sotto il petto e osservo i raggi del sole proiettarsi sul manto bianco che ricopre i cespugli d’erba.
«Il sole non si avvicina, se ci sei tu», ecco che ride.
Dico io, perché ride, sapendo perfettamente che questa non è neppure catalogabile come battuta d’alto spirito? Dovrebbe farglielo capire il fatto che stia ridendo da solo; e non c’entra nulla che stia ridendo su di me, perché, quando la situazione è comica, sono la prima a ridere.
Non sempre, quando si tratta di Adam, ma un quarto delle volte sì.
«Dovrò bisbigliargli di farlo quando tu non ci sei», posso farcela, posso trattenere lo sbuffo, sul serio.
«Il problema non sono io», sghignazza, mentre retrocede alla seconda marcia e svolta a destra, imboccando una salita che affaccia sul paesino dai tetti innevati.
«Il problema non sei mai tu».
Ecco, l’ho fatto.
Ho sbuffato.
E lui ride. E come ride.
Devo segnarlo nella lista dei buoni propositi per l’anno nuovo: non dare alcuna soddisfazione ad Adam, cascasse il mondo. O il sole, dipende dai punti di vista.
La vecchia GIP presa in prestito all’autonoleggio prosegue sulla sua strada, Adam inserisce il cambio di marcia e alza il volume della radio, la quale trasmette una canzone francese, di cui probabilmente non imparerò mai neppure il titolo.
«Non avresti dovuto studiarlo», brontolo a voce bassa, più che altro sentendo il bisogno di punzecchiarlo quasi quanto ha fatto lui durante tutta la durata del volo.
«Sei invidiosa delle mie conoscenze?», il ghigno sulla sua faccia non scompare, bensì viene accentuato dalla mia reazione.
«Adam, ti si smolla la faccia se continui a ridere».
«Allora lo ammetti», inserisce la freccia e si prepara a svoltare, di nuovo.
«Sì, ti si smolla sul serio».
«A quel punto, non ti piacerei più», non è neppure una domanda, la sua. Troppo facile così.
«Non andresti ugualmente da nessuna parte. Questa vacanza ti tocca ugualmente e non ci sono vie di fuga», alzo l’indice nella sua direzione e assottiglio lo sguardo, «Sappi che c’è il rischio valanghe da queste parti, per cui, soffoca il tuo istinto avventuriero e soprattutto il tuo neurone folle e sadico».
«Non ho altra scelta a quanto pare», scrolla le spalle e inchioda il freno.
Sto per aggiungere che gli toccherà scendere in paese per ogni mia esigenza, quando l’occhio mi scappa allo spettacolo che si para oltre il vetro e sento il volto incendiarsi d’emozione.
«No», sussurro, sciogliendo la cintura di sicurezza, «Non ne hai».
 

*

 
La porta del cottage viene spalancata di getto, nonostante Adam sembri impacciato nel reggere due valigie ed un borsone a tracolla. Dilettante.
Mi dondolo sulle punte, mentre sbircio nella fessura creatasi tra il suo braccio e il fianco, e ai miei occhi compare una scena che, probabilmente, in un modo o nell’altro, non avrei mai potuto perdere.
«Mi chiedo come io sia potuta finire con un incapace come te! Da’ qua!», la voce di Megan supera di un’ottava la radio che trasmette musica tipica natalizia.
Strappa dalle mani di un Brian impacciato le luci colorate, mentre il ragazzo, dal suo canto, oppone resistenza, sbuffando come un trattore.
Quel filo lo vedo male.
«Ringrazia al cielo d’avere un motivo serio per avermi ancora tra i piedi, altrimenti ti avrei piantato già da un secolo», le rivela il ragazzo, con una scintilla determinata negli occhi verdi.
Un ennesimo strattone e il filo dalle luci colorate sembra tentennare, ma nessuno dei due vi presta attenzione.
Adam, portando gli occhi al cielo, chiude la porta alle nostre spalle e posa le valigie a terra senza badare al tonfo provocato; in realtà, non vi bada nessuno, se non la sottoscritta.
I nostri occhi vagano nella camera spaziosa, popolata semplicemente da una coppia di frustrati e un albero di Natale, completamente spoglio; grazie alla coppia di frustrati, suppongo.
«Mio padre ti ucciderebbe», proferisce Megan con fierezza, mentre strattona le luci, che tentennano.
«Potrei farlo anch’io, in realtà», ribatte il ragazzo, utilizzando un’unica mano e soltanto allora mi accorgo dell’asta che gli regge il dito medio. La mano è completamente fasciata, ma non oso pensare cos’abbia combinato per ridursi così, nelle vacanze di Natale.
«Soltanto perché lui te l’ha permesso», esclama furibonda la mora.
«Vuoi dire che lavoro grazie alla tua famiglia?», sibila contrito l’altro, stringendo il filo tra le dita con fin troppa forza.
«Voglio dire che se non fosse stato per la sua spinta, a quest’ora staresti ancora guardando il soffitto della tua camera di legno», sorride serafica e riesce ad ottenere, con uno strattone finale, le luci tra le sue mani.
«Di quale spinta stai parlando?», digrigna i denti e si sporge nella sua direzione, «Sono diventato un poliziotto soltanto perché ho seguito l’intero corso militare, mia cara so-tutto-io», le pungola addosso un dito per spintonarla all’indietro e Megan sbarra gli occhi. «E, a doverla dire tutta, credo che tuo padre stia perdendo qualche colpo con la vecchiaia, se ti reputa persino una perla
«Lui mi apprezza!», Megan si sporge nella direzione del ragazzo imbronciato e, ponendosi alle sue spalle, porta il filo delle luci attorno al suo collo.  «Cosa che dovresti fare anche tu!»
«Non stai guadagnando punti così», il ghigno di Adam si riflesse nella sua frase ricolmo di sarcasmo e l’idilliaco momento termina, non appena la coppia dall’amore infinito si accorge di non essere più gli unici a riempire la stanza.
Megan molla la presa, nonostante io sappia per certo quali siano le sue intenzioni, e si avvicina con dei saltelli, prima di abbracciarmi, con fin troppa foga.
Le massaggio la schiena, pregando che questa volta ognuno dei due abbassi il livello d’omicidio reciproco: in fondo è Natale!
«Respira, Meg. Al piccolo Nick servirà un padre, quando dovrà parlare di sesso», le batto una mano sulla spalla, cercando di confortarla, ma il suo respiro accelera.
«Mi auguro di essere la sua unica consulente in campo sessuale! Sai come lo traumatizzerà? Non è esperto, non quanto me, anzi, non lo è affatto. Ne ho parlato a sufficienza con la mia psicologa delle nostre crisi sessuali, per cui, chiudiamo l’argomento», dichiara, annuendo con un colpo della testa, prima di staccarsi dall’abbraccio e sorridere accondiscendente in direzione di Adam.
Trattengo per me il fatto che, escludendo le famigerate crisi sessuali, abbiano messo al mondo una creatura di appena ventiquattro mesi dal viso adorabile e dagli occhioni splendenti. Credo non faccia testo però, in fondo Megan è abile ad arrampicarsi sui muri.
Il povero Brian armeggia, in evidente difficoltà, con il filo aggrovigliato al suo collo, così mi avvicino con un piccolo sorriso sulle labbra e lo aiuto a districarsi.
«Il chiappo è giornaliero in casa vostra o soltanto a Natale?», chiedo, trattenendo uno sprazzo di risata che fuoriesce non appena Brian mi lancia uno sguardo infuocato.
«Metaforicamente parlando, è così tutti i giorni», bofonchia, massaggiandosi la nuca.
«Mi sarei stupita, se fosse stato l’opposto».
Un ennesimo sguardo cupo, prima di aprirsi al mio abbraccio.
«Non reggermi il broncio, Brian, non hai più l’età per queste cose», gli batto il palmo della mano su un braccio e il suo sbuffo arriva chiaro e tondo.
Ah, le cattive abitudini sono dure a morire!
«Ho soltanto ventitré anni, non cinquantatré!», esclama con foga, puntando l’attenzione sulla figura longilinea di Megan. Ovviamente si riferisce all’età di suo padre, ma con disinvoltura la ragazza sostiene le spalle e cinguetta con Adam; probabilmente si starà informando sulle mie ultime gaffe dell’anno.
Dei rumori promiscui interrompono l’atmosfera, lancio uno sguardo in direzione di una porta di legno che viene aperta con lentezza e i miei occhi s’illuminano, non appena osservo uno scricciolo di neppure cinquanta centimetri gattonare amorevolmente nella nostra direzione.
Alle sue spalle, una Sophie sconvolta aggiusta la crocchia sulla sua testa, impastando i capelli di farina bianca. Sospira e porta gli occhi sulla figura del bambino che, sorridente, si allontana dalle sue grinfie.
«Ecco dov’era finito!», esclama infervorata, portando i pugni sui fianchi, senza neppure accorgersi di essere osservata da tutti i presenti. «Nicholas, torna qui».
«Non è un cane», sbotta Brian, chinandosi in attesa che il bambino lo raggiunga. Quest’ultimo, invece, osservando sia madre che padre, devia il percorso, fermandosi dinanzi l’albero spoglio. Porta un dito alle labbra e lo morde appena.
«Quello lo è il padre», ribatte Megan, attizzando costantemente il fuoco.
Mi chiedo come siano sopravvissuti cinque anni insieme. Come?
«O la madre, chi può dirlo», schiocca la lingua con astuzia e le rivolge uno sguardo ricolmo di sfida.
Adam si allontana in quella che, suppongo, sia una cucina, mentre Sophie si accorge improvvisamente della nostra presenza. Emana un urletto e si dilata in un enorme sorriso, le babbucce a forma di papera ai suoi piedi mi strappano una lieve risata e improvvisamente un calore divampa all’altezza del mio petto, come se finalmente fossi tornata alla base, dopo tanto vagabondare.
«Devo mettere gli occhiali, non vi ho proprio visti!», si giustifica, dandomi un bacio sulla guancia.
«O l’apparecchio all’udito», le sorrido, mentre si aggiusta il grembiule rosso legato alla vita, anch’esso sporco di farina.
«Ero intenta a preparare dei dolci», afferma con occhi luccicanti, «Anche se Ashlee ha deciso di imporre delle direttive assurde. Si è seduta su una sedia e anziché darsi da fare, accavalla le gambe e agita le braccia!», sbuffa contrita, mentre si massaggia una guancia.
«La gravidanza la starà stancando», butto lì con noncuranza, mentre osservo Brian alle prese con il piccolo Nicholas, un bambino dai capelli scuri e ricci e dagli occhi azzurri. Il naso è una puntina e le guance sono rosse, probabilmente accaldate dalla vicinanza con il camino acceso.
Siedo sul divano e, con allegria, assimilo le particolarità di quel posto: le finestre dai larghi vetri affacciano sul cortile ricolmo di neve; sono ricoperti da buffi adesivi natalizi e da lunghe tende bianche; nel frattempo, un ampio camino si apre al centro della parete e nei dintorni ci sono divanetti e poltroncine dall’aria confortevole che avranno sicuramente il loro utilizzo durante queste vacanze. L’albero di Natale, spoglio, si erge nell’angolo, in attesa che qualcuno s’immoli per la causa. Una lunga tavolata sembra quasi invitarmi a carezzare il legno di ciliegio, ma, data la stanchezza, prendo la decisione di scrutarlo con perseveranza soltanto da lontano: son certa che il risultato sia identico.
Con la coda dell’occhio, osservo Sophie saltellare verso la cucina, con l’intento di recuperare il dominio sui fornelli. Megan sale le scalinate che portano al piano superiore, mentre Brian mi siede affianco, con il piccolo Nicholas sulle ginocchia che ha un delizioso sorriso a illuminargli il volto e tra le mani un peluche a forma di renna.
«E’ dura?», domando allora, sprofondando nel divano dai cuscini morbidi.
«Con Megan? Non chiedermelo», ribatte, dondolando il bambino con gesti delicati.
«Parlavo di Nick, veramente», sorrido sotto i baffi e di rimando sbuffa, come colto sul fallo.
«E’ un bambino, bisogna avere pazienza», spiega facendo spallucce, mentre il piccolo agita la renna nella sua direzione e glielo spiaccica contro il naso.
Credo che la vena di Megan sia molto viva in lui.
«Lui ne dovrà avere molta», alludo all’ometto che intrufola la testa della renna nella bocca di Brian, con un sorriso soddisfatto.
«Lui eh?», bofonchia il ragazzo, soffocando l’impulso di gettare il peluche nel fuoco del camino.
«L’hai detto tu, è un bambino, bisogna avere pazienza», riproduco in falsetto la sua stessa frase e gli strizzo l’occhio, aprendomi infine in una forte risata che cattura gli occhi vispi del bambino.
Nicholas allunga le piccole braccine nella mia direzione, le guance arrossate e le labbra piene. Esclama vocali alla rinfusa con una certa allegria e non posso fare a meno di sorridere, di rimando.
«Simpatizza per te, questo sì che è un guaio», proferisce Brian con un piccolo sorriso soffocato da un finto broncio. Mi allunga il bambino e lo stringo tra le braccia, il profumo di cocco m’invade le narici e gli lascio un bacio sulla guancia.
«Dovresti preoccuparti quando simpatizzerà per la madre».
«Già me ne sto preoccupando», brontola, incrociando le braccia al petto, prima di sprofondare nel cuscino del divano.
Lungo le scale si diffonde uno scricchiolio di scarpe, alzo lo sguardo e con stupore i miei occhi si posano su una figura ben chiara alla memoria. Sono stata preparata a questo momento, anche se è difficile restare impassibile. In fondo Sophie mi ha avvertita riguardo quest’incontro, in realtà me ne ha parlato già da tempo, ma ho sempre pensato che avrei creduto alla faccenda soltanto trovandomi dinanzi al fatto compiuto.
Ed eccolo qua, in carne e ossa.
Al tempo stesso, la porta della cucina si apre e Adam compare con un biscotto nella bocca e un altro tra le mani. Segue la scia del mio sguardo e posso notare la sua mascella irrigidirsi; a distanza di anni, per quanto possa essere maturato, è restato il classico uomo dall’orgoglio a mille e si sa, contro l’orgoglio c’è poco da fare.
Come un leone, minacciato nella propria zona di caccia, gli riserva uno sguardo fulminante, prima di muovere un piede e poi un altro, in coincidenza con i suoi passi, che percorrono le scale. Sembra d’assistere a uno spettacolo di teatro, trattengo quasi il fiato, dandomi dell’idiota, quando i due ragazzi si ritrovano di fronte, con un’espressione solenne da unica testimone del loro scontro di sguardi.
«Immagino dovremmo andare d’accordo», è Adam il primo a parlare.
«E’ Natale».
«Non è una giusta motivazione», obietta lui, i capelli dal biondo scuro che si agitano, poiché vi passa una mano nel mezzo.
«Credo che sarà quella che sceglieremo».
Alex Evans allunga la mano nei suoi confronti, i suoi occhi verdi luccicano e si riflettono negli occhi di Adam, impassibili e pronti a calibrare ogni gesto. Scruta il palmo della mano con occhi vigili, quando, con disappunto di tutti, gliela stringe e abbozza un sorriso che, a mio parere, somiglia più a un ghigno.
«Ci proveremo».
Un sospiro esce dalle mie labbra, gli occhi di Alex saettano verso il divano e incrociano i miei. Incredibile come rivedere una persona possa far scatenare dentro di te una guerra intergalattica, posso sentire lo stomaco, dapprima attorcigliato, distendersi, avvolto in un calore che assomiglia a serenità, tranquillità.
Mi si avvicina, lo stesso passo scortato da quello di Adam. Il poliziotto sembra lui, anziché Brian.
Mi allunga la mano affinché possa stringerla, Brian riprende il piccolo Nicholas tra le braccia e, libera da ogni ostacolo, gliela stringo, sentendo la morsa tornare.
Il passato in agguato, sempre dietro le spalle, come l’ombra del proprio corpo, presente ai nostri occhi soltanto alla luce del sole, ma che, in realtà, non scompare.
«Hai tagliato i capelli», è l’unico commento sobrio che riesce a farmi, ritraendo la mano.
Il mio cervello registra quell’unico messaggio come una moltitudine di significati nascosti e, tra i tanti, ne capto uno in particolare: sei cambiata, ecco cosa ha voluto dire.
Non è il taglio di capelli di per sé, non è neppure il nuovo modo di vestirmi; è dentro, che ho avuto un cambiamento, ho scelto d’intraprendere una crescita che mi era sembrata restia ad arrivare, ma alla fine ha colto anche me. E quel cambiamento si è riversato anche all’esterno, plasmandosi per farmi diventare quella che, a ventitré anni, sono.
La porta della cucina si apre e da quest’ultima la figura di Sophie compare in tutto il suo splendore, il sorriso che le inonda le labbra non scompare neppure per un secondo, anzi, posso essere sicura che si sia ampliato, non appena ha posato gli occhi su Alex. Gli si avvicina e lascia che lui le cinga la vita, la stringa a sé e le lasci un bacio sulla tempia.
Già, il destino talvolta gioca degli scherzi assurdi.
Una volta accantonato il discorso Matt – che ugualmente l’ha tartassata per i mesi a venire – ha ripreso in mano le redini della sua esistenza, ha frequentato un corso di fotografia ed è stata presa in un’importante compagnia della città, affinché potesse svolgere lì il proprio tirocinio. E, in questo frangente, una sera, senza alcune pretese, Alex le si è presentato davanti, per pura casualità.
Le migliori cose nascono dettate dal fatto che nessuno se le aspetti, con semplicità e con naturalezza si evolvono, sfruttando ampiamente il fattore ‘sorpresa’.
A dire il vero, la sorpresa più grande l’ho avuta io e continuo ad averla, anche se, a mio modesto parere, credo che l’avere Adam ancora al mio fianco abbia rappresentato la vittoria di una sfida posta da tempo immemore, con il risultato di un enorme trofeo d’oro accanto a me ogni notte e ogni giorno.
In seguito a Sophie, dalla cucina fuoriesce il capo arruffato di Ashlee. Porta le mani sul pancione rigonfio e si avvicina con le caviglie doloranti, abbozza un sorriso di saluto nella mia direzione e le faccio posto sul divano, prendendole le mani nelle mie, per poi lasciarle un bacio sulla guancia.
La gravidanza l’ha addolcita, di solito non mi avrebbe permesso un gesto tanto azzardato.
Come ultimo personaggio, una capigliatura bionda fa capolino con in mano un panno bagnato d’acqua calda. Sorride imbarazzato e porge la mano ad Adam, per poi fare lo stesso con me.
«Ciao William», il ragazzo si siede di fronte Ashlee e le allunga il panno, la ragazza lo agguanta e se lo porta sulle mani.
William Brown è l’ennesima conquista di questo Natale. E forse dell’Apple. Ha conosciuto Ashlee in maniera del tutto inappropriata, poiché quest’ultima aveva avuto una consulenza da parte del caro professor Brown, Richard Brown, e l’uomo aveva pensato d’approfittarne per i suoi loschi pensieri. Eppure, era stata una giornata alquanto proficua, poiché William era giunto in tempo per arrestare le azioni deplorevoli di quel vecchiaccio senza pudore e, per altro, le aveva offerto un passaggio a casa.
Non appena Ashlee aveva scoperto che fosse suo nipote e che lavorasse per l’Apple, aveva deciso che sarebbe stato suo, costi quel che costi.
E adesso eccoli qui, lei incinta di due gemelli, lui con un’emicrania indescrivibile.
«Cioccolata calda?», la voce soffice di Sophie riporta il mio cervello al presente e annuisco, sapendo perfettamente che la ragazza avesse scelto il mio punto debole appositamente.
«Dovresti rifiutare, Mel», la voce di Adam mi arriva come una ventata d’aria, la schiena è scossa da un lungo brivido e non posso fare a meno di stringere le dita. «Sbaglio o eri tu quella che blaterava sulla linea perfetta?»
I miei occhi si riducono a due fessure, mentre lo scruto sedersi al mio fianco.
«Cos’hai da ridire sulla mia linea?», sibilo contrita, mentre lui porta le mani dietro la testa.
«Assolutamente nulla», sogghigna, «Ci pensi già da sola».
«Cosa significa?», esclamo, allungandogli uno scappellotto sul braccio. «Mi stai dando della grassa?»
«Non ti conviene», s’intromette Brian, alzandosi in piedi come per voler sfuggire alla prossima dichiarazione di guerra, «Una volta per insinuare che un jeans fosse attillato, ha rivoltato tutto il negozio insinuando che le avessi detto di dimagrire».
Ricordo quell’episodio, da allora ho tenuto Brian distante dai miei shopping; non ci sa fare.
Adam si apre in una breve risata, prima di posare i suoi occhi su di me.
«Vorrà dire che ti manterrai», mi soffia con tono caldo, avvicinandosi al mio volto. «O sarò io a mantenerti, a te la scelta».
«L’unica cosa che devi mantenere», abbasso il tono di voce e gli rivolgo uno sguardo eloquente, «E’ la patta dei tuoi jeans. Prevedo l’arrivo di un bel…»
Neppure il tempo di finire di parlare che il mio pugno si sgancia in quella direzione e le sue pupille dilatate sono gioia indescrivibile per la mia sete di vendetta.
Gli schiocco un sorriso, mentre si accascia con il capo all’indietro tra i cuscini.
«…pugno».
Pari.
 

