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Autore: Denki Garl    28/12/2011    6 recensioni
Ad un certo punto ricordo che mi voltai a guardarlo. Aveva la faccia così pesantemente premuta sul cuscino che la guancia un po' paffuta dava l'impressione dell'imbottitura che fuoriesce da un sandwich quando si comprimono troppo le fette di pane. Ricordo anche che pensai che gli faceva bene scopare, perché in quei casi assumeva espressioni meno imbarazzanti, durante il sonno. Dormiva come una persona civile, non come una scimmia malamente aggrappata ad un albero sbilenco.
[Raiting giallo per scurrilità dei personaggi]
I personaggi non mi appartengono, nulla si ispira a fatti realmente accaduti.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Reita, Ruki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ogni parola, virgola e punto di questa shot è dedicato alla mia pargola. Non è la Kai/Reita a lieto fine che penso si aspettasse, ma c'è sempre un Reita uke di mezzo. È che la Kai/Reita è arrivata tardi, questa ce l'avevo pronta da qualche settimana. Spero ti piaccia comunque. Tanti auguri,  

Prima di lasciarvi alla lettura di questa shot, ho una richiesta da farvi. Decontestualizzate Reita e Ruki, per favore. Ci sono alcuni dettagli che stonano col fatto che sono giapponesi etc. Per il resto, vi auguro una buona lettura.








Teenagers.
Why must we all make sense? Oh, well, I just won't make sense. - For once I'm just gonna live.







