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Autore: Hyperviolet Pixie    13/08/2006    5 recensioni
Judith, una sedicenne con un odio piuttosto morboso verso i suoi coetanei, si ritrova a dover passare le vacanze in compagnia della madre in un villaggio turistico. Verrà iscritta al “Fun Club” una specie di ritrovo per tutti gli adolescenti dell’albergo e sarà costretta ad andarci. Non è che la vicinanza di un gruppo di ragazzi piuttosto carini e di ragazze fuori di testa le farà cambiare idea?
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Hotel California

Rating: pg13

Genere: commedia, romantico, generale

Trama: Judith, una sedicenne con un odio piuttosto morboso verso i suoi coetanei, si ritrova a dover passare le vacanze in compagnia della madre in un villaggio turistico. Verrà iscritta al “Fun Club” una specie di ritrovo per tutti gli adolescenti dell’albergo e sarà costretta ad andarci. Non è che la vicinanza di un gruppo di ragazzi piuttosto carini e di ragazze fuori di testa le farà cambiare idea?

Note: In questa storia sono contenute molte opinioni strettamente personali della protagonista che in alcuni casi non rispecchiano affatto le mie idee. Vi prego di non giudicarmi dal contenuto del racconto. Questa storia è nata partendo da una mia vacanza e qualsiasi riferimento a persone realmente esistenti è puramente casuale.

Chapter 1: Hotel California

Judith aspirò l’ultima boccata di fumo prima di buttare a terra la sigaretta consumata e di schiacciarla con l’anfibio. Lentamente espirò una nuvoletta di fumo grigio che andò a disturbare la sua vicina di posto che agitò le mani per allontanarlo inutilmente. Judith odiava aspettare, ma dopotutto era costretta a farlo. Una leggera brezza le spirò tra i capelli scompigliandoglieli. Infastidita, si ricacciò malamente in testa il suo cappellino preferito. Sua madre le si avvicinò trascinando stancamente due grandi valigie. La ragazza ne afferrò una e se ne andò dicendole: - Sappi solo che non lo sto facendo per te. -

Dopodichè caricarono le valigie sul pullman che le avrebbe condotte al villaggio in cui avrebbero passato le loro prossime tre settimane di vacanza.

Judith Evans aveva appena “festeggiato” il suo sedicesimo compleanno, il nono a cui suo padre non partecipava. I suoi genitori si erano separati quando lei era ancora una bimba e per quella decisione non serbava rancore per nessuno dei due, ma odiava sua madre perché aveva permesso che John, il padre, si risposasse con Rebecca Jay Hammer, una ragazza di ventiquattro anni, che aveva subito messo in chiaro una cosa con il padre di Judith: nessun rapporto con l’ex e con la figlia. Judith non lo aveva perdonato, quando l’anno prima era tornato a casa con il cuore in mano e tremendamente dispiaciuto per quello che aveva fatto e nemmeno la madre di Judith, Mary Lou, era stata capace di tanto.

Quando Judith salì sul pullman un forte chiacchiericcio la avvolse. Guardò verso gli ultimi posti individuando una allegra e chiassosa comitiva di adolescenti, probabilmente alcuni sedicenni come lei, che si stava preparando alla vacanza.

Che abbia inizio l’incubo, pensò Judith disperata sedendosi il più lontano possibile dalla comitiva.

Era appena passata l’una di notte quando il pullman arrivò nel grande piazzale d’ingresso del villaggio dove avrebbe trascorso la più penosa vacanza della sua vita. Scese dall’autobus per prima e aspettò che la madre, le altre persone e il conducente scendessero. Scaricò i bagagli e si diresse nella hall dell’albergo. L’hotel era grande e molto luminoso. Il soffitto della hall era interamente ricoperto di legno e i pavimenti da piastrelle di marmo chiaro. Judith si avvicinò al banco della reception per il check-in seguita dalla madre che chiacchierava allegramente con una tizia appena conosciuta. Nella fila, dietro di loro, c’era la comitiva “Adolescenti in vacanza”.

- Ciao! - la salutò il figlio della signora con cui Mary Lou stava parlando, - anche tu in vacanza qui? - chiese.

- Evidentemente. - rispose seccamente lei senza guardarlo. Odiava rivolgere la parola a quelli che non conosceva. Il ragazzo le lanciò un’occhiata offesa, ma continuò imperterrito a parlarle.