 

*

 
«Ancora non mi spiego come siamo potuti arrivare nel Minnesota», Ashlee soffia sulla sua cioccolata e ne beve un sorso, mentre William, al suo fianco, le massaggia le spalle.
«Grand Marais è un bel posto», ribatte Sophie, giocando con le zollette di zucchero, «Affaccia sul lago e ha la neve».
«Perfetto per lo spirito natalizio», aggiunge William, rimbeccato prontamente dal grugnito di Ashlee. I suoi sbalzi d’umore lo condurranno in una casa di cura.
«Lontano dai parenti», Brian sorride mellifluo, beccandosi uno sguardo truce da parte di Megan.
«Le scocciature ti seguono però».
Uno sguardo ricco di comprensione, per il povero Brian, che borbotta in silenzio.
«Parlando di cose interessanti», Ashlee agita le mani per attirare l’attenzione su di sé, «Prima di partire, ho scoperto il sesso dei miei bambini».
William sorride, un sorriso che gli percorre tutto il viso, mentre Ashlee si carezza la pancia. «Sono due femminucce».
«Perfetto, così Nick avrà più di una pretendente già a quattro anni», commenta Megan, facendo schioccare la lingua.
«Le mie bambine avranno buon gusto», sibila Ashlee, alzando il naso all’insù.
«Ecco perché faranno il filo al mio pargolo», le strizza l’occhio, sapendo d’aver stuzzicato il can che dorme.
La loro rivalità sarebbe passata alla storia, nessuno le avrebbe mai contrastate e, se destino avesse voluto, immagino già le stesse coppie sedute a un tavolo, proiettate vent’anni dopo, con Nicholas seduto nel mezzo di due belle fanciulle, dalle lunghe gonne coprenti. Ashlee ha un’avversione per ogni abbigliamento striminzito, che invece Megan avrebbe scelto.
«Avranno buon gusto come la madre», calca, esprimendosi quasi con un ringhio.
Megan finge d’essere sorpresa. «Oh, allora nulla da fare».
Quella sottile frecciatina indigna la biondina, tanto che arriccia il naso e punta lo sguardo altrove, dichiarando una tregua.
«Sapete, credo proprio che bisognerà scendere in paese per riempire la dispensa», Sophie scatta in piedi e si rimbocca le maniche.
«E’ già piena», protesta Alex, inarcando un sopracciglio.
«Mai abbastanza. Prendi la sciarpa!», lo rimbecca la ragazza, puntando già alla porta.
Ancora non mi farò capace della loro relazione, ormai sono ben tre anni. Perdindirindina.
«Ehi Sophie, ti accompagno io. Ho bisogno d’aria», Brian propina il piccolo Nicholas tra le braccia di Megan, la coglie di sorpresa, tanto che rischia di far cadere il bambino. Gli riserva uno sguardo infuocato e coccola il bambino, dagli occhi mezzi chiusi.
«Uhm, d’accordo», Sophie scrolla le spalle e apre la porta di casa, il vento freddo entra tra le mura e mi stringo un plaid trovato per fortuna addosso. Le mani di Adam mi agguantano e mi cingono la vita, sentire la sua presenza mi crogiola il cuore, così volto lo sguardo nella sua direzione e gli sorrido, ma lui non ricambia, bensì osserva Alex, nuovamente seduto di fronte a noi, senza alcuna intenzione di seguire la propria ragazza.
Brian arresta il mio congelamento, chiudendo la porta, una volta uscito. Ashlee si alza in piedi e si congeda insieme a William in cucina; il cuoco di casa è lui, a quanto pare.
«Sono curiosa di assaggiare la sua cucina», commento non appena scompaiono dietro la porta.
«Accettabile», Megan agita una mano per sminuire il povero William. Sono certa che l’abbia fatto soltanto perché è il compagno di Ashlee.
La mora si accoccola di fronte il camino a gambe incrociate, prendendo la cesta di giochi e avvicinandola al piccolo Nick, che, emozionato, sorride ed esclama un: «Ah da!», che, tradotto, dovrebbe significare ‘wow’.
E, mentre la mamma gioca col proprio bambino, osservo la sua fede brillare al contatto con il riflesso del fuoco. Un sorriso mi nasce spontaneo, vorrei gridarle quanto sia stata felice di partecipare alle sue nozze, di quanto abbia provato piacere nel sapere che finalmente la vita le avesse sorriso, li avesse sorrisi. Eppure, mi limito ad osservare quell’anello d’oro e a custodire per me i pensieri.
Megan ride, una risata genuina, non appena il suo bambino stringe tra le manine tozze una bambola che produce rumori ovattati. Lo abbraccia e gli lascia un bacio caldo sulla guancia, il segno del rossetto rosso è ben evidente e bada a cacciarlo, passando il bavero della maglia sulla macchia.
Improvvisamente, alza lo sguardo, sentendosi sott’esame. La spensieratezza che fino a quel momento l’ha distinta, svanisce come per magia e torna quel broncio, simbolo di protezione dal mondo intero.
«Beh, che c’è?», chiede con riluttanza, stringendo a sé il bambino che tenta di divincolarsi per raggiungere il fuoco. «Mai visto un adulto giocare con un bambino?»
Le sorrido mentre mi alzo in piedi, i bagagli mi stanno aspettando.
«In realtà», mi avvicino al suo orecchio, passandole una mano sulla spalla, «Stavo pensando a quanto sia bello guardare una madre col proprio figlio con un sorriso così meraviglioso come il vostro».
Megan sembra arrossire, non è tipo, non lo fa mai. Eppure, son certa che non sia dettato dal calore del fuoco, né dalla foga con la quale il bambino le stringe il collo, gioiosamente.
Mi sorride, con una luce negli occhi.
«E’ la mia felicità, Mel», sussurra, posando le pupille su quella creaturina, «E’ tutto ciò che conta, per me».
«Lo immaginavo», osservo Adam, con la coda dell’occhio, che si stiracchia e sprofonda con il capo sul divano. Non ha dormito molto sull’aereo e ha guidato per circa due ore senza sosta. Calcolando i miei continui scleri, deduco che la sua stanchezza sia più che giustificata.
Megan sbuffa, prima che le dia le spalle. «So cosa vuoi sentirti dire».
«Io?», faccio eco, sbattendo le ciglia. «Io proprio niente».
Restiamo qualche attimo a fissarci, quando Megan cede.
«Ti odio».
«Sicuramente molto», ribatto, dandole un colpetto sulla testa.
«Mai quanto odio Brian, sappilo».
«Se questo è odio…»
«L’ho sposato, Mel», è il primo tono serio che le sento usare, da quando sono arrivata.
«Questo mi fa capire molte cose», la rassicuro con sguardo eloquente.
«Prima o poi ci troverò il senso», borbotta, carezzando i capelli di Nick.
«Il senso lo sai già», le strizzo l’occhio, prima di avventurarmi verso le scale.
Davanti al prete hanno faticato a restare seri e ad ammettere persino i loro sentimenti, come se si stessero sposando per odio puro. Quella scena me la ricorderò per tutta la vita.
 

