Prima di lasciarvi alla lettura di questa shot, ho una richiesta da farvi. Decontestualizzate Reita e Ruki, per favore. Ci sono alcuni dettagli che stonano col fatto che sono giapponesi etc. Per il resto, vi auguro una buona lettura.
Quella
mattina mi svegliai che, credo, fossero circa le otto
del mattino. Era aprile, in quel periodo anche svegliarmi presto poteva
risultare davvero piacevole, oserei dire rilassante,
anche se il motivo mi sfugge tuttora. Rimasi comodamente
sdraiato a letto, a
fissare il soffitto senza realmente vederlo. Era di un colore
indefinito, cosa
che solitamente odio, ma in quel caso mi piaceva. Questo esclusivamente
perché
mi piaceva la stanza, a dirla tutta.
Ryo, a differenza di - suppongo - tutti
gli adolescenti, non aveva evidentemente attraversato quel
periodo di passaggio durante il quale i ragazzi vogliono cambiare
l'arredamento della propria stanza, sbarazzarsi dei ricordi e delle
prove della
propria imbarazzante infanzia, e
crearsi un mondo tutto loro nel quale masturbarsi in santa pace (se nel
senso
letterale o figurale non ha importanza, lo lascio scegliere a voi).
Ho sempre avuto il sospetto che, in realtà, ancora si
divertisse a giocare con i soldatini e che, in mia assenza, dormisse
abbracciato
all'orsacchiotto di peluches e puttanate varie, cosa che lui ha,
ovviamente,
sempre negato, ma non è che mi sia mai interessato
più di tanto. Più che altro,
per me, è sempre stato un gran divertimento metterlo in
imbarazzo, indifferente
in quale contesto ci trovassimo. Non prendetemi per uno stronzo, dico
solo le
cose come stanno. E poi, lo ammetterò tanto
perché sono in vena di sproloqui,
trovavo fosse dannatamente dolce quando arrossiva e ce la metteva tutta
per
assumere un'espressione imbronciata ma, purtroppo per lui, falliva
miseramente.
Faceva scaturire in me una sorta di sentimento, più che
altro una sensazione, che davvero
odiavo e mi dava
i brividi per lo schifo, ma dato che era lui facevo finta di niente e
tacevo.
Tanto non è che mi costasse molta fatica, se proprio ci
tenete che lo ammetta.
Scusate, stavo dicendo? Ho la maledetta abitudine di
perdermi, quando parlo. Mi è sempre successo, tanto che
potrei definire praticamente
tutte le mie conoscenze delle
persone
impazienti, basandomi ovviamente sui
soli momenti in cui le ho viste (o, farei meglio a dire, intrattenute).
Non che mi piaccia parlare, eh, sono un tipo parecchio
silenzioso, io. Se proprio volete saperlo, è che una persona
mi deve ispirare, altrimenti
è inutile. Dico,
perché sprecare fiato con una persona che non pensi sarebbe
in grado di seguire
un tuo discorso?
Ma, comunque, il guaio è che quando inizio tendo a non
fermarmi più. Monopolizzo letteralmente l'attenzione, mi
piace che i riflettori
siano puntati su di me, okay. Invado la scena ed impedisco a chiunque
altro di
inserircisi, se proprio ci tenete che lo dica. Non ho problemi ad
ammetterlo.
Fatto sta che, come stavo dicendo, mi piaceva la stanza di
Ryo, nonostante fosse arredata secondo i gusti di una madre
evidentemente
cresciuta negli anni sessanta e, altrettanto evidentemente, segnata a
vita
dall'atterraggio dell'Apollo 11 sulla Luna. Forse, pensandoci,
ciò che
veramente mi piaceva era l'atteggiamento di Ryo nei confronti di
quell'arredamento puerile. Sì, credo fosse questo. Non
sembrava esserne turbato,
per niente. Ad esempio, quando
sistemava le ultime cose prima di uscire insieme, ne spostava gli
oggetti da una
parte all'altra come se tutto ciò che lo circondava non lo
riguardasse affatto.