- Come ti chiami? -

Judith estremamente infastidita si girò a guardarlo. Il ragazzo la superava in altezza di parecchi centimetri, le spalle larghe e muscolose lasciavano intuire che era un tipo piuttosto atletico. Alzò lo sguardo per cercare di fissarlo dritto negli occhi chiari.

- Mi chiamo Pattie Labelle - esclamò con un sorrisino. Sua madre, appena arrivata, le lanciò un’occhiataccia e la rimproverò: - Non dire balle, Judith, sii educata. -

- Judith? - le chiese il ragazzo.

- Sì. Problemi? -

- Affatto. Io sono Matthew. Piacere di conoscerti. -

- Il piacere è tutto tuo. - rispose Judith guadagnandosi un’altra occhiata di rimprovero dalla madre.

- Domani tu fili al “Fun Club” con loro. - esclamò Mary Lou indicando con lo sguardo Matthew e il suo gruppo di amici, - magari poi diventi più socievole ed educata, chiaro?-

Judith si lasciò scappare un ghigno sarcastico e rispose: - E tu ti aspetti che io faccio ciò che mi ordini? -

- Sì, altrimenti ti butto i tuoi cd, quella schifezza che adori chiamare musica ma che in realtà non lo è! - Judith sapeva che sua mamma sarebbe stata in grado di buttarle i suoi cd e allora decise di assecondarla. Dopo attimi di tensione in cui Judith e la madre si fissarono in cagnesco, finalmente arrivò il loro turno per il check-in. Dopo aver sbrigato tutte le faccende, vennero loro consegnate le chiavi della stanza.

Le due erano passate da un bel pezzo quando Judith e Mary Lou arrivarono in camera. La stanza era molto bella, dai toni chiari. Judith osservò intensamente l’armadio e sghignazzò: altro che camera fantastica, l’armadio era fatto di compensato abilmente decorato. Si sedette sul letto matrimoniale che avrebbe dovuto condividere con la madre e scelse la parte che più le garbava, la sinistra, quella di fronte al televisore e affianco al telefono. Fece un paio di saltelli per verificare la durezza del materasso, ma non trovò niente da ridire. Si alzò e si spogliò abbandonando i vestiti su una poltrona vicina alla portafinestra che dava sul parco dal villaggio, giusto a pochi passi dal campo di beach-volley. Ci avrebbe pensato il giorno dopo a mettere a posto, perché adesso voleva solo dormire e cancellare ogni ricordo del viaggio in aereo, del villaggio, della comitiva di adolescenti e della sua prossima iscrizione al “Fun Club” quella specie di club che riuniva tutti gli adolescenti del villaggio. Prima di addormentarsi cominciò a ripetersi quella sua specie di mantra che ormai conosceva meglio delle preghiere che sua madre le aveva inculcato a forza nella mente: domani sarà un giorno migliore, vedrai!

Beh, senz’altro peggio di così non poteva andare.

Un raggio di luce entrò dalle tende lasciate aperte la sera prima andando ad illuminare i lunghi capelli neri della ragazza dormiente. Judith cominciò a mugugnare infastidita cercando di coprirsi il volto con il cuscino.

- Ben svegliata! - esclamò felice Mary Lou sorridendo alla figlia. Judith ancora intontita dal sonno prese il cuscino e lo scaraventò verso la madre cercando di colpirla, ma, sfortunatamente per lei e fortunatamente per la madre, la mancò di parecchi centimetri. Si alzò lentamente e si trascinò fino al bagno per potersi lavare. Dopo un po’ uscì dal bagno quasi completamente sveglia e passò in rassegna le varie scuse che poteva utilizzare per non andare al “Fun Club”.

Mestruazioni? Troppo scontato e poi le aveva appena avute.

Mal di pancia? Mal di testa? Sì, poi, in questo modo, sua madre l’avrebbe riempita di pastiglie che l’avrebbero fatta star male davvero.

Crampo? Sì, sua mamma era pure una fisioterapista.

Compiti? Non li aveva mai fatti in tutta la sua vita, perché avrebbe dovuto cominciarli ora?

Sonno? Sua madre l’avrebbe mandata lo stesso.

Okay, aveva finito le scuse, ora doveva solo rassegnarsi all’idea di trascorrere le prossime ore con un gruppo di adolescenti con gli ormoni a palla che non faceva altro che pensare a griffe, ragazzi, trucchi, et similia. Che palle!

Judith era assolutamente sicura di essere l’unica ragazza sulla Terra ad essere immune a quel periodo tanto temuto dai genitori di tutto il globo: l’adolescenza. Questa sua convinzione le faceva credere di essere superiore agli altri ragazzi della sua età e di dover, in qualche modo, evitarli. Gli unici amici che aveva erano molto più grandi di lei.