*
 

«Docente di storia», Alex irrompe nella stanza, poggiandosi contro lo stipite della porta, «Sul serio?»
Gli riservo un’occhiata rapida, prima di tornare alla maglia che ripongo nell’armadio. «Cosa ci sarebbe di strano?»
«La storia», ammette con una risatina.
«Sophie adora la storia», gli faccio notare, appendendo un cappotto.
«Ne sono a conoscenza», sorride, prima di avvicinarsi, curioso.
«Comunque è storia dell’arte», preciso dopo qualche secondo, osservando un paio di calzini ambigui. Adam me la pagherà.
«Ti piacciono i musei?», inarca un sopracciglio e si siede sul letto, affianco la valigia spalancata.
«Adesso sì», spiegazzo un abito rosso e lo osservo corrucciata. «Strano, vero?»
«Io continuo a trovarli claustrofobici, se può consolarti».
«Adam dice la stessa cosa», sussurro senza pensarci. Gli rivolgo uno sguardo, poi dirotto verso l’armadio e deposito anche l’abito.
«Così, tu e McGive continuate quest’impresa da Dio», la sua non è affatto una domanda, per cui non mi spreco a rispondere.
«Vi vedo diversi», prosegue incrociando le braccia al petto, «Entrambi, intendo».
«Siamo cresciuti, Alex», ammetto, scrollando le spalle. «Siamo adulti».
«Ti stanno bene i capelli», li indica con un dito e io annuisco.
«Non ho mai pensato di poterli portare così corti», lancio uno sguardo allo specchio inchiodato all’anta dell’armadio e osservo le punte dei capelli arricciarsi per l’umidità e il freddo. Arrivano appena sopra le spalle, neppure le sfiorano, e ricordo ancora il momento in cui sono entrata da quella parrucchiera e le ho chiesto un taglio che non fosse per me tradizionale.
«La vuoi bene?», quella domanda esce di punto in bianco, non ragiono neppure, lascio che esca dalla bocca come aria.
Alex mi osserva per qualche attimo in assoluto silenzio, posso addirittura sentire gli ingranaggi del suo cervello scricchiolare, quando un sorriso spunta sulle sue labbra.
«La tratterò bene», mi assicura, alzandosi dal letto per puntare alla porta. «Come farà anche McGive, dopo tutto».
«Perché continua a non piacerti?», stringo la maglia tra le dita per evitare d’infervorarmi.
Alex arresta le gambe e volta il viso, lanciandomi un’occhiata incolore.
«Non mi è mai piaciuto, Melanie, e soltanto perché è diventato il tuo ragazzo, questo non vuol dire che debba rientrare nella cerchia delle mie amicizie. Passeremo queste vacanze sotto lo stesso tetto, niente di più, ma sono contento se la vostra relazione prosegue, significa che è questa la vostra strada, per il momento».
Esce di scena gettando quel discorso alla rinfusa, come se dovessi cogliere soltanto quel significato. Eppure, quel ‘per il momento’ mi tiene occupata anche nei minuti a venire, con un sopracciglio innalzato.
Per il momento, un corno.
 

*

 
«Che desolazione», biascico, giocherellando con una pallina di natale tra le dita.
«Ancora per poco», Adam compare alle mie spalle e porta un gancio sugli aghi dell’albero.
Strabuzzo gli occhi e gli lancio uno sguardo interrogativo. «Hai intenzione di addobbare l’albero?», nella mia voce compare un tono incredulo.
«Che tu ci creda o no, da bambino lo facevo», m’informa, scrutando e paragonando le palline blu con quelle rosse. Opta per il rosso, in tinta con le tende, e porta una seconda pallina sull’albero.
«Soltanto per la gioia di scartare i regali», gli pongo una linguaccia, prima di chinarmi verso la scatola ricolma d’addobbi e scegliere dei nastrini colorati.
«Quelli li avrei scartati a prescindere», ribatte con un ghigno sulle labbra.
«Ne eri così sicuro?», infilo il dito nella piaga, la tentazione di gettargli dei fili colorati tra i capelli è troppo forte, ma la soffoco; non vorrei che mi rinfacciasse la mia poca maturità.
«La befana mi ha portato soltanto poche volte il carbone», mi canzona, lanciandomi uno sguardo malizioso, «L’ho corrotta».
Sbarro appena gli occhi, immaginando come abbia abbindolato la povera donna che l’ha messo al mondo, e scuoto il capo, portando le palline dorate a far compagnia a quelle già sussistenti.
«Hai barattato il carbone per qualche compito extra?», sbatto le ciglia, cercando di mantenere un’espressione razionale, quando le labbra s’increspano in un lieve sorriso.
«Sono stato un bambino movimentato, devo ammetterlo», fa spallucce e mi lancia uno sguardo divertito, prima di passarmi alle spalle e cingermi il fianco, per allungare il braccio verso l’alto.
«So già cosa stai pensando», sbotto, puntando ai rami più bassi.
«Allora non farmelo dire», ridacchia, soffiandomi tra i capelli.
«Ecco perché ho comprato le zeppe», sorrido candida, agganciando altre palline con disinvoltura.
«Ti dureranno due giorni», commenta, tranquillo, alludendo all’ultimo paio di zeppe acquistato in saldo. Risultato? Distrutto dopo una settimana di continuo utilizzo. Forse sotto la pioggia non sono il massimo.
«Le userò di rado», mi mordo la lingua, non appena la sua risata mi arriva forte e chiara alle orecchie.
«Allora non vedo dove sia il cambiamento».
«Sai che ti dico?», roteo sui tacchi, tra le dita i nastrini colorati che trovano subito affiatamento con il suo collo. Sorrido, serafica, mentre stringo appena attorno alla sua carne. «Continua ad infierire sul mio fisico e posso assicurarti che non lo vedrai neppure col cannocchiale».
Ecco come ricattare un uomo: scuoti la tassella del sesso e improvvisamente diventa un agnellino.
O forse, tutti gli uomini, eccetto uno.
«Il maniaco della coppia non sono io».
Le pupille si dilatano e strattono i nastrini con una certa foga; si trattiene dal boccheggiare, il signorino, ma so che sta soffocando!
«Puoi ripetere?», domando con un sorriso maligno sulle labbra.
Alza gli occhi al cielo e stringe la presa sui miei fianchi. «Esaminati la coscienza».
Il mio sguardo s’infiamma. «Esaminata: pulita alla perfezione».
«Vorrà dire che dovrai indossare degli occhiali migliori», mi batte una mano sulla spalla, sembra quasi carezzare un cane con quel buffetto e sento il fumo premere contro le orecchie.
«Io non indosso gli occhiali», non in pubblico almeno, «E non ne ho bisogno. Sei tu ad essere malato», esclamo, puntandogli un dito contro.
Adam si apre in una risata dispregiativa. «Ma se da quando hai iniziato, non vuoi smettere più!»
Arrossisco di botto, ricordando quanto possa essere meschino Adam McGive, quando ci si mette.
«Sei tu che m’istighi a migliorare le mie prestazioni», sbotto, ruotando gli occhi al cielo come se quel discorso mi sia del tutto indifferente.
Torno a fissare l’albero e aggiungo altre palline, quando le labbra di Adam si poggiano sul mio collo e un fremito accompagna i miei movimenti, del tutto scoordinati.
«Potrei istigarti anche adesso», sussurra con voce roca al mio orecchio, «L’albero può aspettare».
Socchiudo gli occhi, regolo il respiro e stringo il gancio tra le dita per trattenere le emozioni che traboccano dal mio petto. Adam ha la capacità innata di scuotere ogni briciola di sanità mentale e di trascinarmi con sé nel caos che riesce a creare con assoluta facilità. A distanza di anni, mi chiedo ancora come faccia.
Riapro gli occhi, inclino il capo e sorrido, genuina, sentendomi solleticare la pelle al passaggio delle sue labbra morbide. Gli lancio appena uno sguardo, una luce ricolma di malizia attraversa le mie pupille e, con tranquillità, porto una mano sulla sua, partendo col carezzarne il dorso, per risalire lungo il polso, il braccio, i bicipiti. Mi volto, senza tralasciare il suo volto arrossato dalla vicinanza con il camino, gli occhi puntati nei suoi e le labbra incurvate in un sorriso carico d’elettricità.
«Sai, Adam, non è male come idea», mormoro, avvicinandomi al suo orecchio in punta di piedi.
O la va o la spacca.
«Dove vuoi che t’istighi?», i suoi occhi sono sulle mie labbra, neppure sembra ascoltarmi sul serio, si avvicina per colmare quell’insulsa distanza e lo lascio fare. Le mie labbra accolgono le sue con una certa allegria, sento improvvisamente un calore distinguersi all’altezza del mio petto e un sorriso nasce nel cuore. Porto le braccia dietro il suo collo e lascio una carezza spasmodica ai suoi capelli, mentre il mio corpo preme contro il suo.
Vorrei avere freddo abbastanza in questo momento, per evitare di separarmi e portare a termine la mia idea maligna.
Invece no, la vena malvagia prende il sopravvento e bada a riscaldarmi da sé.
Allontano le labbra dalle sue di getto, osservo lo sconcerto nei suoi occhi e mi soddisfo.
«In realtà, sono io ad istigare te», gli do le spalle e scruto l’albero, massaggiandomi il mento, «Allora, vogliamo addobbare quest’albero di Natale?»
Adam, senza scelta, si apre in una risata e si massaggia la nuca.
Porta una pallina in alto e sfiora il mio orecchio con le labbra, giusto per la stoccata finale. «Non hai idea di che addobbo ti aspetti questa sera».
 
 

*

 
«Buon appetito!»
Siedo finalmente ad un tavolo imbandito dal primo all’ultimo angolo. La tovaglia rossa dalle simpatiche campagne è sovrastata da ogni pietanza possibile e immaginabile, il mio naso assimila gli aromi di quei manicaretti con una certa dipendenza e l’espressione beata sul mio viso non svanisce, neppure quando assaggio la prima portata.
«Adoro questi spaghetti», mugolo, masticando con lentezza, neppure tema che possa svanirmi da sotto il naso. Oddio, avendo Adam al mio fianco, posso temerlo eccome.
«Vacci piano», mi ricorda e prego che si strozzi.
«Anche tu, con queste frecciatine», sbotto, dandogli un calcio sotto la sedia che gli fa cascare della salsa sul jeans.
I miei occhi s’illuminano, ma tento d’assumere l’espressione più dispiaciuta possibile, nonostante io sappia che me la farà pagare cara e amara.
Brian siede di fronte a me e si tiene a debita distanza dall’adorabile Megan, vestita in tutto il suo splendore con una maglia dal grande scollo dietro la schiena. Mi chiedo perché debba attentare ai nervi di quel povero ragazzo, non dovrebbe dare così tanto spettacolo, non con Brian così suscettibile. Fortuna che questa si chiama vacanza, se fosse lavoro mi chiedo come starebbero i suoi capelli.
«Come sta John?», la domanda di Brian mi riporta con i piedi per terra, strabuzzo gli occhi e sospiro, pensando a quanto tempo sia passato dall’ultima volta che ho visto mio padre.
«Credo bene», replico, poggiando la forchetta per bere un sorso di vino. «Non ci sentiamo molto spesso».
Quando aveva scoperto di me e Adam, era andato su tutte le furie. Ci riteneva due figli, non faceva alcuna differenza, e si era sentito tradito. Questo era capitato due anni prima, poiché frequentando la stessa università, era raro che io e Adam tornassimo a casa. René era stata informata prima e non l’aveva presa male, anche se comunque avevamo formato un nucleo familiare e per lei restavo ugualmente una figlia adottiva, non di certo la ragazza di suo figlio. Mio padre aveva reagito in maniera differente: la famiglia era sacra, continua ad essere sacra ed è per questo motivo che evita il contatto con me. Il Natale scorso è stato tremendo, c’era un’atmosfera talmente tesa che ho temuto di dovermi inventare una febbre da cavallo pur di sfuggire a quello strazio. Questo Natale è stato differente, abbiamo optato per una vacanza tutti insieme, il più lontano possibile da casa, dall’università e dalla vita quotidiana.
«Sei sicura che faccia sesso?», s’intromette Megan, mandando giù il boccone, sotto gli occhi spalancati di tutti i presenti. «Sai com’è, magari è questione di sfogo».
«In effetti non ho mai parlato con mia madre di questa cosa», ammette Adam, massaggiandosi il mento, mentre le mie pupille si spalancano, attonite.
«E mai ne parlerai», gracchio, strozzandomi con l’acqua, «Sono affari loro!»
«Non fare la pudica!», Megan alza un bicchiere in alto, con l’intento di farsi seguire da tutta la tavolata, «Non c’è niente di male nel fare sesso».
«Perché quando ci sei tu bisogna sempre parlare di quello?», sbuffa Ashlee, arrendendosi al voler cenare.
«A te non piace?», lancia uno sguardo al suo pancione, «Non si direbbe».
«Questo è un atto d’amore», ribatte piccata, stringendo la mano di William, che, in tutto ciò, continua a mangiare indisturbato.
«Stai insinuando che il mio bambino sia un mostro?», Megan assottiglia lo sguardo e agita la forchetta.
«Se prenderà da te», Ashlee muove la chioma bionda e le rifila uno sguardo di sufficienza.
Megan, con i pugni serrati, la osserva in silenzio, prima di alzare nuovamente il bicchiere. «Allora brindo al mio bambino, quantomeno non sarà schizofrenico come te».
«Fortuna che è Natale», sussurro, nascondendo il viso dentro il bicchiere di vino.
Devo ammetterlo, le persone per quanto possano dire d’essere cambiate, non lo faranno mai, chi per timore di diventare qualcuno di peggiore, chi troppo affezionato alla persona che è. Nel caso di Megan, non so dire quale sia l’opzione giusta, ma so con certezza che il tempo farà il suo corso e che, per il bene di quella creatura addormentata nella culletta, agirà per il meglio.
«Ho portato la macchina fotografica!», Sophie balza in piedi e armeggia in una borsa, estraendo una Canon EOS1000D, comprata con i propri risparmi. Ho imparato a memoria quel nome a furia di leggere gli sms ricevuti da lei negli ultimi tempi. Agita l’attrezzo e incorpora l’obiettivo lungo dieci centimetri, mi chiedo come si possa andare in giro con un simile siluro nello zaino.
«Non potevano aspettare il dopo cena?», la rimbecca Alex, sospirando e pulendo le labbra con un tovagliolo.
«Sarebbe stato troppo tardi e poi c’era bisogno di smuovere le acque», lo rimbecca, cogliendolo sul fallo non appena porta un secondo bicchiere di vino alle labbra.
«Possiamo sempre usare la bocca, per smuovere le acque», prosegue imperterrito, infilandosi in un sentiero tortuoso. Sa che Sophie è testarda, o no?
«Le smuovi sicuro», Adam si attacca al discorso con un ghigno malizioso sulle labbra.
Dal mio canto, mi batto una mano sulla fronte e prendo un lungo respiro. Un flash mi inonda il viso, fortuna che ho avuto gli occhi chiusi.
«Potresti accecare qualcuno, lo sai?», sbotto, massaggiandomi le tempie.
«Rischi del mestiere», fa spallucce e continua imperterrita a immobilizzare tutti i presenti a furia di scattare fotografie.
«Vuoi dire che è già capitato?», le chiedo improvvisamente interessata.
«Non sai quante», sghignazza Alex, divertito anche per la reazione di Sophie.
Indignata, rallenta la sfilza di scatti e ci osserva da sopra l’obiettivo. «Avete un artista in casa e neppure sapete apprezzarla. Un giorno mi rimpiangerete».
Ruota sui tacchi, con occhi offesi e le labbra protese in un broncio.
«Ehi Sophie», Brian si volta nella direzione della ragazza, che, sentitosi chiamare, rivolge appena la punta del naso verso di lui.
Gli occhi dell’intera tavolata sono poggiati su Brian, sembra rendersene conto, ma non vi bada. La stessa Megan assottiglia lo sguardo e giocherella con la forchetta, sembra quasi tentata di lanciargliela contro, ma sa perfettamente che non è un tiro al bersaglio e quindi non vincerebbe nessun premio.
Brian, dal suo canto, si limita a sorridere in direzione del buffo muso di Sophie.
È Natale per tutti, ecco cosa sta pensando.
«Che dici, me la fai una foto?»
 

