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Autore: _Ella_    28/12/2011    5 recensioni
«…E, in conclusione, le classi spettrali sono sette – O, B, A, F, G, K, M – e il Sole si trova nella G, ovvero è tra i cinquemila e i seimila gradi centigradi» fece Roxas e Riku gli mandò un occhiata traversa: come cazzo faceva a ricordare la roba di prima superiore?!
Il professore intanto sorrideva entusiasta, rivolgendogli un “sei un po’ scarso” abbastanza divertito
«Ok, Sullivan, se mi dici questa sali a nove: perché le lettere sono ordinate in quel modo?»
«Uhm… perché sono le iniziali delle parole che compongono la frase “Oh, be a fine girl, kiss me”» disse dopo un attimo e Riku trattenne l’impulso urlargli contro che era un saputello del cazzo, che era un gran bastardo e che se non la smetteva di mandargli occhiatine soddisfatte se lo sarebbe scopato nello sgabuzzino che c’era in palestra, appena ne avrebbe avuta l’occasione.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Riku, Roxas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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 Fogli bianchi.

 

 
 

Black sheets;

Continuava probabilmente a fissarlo da quelle che erano decine di minuti, e non sembrava avere alcuna intenzione di smetterla.
Perché, mentre gli hobby dei suoi compagni di classe erano il calcio, la musica, la pittura o il tennis, Riku si era improvvisamente riscoperto uno stalker, uno di quelli bravi.
Si era accorto che cominciava ad intraprendere la strada del maniaco quando tempo fa, nel bel mezzo della notte, si era alzato dal letto per fissare tutte le foto che aveva fatto con la sua digitale quel giorno in gita dove – sorridente e bellissimo – era ritratto anche lo stesso ragazzo che fissava in quel momento.
Perché, doveva ammettere con rassegnazione, ormai quella fissazione che aveva per il suo compagno di classe aveva più o meno tre mesi. Tre mesi estenuanti, in cui Roxas Sullivan aveva occupato ogni angolo della sua mente senza alcun problema e senza neppure sforzarsi per farlo.
Riku ne aveva avute di fissazioni, durante i suoi sedici anni e questo doveva ammetterlo. Era quel tipo di persona a cui non interessa nulla in particolare ma che, quando trova qualcosa che gli scaturisca interesse, ci si butta a capofitto senza pensarci due volte.
Qualche anno prima aveva collezionato lattine, poi si era annoiato e le aveva buttate tutte via.
L’anno scorso si era fissato col voler imparare ad usare i roller, e una volta che aveva imparato tutto li aveva attaccati al muro con un chiodo.
Un paio di estati fa si era deciso a voler fare surf, ma poi si era annoiato e aveva lasciato andare.
Da bambino, ad esempio, ogni settimana giocava con qualcosa di diverso, quello che più lo attirava, insomma.
Beh, nella sua vita Riku si era fissato con diverse cose, ognuna delle quali non era mai durata più di due settimane. Così le cotte, così le simpatie per qualche ragazza o per qualche ragazzo. L’unica cosa duratura nella sua vita era l’amicizia con quell’idiota di Sora – che nel frattempo continuava a scambiarsi messaggini con Kairi, al banco dietro – e quella pseudo cotta con quel biondino che riusciva a stressarlo esattamente tanto quanto il suo migliore amico.
La cosa lo preoccupava, sul serio.
Roxas intanto consultava la tavola periodica e, con delicatezza ed attenzione, segnò il numero di massa all’angolo della lavagna, probabilmente per poterlo usare successivamente. Aveva una bella scrittura, chiara e coincisa e – aveva notato Riku – segnava le lettere al contrario. Per esempio per fare la ci partiva dal basso e poi saliva, faceva in questo modo anche la ti e la bi, mentre per fare la emme e la enne partiva da destra per poi andare a sinistra. Non aveva mai visto nessun altro scrivere in quel modo, e se non ricordava male era stato esattamente questo dettaglio ad attirare la sua attenzione.
Da lì, la situazione si era fatta man mano più critica.
Aveva iniziato a trovarlo bello, bello da morire, col suo cipiglio serio e l’espressione tremendamente deliziosa, i capelli biondi che sembravano così morbidi. Spesso aveva avuto la tentazione di odorarli, afferrarlo per le spalle e stringerselo contro per poter annusare l’aroma di quei ciuffi chiari, che erano perfettamente intonati con la pelle candida. E gli occhi, maledizione, avrebbe venduto l’anima al diavolo solo perché il loro sguardo fosse dedicato interamente a lui.
Poi, ad educazione fisica, l’aveva visto per sbaglio nudo sotto la doccia. Era stata una casualità, effettivamente: loro avevano le docce con le porte opache, quindi aveva semplicemente aspettato che uscisse perché fosse il suo turno, ma Roxas aveva aperto per sbaglio la porta, e lui aveva visto ogni singolo centimetro della sua pelle. Lì per lì era stato tentato di spingerlo dentro la doccia, baciarlo per zittire ogni tipo di protesta, e toccarlo finché non fosse venuto, ansimante e imbarazzato, fin troppo per poterlo mandare via.
La verità era che non conosceva molto del carattere di Roxas, visto che entrambi si erano sempre ignorati, ma per la prima volta della sua vita non gli importava affatto di provare un attrazione così assurda verso qualcuno che conosceva appena. Ormai si aggrappava ai dettagli, quelli più futili e mai  notati perché se non poteva conoscerlo bene, preferiva conoscere qualcosa che nessun altro avrebbe mai saputo, dettagli che la prossima persona con cui Roxas sarebbe andato a letto non avrebbe mai neppure immaginato.
«Ehi, Riku, ma a che pensi?» Sora gli strattonò il braccio, mettendo finalmente da parte il cellulare
«Che vuoi che faccia? Seguo l’interrogazione, a differenza tua» fece pungente, ma il castano non dovette cogliere l’insulto velato – come al solito – tanto che si strinse nelle spalle e sorrise
«Oggi Kairi mi ha invitato a casa sua. Che dici, vado?»
«Cazzo Sora, che vuoi che me ne importi? Se vuoi, vacci» sospirò, poi incontrò lo sguardo sadico del professore
«E visto che il nostro caro Drai parlotta, suppongo che ne sappia a volontà» annunciò, e non gli rimase che sospirare «Che dici, ce la fai a reggere la competizione con Sullivan?»
Riku mandò lo sguardo al biondo e quasi gli venne un infarto quando notò che lo stava fissando attentamente; si sentiva come se Roxas gli avesse appena scavato un solco nel petto, gli avesse incrinato le costole e strappato il cuore fuori. Voleva spingerlo contro la lavagna, baciarlo a tradimento avanti a tutti, farlo arrossire e costringerlo a scappare via o – più possibilmente – farsi tirare un pugno in faccia. Chissà se era capace di fare a botte, con quel fisico delicato che si trovava. Per quanto gli riguardava, non avrebbe mai avuto il coraggio di rovinare quel bel viso dai lineamenti delicati ma – ammise, consapevole di star seriamente diventando un pervertito – baciare le sue labbra intinte di sangue sarebbe stato parecchio eccitante.
Si alzò tranquillamente, dopotutto non aveva niente da temere dopo aver passato tutto il pomeriggio sui libri di chimica, ed affiancò Roxas che ormai aveva smesso di rivolgergli ogni tipo di attenzione.
«Cancellate alla lavagna» ordinò il professore ed il biondo obbedì, tenendo stretto tra le mani il cassino; poi l’uomo si alzò, afferrò il gesso e divise in due parti perfette la lavagna «Il migliore si becca un otto» disse e segnò due formule chimiche diverse da bilanciare.
Tipico. Il loro professore si divertiva un mondo a creare competizioni, proprio per dar loro un motivo serio per doversi impegnare e dare il meglio.
Mise a fuoco la formula e, tenendo stretto il gesso, segnò la parentesi graffa del sistema.