Semplicemente, non gliene fregava un cazzo. Devo dire che, in effetti,
c'erano
dei motivi più che validi, se fu il mio ragazzo
così a lungo. Ah, forse ho
omesso di dire che io e Ryo stavamo insieme ma, be', ora che lo sapete
non
avete di che lamentarvi.
In ogni caso, me ne stavo sdraiato su quel fottuto letto ad
una piazza e mezza, mentre lui dormiva come un angioletto alla mia
sinistra. Ad
un certo punto ricordo che mi voltai a guardarlo. Aveva la faccia
così
pesantemente premuta sul cuscino
che
la guancia un po' paffuta dava l'impressione dell'imbottitura che
fuoriesce da
un sandwich quando si comprimono troppo le fette di pane. Era
così buffo che mi
fece tenerezza, il bastardo. Ricordo anche che pensai che gli faceva
bene
scopare, perché in quei casi assumeva espressioni meno
imbarazzanti, durante il
sonno. Sì, mi piaceva osservarlo mentre dormiva. Mi mandava
letteralmente in
sollucchero, se proprio volete saperlo. E, dopo una scopata delle
nostre,
dormiva come una persona civile, non come una scimmia malamente
aggrappata ad
un albero sbilenco. Comunque l'occhiata che gli lanciai fu davvero
breve,
quella mattina non mi andava di stare a fissarlo, non chiedetemi il
perché.
Se, nel momento in cui guardai Ryo, avessi spostato di poco
lo sguardo, avrei visto la finestra con le persiane abbassate,
attraverso le
quali, però, entrava un po' di luce solare. Non era male
quell'atmosfera, devo
dire. Dovete tener da conto che io odio la primavera e tutte quelle
cose lì.
Non capisco cosa ci sia di bello nei fiori o di piacevole nel canto dei
fringuelli, se proprio ci tenete che
lo
dica. Anzi, li trovo irritanti.
Cristo, devi per forza sgolarti all'alba perché sei felice o
perché è da più di
una stagione che non scopi? 'Fanculo, ecco cosa. Per non parlare dei
fiori,
utili solo a portare allergìe, insetti, e via discorrendo.
Preferisco
l'inverno, chiamatemi frigido se vi va, non mi importa poi molto.
Però, quella
mattina ero di buon umore. No, per essere preciso non
ero di cattivo umore, il che non implica necessariamente che
ne
fossi di uno buono. Ma, come mi sembra d'aver già detto, mi
sentivo tranquillo.
In pace col mondo, come. Non so, era una sensazione strana,
se proprio devo definirla in qualche modo. Nella mia mente
immaginai, ad un certo punto, di essere il protagonista di un film, di
quelle
solite puttanate americane viste e straviste. Avevo le braccia piegate
dietro
alla nuca, se avessi spostato il gomito destro avrei scoperto la troupe
e tutta
quella gente lì. Sentivo anche la musica, nella mia testa.
Era una canzoncina
scadente, semplice e mai sentita prima, allegra. Un po' country. Mi
ritrovai a
sorridere come un imbecille, Dio mi perdoni. Ridacchiai lievemente di
me
stesso, dandomi del coglione, passando nuovamente a far girare gli
occhi per la
stanza, senza che avessero un luogo preciso come punto d'arresto. Mi
resi
conto, però, che quella giornata era un nuovo inizio
o, almeno, questo era quello che mi aspettavo sarebbe stata.
Solo, ancora non sapevo che le mie aspettative non sarebbero state
deluse, né
potevo immaginare, quindi, in che modo queste sarebbero state
realizzate.
Scommetto che crepate dalla voglia di scoprirlo, che gaudio!,
ma portate pazienza, ci sto arrivando.
Dopo aver accantonato quell'assurdità del film mi sembrava
d'avere la mente vuota. Sul momento, non pensare a niente, era
fantastico, sul
serio. Fatto sta che, ad un certo punto, mi ritrovai a riflettere sulla
mia
relazione con Ryo. Non so come, di preciso, per cui accontentatevi di
questo,
ora. Pensai che era buffo, in un certo qual modo, che io e lui fossimo
resistiti così a lungo. Oggettivamente, siamo due
personalità totalmente
opposte. E, non ho alcuna intenzione di negarlo, io sono una testa di
cazzo
bella e buona. Di solito la gente si stufa di me, mi evita. Non che mi
dia
fastidio, figuriamoci. Non mi piacciono le persone, puzzano. Non
intendo
necessariamente nel senso letterale del termine, se ve lo state
chiedendo. Ryo,
comunque, no, ha sempre avuto un buon odore, per quanto ricordo.