*

 
«Questo dolce è sensazionale», Megan sospira, deliziata.
«Come tutta la cena», aggiungo, notando lo sguardo perplesso del povero William, costretto ai fornelli da persone adulte che non sanno neppure da cosa cominciare, se non dall’accendere i fornelli per l’acqua, quando si tratta di cucinare. Qualcosa mi suggerisce che Brian non sappia fare neppure questo, ma son dettagli.
«E’ la vigilia di Natale», Ashlee sembra realizzarlo soltanto in quel momento e scuote il capo, «E ho ventitré anni».
«Non sei la sola, se ti consola», Brian alza il calice di vino e lo porta alle labbra per berne un sorso.
«E non è l’ultima Vigilia che trascorrerai», conviene William, lasciandole una carezza lungo il braccio, ben poco accettata.
L’utero le sta giocando brutti scherzi alla povera Ash.
«Potrei anche morire di parto», esclama infervorata, permettendo alle guance di colorarsi di un tenue rosso. «In quel caso, chiamerai le bambine come abbiamo deciso o lascerai che sia tua madre a rinominarle?», il suo tono di voce non promette nulla di buono.
«A dire il vero, a mia madre andrà bene qualunque nome tu vorrai e no, tesoro, siamo nel ventunesimo secolo, non morirai di parto», cerca di consolarla mettendo in atto la razionalità, ma Ashlee affoga i dispiaceri nella torta che ha sotto al naso.
A dire il vero, la gente continua a morire di parto, anche se sono casi rari e comunque complessi. Non essendo medico e non essendomi mai informata a riguardo, preferisco tacere.
«Si fa presto a dirlo, voglio vedere te con le doglie», borbotta, mangiucchiando del cioccolato.
«Io sono sopravvissuta», Megan le alza la forchetta contro con fare serio, «Puoi riuscirci anche tu. Ho una soglia del dolore bassissimo».
«Nel senso che non soffri?», domanda la ragazza, corrucciata.
«No, nel senso che se anche mi graffi, sono tentata di spaccarti la faccia», le spiega limpida, tornando a mangiare la propria fetta di dolce.
«A lei beccano i graffi, non le dita spezzate», il brontolio di Brian giunge indistinto, anche se alle orecchie di Megan non sfugge.
La ragazza sorride divertita e gli lancia uno sguardo, pregustando il momento in cui finalmente avrà l’onore di raccontare la vicenda del suo dito medio. «Non sono io che mi lascio incastrare da un bambino di due anni».
I miei occhi si focalizzano sul volto paonazzo di Brian, il quale nasconde le labbra nel vino e ne beve un’avida sorsata.
«Quel bambino è un portento», Adam sorride divertito e si porta le mani dietro la nuca, neppure si trovasse al cinema.
«E’ malefico, a volte», sbotta invece Brian, pentendosi improvvisamente delle parole dette.
«Ha preso dalla mamma», Megan gonfia il petto e mi rivolge uno sguardo, «Gli ha chiuso il dito nella porta di casa», confida alla tavolata e, dopo qualche istante di religioso silenzio, una risata comune invade la stanza.
Brian arrossisce di botto e incrocia le braccia al petto, mentre i miei occhi diventano lucidi, per quanto quella scena appaia assurda.
«Spiegami una cosa», Adam si sporge sul tavolo, posso assicurarmi che si stia divertendo a causa di quell’aneddoto per via degli occhi illuminati, «Sei diventato un agente di polizia e ti lasci scalfire da un ometto che per altro è sangue del tuo sangue?»
Brian, di rimando, si morde un labbro per non sbottare, anche se posso costatare che sia alquanto difficile lasciare che una tavolata di otto persone ti stuzzichi liberamente e, per di più, senza neppure avere l’appoggio da parte di tua moglie.
«Ero distratto e il bambino ha pensato che fosse divertente vedere il dito del padre martoriato», ironizza, sbuffando come un trattore.
Anche la madre, sottintendo per l’intero gruppo.
«E, per la cronaca, la madre, anziché aiutarmi, è rimasta in un angolo a ridere. Il ghiaccio l’ho dovuto prendere da solo», borbotta sotto gli occhi increduli degli altri.
«Ti ho portato all’ospedale però!», ribatte Megan, con un sorriso fintamente ingenuo.
«Oh grazie tante, dopo che mi ha spezzato un dito, credo fosse il minimo!», Brian è decisamente arrabbiato.
«Sii fiero di Nicholas, quando lo iscriveremo alle arti marziali», sorride divertita, « Non appena inizierà a camminare!», afferma Megan, strizzandogli gioiosamente l’occhio.
«A tempo perso, insomma», commenta Sophie, giocando con le briciole nel suo piatto, mentre Alex le lascia una carezza sulla gamba.
«A dire il vero, da bambino ho partecipato a qualche corso», preannuncia, rivolgendo uno sguardo rapido in direzione di Adam, «Non ero il solo».
Le labbra mi si dischiudono appena, ma mi limito a sostenere il silenzio, aspettando di ricevere altre notizie interessanti.
«Il nostro insegnante era un brav uomo», prosegue Adam, accodandosi ai ricordi.
Una scia di comprensione volteggia tra i due ragazzi, potrei quasi dire che sia l’atmosfera natalizia a renderli così mansueti, eppure, probabilmente, la maturità è davvero giunta, o semplicemente la voglia d’arrendersi e ricominciare da capo. È più facile radere al suolo per riprendere a coltivare soltanto dopo che la terra si decida ad essere disponibile ad un nuovo raccolto.
«Un po’ nevrotico», aggiunge Alex, massaggiandosi il mento.
«E pignolo», Adam ride, probabilmente in preda alla nostalgia dei tempi andati.
E, contro ogni possibilità razionale, Alex lo segue.
Cosa c’era nel vino?
«Credo sia sempre stato dell’altra sponda», il discorso sembra essere sostenuto soltanto da quei due, sul procinto di una forte sbronza, per andare così d’accordo.
«O probabilmente ha iniziato il periodo di transizione quando ha aperto il corso di arti marziali anche ai ragazzi di diciotto anni», un attimo di silenzio segue a quella rivelazione, quando entrambi si aprono in un’espressione sconvolta e dalle loro labbra fuoriesce un esile «Oh», come per dire: ‘ecco svelato il mistero del vaso di Pandora!’
Scuoto appena il capo, mentre Adam si massaggia una tempia. «Non credo che quel corso mi sia stato molto utile, alla fine».
«A me ha istruito», sorride con un ghigno, che, improvvisamente, viene ricambiato.
«Escludendo le risse».
«Io le avevo incluse a priori».
«Sono fuori dal giro da tanto tempo», Adam sospira, quasi gli mancasse essere preso a calci.
«Se questo è il tuo desiderio natalizio, posso tirarti un pugno. Sai, giusto per renderti felice!», esclamo, fingendo un’ilarità che poco mi appartiene.
Mi osserva con il cipiglio innalzato, prima di cingermi le spalle con un braccio e sorridere. «Mi sono disintossicato ormai, ma grazie della proposta».
«Certo che finire per fare l’avvocato deve essere stato straziante per te», commenta Alex, rivolgendosi nuovamente ad Adam.
Il biondo osserva il moro per qualche istante, prima di proferire: «In realtà, no. Avrei voluto fare l’architetto, ma sono negato con i disegni. Ho pensato di sfruttare le mie doti persuasive e di cimentarmi soltanto su quelle. Sembra funzionare, e non soltanto sul lavoro», quell’allusione maliziosa arriva al mio orecchio soltanto dopo qualche istante, così una gomitata arriva nel suo fianco e il suo sussulto diventa gioia per i miei occhi.
«Hai già preso a lavorare, dunque», giunge l’intromissione di Megan, il suo sguardo esamina Adam con attenzione; a dire il vero, non ha mai smesso di farlo, da quando siamo diventati una coppia, come se avesse sempre il timore che potesse tirarmi qualche tiro mancino.
«Sì, ma vorrei tornare in paese per lavorare lì», ribatte e, per la prima volta, osservo il suo volto contrarsi in una morsa seria, come se il futuro fino a quel momento fosse stato rimandato e fosse finalmente giunto il momento di affrontarlo.
Sophie si alza in piedi e inizia a sparecchiare, aiutata dalle braccia di William.
Sto per alzarmi in piedi, quando la domanda pungente di Megan mi fa rabbrividire e, di conseguenza, mi si atrofizzano gli arti.
«Quali sono le tue intenzioni, Adam?», domanda a bruciapelo, «Le chiederai mai di sposarti? O quantomeno darete una svolta alla vostra relazione? Perché tu lo sai, Melanie merita molto più di questo».
Le mie guance s’imporporano, i presenti non osano proferir parola. Incrocio gli occhi di Alex, improvvisamente colto dalla stessa mia angoscia, come se la risposta di Adam significasse definire quella svolta per il futuro, come se temessi che aprisse bocca e dicesse qualcosa che avrei odiato per tutta la vita.
«Ciò che farò, Megan, con tutto il rispetto, non credo siano affari tuoi», la liquida in quel modo, senza sorrisi fintamente cortesi, ma semplicemente con tono perentorio e sguardo determinato.
Scatta in piedi con lentezza, agguanta qualche piatto e scorta Sophie verso la cucina. Conoscendolo, sta cercando semplicemente un diversivo con il quale tenersi occupato, anche se di solito, non lo fa.
Megan sorride, le labbra piegate in una smorfia sconosciuta alla mia memoria.
«Sei tremenda», sbuffo, passandomi una mano tra i capelli.
«Vedrai, Mel», mi sorride, un luccichio negli occhi, «Mi ringrazierai».
 