«…E, in conclusione, le classi spettrali sono sette – O, B, A, F, G, K, M – e il Sole si trova nella G, ovvero è tra i cinquemila e i seimila gradi centigradi» fece Roxas e Riku gli mandò un occhiata traversa: come cazzo faceva a ricordare la roba di prima superiore?!
Il professore intanto sorrideva entusiasta, rivolgendogli un “sei un po’ scarso” abbastanza divertito
«Ok, Sullivan, se mi dici questa sali a nove: perché le lettere sono ordinate in quel modo?»
«Uhm… perché sono le iniziali delle parole che compongono la frase “Oh, be a fine girl, kiss me”» disse dopo un attimo e Riku trattenne l’impulso urlargli contro che era un saputello del cazzo, che era un gran bastardo e che se non la smetteva di mandargli occhiatine soddisfatte se lo sarebbe scopato nello sgabuzzino che c’era in palestra, appena ne avrebbe avuta l’occasione.
Finita l’ora andò a sedersi un po’ irritato, visto che alla fine si era beccato un misero sei, e scoccò un’occhiataccia a Sora, che rideva sotto i baffi
«Beh dai, poteva andarti peggio» sussurrò Naminé dietro di lui, allungandosi per parlargli all’orecchio senza farsi sentire da Kairi e il castano, che si erano alzati per andare in corridoio «Poteva venirti un’erezione del bel mezzo dell’interrogazione» fece mesta.
Merda, pensò Riku, girandosi di scatto per fissare il suo sguardo eloquente. Sperava solo che non lo dicesse ad anima viva, anche se era poco probabile che andasse a metter voci strane in giro e che – soprattutto – nessun altro se ne accorgesse. Non ci teneva molto ad essere sputtanato, davvero.
Non pensò nemmeno di negare, tanto Naminé era troppo intelligente per crederci, così si limitò a stringersi nelle spalle
«Non glielo dirai?»
«Tsk, non dire puttanate»
«Peggio per te» sbottò quella, prima di afferrare il blocco da disegno tra le mani e mettersi a disegnare.