C'è stata una
volta, poi, in cui ci stavamo abbracciando. Mi è rimasta
impressa in mente più
che altro per il sesso sfrenato tra le lenzuola con Kaarot* e compagnia
bella
in versione chibi, se proprio ci tenete a saperlo. Capirete che ero un
po'
scettico e decisamente a disagio all'idea di farlo in quelle condizioni, ma non ci fu verso di farle
cambiare a Ryo, così dovetti farmene una ragione. Tuttavia,
mi dovetti pure
ricredere, e fidatevi se vi dico che scopare tra le sette sfere del
drago può
essere un'avventura entusiasmante. Niente ironia, sono serio.
In ogni caso, quella volta, nonostante l'avessi fatto
davvero penare, nonostante avessimo
sudato all'inverosimile, lui odorava di buono. È assurdo, lo
so bene, tanto
che, se ci penso, nemmeno io riesco ancora a spiegarmi come diavolo
fosse
possibile. Però fu davvero così, non sto
mentendo.
Un suo sospiro più profondo fece sì che portassi
un'altra
volta il mio sguardo su di lui. Credetti che si fosse svegliato, cosa
che mi
avrebbe deluso. Non volevo che quel
momento di intimità con me stesso fosse rovinato da nessuno.
Ma,
fortunatamente, Ryo continuò a dormire indisturbato,
così io potei proseguire a
perdermi tra le mie futili riflessioni sconclusionate. Prima che
potessi
riportare i miei occhi sull'areoplanino che pendeva dal soffitto,
qualcosa mi
attraversò il cuore, fulmineo. Precisamente, si trattava di
quella stessa
fottuta sensazione che avevo avuto anche poco prima. Mi fece tenerezza,
ancora.
Questa volta, però, realizzai che era stupido che mi
ostinassi a recitare la parte dello stronzo pure con lui. Gli volevo
bene e non
ero in grado di dimostrarlo, quindi, davvero, non aveva senso. Potevo
anche
lasciarmi andare, ogni tanto, e dimostrargli il mio affetto. Tanto, per
come mi
riusciva, il risultato era pressappoco lo stesso. Ma non era questo il
problema, in caso lo stiate pensando. Il nocciolo della questione
è che non lo
amavo più. Ormai stavo con lui più per abitudine,
che per altro.
Rimasi a letto ancora un po', non c'era fretta di andarsene.
Stavo quasi per dire “né
un motivo”,
ma quello in realtà c'era, se proprio lo volete sapere.
Avevo deciso di
mollarlo, quindi non era il caso che rimanessi lì ancora a
lungo, ma qualche
minuto non avrebbe ucciso nessuno, forse. Non uccise nessuno, quella
volta, se
ve lo state domandando.
Iniziai a vestirmi quasi con pigrizia ma, in verità, non
avevo alcuna fretta di andarmene, ve l'ho già detto.
Così, mentre sedevo a
bordo del letto ed ero intento ad allacciarmi le spighette delle
scarpe, sentii
la voce del mio ragazzo, impastata di sonno, chiamarmi.
«Taka...»
«Mh?», fu la mia, forse troppo disinteressata,
risposta. «Te
ne stai andando?»
«Sì...», dissi in tutta
tranquillità. Avvertii qualche
spostamento alle mie spalle, evidentemente si stava rigirando tra le
coperte
alla ricerca del cellulare o vattelapesca per vedere che ora era.
«Ma che ora
è?», mi domandò, infatti, subito dopo.
«Boh...», alzai le spalle.
«C'è qualcosa che non va?»
«No, nulla...»
Mi alzai in piedi e mi girai su me stesso, in modo che
potesse vedermi in faccia, in caso ne avesse avuto voglia. Cercai con
lo
sguardo la mia felpa, era finita sul pavimento, ai piedi del letto.