*
 

Il camino scoppietta, la mia pancia reclama una pausa e le mie dita stringono possessive il gruzzoletto di carte, dagli occhi indiscreti di Adam.
Il ragazzo in questione allunga il collo di tanto in tanto, fingendo di stiracchiarsi le braccia, ma, da abile giocatrice quale sono, stringo al petto le carte e inclino la sedia nel verso opposto.
Non lo lascerò vincere facilmente. Oddio, le mie intenzioni sono quelle di non farlo vincere affatto.
Adam osserva le proprie carte con parsimonia, i suoi occhi brillano all’atto della scelta e allunga la mano per depositare la carta giocatrice. Le sue labbra s’inarcano in un ghigno, non appena volta gli occhi nella mia direzione.
«Perdonami, tesoro», sogghigna, bloccandomi il turno con quella dannata carta gialla.
Cerco di mantenere la calma, cosa vuoi che sia un gioco?
Certo, il fatto che abbia scimmiottato il mio tono di voce, avendolo bloccato nel turno precedente a mia volta, non può non intaccare il mio sistema nervoso.
Mi piego in una smorfia indefinita, arriccio il naso e aspetto che Alex, seduto al mio fianco, peschi la sua carta. Mi lancia appena uno sguardo, ma riesco a coglierne la sfumatura e il mio viso si rianima.
«Nessun favoritismo, sia chiaro», annuncia, posando un cambio giro giallo sulla carta precedente.
«Già», Adam mi osserva, le sue pupille setacciano il mio volto alla ricerca di ogni plausibile reazione che possa giovare a suo favore, ma, con un sorriso neutro, deposito il mio bel +4 e decreto: «Blu».
Colgo un luccichio nei suoi occhi, sento che questa è la volta buona!
Adam ridacchia e scuote il capo. «Abile mossa, piccola».
Ritira le sue quattro carte, le osserva e inarca un sopracciglio. «Questa sì che si chiama fortuna. Hai detto blu?»
Il ghigno sulle sue labbra si espande e, di conseguenza al mio consenso, deposita quattro carte dello stesso identico numero, seppur di colori differenti, partendo dal blu. Ma dico, è davvero possibile che una persona sia così fortunata?!
Non c’è mai fine al peggio.
Mi lancia uno sguardo vittorioso e pronuncia un’unica parola che provoca nel mio stomaco una scossa assurda. «Uno».
«Ehilà, ricordate che il gioco include anche noi povere anime?», Megan agita una mano in segno di saluto e sbuffa, contando le carte del suo mazzetto.
Dal mio canto, mi limito a trattenere un ringhio in direzione di un Adam fin troppo soddisfatto della fortuna che gli gravita attorno. Dev’essere il clima natalizio.
«Credo che il gioco finirà presto», sussurra compiaciuto, aggiungendo un fischiettio.
«Cosa te lo fa credere?», ribatto, fermando la gamba che è partita nella sua direzione per scagliargli un calcio in piena regola.
«Sta a vedere», ghigna, mentre Sophie, osservando il suo mazzetto, sbatte le palpebre, quasi dispiaciuta.
Guarda nella mia direzione e la sua espressione triste mi provoca la pelle d’oca. «Non ho altre carte, mi spiace».
Getta un cambio giro e la mia vita si blocca per un istante, dopodiché Adam infanga la mia reputazione e la mia intelligenza, proclamando vittoria con una semplice carta rossa.
«Vinto».
Un brusio si alza nella sala, senza nessun commento preciso. Mi limito ad osservarlo, quel sorriso brillante comincia a farmi venire il mal di testa. Devo indossare gli occhiali da sole.
Mi cinge le spalle, cogliendomi di sorpresa e tento di scansarmi.
«Cos’è, non sai perdere?», la sua domanda mi arriva alle orecchie con voce vellutata, gli rifilo uno sguardo omicida, prima di sfilarmi dal suo abbraccio.
«Anche con classe, se è per questo».
«Caffè!», Ashlee sbuca dalla cucina con un vassoio tra le mani, osservo il fumo uscire dalle tazzine e il mio corpo reagisce al sol pensiero di poter bearsi di quella piccola fonte di calore. Non che faccia freddo, ma ho la netta impressione che fuori i gradi siano scesi sotto lo zero.
«Ti sei persa una partita davvero emozionante», commenta Adam, agguantando la sua tazzina.
«Immagino», ribatte la ragazza, sedendo al proprio posto e sfilando gli occhiali da vista. «Mi chiedo chi abbia vinto questa volta…»
La frase in sospeso è presto ripresa dall’intera tavolata. «Adam», il suo nome viene pronunciato con tono monocorde, ma non sembra preoccuparsene.
«Che novità», Ashlee dilata le pupille, piegandosi in una smorfia sarcastica, prima di scuotere il capo e bere un sorso del suo latte caldo. Niente caffè, per la futura mamma.
Un lamento biascicato porta l’attenzione di Megan verso la culla, dove il piccolo Nick si è appisolato qualche ora prima. Si alza in contemporanea con Brian e quasi sembrano correre nella stessa direzione per antagonismo. Dal mio canto, evito accuratamente di osservare quanto possa essere stupido l’essere umano e rivolgo l’attenzione verso la finestra, laddove piccoli batuffoli di neve sembrano premere contro le nuvole, alte nel cielo di Dicembre.
La suoneria di un cellulare distoglie la mente dai pensieri nostalgici e, avendo percepito soltanto in un secondo momento la familiarità di quella musica, osservo il cellulare sotto la punta del naso, che vibra tra le mani di Adam.
«Se non ci fossi io…», preannuncia con un sorriso divertito, mentre gli strappo il telefono di mano e gli volto le spalle.
Gli occhi si focalizzano sul display e un sorriso di gioia m’intrappola le labbra. «Allison!»
«Ti aspettavi Babbo Natale?», ribatte l’altra. Un brusio di sottofondo mi suggerisce che la ragazza stia trascorrendo la vigilia di Natale in una discoteca, per quanto sia alta la musica. Peccato che la discoteca non consenta musica così melensa.
«La Befana va bene lo stesso», la rassicuro, notando con la coda dell’occhio Adam avvicinarsi al mio orecchio per origliare, così, con nonchalance, sguscio dalla sedia e mi avvicino alla finestra.
«Così come ti andranno bene i carboni ardenti sotto i piedi», proferisce, schioccando la lingua.
Il brusio si attenua, probabilmente Allison si sta spostando a una velocità inaudita per riuscire a salvare l’udito, sia suo che mio.
«Mi raccomando, sii generosa e mandamene una ricca quantità, potrei riciclare il regalo e donarlo a qualcuno più meritevole», sono consapevole del fatto che Adam mi abbia spalleggiato, posso sentire il suo profumo, non ho ancora perso l’uso dell’olfatto.
La risata genuina di Allison mi ricorda che una casa potrei averla ancora, dopotutto, ma, a causa della mia fifa cronica, sono confinata in un paesino di montagna, a chilometri e chilometri di distanza, a soffrire il vento e il ghiaccio. Non che mi dispiaccia trascorrere le vacanze natalizie con gli amici, talvolta possono rivelarsi una vera e propria famiglia. Eppure, so che è sbagliato soltanto pensare di poter sostituire ciò che è mio padre con ciò che sono i miei amici.
«Ho già provveduto per Adam», mi rimbecca con tono ilare. «Ma se vuoi, aumenterò le dosi, in caso servisse una riserva».
«Ti ringrazio», sorrido per il riflesso del ragazzo alle mie spalle. «Dì un po’, cosa combini?»
«Fuggo da Martin», mi confida, posso immaginare che il brusio sia diminuito, non perché si sia spostata, ma perché ha portato una mano sul microfono del cellulare. «E’ diventato asfissiante dopo la storia degli scacchi».
«Quale storia?», chiedo, pensando d’avere qualche problema per la memoria.
«Si è sempre vantato di essere il Re degli scacchi e, alla dimostrazione, ha fatto cilecca, davanti tutti i suoi familiari», cinguetta e immagino i suoi occhi luccicare.
«Tu cosa c’entri?»
«Ha perso contro di me».
Tutto spiegato.
«Ti odierà a vita».
«Non mi ha regalato il diamante», ribatte, seria. «Io lo odio già per questo, quindi siamo pari».
«Avete già aperto i regali?», le chiedo e sussulto, non appena Adam agguanta i miei fianchi e combacia la mia schiena con il suo petto.
«No».
«Allora non puoi saperlo», replico, obiettiva.
«Ho visto l’involucro del mio regalo: è troppo grande», non fa una piega.
«Magari ti avrà regalato una collana con dei diamanti», la butto lì, nonostante sappia per certo che Martin non si avvicini neppure lontanamente a una gioielleria.
«Io ho preparato le valigie, in ogni caso», annuncia telegrafica.
«Per un diamante?», soffoco una risata, non appena le labbra di Adam fungono da solletico dietro il mio orecchio.
«Un diamante è per sempre», il tono della sua voce si eleva, «A settant’anni, quando la mia pensione farà schifo, potrò venderlo e ricavarne qualcosa».
«Anche la collana», mordo un labbro per evitare di ridacchiare, non sarebbe corretto nei confronti della crisi di panico di Allison.
«Non è una collana», posso immaginare come stia fissando quel pacco regalo; sono quasi tentata di telefonare Martin e chiedergli per curiosità cosa ci sia lì dentro. «Esaminando la grandezza e ripensando al regalo dell’anno scorso, posso dedurre che sia un set di spazzole».
«Rinfrescami la memoria…», porto un dito al mento, cercando di realizzare cosa le abbia potuto regalare l’anno precedente. Vuoto totale.
«Un gatto».
Uhm.
«Vivo?»
«Non ho mai pensato di mangiarlo, quindi non me ne facevo niente di un gatto morto».
Ovvio.
«In una scatola grande quanto questa?», chiedo per confermare le mie tesi.
«Esatto».
«Preparati ad avere un cane», scoppio a ridere, immaginando la sua reazione.
«E tu ad avere un cugino single».
«Sopravvivrò», replico con disinvoltura, prima di pestare un piede ad Adam e coglierlo di sorpresa, tanto che saltella all’indietro e mi osserva sconvolto.
Ti piace vincere facile?
«Voglio un souvenir», la voce di Allison mi riporta alla dovuta concentrazione, «E dei dolci locali. Comunica ad Adam che attendo ancora le cartoline di Washington D.C. e Boston».
Sorrido divertita. «Certo, riferirò».
«Ed è passato un anno», assottiglia la voce, «Un anno».
«Imperdonabile», scuoto il capo con finto rammarico.
«Non mi tiene in considerazione per nulla, ormai. Mi ha dimenticata», camuffa un singhiozzo con un colpo di tosse e inarco un sopracciglio. Finge?
«Fossi in te, gli farei un colpo di telefono», le consiglio.
«Ma se è lì accanto a te!»
Mi ha scoperta.
Rivolgo uno sguardo rapido in direzione di Adam, con le spalle poggiate contro il muro e le braccia serrate sotto il petto, uno sguardo concentrato verso il paesaggio e un piede che batte a terra. Non capisco cosa voglia, ma cercherò d’interpretare i segnali.
«Pensi che quest’anno te lo chiederà?», sussurra d’un tratto, facendomi strozzare con la mia stessa saliva.
«No», so perfettamente dove vuole andare a parare, ma non potrei mai ammetterlo, sia per la presenza martellante di Adam, sia perché dirlo ad alta voce potrebbe ferirmi più di quanto già non faccia soffocare un simile pensiero.
«Non tarderà, lo conosco».
«Ho detto no», biascico, scostando gli occhi da Adam.
«No, nel senso che ‘tarderà’ o no, nel senso ‘non avverrà mai’? Perché, in entrambi i casi, ti sbagli, Melanie. Ho visto la vostra coppia crescere durante questi anni e posso assicurarti che non dovrai sentirti inferiore a nessun’altra tua amica».
Trattengo il respiro e socchiudo le palpebre.
Non è da Adam, vorrei confidarle, ma non posso. Perché lui è qui, alle mie spalle, ascolta ogni mio singolo respiro e non potrei sfuggirgli.
Un urlo indistinto mi trapana le orecchie e Allison sbuffa. «Mi tocca andare, si aprono i regali».
«Aspetto i carboni, eh», la butto lì con voce impastata.
«Lasciami dei biscotti sul tavolo, non spettano soltanto a Babbo Natale».
La comunicazione è interrotta senza lasciarmi il tempo di replicare, così volgo lo sguardo in direzione di Adam, che mi si è avvicinato, e ispiro il suo profumo.
«Sai cosa penso?»
La scia maliziosa che proviene dalla sua voce provoca in me delle scosse che non riesco a soffocare, manca poco che caschi al suolo. Fortuna che il marmo della finestra è tanto resistente da reggermi, altrimenti sai che capitombolo!
Osservo le sue labbra incurvarsi in un sorriso agghiacciante, prima di sfiorarmi l’orecchio, il divertimento traspare da ogni fibra del suo corpo e, intimorita, stringo il bavero della maglia, sapendo perfettamente che il mio istinto, con Adam McGive, non sbaglia mai.
«Regalerò un gatto anche a te».
Appunto.
 