L’aria di aprile era fresca, ma fortunatamente ci pensava il sole a riscaldargli la pelle.
Riku stiracchiò il collo, asciugandosi il sudore che gli imperlava la fronte dopo il lungo allenamento di pallacanestro. Sua madre non faceva che ricordargli di quanto fossero importanti i crediti scolastici e così, visto che non aveva la minima intenzione di fare corsi noiosi, l’unica cosa rimastagli da fare era qualcosa che avesse con l’educazione fisica.
Rabbrividendo per il vento che si stava alzando, salutò velocemente il professore e corse agli spogliatoi per cambiarsi.
Non era un tipo schizzinoso, ma non aveva per niente intenzione di fare una doccia lì: a lui piacevano quelle lunghe, bollenti e rilassanti, e preferiva camminare sporco e sudato per strada piuttosto che lavarsi lì nello spogliatoio. Cambiò quindi velocemente la tuta e, prendendo anche la cartella, si diresse verso il parcheggio, dove c’era il suo motorino.
Posò stancamente le borse tra i suoi piedi e mise in moto, quando una strana sensazione lo bloccò improvvisamente: quando alzò lo sguardo, c’era un altro ad incrociarsi col suo.
«Come mai qui a scuola?» l’albino spense il motore, poggiando le braccia sul manubrio; Roxas, intanto, si era avvicinato e continuava ad inghiottirlo nelle iridi azzurre
«Sora si è accorto di aver dimenticato il cellulare in classe, che stupido. E io l’ho accompagnato» fece, poi rise appena «Bella figura, oggi.»
Aveva una faccia da schiaffi mondiale, non lo diceva tanto per dire. Persino Sora, che era tanto ingenuo, perdeva spesso la pazienza con lui, come del resto succedeva a tutti gli esseri viventi che avevano a che fare con quel biondino del cazzo.
«Hai avuto solo fortuna» ribatté, ignorando la frecciatina «E poi non ci tengo molto ad essere un irritante secchione»
«Oh beh, allora complimenti per quello schifo di sei, Riku»
«Io i complimenti te li farò solo quando ti deciderai a tapparti quel velenoso buco dentato, Sullivan.»
Roxas fece una mezza risata, stringendosi nelle spalle ed infilando le mani nelle tasche della felpa grigia. Era bello, maledizione. Ma come diavolo poteva camminare in giro senza che nessuno provasse a stuprarlo ogni due passi?
Se non avesse avuto ancora un minimo di salute mentale, Riku l’avrebbe fatto senza pensarci due volte. Lì, nel parcheggio, contro il seggiolino della moto o sul cruscotto di un auto.
Dio, datti una calmata.
Non ci voleva proprio una denuncia per molestie sessuali.
«Nh, la prospettiva di non ricevere i tuoi elogi non mi deprime. Mi interesso della gente importante, io»
«Quello perché sei un leccaculo» sbottò Riku, senza staccare lo sguardo dai suoi occhi «E comunque, pronto per il prossimo tre in matematica?»
«Capita di andar male, se non si è i cocchi del professore.»
Ormai era da quando aveva provato interesse nei suoi confronti, che Riku aspettava con ansia la prossima volta che si sarebbero insultati. Era una cosa strana, ma adorava il fatto che Roxas mostrasse la sua parte peggiore soltanto con lui la maggior parte delle volte, per il semplice fatto che avrebbe odiato molto di più essergli indifferente. E poi era bellissimo quando sorrideva ironico e pungente, quando le parole erano in completo contrasto con quel viso d’angelo, quando dimostrava che dentro aveva tanto di quel veleno da far impallidire una vipera.
Uno non se l’aspettava, se si fermava a giudicarlo dalle apparenze e dal fatto che fosse il gemello di un sedicenne che aveva il cervello fermato da quando ne aveva cinque. Anche se, da quel che ricordava, Roxas era stato sempre un gran bastardo, anche da bambino, quando bucava la piscina dove lui, Kairi e Sora facevano il bagno, quando metteva il sale nell’aranciata e quando li prendeva in giro per ogni singola cosa.
«Sei sempre così, Roxas?» il biondo lo guardò confuso, cercando probabilmente di carpire la logica dei suoi pensieri, poi sorrise tra il curioso e lo sfacciato e “come?” chiese; eccitante, avrebbe risposto, ma non aveva intenzione di farlo scappare via proprio adesso «Stronzo» disse con un mezzo sorriso e il biondo scoppiò a ridere, poggiando la schiena contro l’auto che aveva alle spalle
«Senti chi parla» sbottò, grattandosi il naso «Ma io di più»
«Così mi offendo»
«Lo so. Vedi che lo sono sul serio più di te?» chiese retoricamente, con il solito sorriso ironico stampato sulla faccia da schiaffi.
Riku lo fissò senza ribattere, ma sorridendo a propria volta. Qualcosa gli diceva che nella settimana sarebbe andato a casa del suo migliore amico.

 

Red sheets;