Quella mattina mi svegliai che, credo, fossero circa le otto del mattino. Era aprile, in quel periodo anche svegliarmi presto poteva risultare davvero piacevole, oserei dire rilassante, anche se il motivo mi sfugge tuttora. Rimasi comodamente sdraiato a letto, a fissare il soffitto senza realmente vederlo. Era di un colore indefinito, cosa che solitamente odio, ma in quel caso mi piaceva. Questo esclusivamente perché mi piaceva la stanza, a dirla tutta.
Ryo, a differenza di - suppongo - tutti gli adolescenti, non aveva evidentemente attraversato quel periodo di passaggio durante il quale i ragazzi vogliono cambiare l'arredamento della propria stanza, sbarazzarsi dei ricordi e delle prove della propria imbarazzante infanzia, e crearsi un mondo tutto loro nel quale masturbarsi in santa pace (se nel senso letterale o figurale non ha importanza, lo lascio scegliere a voi).
Ho sempre avuto il sospetto che, in realtà, ancora si divertisse a giocare con i soldatini e che, in mia assenza, dormisse abbracciato all'orsacchiotto di peluches e puttanate varie, cosa che lui ha, ovviamente, sempre negato, ma non è che mi sia mai interessato più di tanto. Più che altro, per me, è sempre stato un gran divertimento metterlo in imbarazzo, indifferente in quale contesto ci trovassimo. Non prendetemi per uno stronzo, dico solo le cose come stanno. E poi, lo ammetterò tanto perché sono in vena di sproloqui, trovavo fosse dannatamente dolce quando arrossiva e ce la metteva tutta per assumere un'espressione imbronciata ma, purtroppo per lui, falliva miseramente. Faceva scaturire in me una sorta di sentimento, più che altro una sensazione, che davvero odiavo e mi dava i brividi per lo schifo, ma dato che era lui facevo finta di niente e tacevo. Tanto non è che mi costasse molta fatica, se proprio ci tenete che lo ammetta.
Scusate, stavo dicendo? Ho la maledetta abitudine di perdermi, quando parlo. Mi è sempre successo, tanto che potrei definire praticamente tutte le mie conoscenze delle persone impazienti, basandomi ovviamente sui soli momenti in cui le ho viste (o, farei meglio a dire, intrattenute).
Non che mi piaccia parlare, eh, sono un tipo parecchio silenzioso, io. Se proprio volete saperlo, è che una persona mi deve ispirare, altrimenti è inutile. Dico, perché sprecare fiato con una persona che non pensi sarebbe in grado di seguire un tuo discorso?
Ma, comunque, il guaio è che quando inizio tendo a non fermarmi più. Monopolizzo letteralmente l'attenzione, mi piace che i riflettori siano puntati su di me, okay. Invado la scena ed impedisco a chiunque altro di inserircisi, se proprio ci tenete che lo dica. Non ho problemi ad ammetterlo.
Fatto sta che, come stavo dicendo, mi piaceva la stanza di Ryo, nonostante fosse arredata secondo i gusti di una madre evidentemente cresciuta negli anni sessanta e, altrettanto evidentemente, segnata a vita dall'atterraggio dell'Apollo 11 sulla Luna. Forse, pensandoci, ciò che veramente mi piaceva era l'atteggiamento di Ryo nei confronti di quell'arredamento puerile. Sì, credo fosse questo. Non sembrava esserne turbato, per niente. Ad esempio, quando sistemava le ultime cose prima di uscire insieme, ne spostava gli oggetti da una parte all'altra come se tutto ciò che lo circondava non lo riguardasse affatto. Semplicemente, non gliene fregava un cazzo. Devo dire che, in effetti, c'erano dei motivi più che validi, se fu il mio ragazzo così a lungo. Ah, forse ho omesso di dire che io e Ryo stavamo insieme ma, be', ora che lo sapete non avete di che lamentarvi.
In ogni caso, me ne stavo sdraiato su quel fottuto letto ad una piazza e mezza, mentre lui dormiva come un angioletto alla mia sinistra. Ad un certo punto ricordo che mi voltai a guardarlo. Aveva la faccia così pesantemente premuta sul cuscino che la guancia un po' paffuta dava l'impressione dell'imbottitura che fuoriesce da un sandwich quando si comprimono troppo le fette di pane. Era così buffo che mi fece tenerezza, il bastardo. Ricordo anche che pensai che gli faceva bene scopare, perché in quei casi assumeva espressioni meno imbarazzanti, durante il sonno. Sì, mi piaceva osservarlo mentre dormiva. Mi mandava letteralmente in sollucchero, se proprio volete saperlo. E, dopo una scopata delle nostre, dormiva come una persona civile, non come una scimmia malamente aggrappata ad un albero sbilenco. Comunque l'occhiata che gli lanciai fu davvero breve, quella mattina non mi andava di stare a fissarlo, non chiedetemi il perché.
Se, nel momento in cui guardai Ryo, avessi spostato di poco lo sguardo, avrei visto la finestra con le persiane abbassate, attraverso le quali, però, entrava un po' di luce solare. Non era male quell'atmosfera, devo dire. Dovete tener da conto che io odio la primavera e tutte quelle cose lì. Non capisco cosa ci sia di bello nei fiori o di piacevole nel canto dei fringuelli, se proprio ci tenete che lo dica. Anzi, li trovo irritanti. Cristo, devi per forza sgolarti all'alba perché sei felice o perché è da più di una stagione che non scopi? 