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Autore: artemide88    28/12/2011    4 recensioni
Questa one shot partecipa all'iniziativa "uniti contro l'omofobia" indetta dal gruppo Fiumi di Parole. Riprende le avventure di Erik e Andrew, personaggi di "Io, a Beverly Hills" ma si può leggere anche senza conoscerla. è la storia di come si sono conosciuti e di come hanno iniziato ad amarsi. buona lettura
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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erik e andrew Ciao a tutti.
Questa OS partecipa a una bella iniziativa contro l'omofobia.
I protagonisti sono due personaggi inventati, tratti da una mia long fic, Io, a Beverly Hills. Sono Erik e Andrew ed è un piacere tornare a scrivere di loro.
Volendo la OS si può leggere anche senza sapere nulla di loro due e di come sono nati o di che ruolo hanno nell'altra storia.
Meritano di essere letti, semplicemente per come sono, due ragazzi che si amano.
Buona lettura.






MISSING MOMENT
ERIK & ANDREW. OVVERO IL LORO PRIMO INCONTRO E LA NASCIATA DELLA LORO STORIA.

Erik stava armeggiando con i suoi vestiti e non si accorge della presenza alle sue spalle.
“che fai?” domandò il ragazzo.
“preparo le valigie.” Rispose semplicemente Erik, senza nessuna inflessione nella voce. Continuò il suo lavoro, senza voltarsi.
“il campo finisce tra due giorni, non ti sembra presto? Vieni dai, possiamo andare con le canoe sul lago o a fare una passeggiata sulla collina...”
“non ne ho voglia Ricky...”
Non voleva restare un minuto di più lì, in quel bungalow con l’amico...l’amico che nemmeno dodici ore prima aveva baciato.
Erano rimasti solo loro due vicino al falò che si stava spegnando in quella fredda sera d’estate.
Arrivato a quel campo estivo a cui lo avevano iscritto di forza i genitori, si era sentito fuori luogo e senza nessun motivo per rimanere. Non era proprio il posto che faceva per lui. Aveva trovato un amico e un motivo per rimanere in quel ragazzo alto e muscoloso che in quel momento era alle sue spalle. Erano si diventati amici ma le cose gli erano sfuggite di meno. Non aveva programmato nulla e di certo non si era programmato un bacio al chiaro di luna. Solo che era successo. Erik continuava a riviverlo nella sua mente e ogni volta che il film finiva si dava dello stupido...
Un attimo prima ridevano e scherzavano e progettavano un’escursione per il giorno dopo, poi era calato il silenzio, i loro visi si erano avvicinati ed era scattato un bacio, a fior di labbra che si era approfondito. Le lingue non trovavano pace nel cercarsi e nel rincorrersi.
Erik, ripresosi dal momento di estrema passione, si era tirato indietro di colpo e, alzatosi, era scappato via verso il suo dormitorio. Da allora aveva evitato Ricky, a colazione, al campetto di basket e anche al bagno. Non voleva e non sapeva accettare quello che era successo.
“ti vergogni così tanto?” lo provocò Ricky. “non sai accettare di aver baciato un ragazzo? Sai, capita di essere g...”
“non dirlo nemmeno!” Erik trovò l’altro comodamente seduto su un letto, le braccia incrociate e un sorriso beffardo in volto. Finalmente lo aveva fatto reagire. “a me piacciono le ragazze e il bacio è stato uno stupido errore. Chiudiamo qua la questione. Dopodomani torniamo tutti a casa e questo spiacevole incidente verrà dimenticato. Anzi, io l’ho già fatto.”
Uscì da bungalow senza più degnarlo di uno sguardo ma regalandogli una spallata gratuita. Ricky si massaggiò la parte lesa, convincendosi sempre di più che Erik fosse gay ma che fosse anche troppo spaventato e troppo vigliacco per ammetterlo a se stesso.
Eppure quando Erik prese l’aereo per tornare a Los Angeles, era tormentato perché sapeva che quel bacio significava qualcosa. Aveva già sentito durante quell’anno scolastico di essere sbagliato, di essere diverso dai suoi coetanei. Non provava la ben che minima attrazione fisica o emotiva verso le sue compagne di scuola, ma poteva passare ore a spiare i ragazzi della squadra di football, mascherando il suo interesse per i loro muscoli per sano e giusto tifo per la squadra della scuola.
Appoggiò stancamente la testa sul sedile, sospirando. Il dubbio di essere davvero omosessuale lo stava divorando e doveva trovare una soluzione...la certezza era sempre meglio dell’indeterminatezza.