Sora dormiva a bocca aperta, sbavando senza pudore sul cuscino che stringeva tra le braccia. Era l’una passata di notte e, come Riku aveva preveduto, non appena avevano messo play al film era crollato a dormire, dopo l’intero pomeriggio passato a fare gli idioti.
Non gli rimase che sospirare e, afferrando i telecomandi, spense la tv, uscendo dalla camera di Sora per andare in bagno.
Si stiracchiò un po’, tirando le braccia in alto e stando attento a non far rumore per non svegliare nessuno. Si bloccò, tuttavia, quando passò di fronte la porta socchiusa della camera di Roxas; non l’aveva sentito tornare, visto che era in camera con Sora, ma sicuramente doveva esser tornato a casa da un bel po’. Ad essere sinceri, era rimasto abbastanza deluso quando, verso le sette e mezza, era uscito di casa, dicendo che sarebbe andato ad una festa a casa di Hayner.
A lui quello non era mai piaciuto, mai. Di meno negli ultimi mesi, visto che stava sempre appiccicato a Roxas, tanto che gli era balenata in testa l’idea che andassero a letto assieme. Chissà com’era, quel tipo sotto le coperte.
Probabilmente non sta zitto nemmeno mentre fa sesso, considerò divertito.
Prima ancora che se ne accorgesse, aveva aperto la porta della stanza.
Non era mai entrato nella stanza di Roxas prima d’ora, visto che non aveva mai avuto il motivo per farlo. Era abbastanza ordinata, più di quella di Sora ma meno della sua, piena zeppa di libri e – si concesse una risata per quello – pupazzi di ogni genere. La scrivania era contro lo stesso muro occupato dall’armadio, mentre il letto era sotto la finestra aperta, e nel lato sinistro della stanza.
Quando ebbe guardato abbastanza il letto, sbiancò appena si rese conto che era sfatto e vuoto, segno che Roxas era in giro per casa e che entro poco sarebbe tornato. Eppure, la possibilità di abbracciare il cuscino e respirare l’odore della pelle di Roxas era molto più allettante, ed ormai aveva occupato ogni parte del suo cervello, diventando una priorità primaria. Voleva sentire il suo odore, voleva toccare le stesse coperte che avevano avvolto il suo bellissimo corpo.
Il momento dopo era seduto sul materasso, chino sul guanciale. Non appena sentì quell’odore, fu certo di aver firmato la propria condanna.
Si staccò dal cuscino non appena sentì dei passi in corridoio e si alzò in piedi, prendendo tra le mani un libro a caso. Sempre meglio farsi scoprire mentre curiosava tra la roba, piuttosto che in condizioni peggiori, no?
Così, quando un Roxas assonnato entrò in camera e gli chiese bruscamente che diamine ci facesse lì, non ci rimase che sorridere sfacciato, mentre sfogliava le pagine.
«Perché, hai qualcosa da nascondere?»
«Riku, non rompere il cazzo, ho sonno» borbottò, sospirando e passandosi le mani in faccia «Litighiamo domattina, okay?»
«E chi ha detto che voglio litigare?» chiese, staccando gli occhi dal libro per poterlo guardare in faccia.
Era assonnato, si vedeva: aveva gli occhi lucidi e le guance rosse, e probabilmente anche i brividi di freddo visto che aveva una leggera maglia a mezze maniche ed un leggero pantalone. Aveva notato, infatti, che aveva ancora il piumone pesante sul letto: evidentemente preferiva dormire con la finestra aperta e vestito leggero ma con una coperta caldissima.
Roxas gli si avvicinò, strappandogli il libro dalle mani e mettendolo malamente sulla scrivania; intanto continuava a guardarlo male, o almeno ci provava, visto che con quell’aria assonnata al massimo poteva intenerirlo. Cazzo, da assonnato era ancora più fottibile.
«Devo ripeterlo?» fece il biondo irritato, ma Riku proprio non riuscì a trattenere una risata
«Perché no? Ti stai impegnando così tanto a sembrare autoritario, sei adorabile»
«Vaffanculo» sbottò quindi l’altro, colpendolo al braccio «Sul serio, sono stanco» fece infine, dandogli le spalle per andare a letto.
Se probabilmente fosse successo qualche mese prima, quella situazione non si sarebbe nemmeno andata a creare. Perché lui non aveva mai avuto un motivo per entrare nella stanza di Roxas, nessuno per stuzzicarlo solo per farsi dedicare qualche momento di assoluta attenzione.
Ma adesso probabilmente non era rimasto nulla di quel Riku che considerava Roxas solo il gemello del suo migliore amico, nulla di quel Riku che ragionava razionalmente prima di agire. Altrimenti non si sarebbe spiegato perché, adesso, era scattato verso il biondo e l’aveva afferrato stretto tra le braccia per non farlo scappar via, il naso affondato nei suoi capelli; era irrigidito, ma l’idea di lasciarlo e chiedergli scusa per quel gesto improvviso che sicuramente lo stava turbando non lo sfiorava neppure.
«Riku. Che cazzo stai facendo?» sibilò, cominciando ad agitarsi per toglierselo di dosso; l’altro, seppur i suoi movimenti sconnessi non gli dessero minimamente fastidio né facesse fatica ad ignorarli, lo lasciò comunque, permettendogli di girarsi per fissarlo con un’aria piuttosto confusa «Ma si può sapere che hai stasera?!»
«Perché, ti sembra strano che un ragazzo di abbracci?» chiese, muovendo un altro passo per avvicinarsi di più a Roxas, che ormai era arrivato a toccare il bordo del materasso per farsi il più lontano possibile da lui «Hayner lo fa, con te»
«Se non fosse che stasera sei completamente fuori giurerei che sei geloso» sbottò ironico, ostentando tutta la tranquillità che non aveva.
Era nervoso, e Riku se n’era accorto benissimo. Giocherellava a far intrecciare le dita tra di loro, esattamente come quando era sotto stress alle interrogazioni; l’idea di farlo agitare a tal punto, comunque, non poteva che renderlo più soddisfatto.
«E se io lo fossi sul serio?» si avvicinò ancora, lentamente, fino a sentire il respiro irregolare di Roxas infrangersi contro il proprio collo; si chinò appena, fino a sfiorargli l’orecchio con le labbra «Se mi desse davvero fastidio che chiunque altri ti parli e ti tocchi?» sussurrò e, se possibile, l’altro si irrigidì ancora di più, prima di mettergli le mani sul petto per tenerlo più lontano
«S-smettila di dire stronzate» balbettò, rosso in volto per l’imbarazzo, e a quel punto l’albino perse ogni singolo pensiero razionale e, afferrando quelle delicate mani che erano ancora poggiate contro il suo petto, spinse Roxas sul materasso, tenendogli fermi i polsi sulla testa e bloccandogli le gambe tra le sue «Levati. Adesso»
«Altrimenti?», il biondo deglutì, cercando di reggere lo sguardo
«Altrimenti nulla. Levati e basta» ordinò, ma Riku non fece neppure caso alle sue parole e, lentamente, si chinò per sfiorargli la guancia paonazza con la punta del proprio naso
«Dimmi un po’, hai mai baciato qualcuno?»
«E questo dovrebbe interessarti perché, esattamente?» la voce gli tremava, e lui non riuscì davvero a pensar altro se non che fosse stupendo, così inerme e turbato
«Perché» cominciò Riku, allentando la presa ai suoi polsi, visto che ormai non faceva nulla per ribellarsi alle sue attenzioni «Devi sapere che la possibilità di essere io il tuo primo bacio mi alletta molto più di quanto tu possa neanche immaginare.»
E poi lo fece.
E le parole che il biondo dovette trattenere nella gola si trasformarono in un sospiro di sorpresa, e come se quel leggero contatto tra le labbra l’avesse acceso, cominciò a dibattersi, cercando di allontanarlo flebilmente, prima di arrendersi ed impiantargli le unghie nella schiena, infilando le mani sotto la maglia.
Pessima mossa, Sullivan.
Riku gli morse un labbro per ripicca e il momento dopo gli aveva riafferrato i polsi per tenerlo fermo, intercettando il suo sguardo smarrito e tremante. Non sembrava disgustato, neanche un po’, ma era confuso, era scosso. Gli afferrò il mento con una mano quando fu abbastanza calmo da non provare a ribellarsi, per poterlo guardare dritto negli occhi; si chinò ancora per sfiorargli le labbra, delicatamente e senza prepotenza, a differenza di quanto fatto prima
«Sogni d’oro» sussurrò sulla sua bocca e Roxas lo spinse lontano, girando la faccia dall’altra parte per nascondere il rossore e l’imbarazzo
«Bastardo» sibilò tra i denti e Riku lo fissò un’ultima volta, prima di uscire dalla stanza e chiudersi la porta alle spalle.