'Fanculo, ecco cosa. Per non parlare dei fiori, utili solo a portare allergìe, insetti, e via discorrendo. Preferisco l'inverno, chiamatemi frigido se vi va, non mi importa poi molto. Però, quella mattina ero di buon umore. No, per essere preciso non ero di cattivo umore, il che non implica necessariamente che ne fossi di uno buono. Ma, come mi sembra d'aver già detto, mi sentivo tranquillo. In pace col mondo, come. Non so, era una sensazione strana, se proprio devo definirla in qualche modo. Nella mia mente immaginai, ad un certo punto, di essere il protagonista di un film, di quelle solite puttanate americane viste e straviste. Avevo le braccia piegate dietro alla nuca, se avessi spostato il gomito destro avrei scoperto la troupe e tutta quella gente lì. Sentivo anche la musica, nella mia testa. Era una canzoncina scadente, semplice e mai sentita prima, allegra. Un po' country. Mi ritrovai a sorridere come un imbecille, Dio mi perdoni. Ridacchiai lievemente di me stesso, dandomi del coglione, passando nuovamente a far girare gli occhi per la stanza, senza che avessero un luogo preciso come punto d'arresto. Mi resi conto, però, che quella giornata era un nuovo inizio o, almeno, questo era quello che mi aspettavo sarebbe stata. Solo, ancora non sapevo che le mie aspettative non sarebbero state deluse, né potevo immaginare, quindi, in che modo queste sarebbero state realizzate. Scommetto che crepate dalla voglia di scoprirlo, che gaudio!, ma portate pazienza, ci sto arrivando.
Dopo aver accantonato quell'assurdità del film mi sembrava d'avere la mente vuota. Sul momento, non pensare a niente, era fantastico, sul serio. Fatto sta che, ad un certo punto, mi ritrovai a riflettere sulla mia relazione con Ryo. Non so come, di preciso, per cui accontentatevi di questo, ora. Pensai che era buffo, in un certo qual modo, che io e lui fossimo resistiti così a lungo. Oggettivamente, siamo due personalità totalmente opposte. E, non ho alcuna intenzione di negarlo, io sono una testa di cazzo bella e buona. Di solito la gente si stufa di me, mi evita. Non che mi dia fastidio, figuriamoci. Non mi piacciono le persone, puzzano. Non intendo necessariamente nel senso letterale del termine, se ve lo state chiedendo. Ryo, comunque, no, ha sempre avuto un buon odore, per quanto ricordo. C'è stata una volta, poi, in cui ci stavamo abbracciando. Mi è rimasta impressa in mente più che altro per il sesso sfrenato tra le lenzuola con Kaarot* e compagnia bella in versione chibi, se proprio ci tenete a saperlo. Capirete che ero un po' scettico e decisamente a disagio all'idea di farlo in quelle condizioni, ma non ci fu verso di farle cambiare a Ryo, così dovetti farmene una ragione. Tuttavia, mi dovetti pure ricredere, e fidatevi se vi dico che scopare tra le sette sfere del drago può essere un'avventura entusiasmante. Niente ironia, sono serio.
In ogni caso, quella volta, nonostante l'avessi fatto davvero penare, nonostante avessimo sudato all'inverosimile, lui odorava di buono. È assurdo, lo so bene, tanto che, se ci penso, nemmeno io riesco ancora a spiegarmi come diavolo fosse possibile. Però fu davvero così, non sto mentendo.
Un suo sospiro più profondo fece sì che portassi un'altra volta il mio sguardo su di lui. Credetti che si fosse svegliato, cosa che mi avrebbe deluso. Non volevo che quel momento di intimità con me stesso fosse rovinato da nessuno. Ma, fortunatamente, Ryo continuò a dormire indisturbato, così io potei proseguire a perdermi tra le mie futili riflessioni sconclusionate. Prima che potessi riportare i miei occhi sull'areoplanino che pendeva dal soffitto, qualcosa mi attraversò il cuore, fulmineo. Precisamente, si trattava di quella stessa fottuta sensazione che avevo avuto anche poco prima. Mi fece tenerezza, ancora.
Questa volta, però, realizzai che era stupido che mi ostinassi a recitare la parte dello stronzo pure con lui. Gli volevo bene e non ero in grado di dimostrarlo, quindi, davvero, non aveva senso. Potevo anche lasciarmi andare, ogni tanto, e dimostrargli il mio affetto. Tanto, per come mi riusciva, il risultato era pressappoco lo stesso. Ma non era questo il problema, in caso lo stiate pensando. Il nocciolo della questione è che non lo amavo più. Ormai stavo con lui più per abitudine, che per altro.
Rimasi a letto ancora un po', non c'era fretta di andarsene. Stavo quasi per dire “né un motivo”, ma quello in realtà c'era, se proprio lo volete sapere. Avevo deciso di mollarlo, quindi non era il caso che rimanessi lì ancora a lungo, ma qualche minuto non avrebbe ucciso nessuno, forse. Non uccise nessuno, quella volta, se ve lo state domandando. Credo, in ogni caso, che fosse passato a malapena un minuto quando mi decisi ad alzarmi da quell'insfondabile materasso (e vi assicuro che più volte ce l'abbiamo messa tutta, io e Ryo, nell'impresa), ma, davvero, mi ero rotto di star sdraiato e, a dirla tutta, mi faceva male la schiena. È paradossale, me ne rendo conto, ma a volte mi succede veramente.
Iniziai a vestirmi quasi con pigrizia ma, in verità, non avevo alcuna fretta di andarmene, ve l'ho già detto. Così, mentre sedevo a bordo del letto ed ero intento ad allacciarmi le spighette delle scarpe, sentii la voce del mio ragazzo, impastata di sonno, chiamarmi. «Taka...»
«Mh?», fu la mia, forse troppo disinteressata, risposta. «Te ne stai andando?»
«Sì...», dissi in tutta tranquillità. Avvertii qualche spostamento alle mie spalle, evidentemente si stava rigirando tra le coperte alla ricerca del cellulare o vattelapesca per vedere che ora era. «Ma che ora è?», mi domandò, infatti, subito dopo. «Boh...», alzai le spalle.
«C'è qualcosa che non va?»
«No, nulla...»
