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Autore: Lely1441    28/12/2011    1 recensioni
L’ho abbracciata, ma le sue lacrime non mi hanno ferito. Stavo solo lì fermo, immobile, a domandarmi quando toccheremo il fondo, quando avremo il coraggio di ammettere la verità.
Ora è in cucina a preparare la cena. Mi ha buttato fuori dalla stanza ridendo, perché le risulto sempre d’impiccio, o almeno così dice. Io so che sta piangendo di nuovo.
Quando avremo la forza di toccare il fondo? Il vuoto d’aria che precede lo schianto non è più sopportabile.
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Disclaimers e Crediti: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.
La citazione scelta per il prompt 36 è tratta da “Ti vorrei sollevare”, di Elisa feat. Negramaro, ed è segnalata da un asterisco.
La storia partecipa al Giro dell’Oca del Writers Arena Rewind.
 
 
 
È stato allora.
 
 
È stato allora. Avevi improvvisamente alzato le mani al cielo ed eri scoppiata a ridere, a ridere come una bambina felice.
È stato allora: ho pensato “come si fa a non innamorarsi di una così? Come si fa a non innamorarsi di lei?”.
Non avevo neanche finito di formulare questa considerazione, che già ti amavo.
 
Ti ricordi quando litigammo la prima volta? Il motivo era stupidissimo, io avevo la febbre alta e insistetti nel voler andare al lavoro, perché era il giorno prima di una consegna importante, mentre tu eri assolutamente contraria, temevi mi sentissi davvero male. Non ricordo neanche come iniziammo ad urlare, ma ti arrabbiasti così tanto che mi chiudesti a chiave nel bagno, per poi correre a chiamare in ufficio.
Ti urlai: “ti odio”, e tu ribattesti: “io di più”.
Ottenesti due giorni di permesso per me, ma non volesti più parlarmi o vedermi per quelli che sembrarono secoli, e non erano altro che pochi giorni.
Quanto mi sei mancata.
 
C’era stata poi quella volta in cui rimanemmo chiusi fuori di casa e pioveva, oh! come pioveva… Il giardino si era riempito di fango, l’altalena cigolava e il tavolato di legno della veranda scricchiolava perché gonfio d’umidità. Provammo tutte le finestre, sperando che almeno una non fosse stata bloccata, ma non ci fu nulla da fare. Ci sedemmo sui gradini coperti e ci abbracciammo, bagnati com’eravamo, con il vento che s’infilava nei vestiti e ci accarezzava come la mano di un amante, finché non arrivò Alex.
Eravamo stati in silenzio per tutto il tempo, in un mondo di freddo e gelo dove l’unico calore eravamo noi.
 
Ultimamente non faccio che litigare con Becky. Dice che non l’amo più, che non so più ascoltarla. Ieri l’ho trovata a frugare nei miei cassetti per cercare qualche prova di un mio tradimento. Ci siamo fissati a lungo, io sulla porta, lei con le mani immerse nella stoffa delle mie camicie, e poi è scoppiata a piangere. L’ho abbracciata, ma le sue lacrime non mi hanno ferito. Stavo solo lì fermo, immobile, a domandarmi quando toccheremo il fondo, quando avremo il coraggio di ammettere la verità.
Ora è in cucina a preparare la cena. Mi ha buttato fuori dalla stanza ridendo, perché le risulto sempre d’impiccio, o almeno così dice. Io so che sta piangendo di nuovo.
Quando avremo la forza di toccare il fondo? Il vuoto d’aria che precede lo schianto non è più sopportabile.
 
Avevi appena litigato con Michael. Ero rimasto con te tutta la sera, ti avevo portato qualcosa da mangiare e tu ti bloccasti a metà piatto.
“Ti sei mai chiesto quanto staremmo bene insieme?”
Mi feristi tremendamente. Noi due saremmo perfetti insieme, saresti il mio sole e io la tua luna, perché posso brillare solo della tua luce, perché per me il resto è solo infinito buio.
Mi alzai e uscii senza fiatare. Tu non mi guardasti, forse lo avevi già capito allora.
Nell’aria galleggiavano le parole che non hai mai avuto la forza di dire. “Se solo ti amassi, se solo riuscissi a farlo”.
È stata la prima volta che ho sentito quanto a fondo potevo odiarti.
 
Rimpiango il rapporto di prima. Prima non avevi il potere di ferirmi, prima non dovevo fingere con te. Prima non ti avrei permesso di entrare nella mia anima per devastarla.
È il mio egoismo che non riesce ad accettarlo. Non riesco ad essere razionale, perché so che tu non hai colpa, ma non riesco a perdonarti davvero.
E non riesco a perdonare me per non riuscire a non provare rancore.
Pensi che io sia una persona orribile? Lo penso anche io.
 
Becky oggi mi ha affrontato. “Riproviamoci, ricominciamo daccapo”.
Come potevo dirle che non c’è più nulla da ricominciare?
 