Riku batteva nervosamente le dita sul banco, guardando distrattamente fuori dalla finestra. Dopo averlo baciato, il giorno dopo Roxas non si era fatto vedere a casa per tutto il tempo che c’era stato lui. Non sapeva come prenderla, sinceramente. Un po’ gli faceva piacere averlo scombussolato, togliendogli quell’espressione sempre indifferente e ironica dal volto: quando l’aveva visto tutto imbarazzato, quando l’aveva sentito dibattersi tra le sue braccia cercando di sembrare un mino autoritario e, soprattutto, quando ad un certo punto l’aveva sentito sciogliersi sotto le sue attenzioni, Riku si era sentito terribilmente potente. Possibile?
Si era accorto che l’evenienza di assoggettare Roxas, la possibilità di fargli fare qualsiasi cosa contro la sua volontà gli faceva girare la testa. Perché a parole Roxas sapeva tenere il controllo, ti faceva arrabbiare, innervosire e ti veniva voglia di prenderlo a pugni. Ma a conti fatti, non era nemmeno riuscito ad opporti ad un piccolo bacio.
Il ragazzo sospirò, girando poi di scatto lo sguardo alla porta, quando i due gemelli entrarono. Sora schizzò verso di lui, cominciando a parlare logorroico come al solito; il gemello biondo, invece, non lo degnò neppure di uno sguardo. Prevedibile?
Ad ogni modo, la cosa non lo toccava più di tanto. Se non voleva guardarlo di propria voglia, avrebbe fatto in modo che lo facesse. Con le buone o non.
«Sai, Riku, Roxy è un poco strano»
«Davvero?» chiese, fingendo disinteresse: sarebbe parso strano, se si fosse interessato troppo agli affari del biondino
«Sì, giuro. Ieri quando è tornato a casa si è chiuso in camera a studiare, ed è stato zitto tutto il giorno»
«Forse avrà litigato con Hayner» propose Kairi che, come al solito, non si faceva mai gli affari suoi e sembrava piuttosto interessata alla loro conversazione «Di solito Roxas si trattiene con lui fuori scuola finché non suona la campanella, oggi invece è già qui»
«Adesso che mi ci fai pensare!» esclamò il castano, girandosi dietro e guardando la ragazza con uno sguardo illuminato «Hai proprio ragione! L’ha salutato a malapena stamattina» e giù così, continuarono a ipotizzare teorie che, ad essere sinceri, non gli interessavano affatto.
L’importante era che Roxas non avesse detto a nessuno quel che era successo la scorsa notte, altrimenti non si sarebbe divertito più così tanto ad infastidirlo. Poi, però, Riku si ricordò di Naminé che, proprio come lui, ignorava ogni genere di chiacchiera che usciva dalla bocca di quei due sconclusionati; lo fissò, invece, e gli sorrise in un modo abbastanza strano, più del solito.
«Ne sai nulla?»
«Dovrei?»
«Beh, so quel che è successo» sussurrò, non curandosi neppure che ci fossero Sora e Kairi di fianco, visto che erano troppo impegnati a fantasticare per pensare a ciò che li circondava «Sai, rimango sempre la migliore amica di Roxas»
«Quindi te l’ha detto»
«Me l’ha fatto capire, più che altro. Ieri è stato da me, comunque» spiegò, continuando poi a disegnare sul suo blocconote «Ma non gli ho dato alcun consiglio, ovviamente. Mi piace star a guardare, piuttosto che sporcarmene le mani.»
Riku la fissò a lungo, prima girarsi avanti. Naminé a volte gli metteva i brividi, soprattutto quando parlava con quella calma surreale, mentre disegnava chissà cosa sui fogli; a volte aveva quasi preso in considerazione l’idea che le cose accadessero solo quando lei prendeva in mano una matita, come se il futuro fosse scritto nei suoi disegni.
Un’idea idiota, del resto, segno che la vicinanza di Sora cominciava ormai a spappolargli il cervello.

Al suo fianco, Sora sbuffò, battendo la fronte sul banco, impotente. Riku si concesse una risata sommessa, considerando che, effettivamente, tutte quelle lettere per lui non dovevano avere neppure un senso.
«Oggi mi aiuti, okay? Non voglio prendere un tre in matematica» si lagnò il castano; beh, se non altro lui ed il gemello avevano qualcosa in comune
«Se credi che possa salvarti…»
«Senti, quattro è meglio di tre. Questa è matematica! Non tutte queste odiosissime lettere che non hanno un senso» brontolò, continuando a prendere appunti, sperando di capirci qualcosa.
Riku non poté fare a meno di sorridere furbo, tra sé e sé. Un’intera giornata a casa di Sora?
Cazzo, sta diventando fin troppo facile.
Ed altrettanto divertente, in realtà.

