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Autore: Madokachan    28/12/2011    2 recensioni
«E allora lasciami da solo, a meno che non vuoi essere sotterrato nel mio giardino e avere delle ortensie rosse come fiori, bagnate del tuo sangue…»
Replicò acidamente Hibari, suscitando una risata soffocata in Mukuro. L’Illusionista sedette di fianco a Hibari, lasciando basito il giapponese che istintivamente strinse l’ortensia tra le dita, rovinandone i petali già in parte appassiti.
«Kufufu… Non preoccuparti Hibari Kyoya, non lascerò che qualcun altro possa uccidermi al di fuori di te. Sarà il mio piccolo sogno romantico.»
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kyoya Hibari, Mukuro Rokudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Losing you

 

Nei suoi sogni Mukuro dormiva sempre. Il suo viso era sereno, calmo.
Hibari non aveva mai visto espressioni simili su quel viso, né tantomeno desiderava vederle. Lo aveva visto ridere, sorridere, e solo lui sapeva quanto odiava quel ghigno maligno, mascherato dal sorriso di un santo.
Ma in quei sogni Mukuro non ne poteva nulla, anche perché il suo sorriso era l’ultima espressione assunta in punto di morte. Il Guardiano della Nebbia riposava in una bara scura, ancora aperta; tra le sue mani congiunte vi erano dei fiori bluastri e viola, delle ortensie.
Si poteva sentire il suono di un violino in sottofondo, la melodia riempiva l’aria con il suo suono triste e dolce allo stesso momento. Hibari ogni volta si domandava da dove provenisse quel suono, ma tutte le volte non faceva in tempo a vedere il volto del musicista, poiché l’istinto lo guidava verso Mukuro; le sue mani si stringevano attorno al suo collo sottile, e seppur l’altro fosse morto, quella stretta sembrava provocargli dolore.

Come ogni volta, Hibari si svegliò di soprassalto. Portò una mano alla fronte grondante di sudore  viso inespressivo, mordicchiò un po’ le labbra secche, pensieroso.
Non gli piaceva affatto fare quei sogni, ma soprattutto, perché il soggetto dei suoi sogni doveva essere proprio Mukuro?
Il suo volto tornò a distendersi, le labbra si ricongiunsero tra di loro, inumidite da un po’ d’acqua che il giapponese bevve con voracità.
L’orologio digitale di fianco al futon segnava le tre e mezza del mattino; era decisamente presto. Un motivo per cui odiava quei sogni, oltre alla presenza di Mukuro, era il fatto che ogni volta era obbligato a svegliarsi nel pieno della notte.
Si arrese alla consapevolezza che non sarebbe riuscito a riaddormentarsi, così uscì in pigiama e vestaglia in giardino, sedendosi sullo scalino della casa in stile giapponese che si affacciava su di esso.