Di quando è morta Annette, ho pochi ricordi. C’eri tu rannicchiata in un angolo che piangevi e piangevi, tanto che ho pensato che avresti finito con il prosciugarti. Mi sono inginocchiato davanti a te e abbiamo pianto insieme, così quando tu non ci sei più riuscita l’ho fatto io per te.
Mi guardasti e seppi che avevi capito. Che avevi visto in me, che avevi visto me.
 
Alex è stato il primo ad intuirlo. Venne da me una sera, e mi chiese senza tanti preamboli che cos’avessi intenzione di fare. Eri (felicemente) fidanzata, lo sei ancora, e io non facevo altro che girarti attorno come una falena con un neon, in attesa di bruciarmi le ali e definitivamente soccombere.
“Non fa bene né a te né e lei, ed è una scorrettezza verso Becky. Perché non lasci perdere?”
“Non ci riesco”.
Mi guardò un po’ comprensivo, un po’ disgustato. Io alzai le spalle come a dire che non potevo farci nulla, e lui sbatté la porta andandosene.
Avrei potuto lasciare Becky, sì. Mi nascondevo dietro l’idea che mi amava così tanto da prediligere anche solo un’illusione del mio amore, piuttosto che dirmi addio; forse perché era questo che io avrei preferito per me.
Ma Alex sapeva benissimo che in realtà ero solo troppo vigliacco per riuscire a tenermi in piedi da solo. Che stavo male nel ferire qualcuno che mi amava, ma che sarei stato peggio a ferire solamente me.
 
Quando ho cominciato a sentirmi intrappolato come un leone in gabbia? Forse quando mi sono reso conto che ero rimasto solo, solo con il mio amore e te, che non lo volevi, che non lo avresti mai voluto.
La mia anima ruggisce tra le sbarre dei miei sentimenti, la mia coscienza piange sulla spalla dell’Inevitabilità.
Sono state le parole che mi hai detto senza nemmeno pensarci che mi hanno più ferito. Non so se per il loro significato o se per il fatto che le avessi dette senza neanche dare peso a me, senza neanche prendermi in considerazione. I miei silenzi - la mia unica difesa contro i tuoi colpi - si sono fatti sempre più lunghi, la mia unica speranza era che passasse presto, o che almeno tu riuscissi a starmi accanto senza calpestarmi.
Perché ti ho sentito entrare, ma volevo sparire… E invece ti ho visto mirare, e invece ti ho visto sparare a quell’anima che hai detto che non ho. (*)
 
Becky mi ha preso per le spalle e mi ha detto che ne saremmo usciti insieme, di qualsiasi cosa si tratti. Vorrei riuscire a crederle.
 
Pensavo che il tuo trasferimento mi avrebbe annientato. Pensavo che ne sarei rimasto devastato, e invece l’unica cosa che provo è noia. Noia di te, di me, di quello che non abbiamo avuto e che io ho tanto sognato.
 
Senti come scricchiolano le foglie sotto i nostri passi? È autunno, e la calda luce invernale colpisce i tuoi capelli donando loro nuove sfumature. Sei radiosa, sei uno splendore, e vorrei solo che tu lo capissi.
Sei felice del nuovo lavoro, ti è stata offerta un’ottima opportunità ed è persino meglio di come te l’aspettavi.
Mi chiedi se mi manchi. Rispondo di sì, con una stretta al cuore. Ma più di tutto mi manco io, l’uomo ancora in grado di dirti che ti ama.
Ora il mio saluto rimane incastrato in gola tra un “ti amo” e un “addio” di troppo. Troppo codardo per il primo, troppo masochista per il secondo. Quello che esce è un rantolante “ci rivediamo”, che non sa di nulla. Tu però sorridi e mi baci la guancia.
Ancora non riesco a rassegnarmi a questa realtà, alla realtà in cui il nostro è solo un amore ipotetico. Vorrei stringerti, vorrei toccarti, vorrei fare l’amore con te e poi carezzarti i capelli, le spalle, le nocche delle dita.
Ci stringiamo la mano e andiamo via.
 
Becky oggi mi ha preparato la colazione e l’ha portata a letto. La mattina prometteva bene, e guardandola finalmente ridere non sono riuscito a non sfiorarle una guancia con un gesto tenero. Le si sono inumiditi gli occhi e Dio, quanto dolore ho provato.
Riesco a capire quanto mi voglia bene, al contrario di te, che non sei mai riuscita a comprenderlo, che hai continuato a devastare il mio cuore con le tue domande innocenti. Becky non mi merita.
 
Stiamo combattendo contro il gelo sul marciapiede quando ti incontriamo. È passato più di un anno, ti sei tagliata i capelli e il tuo viso si è fatto più affilato, meno armonioso. I tuoi occhi non risplendono più.
Le solite frasi di circostanza, e poi le nostre strade tornano a dividersi.
L’assoluto bisogno di averti mia è stato sostituito da un’amara nostalgia, da una bruciante malinconia. Becky china il capo e non osa guardarmi.
“La ami ancora?”
Faccio spallucce, prendendola per mano e baciandole una tempia. Lei non merita le mie bugie.
Ma non merita neppure la verità.
   
 
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