La sera dopo il suo ritorno a casa, comunicò ai genitori che sarebbe uscito con alcuni amici per una serata in allegria prima della riapertura delle scuole. Sua madre non gli fece mancare la solita battuta su quando le avrebbe presentato la sua ragazza.
Erik uscì dalla porta sconfortato, quale dolore avrebbe dato ai suoi genitori se davvero era gay?
Si riscosse nell’aria frizzante di fine estate, per prima cosa avrebbe dovuto capire se davvero lo era, in seguito si sarebbe preoccupato dei problemi...degli altri problemi.
Guidò senza fretta e rispettando tutto il codice della strada, limiti di velocità compresi, come per posticipare il momento, fino a un locale alla periferia della grande Los Angeles. Era fuori mano e in una via buia, ci andava solo chi lo conosceva. Il passaparola aveva fatto miracoli per il Moma’s Club, facendolo diventare in breve tempo uno dei locali gay più famosi. Non aveva, però, perso la sua aria distintiva, restava sempre un locale in una via buia e alla periferia della città e il proprietario non si era montato la testa, stravolgendo l’essenza del Moma’s.
Erik scese della macchina con una calma apparente, tradita dal sorriso tirato e dalle mani sudate. Respirando a fondo oltrepassò la soglia della porta di metallo nero e si ritrovò in un piccolo ambiente, debolmente illuminato e con tanti tavolini attorno a un palco, dove un uomo vestito da star cantava una triste melodia d’amore.
“amore...davvero ci può essere amore anche per gente così?”
Si chiese il giovane mentre, lo sguardo fisso al cantante, si  sedeva al bancone.
“cosa ti do, tesoro?” chi aveva parlato era un uomo la cui voce contrastava con il suo aspetto. Alto e muscoloso, sembrava impossibile che possedesse quella vocetta così fine. Le labbra prominenti erano leggermente dipinte di rosso e un velo di matita contornava gli occhi. l’ombretto dorato riluceva sulla sua pelle scura, nonostante le luci soffuse.
“quest’uomo non mi piace. non sono gay, per fortuna.” Si ritrovò a pensare Erik. Tremava così tanto dentro di sé per la paura che i pensieri erano davvero sconclusionati, ma lui non parve accorgersene.
Dopo attimi di silenzio in cui l’uomo lo fissava interrogativo, Erik si riscosse e chiese dubbioso una coca cola.
“senti bellezza, diciamo che hai ventuno anni e che vuoi un Long Island bello forte, così almeno smetti di fartela sotto.” Senza attendere risposta, l’uomo iniziò a preparare il cocktail. Erik non ebbe nemmeno la forza di protestare.
“senti...” parlare in modo informale era meglio, decise.
C’è un modo giusto per chiedere certe cose, si chiese subito dopo.
Il barista portò la sua attenzione su quel ragazzino spaurito insieme a un bicchiere così freddo che le goccioline di acqua colavano all’esterno.
“io...ecco...”
“tesoro.” L’uomo di colore posò la sua grande mano su quella tremante di Erik. “non si viene qua se non si ha un’idea ben precisa.” Si volto e prese dallo scaffale una bottiglia di vodka. Con gesti misurati ed esperti prese anche un bicchierino e lo riempì di liquido trasparente. Lo buttò giù tutto d’un fiato. “se vuoi guai non sei nel posto giusto, tesoro. Io non voglio teppisti che credono che essere omosessuali sia una macchia. Tesoro, cambia aria se è così.” si sporse fino a guardare negli occhi il povero ragazzo intimorito. Quando il barista si rialzò, sembrava soddisfatto di quello che aveva visto e appoggiatosi al bancone alle sue spalle, si accese una sigaretta. “in caso contrario, e credo che il tuo sia il caso contrario, tesoro, quello che ti serve è laggiù.”
Erik si voltò per vedere quel laggiù.
Era un ragazzo assorto nella contemplazione del cantante, immerso nei suoi pensieri. I capelli ricci, sembravano biondi, ma Erik non poteva mettere la mano sul fuoco. Le luci glieli coloravano di rosa e verde, azzurro e giallo.
“lo chiamano lo Svezzatore...d’agnelli.” Il tono dell’uomo aveva un che di minaccioso ma Erik trovò il coraggio di chiedere il motivo di tale bizzarro soprannome. “è semplice tesoro.” Erik iniziava seriamente ad odiare la parola tesoro.
Il barista rise. “non essene spaventato. Ha iniziato ai piaceri gay tanti giovani spauriti come te...li ha, diciamo...indirizzati.” l’uomo gli fece segno di andare verso il ragazzo seduto al tavolino, ma prima che si fosse allontano troppo gli gridò di stare attento. Andrew non era un tipo che si lasciava andare facilmente ai sentimenti.
Moma, il proprietario del locale, era consapevole che Andrew amava svezzare i novellini e che loro spesso si innamoravano di lui. Ovviamente non corrisposti.
Il biondo, perché Andrew era biondo, non prometteva mai nulla ma tutti si aspettavano grandi cose dal loro rapporto. Forse perché per chi scopriva di essere gay, il proprio mentore era solo loro. E ogni volta, dopo che erano stati scaricati, arrivano al locale, facevano una scenata colossale che finiva inevitabilmente con Moma che li sbatteva fuori e l’agnellino di turno che sorrideva soddisfatto di aver rubato all’altro quel gran bel pezzo di ragazzo, convinto che con lui sarebbe stato diverso.
Ma tutti quelli che passavo sotto le mani di Andrew erano per lui solo agnellini da macellare. Non perché fosse stronzo (beh, si un po’ lo era), ma perché non amava fare la balia in eterno a chi non sapeva chi era e cosa voleva dalla vita.
“sei Andrew?” Erik sentiva di essere arrivato a quel tavolo solo per la spinta emotiva, del tutto incosciente, che gli aveva fornito l’uomo di colore.
Il ragazzo lo guardò di sfuggita per poi tornare a concentrarsi sul palco. Un’occhiata gli era bastata.
“sono Erik e...”
“e adesso prendi il tuo dolce sederino, te ne ritorni da mamma e mi lasci in pace.”
Erik era sconcertato da quella frase. Che doveva fare? continuare a stare lì seduto oppure andarsene?
Rivolse uno sguardo al bar e Moma gli fece un sorriso furbo, come a dire che ora doveva sbrogliare lui la matassa. Gli aveva dato il la, ma non poteva fare tutto il lavoro per lui.
“mi chiedevo...che musica ti piace?” Erik si sarebbe morso la lingua e avrebbe ingoiato le ultime parole che aveva pronunciato. Andrew era molto bello e di sicuro non lo aiutava a restare concentrato. Sentiva che lui non era solo lo Svezzatore, il suo Svezzatore.
Se aveva qualche domanda quando era entrato da quella porta, ora era scomparsa. Sentiva il vuoto riempito solo da un vuoto leggero.
Andrew si voltò a guardarlo. Chi era quel ragazzino dai tratti ispanici che lo guardava come un agnello smarrito ma che faceva domande idiote? Si alzò, prese la sua giacca di camoscio dalla spalliera e si diresse alla porta.
“che fai? Resti lì?”
Uscirono per la prima volta quella sera. E parlarono di musica, solo di quello.