Andai a
prenderla e, dopo averla scossa un po', la indossai. Ryo mi osservava,
ma non
saprei dire cosa gli passò per la testa in quegli istanti.
Sembrava davanti a
lui ci fosse un fottutissimo schermo. Io non ero il suo ragazzo che
stava
prendendo e andandosene, no, ero un merdosissimo film che ti lascia
vuoto e
inespressivo. «Mi avresti svegliato per salutarmi? O lasciato
un biglietto o
che so io...»
«Mh? No.», mi venne da ridere a intendere quella sua
frase.
Perché mai avrei dovuto lasciargli un biglietto? Ammetto,
okay, ammetto di essere
un po' vigliacco, a volte, ma in quell'occasione non avrei di certo
rotto per
mezzo di uno stupidissimo biglietto, e che cazzo. Per chi mi aveva
preso?
«Ah...», disse allora, un po' confuso. «Mi
avresti chiamato
quando avresti visto che non c'ero, no?»
«Be', sì. Ma che ti prende, Taka?»
«T'ho detto, non mi prende nulla. Me ne vado e basta, voglio
andare a casa.»
«Ah, va bene. Ci sentiamo poi?»
Con i palmi delle mani aperti, battei qualche colpetto prima
sulle tasche della felpa e poi su quelle dei jeans, per assicurarmi di
non
dimenticare le chiavi di casa. Non avevo voglia di star a sentire le
urla di
mio padre, si infastidiva quando non le usavo e suonavo il campanello.
Si
incazzava come una mina, quel povero bastardo. A volte era divertente
vederlo
diventare paonazzo per lo sforzo del gridare, ma quella mattina non ero
in
vena.
Ryo aspettava pazientemente che gli rispondessi, non
sembrava infastidito da quel mio procrastinare la risposta. Forse,
ancora non
aveva intuito la mia intenzione, non so dirvi e, sinceramente, non
m'interessa
poi molto. Non pensate, per favore non
fatelo, che avessi paura, che le parole mi morissero in gola
ogni qual
volta provavo a vocalizzarle o quelle stronzate lì. Non fu
affatto così, se
proprio devo specificarlo.
Non ero dell'umore, tutto qui. In quel preciso istante non
mi andava di parlare, e poi quella era l'ultima cosa che avrei dovuto
dire
prima di lasciare la stanza definitivamente.
Consapevole dello sguardo che Ryo non mi aveva per un attimo
levato di dosso, diedi un'ultima occhiata alla camera, ignorando
totalmente la
presenza del proprietario che, comodamente agiato sul suo letto, era
ancora in
attesa di quella fottuta risposta. Ora come ora, un po' mi dispiace di
averlo
tenuto tanto sulle spine, se proprio ci tenete che lo dica.
«Mh... nnno.»
nel
pronunciarlo i miei occhi continuarono a vagare a destra e manca,
trovando un
interessante punto di arrivo nell'aereoplanino appeso al soffitto,
quello a cui
ho accennato prima. Avrei voluto chiedergli se me lo regalava, se
proprio
volete saperlo. Mi sarebbe piaciuto tenerlo, come ricordo o non so.
«Ah», ripeté per la terza volta,
facendomi domandare se
avesse dimenticato tutto il resto del lessico che in quei diciotto anni
di vita
aveva imparato, o cosa. «E...», tentò di
dire qualcosa, ma evidentemente non gli
riuscì perché dovetti proseguire io col discorso.
«È meglio non sentirci per un
po', in effetti.»
Lui, ancora, non disse niente. Facendo finta di star ancora
guardandomi intorno, gli lanciai una fugace occhiata di traverso, per
vedere
che espressione avesse assunto, sempre ammesso che ne avesse assunta
una,
chiaramente. Era confuso, in caso ve lo stiate chiedendo.
«Quindi è finita?»
«Sì, qualcosa del genere...», restai
vago, non saprei dire il
perché. Avevo preso a dondolare sul posto -con i pugni
serrati nelle tasche
della felpa-, è una cosa che ogni tanto mi diverte fare.