La brezza della sera era piuttosto pungente, ma a Hibari non dispiaceva; gli era sempre piaciuto il freddo, forse perché temprava il suo carattere scostante e diffidente.
Un rumore di passi, seppur minimo, l’avvertì di una presenza ostile in avvicinamento. Ancora assonnato si era completamente dimenticato di prendere le sue tonfa, risultando così totalmente privo di armi e quando ricordò di avere una pistola – che normalmente non utilizzava – il nemico era praticamente a un passo da lui.
«Che diavolo ci fai qui?»
La sua voce, dal tono calmo, squarciò il silenzio della notte, accompagnata dal rumore del grilletto della pistola che scattava, pronta a sparare. Di fronte a Hibari stava Mukuro: il suo sguardo era proprio come lo ricordava, lo stesso del diavolo che appare agli umani sotto forma di essere seducente e ingannatore.
«Hai un po’ di problemi a dormire? Ti ho visto agitarti nel sonno, hai avuto un incubo?»
Hibari non mostrò una particolare sorpresa per quelle parole; lui si contraddistingueva per essere un tipo più da gesti che da parole e infatti afferrò per il colletto della giacca Mukuro, rovesciandolo a terra, schiena contro il legno, e puntandogli la pistola alla tempia.
«Da quanto tempo sei qui?»
«Abbastanza da poterti sentire pronunciare il mio nome nel sonno!»
Aveva veramente fatto qualcosa del genere? Quella risposta lo spiazzò, forse lo aveva anche imbarazzato, ma non lo mostrò, anzi quelle parole non fecero altro che aumentare la rabbia nei confronti di Mukuro.
«Vai all’Inferno.»
Stavolta Hibari premette veramente il dito sul grilletto della pistola, ma Mukuro, con grande prontezza di riflessi, riuscì ad evitare il colpo persino da quella vicinanza, rotolando di lato tra i fiori del giardino.
Hibari sussultò a quella visione; inizialmente Mukuro associò quella reazione al pensiero di Hibari casalingo che si prendeva cura dei fiori, ma non poteva sapere che le ortensie erano lo stesso fiore che il giapponese vedeva nei suoi sogni, vicino al cadavere di Mukuro stesso.
«Ops, non sapevo che ti davi anche al giardinaggio…»
Mormorò divertito Mukuro, senza comprendere il significato dell’espressione colma di terrore sul volto di Hibari.
Il giapponese si sistemò sulle spalle la vestaglia, che a causa di quei movimenti era scivolata, tornando inaspettatamente a sedersi sullo scalino.
«Ho sognato che eri morto. Più di una volta, ma eri sempre uguale, dentro a una cassa da morto… E fra le mani stringevi delle ortensie.»
Mukuro finalmente capì il perché della strana reazione di Hibari, ma come era suo solito, scoppiò a ridere.
«Mi affascinano i tuoi desideri più nascosti Hibari Kyoya… Anche se non sono così nascosti: mi vuoi morto da sveglio e mi desideri morto persino nei tuoi sogni!»
Commentò divertito, sollevandosi, e nel farlo strappò un fiore dal gambo, porgendolo all’altro uomo.
«Ti si addice l’ortensia, sai? E’ un fiore che trasmette distacco e freddezza, proprio come te.»
Hibari fissò per un periodo di tempo indeterminato il fiore nella mano di Mukuro, indeciso se accettarlo o meno e quando finalmente riuscì a riprendersi dai propri pensieri, lo afferrò, tenendolo su entrambi i palmi della mano.
«E allora lasciami da solo, a meno che non vuoi essere sotterrato nel mio giardino e avere delle ortensie rosse come fiori, bagnate del tuo sangue…»
Replicò acidamente Hibari, suscitando una risata soffocata in Mukuro. L’Illusionista sedette di fianco a Hibari, lasciando basito il giapponese che istintivamente strinse l’ortensia tra le dita, rovinandone i petali già in parte appassiti.
«Kufufu… Non preoccuparti Hibari Kyoya, non lascerò che qualcun altro possa uccidermi al di fuori di te. Sarà il mio piccolo sogno romantico.»
«A una sola condizione.»
Hibari Kyoya che scendeva a compromessi? Mukuro si trattenne dal ridere per l’ennesima volta, incrociando entrambe le braccia al petto, incuriosito.
«Ovvero?»
«Mi devi promettere che la smetterai di perseguitarmi nei sogni.»
«Ma come? Ti disturbo fino a questo punto?» Mukuro rise per l’ennesima volta, accostando una mano su quelle di Hibari, le socchiuse, stringendole appena.
Nessuno dei due parlò, questo finché Mukuro, scostando la mano da quella di Hibari, sparì. Il Giapponese rimase impassibile, ma abbassando il volto, notò che il fiore che stringeva tra le mani era cambiato… Si trattava di una petunia.
Nel significato dei fiori, la petunia rappresenta la confessione di un amore che non si può più tener nascosto. Hibari alla visione di quel fiore sospirò, accarezzandone i petali con una delicatezza tale che non aveva mai impiegato nemmeno nelle carezze a un piccolo animale.
Quel fiore frutto di un’illusione, diventò fonte di rassicurazioni per Hibari. Da quel giorno infatti, i suoi incubi terminarono.

 

 Et voilà! La dimostrazione che ogni tanto, se leggo la doujinshi azzeccata, posso provare a scrivere qualcosa che non sia una 6927! XD Dedico questa fan fiction a Martina, che è rimasta shokkata nel sapere che avrei scritto questa storia... Spero ti sia piaciuta (se la leggerai D: ) e di aver scritto qualcosa di decente...!

 

 

 

   
 
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