Qualche giorno dopo Andrew entrò al Moma’s Club prima della sua apertura. Il barista e proprietario gli servì una birra.
“che hai pasticcino? Fatto le ore piccole?”
“odio quando li mandi da me, Mo. Ti avevo chiesto di smettere.”
“e perché? Tranne qualche rissa sventata, i tuoi ragazzi non mi hanno mai dato problemi e hanno incrementato il mio giro d’affari.”
Andrew si disse che probabilmente lui non capiva. Non capiva come era tutte le volte avere un ragazzino che pensava di avere solo lui quei problemi e si faceva mille paranoie. Lui odiava gli adolescenti in crisi mistica sulla loro identità sessuale.
La prima volta che aveva accolto sotto la sua ala uno di quegli agnellini sperduti, lo aveva fatto solo per aiutarlo, perché il suo cuore lo spingeva in quella direzione. Non voleva niente da quei ragazzi e non dava loro nulla.
La seconda, la terza, la quarta e anche la quinta volta aveva sentito lo stesso desiderio. Non tutti nascevano con le idee chiare come lui che aveva anche fatto outing a soli vent’anni. Sua sorella aveva fatto spallucce e gli aveva detto di averlo sempre saputo. Ma non tutti erano come Nessie. Suo padre non era come Nessie, non gli aveva parlato per mesi.
Al Club gli avevano dato un soprannome, lo Svezzatore. Credevano che non lo sapesse, ma lui lo sapeva e non gli piaceva per nulla. Quei ragazzi non erano carne da macello e lui non voleva trasformarli in tali. Il ruolo gli andava stretto, ma non si lamentava. Erano tutte piccole avventure senza futuro e senza impegno.
“questa volta mi hai fregato Mo.”
“è arrivata anche la tua ora, dolcezza, te lo avevo detto, io.” Rispose l’altro soddisfatto di se stesso. “che c’è di tanto diverso?”
“non gli importa.”
“dici sul serio?”
“si e no. vuole sapere se è davvero gay, ma non gli importa. Dice che si trova bene con me e mi vorrebbe come amico, poi quel che sarà sarà. Ha baciato un amico al campeggio. Lo ha considerato un errore. Ma quando l’ho baciato io, ha detto gli è piaciuto.”
“Un altro agnellino svezzato.” Mormorò Moma versandosi uno short di vodka.
Andrew sorrise e salutò.
Moma si sbagliava, Erik non era solo un agnellino. Era il suo agnellino.