Volevo attendere un
po' prima di sloggiare, in caso avesse voluto piangere, insultarmi o
chessoìo,
anche se speravo non l'avrebbe fatto, soprattutto la prima. Per fortuna
non
disse niente, a parte un «Okay.» inespressivo che non
ricordo se mi fece un
qualunque effetto o meno, ma non è importante.
«Be', ciao, Ryo.», salutai arricciando gli angoli
delle
labbra in maniera buffa e inarcando un po' le sopracciglia. Forse, di
quel
saluto, è più importante il fatto che finalmente
lo degnai di attenzione, quel
povero Cristo, che non la mia faccia da cazzi. Ad ogni modo, alla fine
uscii
dalla stanza, chiudendo la porta alle mie spalle senza far rumore.
Scesi le scale
il più silenziosamente possibile, in caso i suoi stessero
ancora dormendo ma,
se anche fossero stati già svegli, non mi andava di
salutarli, a dirla tutta.
Sarebbe stato strano. Già così mi sembrava tutto
strano, sarebbe stato anche
peggio. Era la consapevolezza che quella era probabilmente l'ultima
volta che
mettevo piede in quella casa, se proprio lo volete sapere. Le altre
volte era
un'azione equivalente all'andare a pisciare al cesso di casa mia, per
dire. Era
diventato un'abitudine, ecco.
Mentre camminavo per strada con andatura scanzonata, fui
assalito da un'altra sensazione.
Tipo
uno strano peso al petto, ecco. Erano sensi di colpa, credo, o qualche
puttanata simile, così presi a dirmi che mica lo potevo
sapere che non sarebbe
stato per sempre. Avevo diciassette fottutissimi anni, dopotutto. Che
ne sapevo
io che la mia prima cotta - o quel che è stata - non sarebbe
anche stata
l'ultima. Lo pensavo, anzi, ne ero proprio convinto, mica sto dicendo
il
contrario. È un grosso problema, questo. I teenager credono
di sapere sempre
tutto, ma non sanno proprio un cazzo, se è necessario che lo
dica.
Non lo so, improvvisamente mi sembrava che mancasse la
logica, a quella faccenda. Chissà poi perché
iniziai a preoccuparmene, così,
tutt'a un tratto. Alla fine ragionai che non ci doveva per forza essere
un
senso, in quella storia.
Avevo
diciassette fottutissimi anni, dopotutto.
*nome originale di Goku (Dragon Ball), se non l'aveste capito/sapeste.
DE's:
Porca vacca, credo che mi toccherà fare delle note lunghe, questa volta.
Inizio dicendo che spero che almeno alcune di voi coglieranno il significato di questa shot. Mi piace pensarla come un'iperbole vagamente sarcastica o, almeno, questo era il mio intento.
Personalmente, mi piace molto. Ammetto di aver sfruttato quest'occasione per buttare fuori parecchia della mia recente frustrazione accumulata che, nelle ultime settimane, sta sfociando con dosi massicce di egoismo e stronzaggine (non che mi secchi troppo, dato che questa è la mia vera natura, ma non fa bene ai miei nervi); mi ci voleva proprio.
Chiaramente non è perfetta, e credo di aver scritto delle fic molto più accurate dal punto di vista del lessico, soprattutto, ma le numerose ripetizioni sono più che volute per accentuare quel senso di racconto narrato in prima persona da un Ruki quasi apatico, oserei dire, e adolescente, o comunque non ancora adulto. Come detto sopra, vedo questa fic come un'iperbole che, se non lo sapeste, è una figura retorica che consiste nell'esagerazione. Più specificatamente, ho voluto rendere Ruki e Reita una sorta di amebe, dal punto di vista emozionale, esagerando al contrario di quello che normalmente viene fatto da noi ficwriter. E poi, dato che siamo sotto Natale, volevo regalare a Ruki l'emozione di essere il seme di Reita, per una maledetta volta. LOL.
Ma, ancora più importante, devo dire a quella gioia di figlia di guren: buon compleanno ♥
Spero con tutto il cuore che ti sia piaciuta ;*
So... read ya!