Il ragazzo si massaggiò il collo, un po’ stanco dopo due ore passate a far matematica. Mandò l’ennesima occhiata al proprio migliore amico che, nel frattempo, era riuscito a capirci qualcosa e svolgeva l’esercizio, tutto concentrato. Beh, era una zucca vuota, ma non si poteva dire che non si impegnava.
Gli disse di continuare a farne un altro paio, mentre lui si faceva un giro. Aveva le gambe un po’ addormentate, quindi non aveva alcuna intenzione di starsene seduto per altro tempo.
Lasciò il salotto per dirigersi in cucina, sperando di trovare il solito caffè nel termos, visto che ne aveva davvero bisogno.
Era strano sentire la casa così silenziosa, considerò, mentre soddisfatto si versava il caffè in una tazza. Di solito Sora urlava sempre, ma adesso era a studiare, ed effettivamente si sentivano anche le risate dei genitori dei gemelli, che erano abbastanza allegri, ma adesso erano via per lavoro. Riku non aveva mai capito che razza di lavoro fosse il loro, visto che non avevano nemmeno una routine duratura. A volte erano sempre a casa, altre Riku non li vedeva per settimane, tanto che si chiedeva che fine avessero fatto; adesso che ci pensava, quando il giorno prima era andato via, loro già non c’erano.
Si strinse nelle spalle e posò la tazza sporca nel lavandino, poi i suoi sensi furono attirati dal rumore di una porta che si apriva, al piano di sopra. Da quando era arrivato, non aveva visto Roxas neppure per cinque minuti; sicuramente aveva passato tutto il tempo in camera a studiare, cercando di stargli il più lontano possibile, urtato dalla sua presenza. Il ragazzo si morse le labbra per trattenere un sorriso tra il soddisfatto e sadico quindi, silenziosamente, oltrepassò il salotto per non farsi notare da Sora e salì le scale che portavano al piano superiore.
La porta della camera di Roxas era aperta, e la stanza era vuota, quindi non si prese la briga di entrarci un’altra volta. Mandò un’occhiata a quella del bagno, piuttosto, che era chiusa e sentiva provenire dall’interno il rumore dell’acqua che scrosciava.
L’immagine del biondo sotto la doccia occupò ad intermittenza la sua mente, mandandogli scariche dolorose dritte al cervello, assieme alla scritta a caratteri cubitali che mandava il messaggio “ROXAS-DOCCIA-NUDO” che ormai tentava inutilmente di ignorare.
Non chiudeva mai la porta del bagno, Roxas. Sora glielo aveva detto distrattamente una volta, mentre si lamentava del fatto che avrebbe dovuto farlo, altrimenti la prossima volta Kairi sarebbe morta dalla vergogna a trovarselo di fronte in accappatoio.
Fissò un’ultima volta la porta e, quando sentì l’acqua smettere di uscire, non poté fare a meno di abbassare la maniglia.
E Roxas era lì, girato di spalle e troppo assorto per potersi accorgere di lui, mentre l’accappatoio gli scivolava dalle spalle bagnate, rendendo visibile la pelle chiara e l’accenno iniziale delle vertebre, le scapole sporgenti.
Riku immaginò come era prendere tra le mani quelle piccole spalle, stringerle fino a sentirle cedere sotto il suo tocco, modellarsi come se fossero creta; perché – si rese conto in quel momento – era incredibilmente sottile e magro, ma non riusciva a smettere di pensare che fosse morbido, delicato.
«Bell’accappatoio rosa, Sullivan.»
Roxas sobbalzò, letteralmente, e scattò in piedi, poggiandosi con la schiena contro il muro umido e stringendo forte l’accappatoio
«B-beh, era rosso. Mamma l’ha scolorito in lavatrice» spiegò deglutendo, calmato un po’ dallo spavento iniziale «Comunque si usa bussare»
«Le conosco le buone maniere, ma non avevo voglia di ricevere una risposta negativa»
«Tsk, il solito pallone gonfiato» sputò il biondo stizzito, poi afferrò tra le mani un asciugamano e gli si avvicinò «Se ti levi di torno posso anche uscire, così mi asciugo» fece, ma Riku si limitò a ridergli in faccia, afferrando un lembo della cinta dell’accappatoio, giocherellandoci un po’
«Te l’ho appena detto che risposte negative non ne voglio»
«Uhm, peccato che non me ne freghi un cazzo. Adesso levati, non rompere»
«L’hai detto anche l’altra sera» fece e ghignò quando vide le sue guance diventare rosse «Ma alla fine non sembra che ti sia dispiaciuto» aggiunse e, stranamente, Roxas si limitò a puntare lo sguardo altrove, forse un po’ troppo turbato dalla situazione per poter ribattere.
Vederlo così mansueto era un’occasione più unica che rara in effetti e così, mentre il biondo si liberava della sua mano che ancora gli teneva l’accappatoio, non fece altro che posare le labbra sulle sue, tenendo le braccia strette alla sua schiena. Proprio come la prima volta Roxas si dibatté un po’, tentando inutilmente di mandarlo via, e quando evidentemente capì che Riku non l’avrebbe lasciato andare per niente al mondo, rimase fermo, socchiudendo gli occhi ed arrossendo deliziosamente sulle gote, mentre l’albino gli sfiorava il viso con una mano, che passò poi tra i capelli bagnati, afferrando le ciocche alla nuca per non permettergli di abbassare la testa.
Bastò un po’ di pressione in più con la lingua alle labbra, perché il biondo le schiudesse con un sospiro pesante, permettendogli finalmente di sentire che sapore avesse. Ed era un qualcosa che lo faceva impazzire, per il semplice fatto che – nonostante tutto – Roxas stesse cercando di tenere in mano la situazione, costringendolo a seguire il ritmo della sua lingua.
Ti faccio vedere io chi comanda, biondino.
E Roxas si sciolse in un gemito di sorpresa, staccandosi dalla sua bocca e cercando di levarselo di dosso, quando la mano di Riku andò oltre il leggero tessuto dell’accappatoio; ma la protesta durò poco, fin troppo per sembrare credibile, tanto che l’attimo dopo il biondo gli stava stringendo la presa sulla maglietta, e nascondeva la faccia contro il suo collo, bagnandogli tutto il tessuto della maglia sulla spalla. Ma non era importante, non era una priorità, adesso che sfiorava il petto di Roxas e scivolava lentamente fino al pube.
«Mi fermo?» gli chiese retoricamente, divertito, sentendolo tremare per un tocco più audace della mano; e quello scosse la testa, senza alzare il volto, premendo la bocca sul suo collo per non fare alcun tipo di rumore.
Non ci credeva, Riku.
Non credeva di tener fra le mani la sua erezione, non credeva che le mani che lo stringevano fossero le sue, che la lingua e le labbra che gli vezzeggiavano il collo fossero le sue e, quando si rese conto con una scarica di eccitazione che se sul collo era bellissimo ne sarebbe impazzito, non poté più negare a se stesso che Roxas l’aveva fatto diventare matto e che, anche se adesso lo teneva in pugno – anche letteralmente –, in realtà era proprio Riku quello che non sarebbe riuscito a liberarsi di lui.
Il biondo gli morse improvvisamente la spalla, soffocando un gemito sicuramente forte e facendolo lamentare appena, ma fin troppo soddisfatto per potersi curare del dolore. Roxas tremava ancora, scosso dall’orgasmo, così non gli rimase che sorreggerlo, nascondendo un piccolo ghigno tra i suoi capelli bagnati, ormai gelidi.
«Quando vuoi, la prossima volta» e quello strinse più forte la presa alla schiena, facendogli decisamente male, prima di levarselo bruscamente di dosso; Riku rise «Hai intenzione di cacciarmi via sempre dopo aver avuto quel che vuoi?» chiese e il biondo lo fissò male, ma non fiatò.
Era strano, che stesse zitto. Non aveva spiccicato una parola nemmeno dopo averlo baciato, la sera scorsa, e la cosa lo metteva in agitazione; avrebbe preferito che lo insultasse, che gli urlasse in faccia che era un idiota, che doveva smetterla. Ma continuava a stare in silenzio, cercando di ignorarlo.
«Roxas?»
«Sta zitto» sibilò, afferrando l’asciugamano che era caduto per terra nel tumulto «Lasciami in pace» aggiunse, fissando il tessuto che aveva tra le mani per non guardarlo direttamente negli occhi; Riku fece per parlare, dirgli qualsiasi cosa, ma quello uscì fuori dal bagno, e quando sentì il rumore di una serratura che si chiudeva, capì che si era chiuso in camera.
L’albino si sciacquò le mani, prima di sospirare: non aveva intenzione di lasciar perdere proprio adesso, ma qualcosa gli diceva che da quel momento in poi sarebbe dovuto andarci più cauto, con Roxas.