“ce ne è una nuova a scuola.” Erik raccontava tutto al suo ragazzo. Era incredibile, il giorno prima non sapeva nemmeno chi fosse e il giorno dopo stava con Andrew.
Tutto nato da una stupida domanda sulla musica. Come è strano il mondo.
“e che tipo è?”
“è diversa...” Erik si lasciò andare sulla sedia dell’ufficio di Andrew, mangiando i suoi spaghetti cinesi. Alla tacita domanda di Andrew proseguì. “ha sfidato il re della scuola Cullen e non si fa nessun problema a insultarlo davanti a tutti. È una tosta. Le do tempo due, tre settimane al massimo e poi muore.” Fece la sua previsione puntando le bacchette verso il suo ragazzo.
Andrew sentì un po’ di gelosia quando lo sentì parlare di Edward Cullen. Suo cugino (il suo piccolo segreto, visto che non voleva rivelargli ancora la sua parentela) era di sicuro un bel ragazzo e attirava tanti sguardi.
“ehi, Andy...non pensarci nemmeno. Cullen è bello, si. Ma non è come te.” Erik gli sorrise dolce e mise da parte la sua cena. “siamo soli in ufficio, vero?”
Con fare sensuale si avvicinò all’altro e messe le mani suoi braccioli della sua sedia si sporse a baciarlo.
“per me ci sei solo tu. Non voglio essere un agnellino, Andrew. Dimmelo prima che mi innamori sul serio di te se non ho speranze. Me ne andrò da questo ufficio e dalla tua vita con molta più dignità dei tuoi ex.”
Andrew lo fissò serio e riprese a baciarlo, attirandolo ancora di più a sé. Con lui era tutto diverso, lo amava davvero, e glielo avrebbe dimostrato.
Fecero l’amore per la prima volta su quel divano mezzo distrutto nell’angolo dell’ufficio di Andrew, ma per loro fu come stare in una suite di un albergo a cinque stelle.




p.s. dell'autrice: siete giunti fino a qui? Bene, spero che mi farete conoscere che cosa ne pensate. Grazie a tutti. Sara.
   
 
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