Senza badare molto al suo aspetto esteriore che era totalmente disastrato, Judith uscì da camera sua con la madre, che tentava inutilmente di appiattirle i capelli, dirette a fare colazione. Presero l’ascensore del piano e si lasciarono condurre verso il basso, il tutto senza scambiarsi una parola. La colazione nella sala da pranzo dell’hotel si svolse nel più completo silenzio interrotto soltanto da qualche sbuffo di Judith che litigava con le crepes e con la Nutella. Infine, la madre, stanca di quel silenzio carico di tensione, tentò di fare conversazione.

- Uhm, ti piace? -

Judith alzò lo sguardo infastidita e senza smettere di litigare con la Nutella le rispose: - Cosa? Le crepes o il villaggio? -

- Credevo fosse ovvio a cosa mi riferivo: al villaggio, naturalmente! -

- Non mi piacciono tanto i mobili in compensato, ma il resto è passabile. -

- Sono di compensato? - chiese con un sorrisino. Lei non aveva molto occhio per quei dettagli insignificanti che a sua figlia davano fastidio.

- Sì, però sono abilmente decorati, quasi nessuno se ne accorgerebbe - disse con una punta di orgoglio nella voce ancora incrinata dagli ultimi sprazzi di sonno. Erano le otto e mezzo e lei non era abituata a svegliarsi a quell’ora.

- Senti, mi sono informata. -

- A proposito di cosa? -

- Del “Fun Club”! Oggi alle 9 dovrai andare all’anfiteatro all’aperto. Oggi ci sono le presentazioni e io vorrei che tu facessi amicizia con ragazzi della tua età. -

- Ma io non voglio - replicò Judith

- Ma perché no? Sono dei ragazzi così simpatici quelli di ieri sera! -

- Infantili, puerili,- cominciò con una nota d’irritazione nella voce - adolescenti - disse quasi con disgusto.

- E allora? Anche tu lo sei, ma non vuoi ammetterlo! -

- Mamma, - iniziò Judith seria - abbiamo affrontato questo argomento fin troppe volte, chiudiamo questo capitolo? Andrò a quel club, scontato, ma non puoi obbligarmi a fare amicizia con persone che mi stanno antipatiche e che non sopporto avere intorno! -

- Tesoro, questi sono i pregiudizi che tu odi tanto! Non giudicare una persone prima di averla conosciuta, lo ripeti sempre! E adesso? Cosa stai facendo? Sbaglio o stai andando contro le tue convinzioni? -

Judith la fissò trattenendo a stento l’ira che la divorava. Attese in silenzio che la madre continuasse a ripetere cose fin troppo vere per i suoi gusti.

- Non parli perché sai che ho ragione io? -

- No, non parlo perché ho smesso di ascoltarti già da tanto. -

Judith sapeva di aver appena mentito alla madre, ma non se ne curò. Non se ne curava più da tanto tempo ormai.

Mary Lou rinunciò a far capire alla figlia le sue ragioni e continuò a sorseggiare il suo cappuccino, mentre Judith smetteva di litigare con le crepes, ormai fredde, per dedicarsi a qualcosa di più proficuo come una tazza di cioccolato fumante.

Il cioccolato, com’è risaputo, è il miglior consolatore del mondo e Judith aveva bisogno di una dose eccessiva di carica per affrontare la mattinata.

Dopo aver finito la cioccolata si alzò e si diresse verso il parco e incrociò il gruppo di ragazzi della sera prima che andavano a far colazione rumoreggiando e scalpitando come una mandria di bufali.

Bah, adolescenti. Semplicemente adolescenti.

Il sole splendeva alto nel cielo quando Judith cominciò a capire che forse vestirsi di nero, in una giornata come quella, era un po’ da cretini. Camminò lentamente, trascinando i piedi versi il patibolo: l’anfiteatro dove avrebbe dovuto fare conoscenza con una miriade di adolescenti con gli ormoni a palla. Stremata ed accalorata si tolse il cappellino e cominciò ad usarlo per farsi aria. Dopo aver camminato un’eternità, o almeno così le pareva, giunse all’anfiteatro apparentemente deserto. C’erano solo poche persone sedute sugli scalini in attesa degli animatori e degli altri ragazzi. Judith si sedette il più lontano possibile da quelle persone. Li degnò solo di un’occhiata veloce e tra loro riconobbe il ragazzo del giorno prima, quel Matthew, il ragazzo con gli occhi chiari e i capelli castani che aveva cercato di fare conoscenza con lei. Adesso, come Judith aveva intuito, era piuttosto impegnato in una sorta di adulazione verso una ragazza biondissima, magrissima, bellissima, che assomigliava ad una Barbie in tutto e per tutto. Il genere di ragazze che Judith detestava dal profondo. Delle stupide oche che credevano di essere interessanti solo perché erano pressoché uguali a Paris Hilton o a Mariah Carey. Beh, almeno quest’ultima aveva una voce gradevole, mica come quell’altra ochetta che gracchiava “Stars are blind” credendo di poter piacere per qualcos‘altro che non fosse il suo corpo.