 

White sheets;

La scuola era quasi deserta, se non fosse stato per poche aule occupate da qualcuno che, come lui, faceva un corso a scuola. Riku odiava da morire dover aspettare due ore prima che il corso di pallacanestro iniziasse, soprattutto perché adesso era passata appena mezz’ora, ma lui già iniziava ad annoiarsi, non ne poteva più. Infatti di solito andava prima a casa, sonnecchiava un po’ o vedeva la televisione e poi ritornava, ma quel giorno la troppa pioggia gli aveva reso impossibile prendere il motorino.
Aveva anche mangiato qualcosa, nel frattempo, quindi non aveva proprio idea di cosa fare per ammazzare i minuti, e di mettersi a studiare non ci pensava proprio, visto che per il giorno dopo avevano solo l’interrogazione di storia, e lui era già stato interrogato.
Sospirò sconsolato, uscendo sulle scale di emergenza del terzo piano per godersi un po’ di sole tiepido, mentre si scambiava qualche messaggio con Sora, che sicuramente era spaparanzato avanti al televisore con una busta di patatine in mano.
Mandò uno sguardo al cielo pulito, senza riuscire a scindere quella visione dall’immagine degli occhi di Roxas dalla sua mente. Era assurdo, come fosse sempre presente nei suoi pensieri notte e giorno, portandolo quasi alla pazzia. O forse l’aveva già raggiunta, solo che non se ne rendeva conto.
Sbadigliò un po’, girandosi per guardare alle spalle quando sentì la porta aprirsi.
«Finalmente ti ho trovato» Roxas gli fece un mezzo saluto, prima di sedersi al suo fianco
«Che ci fai qui?»
«Sora mi ha detto che avevi il corso e… devo parlarti, suppongo»
«Ah, allora non hai dimenticato come si fa?» ghignò e il biondo lo fulminò con lo sguardo «Va bene, cosa c’è?»
«Come se non lo sapessi» mormorò, torturandosi le dita delle mani che nel frattempo si intrecciavano fra loro; poi però si alzò, come se avesse dimenticato che doveva dirgli qualcosa sicuramente importante «Fammi compagnia nella sala professori, la prof mi ha visto e mi ha chiesto di mettere in ordine le sue scartoffie, che due coglioni.»
Riku annuì e, con un colpo di reni, fu in piedi, seguendolo nei corridoi della scuola.