*
 

«Mancano dieci minuti a mezzanotte».
L’annunciazione di Brian echeggia nella stanza, Megan gioca con il piccolo Nick, seduta a terra dinanzi il camino, poiché il bambino sembra essere più iperattivo che mai, mentre Brian siede alle loro spalle, con l’occhio poggiato sull’orologio. Ashlee sorseggia del tè caldo e osserva William giocare a carte con Alex e Adam.
Sophie scatta fotografie di tanto in tanto, mentre dallo stereo si diffonde una canzone di Michael Bubblè, a sfondo natalizio. Dovrò informarmi del nome.
Io, dal mio canto, sono seduta sul marmo della finestra, porto compagnia ad Ashlee, seppur in distanza, sorseggiando un tè al limone. Non che mi faccia impazzire, sia chiaro, ma la dispensa sembra essere munita soltanto di questo, escludendo tisane dietetiche e camomille per il mal di stomaco.
Dondolo le gambe e di tanto in tanto butto un occhio oltre il vetro, quasi mi aspetti che possa nevicare da un momento all’altro.
Sono talmente concentrata nel credere che non accada che, non appena giunge l’inaspettato, ci metto qualche secondo per rendermene capace.
Adam mi si avvicina, dopo aver stiracchiato le braccia. Mi lancia uno sguardo perplesso, poiché i mie occhi, vacui, scrutano l’oscurità oltre la finestra.
«Non giochi a carte perché hai paura della concorrenza?», cerca di stuzzicarmi, la mia attenzione è concentrata altrove.
«Avrei anche potuto barare, se me l’avessi chiesto», prosegue, portandomi un braccio lungo le spalle.
Sorrido, un sorriso genuino che mi illumina il volto. Con mani tremanti e con la giusta foga, sguscio verso la porta e la spalanco, una ventata d’aria gelida invade l’abitazione e i presenti mi lanciano uno sguardo sconvolto e assassino.
«Vuoi ibernarti il cervello?», è la domanda ironica di Brian, armato di plaid che passa immediatamente sulle spalle di Megan. «Puoi farlo senza coinvolgerci? Grazie!»
Sophie inarca un sopracciglio e si avvicina lentamente. «Cosa c’è?»
I miei occhi brillano, potrei usarli come lampioni a dire il vero, almeno risparmierei l’utilizzo dell’energia elettrica.
Ruoto il capo e il primo volto che incrocio è quello di Adam.
«Nevica».
È un sussurro, un piccolo, microscopico sussurro che sovrasta addirittura la musica e gli urletti allegri del bambino. Basta una semplice parola, per scatenare un cataclisma.
Sette teste si affollano lungo l’attaccapanni per recuperare cappotto, sciarpa e guanti, si proteggono dal freddo e si fiondano nella mia stessa direzione, così, per dare il buon esempio, muovo le gambe in direzione della staccionata di legno che, son certa, non ci conterrà tutti. Mi sporgo verso l’esterno e osservo il cielo, dal quale piccoli sprazzi di neve cadono sul terreno, provocando una scia bianca ben evidente nell’oscurità.
Delle luci si accendono improvvisamente e con la coda dell’occhio osservo Brian uscire per ultimo, sulle spalle il piccolo Nick che applaude con le manine coperte dai guantini, che saluta la mamma con un sorriso genuino sulle labbra.
Sophie agguanta la sua macchina fotografica e immortala il paesaggio, mentre Alex la osserva in tutta la sua semplicità, posso scorgere nei suoi occhi l’affetto che prova verso la ragazza in questione e, stranamente, me ne compiaccio. Scende le scale, Sophie. Le percorre in punta di piedi e si volta nella nostra direzione, gridando: «Sorridete!»
Un flash scoppia nell’aria, i sorrisi si sprecano, i corpi si cercano, per combattere il freddo. Brian scende a sua volta le scale, portando Nick sul manto soffice di neve; è appena un filo che s’intravede, ma al piccolo sembra bastare per gridacchiare, entusiasta, parole senza senso.
Megan si riprende, dopo aver fissato il panorama davanti al suo naso, e segue gli uomini di casa, prendendo una manciata di neve per poi spiaccicarla sulla nuca di Brian.
Il ragazzo in questione, raggelato, la scruta col cipiglio. «Questa notte dovrai avere freddo», la sua è una vera minaccia.
«Anche tu», soffia lei invece, maliziosa.
«Ho l’impressione che quei due si puzzeranno di freddo stanotte», sussurro, convinta che Adam mi stia ascoltando. Invece, al mio fianco altro non c’è che Alex.
«Non resisteranno», mi strizza l’occhio, tornando a fissare la dolce Sophie che volteggia sulla neve.
«Non resisteremo in tanti», getto l’amo, come se sentissi il bisogno di fargli vuotare il sacco.
«Anche questo è vero», ammette con un sorrisino.
«Perché non la raggiungi?», poggio le braccia sulla staccionata e osservo la neve scendere lenta.
«Mi hanno incaricato di tenerti compagnia», porta le mani in tasca e si stringe nelle spalle.
Inarco un sopracciglio, insospettita. «Com’è questa storia?», sembra un horror.
«Non saprei risponderti», sorride per la mia espressione corrucciata, «Sarà il Natale».
«Certo, non vedi la mia barba bianca?!», scuoto il capo, per niente convinta della sua ammissione fasulla.
«Non so spiegartelo», alza le mani, «Tutto sommato, non è così male».
La fronte si aggrotta ancor di più. «Stai morendo, Alex?», esclamo improvvisamente colta da un’illuminazione divina.
«Cosa…? No!», esplode in una risata frizzante e scuote il capo. «In realtà sto benissimo. Dall’anno nuovo seguirò un corso di cucina a New York e Sophie verrà con me. Lavorerà per un’ottima compagnia di fotografi».
È tutto ciò che voglio sapere, sapere che avranno un futuro, da qualche parte.
Mi ritrovo a sorridere e porto il pensiero nuovamente su di noi, concentrato su quel chiodo che continua a pulsare nella mia testa.
Niente da invidiare, eh?
Perché allora a me sembra che stia costantemente alla ricerca di qualche scossa per rendere viva la nostra vita? Ho il timore di procedere su una strada dritta, senza né salite né discese, perché sono ossessionata dal fatto che prima o poi, lui possa stancarsi. Ma se fossi io, a stancarmi di questa situazione piatta? Se fossi io a volere di più, a desiderare di chiedere di più?
Il respiro mi si mozza in gola, una nuvola d’aria condensata mi volteggia davanti al naso e la mente elabora l’immagine di una lettera, dal front signorile e dal marchio imponente.
Avrei accettato, se non fosse stato per…Cosa? Effettivamente, cosa mi ha fermato dal dire ‘sì, arrivo!’ Vorrei dire che sia stato Adam a farmi desistere, ma non credo sia giusto ammettere il falso. Ho avuto paura, paura d’affrontare ciò che sarebbe conseguito da quella scelta, paura di osservare la mia vita scorrere e paura di poterlo perdere, camminando su quel bordo di marciapiede scosceso.
Rabbrividisco nel momento stesso in cui il freddo viene soppresso da qualcosa di caldo: una coperta si deposita sulle mie spalle e ruoto il volto al mio fianco, sorpresa di quel gesto tanto intimo. E, quando incontro gli occhi di Adam, sento il cuore sussultare.
Com’è possibile che sia ancora qui, con me? Mi chiedo come abbia fatto a non scappare. E no, non l’ho legato con nessuna fune. Forse soltanto una volta, perché se lo meritava e non doveva lasciarmi da sola al freddo e al gelo nel letto. Ed era stato per scherzo. Per altro, voleva andare ad una partita di basket. Tsk, abbandonare me per il basket. Avrei dovuto imbavagliargli anche la bocca, ora che ci penso!
«Stai cercando d’ammalarti, così Ashlee non ti costringerà a seguirla nella Chiesa e io dovrò rimanere ad assisterti», snocciola quella tesi con sicurezza, sono certa che sia tentato di portarsi una sigaretta alla bocca, ma al tempo stesso ricorda l’ultima ramanzina che gli ho fatto ed evita.
Anche perché, abbiamo barattato equamente: niente sigarette per lui, niente birra per me.
Eh già, i piccoli piaceri della vita. Avrei tanto desiderato essere astemia per volontà, anziché costrizione.
«No, tu puoi anche andare, me la caverò da sola», ribatto con un sorriso divertito sulle labbra.
Mi sporgo verso l’esterno e un fiocco di neve mi cade sulla punta del naso. Lo osservo quasi incantata, quando Adam mi sfiora il viso e il suo sorriso mi ferisce gli occhi, per quanto sia bello.
«Non lo pensi sul serio», soffia, avvicinando le labbra alle mie.
«Forse», balbetto con la voce serrata in gola dall’emozione di averlo così vicino.
Il nostro bacio viene consumato nel momento in cui Brian esclama: «Mezzanotte!»
Sorrido sulle sue labbra piene e mi avvicino al suo corpo, poggiando la testa sulla sua spalla.
«E’ Natale», sussurra tra i miei capelli.
«E’ Natale», costato, osservando Brian sopraggiungere di soppiatto alle spalle di Megan e impregnarle i capelli di neve, mentre il piccolo Nick gattona tra la neve.
«Non è cambiato molto», aggiunge ridacchiando.
«Il miracolo non avviene per loro», ribatto con ovvietà.
«Gli servirebbe però».
Megan, sconvolta, riduce gli occhi a due fessure, piazza Nick tra le braccia di Ashlee e carica in quinta una corsa. I due scorrazzano tra la neve, lei insegue lui e rischia di scivolare più e più volte, ma senza interessarsi di poter finire a letto paralizzata per tutte le vacanze. Desidera soltanto vendicarsi e, quando casca con il fondoschiena per terra, Brian arresta la corsa e le si avvicina, porgendole una mano per alzarsi. Megan, con il volto contratto dal dolore, si riprende in una manciata di secondi e, agguantando quella stessa mano, lo trascina nella neve, sommergendolo con foga.
Sophie, di soppiatto, scatta diverse foto alla scena assurda che si consuma sotto i nostri occhi, mentre William scorta Ashlee e il bambino verso una panca, sotto la tettoia, in modo che la neve possano ugualmente vederla. Alex, con le mani nella tasca, ci lancia appena uno sguardo, prima di avvicinarsi di soppiatto alla propria ragazza e bloccarle il polso, con un gesto dolce.
«E’ Natale, devo darti il tuo regalo», le sussurra malizioso, dandole un piccolo bacio sulle labbra, che sembra farla sciogliere del tutto, dimenticando di non essere soli e di avere persino un pubblico di minori a portata di mano.
Megan si blocca d’improvviso, sbarrando gli occhi. «Brian, dov’è il mio regalo?!»
Il ragazzo si massaggia la nuca, con una mano fuori uso gli riesce difficile divincolarsi dalla sua adorata compagna, ma, non appena quest’ultima sembra allentare la presa, le sfugge, scansandosi da quella vicinanza pericolosa e le infanga il volto con una palla di neve dritta sul naso.
«Eccolo il tuo regalo, spero ti piaccia!», esclama, lanciandole una seconda palla.
La ragazza scoppia in una risata, cosa che mi turba a dire il vero, e gli si fionda addosso, bloccandogli il viso e baciandolo, senza interessarsi della neve, ormai permeata negli abiti.
«Stupido yeti», gli sussurra docilmente, prima di baciarlo con foga.
Ecco com’è nato il povero Nicholas, dev’essere stato in queste piccole crisi sentimentali.
Scuoto il capo con un sorriso sulle labbra e mi volto verso Adam, notandolo stranamente taciturno. Guarda dritto davanti a sé, senza degnarmi di uno sguardo, come se non sentisse nulla, al di fuori dei suoi pensieri.
E mi chiedo che razza di pensieri siano, se fanno così rumore da estraniarlo.
«E’ l’ora dei regali!», Sophie saltella verso l’ingresso in compagnia di Alex, spalanca il portone e rientra dinanzi il camino. Le fanno seguito sia Ashlee che William, con il piccolo Nicholas mezzo addormentato tra le braccia.
«Madre incosciente», borbotta Ashlee, coprendo il bambino con un cappuccio e sparendo dentro casa.
Dopo qualche istante, Megan e Brian compaiono sulle scale, spintonandosi appena.
«Meglio per te che ci sia quello che io credo sotto l’albero», lo minaccia Megan.
«Tesoro, il sex shop aveva finito i vibratori che piacciono a te», recita in falsetto il ragazzo di rimando, sbattendo ingenuamente le ciglia. Cribbio, è indecente.
«Oh, hai capito che ne ho bisogno allora».
Brian, quando ti metti nei pasticci da solo, è difficile riuscire ad aiutarti.
Brian incassa il colpo e assottiglia lo sguardo. «Come io di una bambola gonfiabile. Pazienza, ne faremo a meno entrambi».
Prima d’entrare in casa, Megan lo spintona e, alzando il mento all’insù, gli devia la strada, in modo da entrare da sola e, soprattutto, prima di lui.
«Te la faccio vedere io la bambola gonfiabile», è l’ultimo brontolio che posso udire.
Mi separo dalla staccionata e ruoto i tacchi per seguire i miei compagni dentro casa, dove almeno potrò finalmente riprendere colorito, quando noto Adam stringermi il polso.
«Resta qui».
«Fa freddo, qui», protesto, seppur non troppo convinta.
«A quello si può sempre rimediare», un guizzo di un sorriso gli illumina il viso, mi porta un braccio lungo le spalle e mi attira a sé.
«Puoi dirmi ciò che devi in maniera del tutto rapida e indolore?», parlo talmente veloce da sentire la gola secca. Mi ci vorrebbe una birra. O del vino, tutto fa brodo.
Adam mi lancia uno sguardo perplesso.
«Sei sicura?», mi domanda con la fronte aggrottata.
Annuisco rapidamente e chiudo gli occhi, d’improvviso l’atmosfera magica dettata dalla presenza della neve mi soffoca, desidero soltanto diventare invisibile e perdere l’udito, per evitare d’ascoltare cosa dovrà rivelarmi.
«D’accordo», la sua risata frizzante mi riempie il cuore, apro un occhio e poi un altro, con il labbro martoriato dai denti e dal freddo. Mi allunga una scatolina blu, quadrata e vellutata. Il cuore mi trapana le orecchie, temo di perdere sul serio l’udito a furia di martellare così, eppure mi sorreggo alla staccionata. Rischio il collasso.
«A-Adam», balbetto, presa in contropiede.
Il panico s’impossessa di me, delle braccia, delle gambe, della ragione! Sento il bisogno di correre in casa e nascondermi sotto una poltrona, pregare che non mi trovi e battere i denti dalla paura.
Invece resto immobile, a osservare quella scatolina quasi volteggiarmi sotto il naso che mi urla: ‘prendimi, cosa aspetti?’
Le parole di Allison tornano minacciose nella mia testa e mi batto una mano sulla fronte. Avranno parlato quando Alex mi ha intrattenuto, certo!
Vile traditore, cos’è questa storia che patteggia per Adam, adesso?!
«Qualunque cosa ti abbia detto Allison è assolutamente inventata!», esclamo con voce elevata, sento le guance imporporarsi e il desiderio di scomparire diventa impellente.
Inarca un sopracciglio, colpito. «Cosa avrebbe dovuto dirmi?»
Mi mordo un labbro, sentendomi colpevole. «Mmh, non so, magari che desideravo…Un cane?», o un diamante, ma questo potrebbe andare a mio discapito e potrebbe dare man forte a ciò che ha in mano.
«Ci manca soltanto un cane», esclama ridacchiando.
Già, come se la situazione non fosse già tragicamente tragica così.
Mi ritraggo quasi, con il cuore in gola, che danza frenetico.
Gli occhi mi si dilatano secondo dopo secondo e Adam, essendo piuttosto scaltro, si accorge del mio nervosismo.
Sta per aprir bocca, quando dalla porta sbuca Sophie, un cellulare tra le mani.
«Ehi Melanie, il tuo cellulare non smette di squillare, credo sia importante».
Lo allunga nella mia direzione e riprendo a respirare, non appena indietreggio da quella posizione soffocante. «Oh, grazie. Chi è?», chiedo più a me stessa in realtà.
Eppure, Adam alle mie spalle, sovrasta la mia figura e mi lascia una carezza sulla testa, sorreggendo il mio sbigottimento.
«Papà».
 