Judith aspettò in silenzio l’arrivo degli altri. Nel frattempo, Matthew sembrava aver dimenticato ogni desiderio di conquista verso la ragazza bionda e aveva focalizzato l’attenzione su un angolo terribilmente vicino al punto in cui lei si trovava. Judith rimase paralizzata mentre lui la raggiungeva e le si sedeva accanto.

- Non hai neanche un po’ di caldo? - le chiese guardando i suoi vestiti

- No, neanche un po’ - rispose

- Sei sicura? -

- Sì, non scocciare. -

- Non credo che la mia compagnia ti faccia così schifo. -

- Ah sì? E cosa te lo fa pensare? - gli chiese con aria di sfida

- Beh, prima mi guardavi piuttosto intensamente -

- Era per la biondina. -

- Chi? Beth? -

- Se si chiama così … -

- Sì e … -

- E? -

- Stavi guardando me -

Judith decise di non rispondere: quel ragazzo la esasperava e lei non voleva avere niente a che fare con lui e con i suoi amici. Alzò un sopraciglio e si girò verso il palco dell’anfiteatro e si stupì di come rapidamente il posto brulicasse di adolescenti chiassosi.

Adolescenti. Semplicemente adolescenti.

Senza neanche accorgersene, Judith, aveva cominciato a battere ritmicamente il piede sul gradino a causa dell’impazienza e della voglia di tornare sotto l’ombrellone in compagnia dell’ultimo libro di Anne Rice, Il Vampiro Marius. Il suo personaggio preferito era senza dubbio Lestat, un vampiro di cui apprezzava i modi, il suo volere tutto e subito, il sarcasmo, l’aspetto esteriore (ah, non riusciva ancora a dimenticare la perfetta interpretazione di Tom Cruise nel primo film “Intervista col Vampiro”. Roba da eccesso di salivazione, si ripeteva), ma anche il suo eccessivo uso della parola “amore”. Judith era sempre stata affascinata da tutto quello che possedeva un fascino misterioso e un po’ gotico. Aveva una passione morbosa per i vampiri e ormai, certe volte, si trovava a chiedere a se stessa come sarebbe stato essere Lestat per una sola notte. Perfetto, si rispondeva.

Inferno, ecco dove mi trovo. Ecco la prova che tanto stavo cercando: Dio esiste e questo è l’Inferno.

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Ecco qua finito il primo capitolo. Recensioni?

Allora, cominciamo a spiegare un pochetto le origini della storia per chi fosse ancora in ascolto. Ho cominciato a scriverla in vacanza in un “Bravo Club” in Tunisia, un posto magnifico. Visto che soffro di una timidezza quasi cronica, non sono andata a questo “Fun Club” e allora mi è venuto in mente come una come me si possa trovare a passare un pomeriggio con loro. E così è nata Judith. E Matthew. E Elizabeth detta Beth. Poi piano piano spunteranno fuori altri personaggi, ognuno con una storia ben diversa. Questo capitolo è dedicato a Judith che sarà praticamente la protagonista principale. Come spero abbiate notato dalle ultime righe, Judith è atea, non crede in Dio, io sì (ma questo non c‘entra nulla^^’’’). Di solito non do mai molta importanza alla religione (o non religione, in questo caso) di una persona che invento, ma qui avrà una piccola rilevanza per l’ultimo capitolo (che non ho ancora scritto, ma che dovrebbe intitolarsi “The hope is dead”). Spero che qualche religioso fervente non mi metta al rogo per questa mia decisione ^^’’’’’. Come Judith, anch’io adoro i libri di Anne Rice (che consiglio vivamente) ed ho una passione per Tom Cruise *ç*. Ho pensato di inserire qualche dettaglio in più su di lei per farvela conoscere meglio! Il titolo è preso da una canzone degli Eagles!
Al prossimo capitolo!

   
 
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