Quando raggiunsero la stanza, l’albino si chiuse la porta alle spalle, e si accomodò su una delle tante sedie che circondavano l’enorme tavolo in legno. Roxas, intanto, cercava nei cassetti alcuni fogli, che man mano sistemava sul medesimo tavolo.
Solo quando finalmente si fermò, avendo preso tutto il necessario, gli diede un minimo di considerazione.
«Senti, ehm... – ma che cazzo mi fai dire, poi – volevo sapere che cazzo hai in quella testa, a parte un cervello in putrefazione»
«Gentile»
«Tsk, non farmi la predica, non sono io quello che ti salta addosso appena può» fece irritato, muovendosi freneticamente e Riku non riuscì a non trovare la scena sfacciatamente divertente.
«E in realtà sei stato fortunato. Sono tre mesi che mi vien voglia di fotterti in ogni angolo possibile del pianeta» ammise, beandosi del rossore che macchiò le guance dell’altro che, tuttavia, fece finta di nulla «Pensavo si fosse capito che mi piaci»
«Beh, come al solito la carcassa morta che hai in testa si è applicata ed è giunta alla conclusione sbagliata: sembri un maniaco, se fai così» gli rinfacciò, sbattendo con forza un fascicolo di fogli sul tavolo «E io non ho voglia di giocare al tuo stupido gioco»
«Non sembrava affatto.»
Continuò a fissarlo intensamente, imperterrito, anche se si era accorto che la cosa infastidiva il biondo più di ogni altra cosa; forse era l’imbarazzo, o forse non aveva il coraggio di guardarlo in faccia per parlargli di una cosa così… seria?, Riku non avrebbe saputo dirlo, ma ad ogni modo era come al solito piuttosto soddisfacente vedere come perdeva il controllo ogni volta, e solo con lui.
«Questo perché…»
«Perché? Perché ti è effettivamente piaciuto baciarmi, e ti è piaciuto ancor di più quan__»
«Zitto, maledizione!» urlò, tirandogli dietro una manciata di fogli, che planarono, andando ad occupare il pavimento, così come avrebbero fatto delle foglie autunnali «Se solo non… merda, Riku, non mi fiderei di te nemmeno se fossi in fin di vita. Hai passato tutta l’esistenza per rendermi la vita impossibile ed io ho fatto altrettanto… se tu non fossi tu, quella sera nella mia stanza avrei fatto anche sesso, con te» fece tutto d’un fiato, fermandosi solo quando ebbe necessità di prendere aria «Non fraintendere, non ho bisogno di trovare l’amore della mia vita per andare a letto con qualcuno. Lo farei anche se sapessi che dopo quella scopata non se ne farà più nulla… ma con te no, perché saresti capace di rinfacciarmelo per tutta la vita. Come stai facendo già adesso» fece infine, smettendo di guardarlo in volto e riprendendo ad aggiustare i vari fogli che c’erano sul tavolo.
Riku, abbastanza scombussolato da tutto quel discorso che aveva fatto in meno di dieci secondi, sentì per un attimo la testa girare. Gli ci volle un po’ di tempo, comunque, per metabolizzare bene il messaggio e, quando finalmente capì che Roxas era terrorizzato dall’idea di fare un passo falso con lui, gli scappò stupidamente un sorriso. Di cosa, non seppe esattamente spiegarlo perché, in ogni caso, l’espressione tesa del biondo catturò ogni sua attenzione.
Non gli avrebbe detto che, se avesse avuto davvero l’intenzione di fare il bastardo, non avrebbe aspettato mesi e mesi, prima di rubargli un bacio, né che se la sua unica intenzione fosse stata quella di deriderlo se lo sarebbe fatto seduta stante, quella sera nel suo stesso letto.
Non lo disse non per superbia, o per timidezza, ma perché Roxas lo sapeva: era troppo sveglio per non essersene accorto e, effettivamente, il suo vero turbamento stava proprio in questo, perché non sapeva quali fossero le sue reali intenzioni. Certo, non sapeva che erano tre mesi che letteralmente gli moriva dietro – quasi – ma era abbastanza intelligente per aver capito che se aveva intenzione di deriderlo, non si sarebbe nemmeno preso la briga i ascoltare i suoi deliri.
Si alzò e gli si avvicinò, cercando di afferrargli il volto per farsi guardare in faccia; ma quello arretrò bruscamente, scivolando su uno dei fogli che aveva fatto cadere prima per terra e Riku lo afferrò, ruzzolando dietro di lui e tirandosi dietro tutti i fascicoli che c’erano sulla scrivania, tentando inutilmente di aggrapparsi a qualcosa di solido. Roxas lo derise, dandogli dell’incapace e lui non poté fare a meno di apostrofarlo malamente. Fu quando si rese conto di quanto fosse vicino che si zittì, e gli mancò il fiato quando il biondo gli afferrò il mento con la sua mano delicata, per non permettergli di allontanarsi; sorrise, prendendogli il colletto della camicia fra la mano, prima di appropriarsi definitivamente di quelle labbra piene.
Non aveva la più pallida idea di cosa sarebbe successo dopo. Per quel che ne sapeva, Roxas avrebbe potuto anche mandarlo a quel paese appena si fossero staccati, oppure dirgli che aveva fatto parecchi errori in quei giorni. Riku non ne aveva davvero idea ma, socchiudendo le palpebre ed assaporando come non aveva ancora fatto quella bocca che non smetteva mai di desiderare, considerò che potevano aprire un nuovo fascicolo, per quando riguardava la loro storia.
Chissà, forse Naminé aveva già scritto qualcosa.


Ehm... no, in realtà non sono stata io a scrivere questo. sta mentendo spudoratamente
D: uccidetemi, vi prego. Vi prego ditemi che fa schifo, che il paring è unammerdamondiale e che devo tornare a fare l'AkuRoku. Vi prego.
Perché ho scritto una RikuRoku? (rabbrividisco solo nel pronunciarlo)
Perché ero ispirata D: perché quella mmerda di Baka_Kappa approvava, e perché ero sotto effetto di allucinogeni pesanti. mi piacerebbe
Brr... che schifo D:
Rabbrividisco per il paging XD
Vabe', nada u.u
Oh, la stupenda immagine figa è di "illbewaiting" e la trovate su deviantart ** anche il mio splendido avatar puccio e made in illbewaiting. u.u
Disegna da Dio, sì <3
Beh, che dire. Se siete arrivati fin quaggiù sani e salvi e non avete conati di vomito, complimenti vivissimi. Io me ne torno a piangere per una certa persona che non è nemmeno stata nominata, in questa fic.
...
Axel.
AXEL.
AXEL.
AXEL!

Ho rimediato u.u
Alla prossima gentaglia, fatemi sapere :3


 

See ya!
AXEL!

   
 
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