*

 
Un respiro.
È così facile respirare, non devi neppure imparare a farlo. La natura fa il suo percorso da sola.
A differenza della parola: lì sì che devi imparare.
Ecco, perché mio padre l’ha fatto? Sua madre non poteva prendere una tracheite quel giorno?
Cribbio, fortuna che a Natale si deve essere tutti più buoni.
«Sarei voluta tornare, papà», biascico, osservando la neve dinanzi a me, «Ma pensavo che avresti reagito…poco bene», modo molto galante per dire eccessivamente male.
Silenzio dall’altra parte della cornetta.
Lo stomaco si contrae, così come i polmoni.
E poi, la bomba.
«Poco bene?», boom.
«Ehm…», non ho parole, sul serio.
«E’ questo l’atteggiamento che mi fa reagire poco bene, Melanie», sbuffa irritato.
Lo immagino seduto alla sua poltrona, un bicchiere di whisky in mano e l’altra a trattenere il telefono, probabilmente con la porta chiusa, per estraniare i rumori dei parenti. Mi chiedo se Martin ed Allison stiano origliando la conversazione, essendo nella stessa casa, riuscirebbe alquanto facile. E, detto francamente, io nei loro panni, lo farei.
Sospiro, sentendo l’aria ghiacciata perforarmi i polmoni. «Allora mi scuso».
Ennesimo attimo di silenzio.
D’accordo, papà, dai sfogo alla tua logorrea.
«Non dirlo più», il suo sussurro è colmo di tristezza, «Sono io a dovermi scusare, Melanie. Quale padre avrebbe trattato la propria figlia, come ho fatto io con te?»
E quale figlia avrebbe pugnalato il padre alle spalle come ho fatto io con te, papà?, non ho il coraggio di portare a voce quel pensiero, eppure so per certo che Adam me l’abbia letto in faccia.
«E’ plausibile. Non te l’aspettavi», neppure io me lo sarei mai immaginato, se ti può consolare.
«Puoi dirlo forte», sospira profondamente e lo immagino sdraiato con il capo nel cuscino. «Nessuno se lo immaginava».
«Ma è successo, papà», decido di dare una svolta al discorso, «Non abbiamo alcun vincolo di parentela, tu e René avete chiesto il divorzio anni fa e anche se adesso continuate a sentirvi, questo non significa che io debba allontanarmi da Adam».
Per quanto mi sia dispiaciuto vedere mio padre straziato da quella separazione, non ho potuto fare a meno di pensare che alla nostra situazione avesse fatto bene. Mi sono immediatamente pentita di un simile pensiero meschino e ancora me ne pento, anche se poi, una volta ottenuto il divorzio, le cose si sono nuovamente evolute per loro due. E, per altro, la loro separazione è avvenuta prima che scoprissero di noi, per motivi che non mi riguardano e mai lo faranno.  
«Non te lo chiediamo», ribatte prontamente, «Non ve lo chiediamo, anzi, porta i miei auguri anche a lui», riferisco ad Adam con un bisbiglio le parole di mio padre, dopodiché mi massaggio la fronte – ghiacciata per altro – e socchiudo gli occhi.
«D’accordo».
Un ennesimo attimo di silenzio, poi l’impensabile.
«Non ci sono aerei a quest’ora?»
«E’ festa, papà», inarco un sopracciglio.
«Come se non li pagassi», sbuffa, irritato.
Qualunque cosa abbia in mente, sono contenta di essere lontana chilometri e chilometri da casa e da lui.
«Non importa», aggiunge poco dopo, «Vorrà dire che agli inizi di Gennaio tornerete a casa e ne parleremo di persona. Fino ad allora, divertitevi».
Il desiderio di abbracciarlo è forte, tanto forte. Mi si inumidiscono gli occhi al pensiero di non vederlo da un anno ormai e al fatto che sia da solo, per colpa mia, forse, nonostante la casa sia gremita di gente; sono certa che preferirebbe trascorrere il Natale con poche persone, quelle giuste. Forse no, razionalmente parlando, ma non posso fare a meno di pensare che si trovi in questa situazione anche per aver scoperto della mia relazione con Adam.
«Buon Natale, papà», mormoro, rattristata.
«Ehi ragazza, fammi un sorriso, che ho le mie spie», il suo tono ironico mi strappa una smorfia indefinita.
«Non lo vedresti comunque».
«Almeno so che non piangi».
«Non lo sto facendo. Io non piango», sbotto, con il broncio, mentre Adam porta gli occhi al cielo e m’imita, gonfiando il petto.
Una gomitata arriva nelle sue costole, prima che attacchi il telefono.
«Perfetto, perché dopo ti viene il raffreddore», questa balla colossale me la porto dietro da quando avevo tre anni, ma è bello sentirglielo dire, mi mancava.
«Sicuramente stare fuori al freddo sotto la neve non implicherà un raffreddore, papà. Hai ragione, saranno le lacrime a farmelo venire», annuisco con vigore e la sua risata m’inonda il petto.
«Torna dentro e bevici su», mi suggerisce, agganciando.
Vorrei tanto, ma ho promesso, penso con tristezza.
«Tuo padre è unico: ti consiglia di darci dentro con l’alcol. Che uomo», Adam scoppia in una risata e scuote la testa, notandomi mezza infreddolita e nostalgica.
Osservo la porta d’ingresso e questa volta è Adam a muovere un passo per rientrare. Sono io a bloccarlo e il suo sguardo confuso mi sprona a far cadere l’argomento, a sopprimerlo.
Magari se ne dimenticherà o, cosa peggiore, me lo chiederà davanti a tutti!
«Sai che c’è, Adam?», comincio ad agitarmi e dondolarmi da un piede all’altro, «Se devi chiedermelo, fallo qui, in ginocchio, sotto la neve, con zero gradi e la febbre in arrivo. Almeno potremo avere un ricordo folle quanto questa cosa», esclamo con voce tremante.
Osservo i suoi occhi chiari dilatarsi appena, prima che un sorriso s’impossessi delle sue labbra perfette. Scuote il capo, divertito, e improvvisamente, s’inginocchia, portando la scatolina sotto il mio mento.
Non sta succedendo davvero, non può.
«Vuoi anche il discorso?», chiede con un ghigno.
Annuisco debolmente, reggendomi alle mie stesse gambe.
Se dobbiamo fare la cazzata, facciamola bene.
Adam si gratta il mento, con espressione assorta, dopodiché alza gli occhi verso i miei. «Ti ho mentito, ho parlato con Allison».
Strabuzzo gli occhi. «Impostore!»
Cosa gli avrà detto quella pazza scalmanata?!?!?!?!
Qualcuno mi odia.
«Mi ha consigliato di regalarti davvero un cane», scoppia in una risatina, prima di tornare serio, «E di meritarmi il tuo affetto».
Rimango in silenzio, improvvisamente provata dalle sue parole. I miei occhi scrutano i suoi e affogo al loro interno, senza opposizione.
«Sto cercando di farlo, Melanie. Sul serio. Da quando ti sono accanto, non posso non pensare che prima o poi tu possa accorgerti di non volere questa vita e di non vedere alcuna vita, con me al tuo fianco. Non parliamo mai di quello che riguarda il nostro futuro, né da singoli né da coppia. Allora mi son chiesto, comprando questo aggeggio: “E’ la cosa giusta da fare?”», scruto una briciola d’angoscia nel suo sguardo e tremo.
Tremo, perché ho paura che quel gesto sia stato dettato da un accavallamento di sentimenti negativi, ho paura che possa essere del tutto irrazionale e affrettato, ho paura di deluderlo, in caso reagissi in maniera sbagliata.
Adam lancia uno sguardo in direzione della neve, quasi voglia sfuggirmi, ma torna sui propri passi, mi sorride con un debole tentativo e continua il suo discorso.
«La risposta mi auguro potremo averla insieme, perché è insieme che voglio stare. Vorrei potermi svegliare la mattina avendoti al mio fianco con la certezza che tu non vada via, perché è lì con me che vuoi essere. Fino ad ora abbiamo vissuto all’insegna di ciò che ci offriva la giornata, ma adesso? Abbiamo finito gli studi ed entriamo a far parte del mondo vero. Voglio che tutto diventi vero, da ora in avanti, e ciò che più mi preme è sapere che lo vuoi anche tu».
Non respiro. Ho dimenticato davvero come si fa. Ma se gli chiedessi la rianimazione, romperei l’incantesimo. Quindi no, soffoca Melanie e stai zitta.
Agita la scatolina e mi sorride.
Sì, potrei davvero accettare.
Sì, è con te che voglio stare.
Sì, è la cosa giusta da fare.
Sono queste le mie tre risposte e vorrei gridarle al mondo. Forse provocherei una valanga per quanto sia alta la gioia che mi sconvolge il petto, ma non importa. O meglio, forse importa, ed è per questo che soffoco l’impulso di farlo.
Eppure, i miei occhi brillano e il mio corpo è scosso da fremiti, al sol pensiero di poter indossare un anello che possa simboleggiare ciò che significhiamo l’un per l’altro, quasi mi sfioro l’anulare e la pelle sembra gonfiarsi per protesta, nel costatare che sia ancora vuoto.
Emozionata, seppur contrastata dal pensiero che il matrimonio non sia giusto, per chi, come noi, non si sente pienamente pronto per celebrarlo.
E sopraggiunge l’angoscia, il tormento, il terrore di non riuscirsi ad adattare.
Di finire come John e Renè. Ecco cosa mi suggerisce una vocina.
I miei occhi sono attraversati da una tempesta in piena regola: sì o no?
Adam si alza in piedi, contro ogni regola, e mi si avvicina, porta la scatola tra le mie mani, apre i palmi e li carezza quasi si trattasse di un tesoro inestimabile. La premura che ha sempre avuto nei miei confronti mi sconvolge il cuore, vorrei poterlo abbracciare e soffocare ogni emozione, ogni pensiero.
Ma non posso.
«Che ne dici, Melanie?»
Eccola, arriva. La fatidica domanda, sta arrivando.
E io mi sento male.
Chiamate un’ambulanza oppure munitevi di defibrillatori.
Il suo sorriso non mi smuove, a differenza delle altre volte, il mio cervello è scollegato. C’è soltanto terrore e ansia.
«Vuoi…»
Sono troppo giovane, troppo, troppo, troppo giovane!
«Tu…»
E il bianco non mi dona, né all’anulare, né sul corpo. Neppure con gli slip, a dire il vero. No, per niente!
«Melanie Smith…»
Perderò il mio cognome, diventerò una McGive e non potrò più insultarlo. Diamine, no!
Attimo di suspense.
Occhi negli occhi.
Silenzio assurdo, persino dalla casa non si avverte un solo respiro.
Spioni del piffero!
«Venire a vivere con me?»
La scatola si apre con un click, neppure bado al contenuto, semplicemente lascio che la bocca si apra per dare aria ad un singolo monosillabo.
«NO!»
Adam mi osserva muto, non muove neppure un muscolo, ma legge perfettamente nei miei occhi lo sgomento e sa perfettamente che, non appena mi renderò conto della gaffe fatta, mi getterò dal dirupo fuori la strada.
Gli occhi lentamente mi cadono sulla scatolina sotto il naso, ho la bocca impastata dal timore, che ancora non riesco a spiegare, e le pupille diventano grandi quanto la luna, non appena scorgo la forma singolare di una chiave.
«No?», domanda lui, afferrando la chiave per poi agitarla con disinvoltura.
Sbianco, sentendo il sangue confluire in maniera del tutto rapida al cervello.
Cribbio…
«I-io…N-no, cioè s-sì!», sto balbettando CAVOLI DI BREUXELLES.
Il ghigno sul suo volto si allarga e il mio imbarazzo sale alle stelle.
Bel regalo di Natale, papà, ho un cervello che fa schifo e tutto questo grazie ai tuoi geni!
«Vorrà dire che l’appartamento che affaccia sul mare, con una deliziosa vasca idromassaggio e un bancone chilometrico della cucina dovrò usarlo esclusivamente da solo», il suo tono assume una sfumatura ironica, sono certa che si stia sbellicando dalle risate!
«Per non parlare di quel caminetto…», scuote il capo, quasi dispiaciuto, «E quella libreria, prenderà soltanto polvere. Forse dovrei toglierla…»
Ha detto libreria?
«Eppure era così grande, occupa un’intera parete! Dovrò farla togliere».
«Permettiti e ne parliamo in tribunale, avvocato McGive del piffero!»
Eccolo il ghigno, me l’aspettavo.
«Potrei rappresentarla, se solo non includesse anche me, la causa», esclama avvicinandosi al mio volto. Blocca i miei fianchi tra le sue mani, una stretta calorosa che arriva dritta al cuore.
«Potremmo evitare la causa», ribatto, con lo sguardo abbassato.
Non capisco perché debba sempre mettermi in imbarazzo e non capisco perché abbia dovuto farmi credere fischi per fiaschi!
«Quindi…E’ una chiave», mormoro, osservandola tra le sue mani.
«Già, una chiave molto…Grigia», ribatte, trattenendo una risata. «Cosa pensavi che fosse?»
Stronzo.
«Qualcosa di altrettanto grigio?», prosegue con il ghigno dilatato. Mi alza il mento nella direzione dei suoi occhi. «E magari diamantoso?», non può evitarlo, scoppia a ridere, in estasi, e sono tentata di dargli un destro nelle parti intime.
Quasi quasi lo faccio…
Prevede la mia vendetta e mi serra i polsi, prima di giocare d’astuzia.
«Non siamo ancora così malati, dai tempo al tempo», soffia sulle mie labbra.
Sto per cedere alle sue lusinghe, quando noto nei suoi occhi un guizzo di serietà. «Allora, questo è il tuo doppione. Lo accetti?»
«Il doppione?», domando, osservando incantata la chiave che penzola davanti al mio naso, «Avresti dovuto darmi l’originale, per ricevere un sì!»
Infila una mano in tasca e un mazzo di chiavi fuoriesce per magia, ne scansa alcune, fino ad arrivare ad una chiave identica a quella che regge in mano, la separa e me la porge.
«E adesso?», mi chiede, avvicinandosi alla mia bocca.
«Adesso baciami e sta zitto, con tutta questa neve ti si è congelato il cervello, se mi hai davvero chiesto di convivere», porto le braccia dietro il suo collo, dopo aver preso la mia chiave, e lo bacio con trasporto, sento tutti i sensi riattivarsi, le guance s’imporporano nuovamente così come le braccia riprendono vita e si avvinghiano al suo corpo.
Respiro affannosamente e mi separo soltanto per riprendere fiato, ma lo sguardo serio di Adam mi preannuncia che non ha detto tutto ciò che doveva.
«Ho letto quella lettera».
Merda.
«Non volevo nascondertela», ribatto, schivando il suo sguardo inquisitorio.
Agguanta il mio mento e lo innalza. «E io non voglio che rinunci. È un posto di lavoro, Melanie, in una scuola importante come la WestPriest* e se non fossi stata all’altezza, gli insegnanti che hanno suggerito la tua candidatura, non avrebbero osato così tanto. Lo sai anche tu quanto vali, per cui, in un modo o nell’altro, non ti avrei permesso di rinunciarci».
Le sue parole echeggiano nella mia testa, gli occhi pungono senza che possa arrestare la felicità che fuoriesce dal cuore.
È questa la svolta per il nostro futuro.
«Il mio nuovo studio legale verrà aperto a due isolati dalla scuola, comunque, quindi ti terrò d’occhio costantemente, sappilo», m’informa con un sorrisino divertito sulle labbra.
«Vale lo stesso per me, che ti credi!», esclamo, fingendomi offesa, quando, contro ogni mio riflesso, mi afferra per i fianchi e mi prende in braccio. Osservo il pavimento con un moto d’angoscia all’altezza dello stomaco e mi reggo al suo collo, con il sorriso sulle labbra e una risata soffocata in gola.
«Non chiedo altro», mi sussurra all’orecchio, solleticandomi la pelle.
I miei occhi incontrano i suoi e le labbra seguono lo stesso percorso.
Altro che anello, questa promessa vale molto di più.
Per il momento.
Improvvisamente, Alex mi torna alla mente, così come le sue parole, i suoi gesti nei miei confronti e in quelli di Adam. È ben predisposto e questo mi fa pensare che sia davvero possibile accantonare il passato, per permettere al futuro d’evolversi.
Alex ha il proprio futuro, denominato Sophie. E, per la loro felicità, non chiedo altro.
«Ci tengo a precisare una cosa», affermo, tornando in me, dandogli uno scappellotto dietro la nuca e il suo mugolio di protesta è musica per le mie orecchie.
«Cosa?», ribatte, osservandomi con intensità.
Mi limito a sorridere, prima di tornare seria.
Sembro Brontolo di Biancaneve.
«La libreria non si tocca. Se va via lei, sappi che vado via anch’io».
Si apre in una breve risata e mi abbraccia. «Me ne ricorderò, quando vorrò cacciarti di casa».
 