Mi alzai in piedi e mi girai su me stesso, in modo che potesse vedermi in faccia, in caso ne avesse avuto voglia. Cercai con lo sguardo la mia felpa, era finita sul pavimento, ai piedi del letto. Andai a prenderla e, dopo averla scossa un po', la indossai. Ryo mi osservava, ma non saprei dire cosa gli passò per la testa in quegli istanti. Sembrava davanti a lui ci fosse un fottutissimo schermo. Io non ero il suo ragazzo che stava prendendo e andandosene, no, ero un merdosissimo film che ti lascia vuoto e inespressivo. «Mi avresti svegliato per salutarmi? O lasciato un biglietto o che so io...»
«Mh? No.», mi venne da ridere a intendere quella sua frase. Perché mai avrei dovuto lasciargli un biglietto? Ammetto, okay, ammetto di essere un po' vigliacco, a volte, ma in quell'occasione non avrei di certo rotto per mezzo di uno stupidissimo biglietto, e che cazzo. Per chi mi aveva preso?
«Ah...», disse allora, un po' confuso. «Mi avresti chiamato quando avresti visto che non c'ero, no?»
«Be', sì. Ma che ti prende, Taka?»
«T'ho detto, non mi prende nulla. Me ne vado e basta, voglio andare a casa.»
«Ah, va bene. Ci sentiamo poi?»
Con i palmi delle mani aperti, battei qualche colpetto prima sulle tasche della felpa e poi su quelle dei jeans, per assicurarmi di non dimenticare le chiavi di casa. Non avevo voglia di star a sentire le urla di mio padre, si infastidiva quando non le usavo e suonavo il campanello. Si incazzava come una mina, quel povero bastardo. A volte era divertente vederlo diventare paonazzo per lo sforzo del gridare, ma quella mattina non ero in vena.
Ryo aspettava pazientemente che gli rispondessi, non sembrava infastidito da quel mio procrastinare la risposta. Forse, ancora non aveva intuito la mia intenzione, non so dirvi e, sinceramente, non m'interessa poi molto. Non pensate, per favore non fatelo, che avessi paura, che le parole mi morissero in gola ogni qual volta provavo a vocalizzarle o quelle stronzate lì. Non fu affatto così, se proprio devo specificarlo.
Non ero dell'umore, tutto qui. In quel preciso istante non mi andava di parlare, e poi quella era l'ultima cosa che avrei dovuto dire prima di lasciare la stanza definitivamente.
Consapevole dello sguardo che Ryo non mi aveva per un attimo levato di dosso, diedi un'ultima occhiata alla camera, ignorando totalmente la presenza del proprietario che, comodamente agiato sul suo letto, era ancora in attesa di quella fottuta risposta. Ora come ora, un po' mi dispiace di averlo tenuto tanto sulle spine, se proprio ci tenete che lo dica.
«Mh... nnno.» nel pronunciarlo i miei occhi continuarono a vagare a destra e manca, trovando un interessante punto di arrivo nell'aereoplanino appeso al soffitto, quello a cui ho accennato prima. Avrei voluto chiedergli se me lo regalava, se proprio volete saperlo. Mi sarebbe piaciuto tenerlo, come ricordo o non so.
«Ah», ripeté per la terza volta, facendomi domandare se avesse dimenticato tutto il resto del lessico che in quei diciotto anni di vita aveva imparato, o cosa. «E...», tentò di dire qualcosa, ma evidentemente non gli riuscì perché dovetti proseguire io col discorso. «È meglio non sentirci per un po', in effetti.»
Lui, ancora, non disse niente. Facendo finta di star ancora guardandomi intorno, gli lanciai una fugace occhiata di traverso, per vedere che espressione avesse assunto, sempre ammesso che ne avesse assunta una, chiaramente. Era confuso, in caso ve lo stiate chiedendo.
«Quindi è finita?»
«Sì, qualcosa del genere...», restai vago, non saprei dire il perché. Avevo preso a dondolare sul posto -con i pugni serrati nelle tasche della felpa-, è una cosa che ogni tanto mi diverte fare. Volevo attendere un po' prima di sloggiare, in caso avesse voluto piangere, insultarmi o chessoìo, anche se speravo non l'avrebbe fatto, soprattutto la prima. Per fortuna non disse niente, a parte un «Okay.» inespressivo che non ricordo se mi fece un qualunque effetto o meno, ma non è importante.
«Be', ciao, Ryo.», salutai arricciando gli angoli delle labbra in maniera buffa e inarcando un po' le sopracciglia. Forse, di quel saluto, è più importante il fatto che finalmente lo degnai di attenzione, quel povero Cristo, che non la mia faccia da cazzi. Ad ogni modo, alla fine uscii dalla stanza, chiudendo la porta alle mie spalle senza far rumore. Scesi le scale il più silenziosamente possibile, in caso i suoi stessero ancora dormendo ma, se anche fossero stati già svegli, non mi andava di salutarli, a dirla tutta. Sarebbe stato strano. Già così mi sembrava tutto strano, sarebbe stato anche peggio. Era la consapevolezza che quella era probabilmente l'ultima volta che mettevo piede in quella casa, se proprio lo volete sapere. Le altre volte era un'azione equivalente all'andare a pisciare al cesso di casa mia, per dire. Era diventato un'abitudine, ecco.
Mentre camminavo per strada con andatura scanzonata, fui assalito da un'altra sensazione. Tipo uno strano peso al petto, ecco. Erano sensi di colpa, credo, o qualche puttanata simile, così presi a dirmi che mica lo potevo sapere che non sarebbe stato per sempre. Avevo diciassette fottutissimi anni, dopotutto. Che ne sapevo io che la mia prima cotta - o quel che è stata - non sarebbe anche stata l'ultima. Lo pensavo, anzi, ne ero proprio convinto, mica sto dicendo il contrario. È un grosso problema, questo. I teenager credono di sapere sempre tutto, ma non sanno proprio un cazzo, se è necessario che lo dica.
Non lo so, improvvisamente mi sembrava che mancasse la logica, a quella faccenda. Chissà poi perché iniziai a preoccuparmene, così, tutt'a un tratto. Alla fine ragionai che non ci doveva per forza essere un senso, in quella storia.

 

Avevo diciassette fottutissimi anni, dopotutto.























*nome originale di Goku (Dragon Ball), se non l'aveste capito/sapeste.





DE's:
Porca vacca, credo che mi toccherà fare delle note lunghe, questa volta.
Inizio dicendo che spero che almeno alcune di voi coglieranno il significato di questa shot. Mi piace pensarla come un'iperbole vagamente sarcastica o, almeno, questo era il mio intento.
Personalmente, mi piace molto. Ammetto di aver sfruttato quest'occasione per buttare fuori parecchia della mia recente frustrazione accumulata che, nelle ultime settimane, sta sfociando con dosi massicce di egoismo e stronzaggine (non che mi secchi troppo, dato che questa è la mia vera natura, ma non fa bene ai miei nervi); mi ci voleva proprio.
Chiaramente non è perfetta, e credo di aver scritto delle fic molto più accurate dal punto di vista del lessico, soprattutto, ma le numerose ripetizioni sono più che volute per accentuare quel senso di racconto narrato in prima persona da un Ruki quasi apatico, oserei dire, e adolescente, o comunque non ancora adulto. Come detto sopra, vedo questa fic come un'iperbole che, se non lo sapeste, è una figura retorica che consiste nell'esagerazione. Più specificatamente, ho voluto rendere Ruki e Reita una sorta di amebe, dal punto di vista emozionale, esagerando al contrario di quello che normalmente viene fatto da noi ficwriter. E poi, dato che siamo sotto Natale, volevo regalare a Ruki l'emozione di essere il seme di Reita, per una maledetta volta. LOL.

Ma, ancora più importante, devo dire a quella gioia di figlia di guren: buon compleanno  
Spero con tutto il cuore che ti sia piaciuta ;*

So... read ya!

_badspider.
   
 
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