*

 
«Melanie russa».
«Non è vero!», ribatto, strozzandomi con delle noccioline.
E’ l’una di notte e io mangio noccioline, da non crederci.
«A volte le puzzano i calzini», Megan prosegue imperterrita, tutto perché ho difeso il regalo di Brian.
Una bambola di pezza, forse dai lineamenti demoniaci. Ma le ha detto che le somigliava e non potevo negare!
«E parla anche nel sonno».
Adam annuisce di tanto in tanto, lasciandomi delle carezze tra i capelli.
Ashlee è sparita al piano di sopra in compagnia di William, annunciando che si sarebbe preparata e che nessuno sarebbe sfuggito alla sua presa.
Sophie si è munita di caffè e, per solidarietà e soprattutto per tenere svegli gli occhi, ho preferito assecondarla, anche se Megan mi sta spronando a versarle la tazza in testa.
Alex, mezzo collassato, cerca conforto davanti al camino, mentre Brian scende le scale, dopo aver lasciato Nick nella culla.
«Una volta è uscita nuda nel cortile della scuola».
«Cerca di mantenerti sul filo realistico», le suggerisco, scuotendo il capo.
«Ma è realistico», ribatte, bevendo un sorso di caffè, prima di fulminare Brian, seduto al suo fianco con aria soddisfatta.
E dire che Megan gli ha regalato un orologio da polso meraviglioso, che probabilmente sarà costato un occhio della testa. Dovrà davvero rifarsi a letto, questa notte.
«Bevete dell’altro caffè, prima d’infilarvi sotto le coperte», gli suggerisco con tranquillità, prima di buttare giù l’ultimo sorso di quel liquido bollente.
«O qualche sedativo», sibila la ragazza, voltandosi dal lato opposto.
Brian continua a sorridere divertito, fino a quando non le fa cadere una scatolina minuscola sulle gambe. Megan allunga appena un occhio, ma sostiene il mento alto.
«Cos’è, un’ennesima scatola vuota?», domanda con sarcasmo pungente.
«No, c’è il tuo cervello dentro», ribatte lui.
«E’ troppo piccola, quindi inventane un’altra».
«A dire il vero, sapevo che stavamo attingendo dal filo realistico», la butta lì con disinvoltura e, agli occhi sbarrati della ragazza, scoppia a ridere.
«Se non c’è il tuo cervello, cosa ci sarà allora?», le chiedo, improvvisamente curiosa.
«Quello di Brian».
«E’ troppo grande allora», esclamo, cercando di guadagnare punti.
Megan sorride malvagia e mi strizza l’occhio, poi accavalla le gambe e, con disinvoltura, porta la scatoletta tra le mani per rigirarsela.
«Chissà che altra stronzatella c’è qui…», non termina neppure la frase, poiché apre e scopre il suo contenuto.
«BRIAN!», esclama con il volto arrossato dalla rabbia.
Il ragazzo scoppia a ridere e si mantiene la pancia. Megan agita il contenuto della scatola con gli occhi in fiamme. «Non andrò da tua madre!»
Scorgo la fotografia della donna in primo piano e una scritta sotto ben precisa: ‘Megan, sei la mia migliore amica’.
Non posso evitare di ridere, comincio a rotolare sul divano e Adam sorride, anche se non può esprimere apertamente quanto gli faccia piacere quella situazione. Ho sempre pensato che tra i due patteggiasse per Brian.
«Tesoro, sei sempre poco attenta ai dettagli!», la sbeffeggia, mettendole la scatolina sotto il naso. Sfila la fotografia e le sorride candidamente, «Servono anche a te gli occhiali!»
Lo fulmino con lo sguardo. Loro e questi occhiali, non mi stanno poi così male. E, per la cronaca, non li indosso sempre. Quando serve. Quindi quando guido, non voglio avere nessuno sulla coscienza. Ma, siccome neppure io stessa mi fido della mia guida, tendo a spostarmi in bus o metropolitana. O con Adam, quando vuole. Dunque, tornando al punto di partenza, non li uso quasi mai.
Megan sbuffa e lancia uno sguardo sprezzante nella scatolina, già pronta ad una scena madre, quando il suo volto si rilassa e gli occhi si sbarrano. Incuriosita, mi slancio nella loro direzione e osservo il contenuto di quella scatolina, restando piacevolmente colpita dal materiale cartaceo all’interno.
«Parigi», mormora, con la voce spezzata dall’emozione.
In effetti, a Parigi era iniziato tutto per loro, nel senso che avevano capito di poter fare sul serio soltanto all’ora, anche se ancora non capisco come, perché ai miei occhi era già palese da tempo.
«Ho pensato che potremmo tornarci, magari per una settimana. L’abbiamo vista d’Estate, ma innevata è tutt’altra storia e stavolta potremmo portare anche Nick con noi e…», non può neppure terminare il discorso, poiché Megan gli salta letteralmente addosso e lo soffoca, stringendogli le braccia al collo.
Gli lascia un lungo bacio sulle labbra e, nonostante tutti li osserviamo con occhi sognanti, Megan non si smentisce e gli lascia un pizzico sul braccio.
«Questo non ti perdona per la bambola», esclama imbronciata.
«Avete così tanta voglia di parlare a quest’ora?», l’intervento di Alex mi lascia basita.
Sophie sogghigna, dopo aver riposato la macchina fotografica nella custodia e aver guardato il fuoco con occhi innocenti.
«Puoi anche dormire, se ti va», gli suggerisce, giocherellando con la tazza di caffè ormai vuota.
«Se non avessi dei fari in faccia ogni due secondi, sì, potrei anche», le ribatte con tono divertito. Le agguanta i fianchi da dietro e le solletica la pelle. Ho visto quella tazzina cadere in terra a pezzi, fortuna che c’è il tappeto.
E, sotto le risate di Sophie e i pizzichi di Megan, Adam mi si avvicina all’orecchio.
«Ho regalato anch’io un viaggio per me e te».
«Ah sì?», gli chiedo, lanciandogli uno sguardo incuriosito.
«Certo. In un centro benessere. Dopo una settimana trascorsa in una casa di cura del genere, ho proprio bisogno di una vacanza».
«Credi di essere migliore?», gli sorrido, sprofondando tra le sue braccia.
«Mmh, forse no», mi lascia un bacio sulla tempia, «Per averti chiesto di convivere, credo dovrò farmi controllare il cervello».
«Concordo».
Alex lascia respirare la povera Sophie e si spaparanza sul divano, con un ghigno soddisfatto. «Così impari a svegliare il can che dorme».
«Erano delle semplici fotografie e quando allestirò una galleria tutta mia, saranno le prime che esporrò!», esclama trafelata, con le gote rosse.
«Sei intelligente», Alex non può fare a meno di sorridere, «Ottima strategia di marketing».
«Marketing un corno», Sophie gli getta un cuscino che lo coglie in pieno viso.
La guerra atomica viene stroncata dall’intervento di Ashlee che, comparendo dalle scale, si schiarisce la gola e preannuncia: «Sono pronta!»
«Anch’io», replica Alex, alzandosi, «Per dormire».
«Non se ne parla», sbotta Ashlee, un cappello assurdo sulla testa, color verde fango, e una sciarpa al collo che neppure mia nonna avrebbe il coraggio d’indossare, per quanti colori abbia, uno peggiore dell’altro.
«Dov’è che dobbiamo andare, poi?», borbotta Megan, sgranchendosi le gambe.
«Che domande!», proferisce Ashlee, scendendo le scale con eccessiva lentezza, mentre il povero William, dinanzi a lei, osserva ogni suo piccolo movimento. «Laddove dovresti andare più spesso, dato il tuo pessimo carattere!»
«Oh, devo ammettere che sei intelligente, quando vuoi! Sei sprecata per fare il docente d’informatica, sul serio», Megan sorride con occhi lucidi, si avvicina all’attaccapanni e indossa il giubbino, «Ho proprio bisogno di fare shopping e sono sicura che i negozi a quest’ora saranno aperti!»
Ha bevuto.
Per credere che a quell’ora di notte i negozi, a Natale, siano aperti, deve avere davvero bevuto e anche tanto.
«Se hai intenzione di spendere soldi, potrai fare una generosa donazione per i poveri», Ashlee le sorride candidamente e mi passa affianco con tranquillità, carezzandosi il pancione.
Alex sbuffa, in contemporanea con Adam, mentre Brian costringe Megan ad indossare il cappotto.
«Per te è facile parlare, tu resti qui col piccolo!», protesta la ragazza.
«Hai bisogno di confessarti, tesoro», la canzona per le feste con un sorriso sulle labbra.
Megan mi afferra il braccio e mi bisbiglia. «Posso essere onesta con te? Non farti mettere incinta, perché non è un affare».
«Non lo pensi sul serio», la rimbecco, notando il suo sguardo in direzione di Adam.
«Adam, te lo taglio», e buon Natale anche a te.
«Ricevuto il messaggio, capitano».
Ci avviciniamo alla porta di casa, quando la voce di Brian, dal piano di sopra, ci arriva chiara e tonda. «Arriviamo anche noi!»
Attendiamo che anche Alex finisca d’infilare il giubbotto, a ritmo di lumaca, e Brian discende le scale con, in braccio, il piccolo Nick, dagli occhioni assonnati e dal ciuccio tra le labbra. Si passa una mano sugli occhi e sbadiglia, allungando le mani verso la mamma, che lo accoglie prontamente.
«Oh che bello, siamo tutti!», Ashlee saltella verso l’esterno, stringendosi tra le braccia del povero William, grande pazienza che avrà, con lei e i figli a venire.
Sorrido divertita e infilo il cappello sulla testa, dalla palla pomposa. Adam me la pizzica e ridacchia, scuotendo il capo. «Che aggeggio sexy».
«Ne comprerò uno anche a te».
«Grazie, ma non ti scomodare», mi cinge le spalle e usciamo all’aria aperta, i  fiocchi di neve vorticano nell’aria e ci avvolgono.
Allungo uno sguardo alle nostre spalle e le luci natalizie appese al di fuori del nostro cottage mi rallegrano: osservo le renne e la slitta con Babbo Natale dal sorriso fin troppo grande per il viso che si ritrova, i pacchi regali che cadono dai sacchi e le stelle attorno. Una vastità di luci colora il legno della struttura e si proietta sul manto della neve.
Torno a guardare dritto davanti a me, mentre Adam cala le labbra verso il mio orecchio.
«Siamo ancora in tempo a tornare indietro. Inventa un mal di pancia e svigniamocela».
Sorrido, un sorriso sincero. «Sai che ti dico?»
Ti dico che no, non ce la svigneremo, perché abbiamo bisogno di fare questo passo, abbiamo bisogno di volgerci verso un nuovo vento, senza dimenticare quello precedente.
Ti dico che no, non dovremo avere paura di affrontare le novità, piacevoli o spiacevoli che siano, purtroppo sarà irrilevante, poiché dovremmo ugualmente contrastarle.
Ti dico che no, niente sarà facile, niente andrà come dovrà, ma che tutto si potrà risolvere, col tempo e con la pazienza. Talvolta i sentimenti possono essere un’arma a doppio taglio, in quanto possono lenire le ferite o ampliarle. Bisogna saper apprezzare ciò che ci viene dato, talvolta in piccole dosi, talvolta semplicemente con un breve luccichio, e capitano persino le volte in cui le situazioni pessime devono essere colte come un insegnamento; perché la vita è difficile, ma senza difficoltà, nessuno sarebbe spronato a raddrizzare la propria strada.
Ciò che ritengo importante avere sempre con sé sono essenzialmente due cose: una bussola, con la quale orientarsi, e un cervello, da sfruttare per costatare che la bussola non sbagli; in caso questo accada, il cervello sarà pronto a dare una mano alle lancette per pendere nella giusta direzione.
«Cammina e non lamentarti», ecco, io ho una bussola di nome Adam al mio fianco, probabilmente difettosa per nascita.
«E se volessi farlo, invece, per l’intero tragitto?», domanda con la fronte aggrottata.
«Beh, in quel caso, posso assicurarti che, ancor prima d’iniziare la convivenza, la tua vita diventerà un incubo», proferisco con soddisfazione. «Ah, per intenderci, intendo anche il campo sessuale, con incubo».
Ed io?
Io sono il cervello, per raddrizzare le lancette della bussola difettosa.
«Sei un’abile ricattatrice, devo concedertelo, ma sarà un incubo per entrambi», mi stringe a sé e mi strizza l’occhio, prima di lasciar cadere l’argomento, soffocando le parole superflue nella neve, dove immergiamo i nostri passi.
Forse pecco di superbia nel ritenermi il cervello della situazione, ma chi può dirlo: il ruolo è soggettivo, in determinate situazioni puoi o devi adattarti a immedesimare i panni del leader; in altri, devi capire quando è il caso di aprire bocca e quando è il caso di gettare l’ascia di guerra.
«Tanto lo so che mi ami».
Talvolta, devi persino capire quando è il caso di ombrare l’orgoglio e lasciare che sia il cuore a suggerire le parole adatte.
«Se lo sai, non c’è bisogno di dirlo», e talvolta, sai che l’orgoglio invece resta presente, combutta con quel muscolo involontario e lotta per non essere eclissato, ma decide di esserci a pari merito.
Con Adam, probabilmente sarà sempre così, ma non mi lamento. In fondo, posso compensarlo.
«Non fa mai male ribadirlo, se è la verità», un bacio, piccolo, ma dai colori sgargianti, su labbra create per baciare.
Non farà di certo male, questo è vero, ma non farà neppure male sottintenderlo, qualche volta, laddove le parole diventano superflue e c’è bisogno di lasciare agli sguardi, ai gesti, alle labbra, il podio di dimostrare cosa significhi amare.
Perché, in fondo, l’amore a parole è bello, ma a gesti forse lo è un po’ di più.
 

 

 
The End?

 
 
 
 
Note finali:

Sono emozionata, mi credete?
Non avrei mai pensato di tornare a scrivere di loro, realizzare le loro emozioni e portarle su carta, assistere ai loro scontri d’amore in anteprima e deliziarmi degli epiteti che si regalano a vicenda.
Mi sono mancati e non poco.
Questa one-shot è nata grazie alla nostalgia, non credo d’aver dato giustizia a questi personaggi che sono nati e si sono evoluti sotto la mia ala. Forse, quando ho terminato la storia, ho pensato d’aver detto tutto ciò che dovevo, ma, una volta scritta questa, proiettata cinque anni dopo, mi sono ricreduta.
Cinque anni sono tanti e, soprattutto, sono lunghi. Per cui, possono accadere tante cose, talmente tante che ho dovuto selezionare e, da quanto si è potuto vedere, è stato alquanto difficile.
Si ringrazia per il papiro, starete pensando e me ne dispiaccio. Avevo pensato di suddividere il testo in due parti, ma, come mi è stato saggiamente suggerito, dividerlo non avrebbe reso giustizia e spero abbiate apprezzato questa scelta.
Le cattive abitudini sono dure a morire, così come la mia mano non riesce a fermarsi: sono eccessiva, me ne rendo conto, e non soltanto nella scrittura. In tutto ciò che faccio, non ho le mezze misure: o tutto o niente. Ah, quanto me ne pento!
Anche se so di essere in ritardo, mi auguro che le vostre vacanze stiano procedendo per il meglio – dimenticate i libri, quando vi è concesso, altrimenti non si vive più! (parla colei che deve sciropparsi in un mese e mezzo quattro libri di Storia Contemporanea) – e vi faccio i miei auguri, affinché l’anno che verrà possa portare maggiori gioie per accantonare le tristezze di quest’anno (:
Vorrei precisare una cosa: probabilmente ai vostri occhi sembrerà che manchino dei passaggi durante la narrazione di questa one-shot e devo darvene pienamente atto. Non ho giustificazioni, se non dirvi che era impossibile spiegare per filo e per segno otto vite differenti, distribuite in cinque anni. Inoltre, non vorrei vincolarmi per il futuro, poiché potrei decidere – quando ci sarà tempo e sufficiente ispirazione – di inserire una raccolta di missing moment e magari dare dettagli in più (: Soltanto se saranno ben accetti, ovviamente; in caso contrario, scarterò l’idea a priori!
Tengo particolarmente ad ognuno di questi personaggi, in fondo ogni autrice diventa ‘mamma’ in un certo senso e non si può non provare un moto d’orgoglio nei loro confronti.
Povero mondo.
M’infilo un calzino in bocca, promesso. Ribadisco i miei auguri natalizi e v’invito, in caso siate interessati, sul mio Gruppo Facebook, per qualche chiacchiera o spoiler, quel che sia insomma!
Vi abbandono, sotto le note della canzone di Michael Buble che, personalmente, ha accompagnato tutto il mio spirito natalizio quest’anno – e un grande imbocca lupo per l’anno nuovo.
<3
 


Appunti.
- WestPriest* : tengo a precisare un dettaglio fondamentale, che è quello di non aver scelto per la storia un'ambientazione precisa, mi sono sempre tenuta sul vago per quanto riguarda la città dove si svolge la storia, non per un motivo preciso, ma semplicemente per dare spazio alla vostra immaginazione, per cui, WestPriest è il nome di una middle school, inventata di sana pianta - se poi esiste, credo d'aver avuto soltanto fortuna nell'incapparci dentro -, dalla rilevante importanza. Non ho avuto l'intenzione di scegliere una scuola prestigiosa di cui si sente spesso parlare, ma, a titolo informativo, è una scuola che ha la sua storia e il suo grado d'importanza, non eccessivo, ma presente. Per quale motivo, però, è un mistero. Era semplicemente a titolo informativo.


Detto questo, posso finalmente starmi zitta.
Grazie della pazienza, per chi si fosse avventurato fino alla fine.

 

   
 
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